Il danno da lesione del rapporto parentale è
ontologicamente diverso da quello che consegue alla
lesione della integrità psicofisica (danno lato sensu,
biologico), si collega alla violazione di un diritto di
rilevanza costituzionale diverso dal diritto alla salute
tutelato dall'art. 32 Cost., l'uno e l'altro, peraltro,
definitivamente trasmigrati - non come autonome
categorie di danno, ma come entità descrittive della
conformazione che l'unitaria figura del danno non
patrimoniale di volta in volta assume in concreto -
nell'area normativa dell'art. 2059 cod. civ..
Più nello specifico, il danno da perdita del rapporto
parentale va al di là del crudo dolore che la morte in
sé di una persona cara, tanto più se preceduta da
agonia, provoca nei prossimi congiunti che le
sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito
dal non potere più godere della presenza e del rapporto
con chi è venuto meno e perciò nell'irrimediabile
distruzione di un sistema di vita basato
sull'affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante
quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre
e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più
fare ciò che per anni si è fatto, nonché
nell'alterazione che una scomparsa del genere
inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i
superstiti.
Peraltro i criteri di liquidazione di tale profilo del
danno non patrimoniale non possono ignorare la
complessiva risposta che il diritto vivente da
all'esigenza di ristoro fatta valere dai prossimi
congiunti della vittima primaria.
Costituiscono invero massime ormai consolidate nella
giurisprudenza di questa Corte:
a) che in caso di lesione dell'integrità fisica con
esito letale, un danno biologico risarcibile in capo al
danneggiato, trasmissibile agli eredi, è configurabile
solo se la morte sia intervenuta dopo un apprezzabile
lasso di tempo, si da potersi concretamente configurare
un'effettiva compromissione dell'integrità psicofisica
del soggetto leso, non già quando la morte sia
sopraggiunta immediatamente o comunque a breve distanza
dall'evento, giacché essa non costituisce la massima
lesione possibile del diritto alla salute, ma lesione di
un bene giuridico diverso, e cioè del bene della vita;
b) che parimenti il danno cosiddetto catastrofale - e
cioè la sofferenza patita dalla vittima durante l'agonia
- è risarcibile e può essere fatto valere iure
hereditatis unicamente allorché essa sia stata in
condizione di percepire il proprio stato, abbia cioè
avuto l'angosciosa consapevolezza della fine imminente,
mentre va esclusa quando all'evento lesivo sia
conseguito immediatamente il coma e il danneggiato non
sia rimasto lucido nella fase che precede il decesso;
c) che non è risarcibile il danno tanatologico, da
perdita del diritto alla vita, fatto valere iure
successionis dagli eredi del de cuius, per
l'impossibilità tecnica di configurare l'acquisizione di
un diritto risarcitorio derivante dalla lesione di un
bene intrinsecamente connesso alla persona del titolare,
e da questo fruibile solo in natura: e invero, posto che
finché il soggetto è in vita, non vi è lesione del suo
diritto alla vita, mentre, sopravvenuto il decesso, il
morto, in quanto privo di capacità giuridica, non è in
condizione di acquistare alcun diritto, il risarcimento
finirebbe per assumere, in casi siffatti, un'anomala
funzione punitiva, particolarmente percepibile laddove
il risarcimento dovesse essere erogato a eredi diversi
dai congiunti o, in mancanza di successibili,
addirittura allo Stato.
A
ben vedere, a monte di tali opzioni ermeneutiche, e
soprattutto dell'ultima, vi è l'elementare
considerazione che, in caso di morte di un congiunto, la
stessa nozione di risarcimento per equivalente - e cioè
di un intervento a carico del danneggiante che serva a
rimettere il patrimonio del soggetto leso nella
situazione in cui si sarebbe trovato se non fosse
intervenuto l'atto illecito - ha senso solo con
riferimento alle conseguenze di carattere patrimoniale
del fatto pregiudizievole, predominante essendo invece
la funzione consolatoria dell'erogazione pecuniaria (non
a caso tradizionalmente definita denaro del pianto),
inattuabile, per forza di cose, nei confronti del
defunto. (1-3)
(*) Riferimenti normativi: art. 2059 c.c.
(1) In tema di danno parentale e prova, si veda
Cassazione civile, sez. III, sentenza 06.04.2011 n°
7844.
(2) In materia di danno tanatologico, si veda
Cassazione civile , sez. III, sentenza 08.04.2010 n°
8360.
(3) In tema di danno non patrimoniale, si veda
Cassazione Civile, SS.UU., 11.11.2008, n. 26972 (si
vedano anche le video riflessioni di VIOLA, in materia
di integralità del risarcimento del danno alla persona,
e le video riflessioni di CESARI, nell’ambito del
convegno Il Risarcimento del danno non patrimoniale con
pregiudizi esistenziali tenutosi in Roma il 24 novembre
2008 presso il Palazzo Marini della Camera dei Deputati.
Tra i contributi della dottrina, si vedano:
- CENDON (a cura di), Trattato dei nuovi danni,
Padova, 2011;
- CARBONE P., Perdita del rapporto parentale, in
Danno e Resp., 2010, 10, 963;
- VIOLA, Danni da morte e da lesione alla persona,
Padova, 2009;
- TUOZZO, Il danno da perdita del rapporto parentale
nel bipolarismo risarcitorio, in Resp. civ., 2008, 6,
495.
(Fonte: Massimario.it - 18/2011)
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danno parentale | danno biologico | danno tanatologico |
IL NUOVO DANNO ALLA PERSONA
Chiarimenti per una corretta formulazione della domanda
di risarcimento
ROMA 20 maggio - Accreditato 7 ore CNF
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 10 marzo - 9 maggio 2011, n. 10107
(Presidente Preden - Relatore Amendola)
Svolgimento del processo
I
fatti di causa rilevanti ai fini della decisione del
ricorso possono così ricostruirsi sulla base della
sentenza impugnata.
D.B.F. e C..D.B. , rispettivamente marito e figlio di
M.S. convennero in giudizio, innanzi al Tribunale di
Roma, An..Co., A..C. e SAI Ass.ni s.p.a., per essere
risarciti dei danni subiti a seguito dell'incidente
stradale in cui aveva perso la vita la loro congiunta.
Esposero che questa, investita sulle strisce pedonali,
aveva riportato lesioni che, dopo una degenza
ininterrotta di ventuno giorni, ne avevano provocato la
morte.
Con sentenza del 12 novembre 2002, il giudice adito, per
quanto qui interessa, condannò i convenuti al pagamento,
in solido tra loro, delle somme di Euro 113.142, in
favore di F..D.B., e di Euro 86.208, in favore di
C..D.B., per danno morale, mentre escluse ogni
attribuzione a titolo di danno patrimoniale, in favore
del coniuge superstite, in relazione alla pensione di
cui era titolare la moglie, in ragione del
riconoscimento al marito di una reversibile del 60%.
Proposto gravame da D.B.F. e C..D.B., la Corte
d'appello, in data 12 luglio 2005, in parziale riforma
dell'impugnata sentenza, ha condannato An..Co., C.A. e
SAI Ass.ni s.p.a. al pagamento dell'ulteriore somma di
Euro 840,00, a titolo di danno biologico spettante agli
attori iure hereditatis, compensando tra le parti le
spese del grado in ragione della metà e condannando gli
appellanti al pagamento in solido del residuo.
Avverso detta pronuncia propongono ricorso per
cassazione, illustrato anche da memoria, D.B.F. e C.,
articolando quattro motivi.
Resiste con controricorso A.C.
Motivi della decisione
1.1 Col primo motivo gli impugnanti lamentano violazione
degli artt. 2059 e 112 cod. civ., ex art. 360, nn. 3 e
5, cod. proc. civ.. Le critiche si appuntano contro il
mancato riconoscimento del danno esistenziale,
argomentato dalla Corte d'appello con l'assunto che la
relativa istanza era stata tardivamente proposta.
Rilevano per contro gli esponenti che nell'atto
introduttivo del giudizio essi avevano chiesto il
risarcimento di tutti i danni derivati dalla grave
perdita subita, agendo sia iure proprio che iure
hereditatis. E in relazione a tale formulazione della
domanda, reiterata in appello e meglio specificata nella
comparsa conclusionale, la richiesta di attribuzione del
danno esistenziale, non poteva essere qualificata come
domanda nuova.
1.2 Col secondo mezzo denunciano insufficienza e
contraddittorietà della motivazione, ex art. 360, n. 5,
cod. proc. civ., con riferimento alla determinazione
quantitativa del danno morale. Sostengono che nei motivi
di gravame avevano prospettato l'insufficienza delle
somme liquidate dal giudice di prime cure, il quale
aveva applicato criteri genericamente automatici, senza
tener conto della particolare gravità del fatto, del
lungo periodo di sofferenze sopportate dalla vittima tra
l'evento dannoso e la morte, e del danno morale riflesso
che ad essi ne era derivato. Il giudice di merito
avrebbe segnatamente trascurato la lesione
dell'affettività conseguente a una perdita repentina e
irreversibile.
1.3 Col terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione
degli artt. 2056, 1223 e 1227 cod. civ., 115 e 116 cod.
proc. civ., ex art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.
Deducono che il rigetto della domanda di liquidazione
del danno patrimoniale derivato dal venir meno del
reddito del coniuge deceduto, argomentato, tra l'altro,
col rilievo che una parte della pensione della vittima
primaria veniva dalla stessa utilizzata per sopperire ai
propri bisogni, era erroneo, non avendo il giudice di
merito considerato l'impraticabilità, in parte qua,
dell'istituto della compensato lucri cum damno.
Peraltro neppure era stato considerato che la morte
della moglie comportava per il marito superstite
maggiori oneri di sostentamento, in relazione alle
quotidiane esigenze di vita.
1.4 Col quarto mezzo infine gli impugnanti denunciano
erroneità della motivazione con riferimento alla loro
condanna al pagamento di metà delle spese di giudizio,
senza che di tale scelta venisse fornita alcuna
motivazione.
2
Si prestano a essere esaminate congiuntamente, per la
loro evidente connessione, le censure formulate nei
primi due motivi di ricorso.
Esse sono fondate per le ragioni che seguono.
A
ben vedere, ciò di cui i ricorrenti si dolgono, evocando
le figure del danno esistenziale nonché, con qualche
confusa ridondanza argomentativa, di un danno biologico
come danno indiretto, di riflesso o di rimbalzo, è
l'insufficiente liquidazione del danno non patrimoniale
da essi patito - e quindi iure proprio rivendicato - a
seguito della morte del congiunto e segnatamente di quel
particolare profilo della subita incisione nella propria
sfera areddituale, costituita dal danno da perdita del
rapporto parentale. Questo danno, che è ontologicamente
diverso da quello che consegue alla lesione della
integrità psicofisica (danno lato sensu, biologico), si
collega alla violazione di un diritto di rilevanza
costituzionale diverso dal diritto alla salute tutelato
dall'art. 32 Cost., l'uno e l'altro, peraltro,
definitivamente trasmigrati - non come autonome
categorie di danno, ma come entità descrittive della
conformazione che l'unitaria figura del danno non
patrimoniale di volta in volta assume in concreto -
nell'area normativa dell'art. 2059 cod. civ. (confr.
Cass. civ. 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828; Corte cost.
11 luglio 2003, n. 233; Cass. civ. sez. un. 11 novembre
2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975), dopo che per anni
avevano trovato copertura nell'ambito dell'art. 2043, in
combinato disposto con i diritti fondamentali
costituzionalmente tutelati (confr. Cass. civ. sez. un.
22 maggio 2002, n. 7470).
Più nello specifico, il danno da perdita del rapporto
parentale va al di là del crudo dolore che la morte in
sé di una persona cara, tanto più se preceduta da
agonia, provoca nei prossimi congiunti che le
sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito
dal non potere più godere della presenza e del rapporto
con chi è venuto meno e perciò nell'irrimediabile
distruzione di un sistema di vita basato
sull'affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante
quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre
e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più
fare ciò che per anni si è fatto, nonché
nell'alterazione che una scomparsa del genere
inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i
superstiti.
3. Peraltro i criteri di liquidazione di tale profilo
del danno non patrimoniale non possono ignorare la
complessiva risposta che il diritto vivente da
all'esigenza di ristoro fatta valere dai prossimi
congiunti della vittima primaria.
Costituiscono invero massime ormai consolidate nella
giurisprudenza di questa Corte: a) che in caso di
lesione dell'integrità fisica con esito letale, un danno
biologico risarcibile in capo al danneggiato,
trasmissibile agli eredi, è configurabile solo se la
morte sia intervenuta dopo un apprezzabile lasso di
tempo, si da potersi concretamente configurare
un'effettiva compromissione dell'integrità psicofisica
del soggetto leso, non già quando la morte sia
sopraggiunta immediatamente o comunque a breve distanza
dall'evento, giacché essa non costituisce la massima
lesione possibile del diritto alla salute, ma lesione di
un bene giuridico diverso, e cioè del bene della vita
(confr. Cass. civ. 17 gennaio 2008, n. 870; Cass. civ.
28 agosto 2007, n. 18163; Corte cost. n. 372 del 1994);
b) che parimenti il danno cosiddetto catastrofale - e
cioè la sofferenza patita dalla vittima durante l'agonia
- è risarcibile e può essere fatto valere iure
hereditatis unicamente allorché essa sia stata in
condizione di percepire il proprio stato, abbia cioè
avuto l'angosciosa consapevolezza della fine imminente,
mentre va esclusa quando all'evento lesivo sia
conseguito immediatamente il coma e il danneggiato non
sia rimasto lucido nella fase che precede il decesso
(confr. Cass. civ. 28 novembre 2008, n. 28423; Cass.
civ. 24 marzo 2011, n. 6754);
c) che non è risarcibile il danno tanatologico, da
perdita del diritto alla vita, fatto valere iure
successionis dagli eredi del de cuius, per
l'impossibilità tecnica di configurare l'acquisizione di
un diritto risarcitorio derivante dalla lesione di un
bene intrinsecamente connesso alla persona del titolare,
e da questo fruibile solo in natura: e invero, posto che
finché il soggetto è in vita, non vi è lesione del suo
diritto alla vita, mentre, sopravvenuto il decesso, il
morto, in quanto privo di capacità giuridica, non è in
condizione di acquistare alcun diritto, il risarcimento
finirebbe per assumere, in casi siffatti, un'anomala
funzione punitiva, particolarmente percepibile laddove
il risarcimento dovesse essere erogato a eredi diversi
dai congiunti o, in mancanza di successibili,
addirittura allo Stato (confr. Cass. civ. 24 marzo 2011,
n. 6754; Cass. civ. 16 maggio 2003, n. 7632);
4. A ben vedere, a monte di tali opzioni ermeneutiche, e
soprattutto dell'ultima, vi è l'elementare
considerazione che, in caso di morte di un congiunto, la
stessa nozione di risarcimento per equivalente - e cioè
di un intervento a carico del danneggiante che serva a
rimettere il patrimonio del soggetto leso nella
situazione in cui si sarebbe trovato se non fosse
intervenuto l'atto illecito - ha senso solo con
riferimento alle conseguenze di carattere patrimoniale
del fatto pregiudizievole, predominante essendo invece
la funzione consolatoria dell'erogazione pecuniaria (non
a caso tradizionalmente definita denaro del pianto),
inattuabile, per forza di cose, nei confronti del
defunto (confr. Cass. civ. 6754/2011 e 7632/2003 cit.).
L'irriducibile e somma disomogeneità tra bene inciso e
mezzo attraverso il quale ne viene attuata la
reintegrazione e, prima e ancor più, l'impossibilità
fisica di erogare la tutela in favore del soggetto che
di quel bene era titolare, mentre disvelano la
finalizzazione degli opposti orientamenti al contingente
e pur encomiabile obiettivo di far conseguire più
denari) ai congiunti (Cass. civ. n. 6754/2011),
confermano la validità di scelte decisorie basate sulla
massima emersione possibile del rapporto parentale, come
bonum in sé materialmente esistente prima dell'evento
lesivo, irrimediabilmente da questo leso, concretamente
passibile di consolazione pecuniaria.
5. I principi qui sinteticamente riportati valgono a
chiarire le ragioni della ritenuta fondatezza delle
critiche formulate dagli impugnanti nei primi due motivi
di ricorso.
Mette conto evidenziare che la Corte d'appello ha
affermato la piena condivisivilità della liquidazione
del danno morale effettuata dal giudice di prime cure,
in quanto non meramente simbolica; adeguata al caso
concreto, e segnatamente alla circostanza che gli
appellanti potevano contare sull'appoggio di più
familiari superstiti; opportunamente diversificata tra
coniuge e figlio.
6. Ad avviso del collegio le argomentazioni svolte dalla
Curia capitolina - che ha giustificato il giudizio di
congruità delle somme attribuite ai superstiti in base a
un'ipotetica vicinanza di altri, non meglio individuati
familiari e alla apodittica capacità lenitiva delle
connesse relazioni affettive - evidenziano la palese
sottovalutazione del danno da lesione del rapporto
parentale in cui è incorso il giudice di merito e
conseguentemente concretano non solo un vizio
motivazionale, per la complessiva inadeguatezza
dell'apparato giustificativo della decisione, formulato
in termini puramente assertivi e senza neppure
esplicitare i parametri tabellari probabilmente
applicati, ma una inemendabile violazione del disposto
dell'art. 2059 cod. civ., nella portata innanzi
precisata.
Il giudice di merito ha invero ignorato il principio per
cui il danno da perdita del rapporto parentale deve si
essere risarcito mediante il ricorso a criteri di
valutazione equitativa, rimessi alla prudente
discrezionalità del giudice di merito, ma esplicitando
le regole di equità applicate (comb. disp. artt. 1226 e
2056 cod. civ.) e, nello specifico, tenendo conto
dell'irreparabilità della perdita della comunione di
vita e di affetti e della integrità della famiglia
subita dai prossimi congiunti della vittima, di talché
la relativa quantificazione esige un'attenta
considerazione di tutte le circostanze idonee a
lumeggiare la pregnanza, in concreto, dell'entità della
lesione subita dai superstiti.
7. L'accoglimento dei primi due motivi di ricorso - cui
consegue la cassazione della sentenza impugnata in
relazione alle censure ritenute fondate e il rinvio al
giudice di merito - comporta l'assorbimento del quarto
mezzo, relativo al regime delle spese processuali del
giudizio di appello.
8. Non hanno invece pregio le censure svolte nel terzo
motivo.
La Corte territoriale ha escluso che i ricorrenti
avessero subito un danno patrimoniale a seguito della
morte della loro congiunta, evidenziando che il marito
usufruiva di una pensione di reversibilità pari al 60%
di quella goduta dalla moglie e, in ogni caso, che gli
appellanti non avevano provato che l'evento luttuoso
avesse determinato un peggioramento del loro tenore di
vita.
9. Osserva il collegio che la prospettiva in cui si è
mosso il giudice di merito è all'evidenza la
qualificazione come quota sibi (e cioè come porzione del
reddito che la defunta avrebbe speso per sé), della
parte di pensione non devoluta ai superstiti,
congruamente motivando il suo convincimento anche in
relazione al contesto probatorio di riferimento. E non
par dubbio che il relativo accertamento è incensurabile
in sede di legittimità, se immune da vizi di
motivazione. Peraltro i rilievi critici formulati dagli
impugnanti sono eccentrici, rispetto alle argomentate
ragioni della decisione, risolvendosi nell'incongrua
denuncia dell'applicazione di un principio - quello
della compensatio lucri cum damno - in realtà del tutto
estraneo alla ratio decidendi della sentenza oggetto di
ricorso.
9. In definitiva la decisione impugnata deve essere
cassata in relazione ai primi due motivi di ricorso, con
rinvio, anche per le spese di giudizio di cassazione,
alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione,
che, nel decidere, dovrà applicare il seguente principio
di diritto: il danno da perdita del rapporto parentale
conseguente alla morte di un prossimo congiunto deve
essere integralmente risarcito mediante l'applicazione
di criteri di valutazione equitativa, rimessi alla
prudente discrezionalità del giudice di merito. Tali
criteri devono tener conto dell'irreparabilità della
perdita della comunione di vita e di affetti e della
integrità della famiglia. La relativa quantificazione va
operata considerando tutti gli elementi della
fattispecie e, in caso di ricorso a valori tabellari,
che vanno in ogni caso esplicitati, effettuandone la
necessaria personalizzazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso; rigetta
il terzo, assorbito il quarto. Cassa in relazione ai
motivi accolti e rinvia anche per le spese del giudizio
di cassazione alla Corte d'appello di Roma in diversa
composizione. |