avv. Maurizio
Perelli
Per l'avvocato solo
i redditi che non hanno nulla a che fare con l'esercizio
della professione non comportano onere contributivo
verso la Cassa forense. L'ha stabilito la Cassazione,
sez. lavoro, con sentenza 18 aprile 2011, n. 8835. La
Corte ha enunciato il seguente principio di diritto:
"L'attività di consulenza finanziaria deve reputarsi
connessa a quella della professione di avvocato, ai
sensi dell'ordinamento di detta professione di cui al
R.D. 27 novembre 1933, convertito nella L. 22 gennaio
1936, n. 34, sicchè i relativi redditi e volumi d'affari
vanno assoggettati a contribuzione ai sensi della L. 20
settembre 1980, n. 576, artt. 10 e 11, e successive
modifiche".
SENTENZA DELLA
CASSAZIONE, SEZIONE LAVORO, 18 APRILE 2011, N. 8835 ...
SUPREMA CORTE DI
CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza 18 aprile
2011, n. 8835
Svolgimento del
processo
Con sentenza del
19/5/2006 la Corte d'Appello di Lecce - sezione Lavoro
ritenne fondato l'appello proposto il 27/7/05 da N. G.
avverso la decisione del giudice del lavoro del
Tribunale di Lecce del 14/4/05, con la quale, in
accoglimento dell'opposizione alla cartella esattoriale
n. ... contenente l'intimazione al pagamento alla Cassa
Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense della
somma di Euro 69.249,74 a titolo di contributi e somme
aggiuntive per gli anni 1987, 1988, 1989 e 2002, era
stata accerta la prescrizione del credito azionato per i
primi tre anni ed appurato il venir meno di ogni
contestazione per il credito del 2002, e, per l'effetto,
dichiarò che le somme di cui agli anni 1987, 1988 e 1989
non erano, invece, dovute per la diversa ragione che
erano attinenti ad attività professionale
dell'appellante non riconducibile alla professione
legale.
Nell'addivenire a
tale decisione la Corte territoriale spiegò che
l'appellante, pur avendo eccepito la prescrizione, aveva
pieno interesse a sentir pronunziare anche nel merito
l'invocato accertamento dell'insussistenza del credito
azionato nei suoi confronti, atteso che la statuizione
sulla sola prescrizione lasciava impregiudicata la
questione amministrativa della rettifica dell'iscrizione
alla Cassa previdenziale della sua categoria
professionale, con conseguente rischio di cancellazione
delle contribuzioni relative agli anni in contestazione;
inoltre, la Corte appurò che l'attività di consulenza
finanziaria svolta in via prevalente dall'appellante,
così come emerso dall'istruttoria svolta, doveva
ritenersi estranea all'esercizio della professione
forense e nemmeno poteva considerarsi ad essa
assimilabile, per cui la stessa non poteva giustificare
le somme pretese attraverso la cartella esattoriale
opposta che, di conseguenza, non erano dovute.
Per la cassazione
della sentenza propone ricorso la Cassa Nazionale di
Previdenza e assistenza Forense affidando l'impugnazione
a quattro motivi di censura.
Resiste con
controricorso l'avv. N.G.
La ricorrente
deposita, altresì, memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.
Motivi della
decisione
1. Col primo motivo
la ricorrente deduce la violazione e l'omessa
applicazione degli artt. 100, 112, 345 e 347 c.p.c.,
(art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4) ponendo il seguente quesito
di diritto: "Se - accolta dal Tribunale l'opposizione
avverso l'iscrizione a ruolo per intervenuta
prescrizione dei contributi previdenziali pretesi dalla
Cassa Forense, e conseguente dichiarazione di
assorbimento del capo di domanda fondata sulla non
imponibilità contributiva de cespiti in contestazione -
possa avere ingresso, nel rispetto degli artt. 110, 112,
345 e 437 c.p.c., l'appello con il quale l'opponente,
pur totalmente vittorioso, miri ad ottenere la
dichiarazione di insussistenza ab origine del credito
contributivo in contestazione, adducendo, come
giustificazione del gravame, circostanza mai dedotta in
precedenza, e cioè che la semplice declaratoria di
prescrizione di detti contributi è suscettibile di
pregiudicare (alla luce dell'orientamento espresso in
altra sede dall'ente previdenziale) gli accrediti di
anzianità contributiva relativi agli anni interessati da
quella declaratoria".
Il motivo è
infondato.
Giova, anzitutto,
osservare che l'opponente non era risultato totalmente
vittorioso all'esito del giudizio di primo grado, atteso
che era stata ritenuta fondata l'eccezione preliminare
della prescrizione, per cui sussisteva il suo interesse
all'impugnazione per sentir accolta la domanda diretta a
far accertare l'insussistenza del debito contributivo;
in secondo luogo, l'odierna ricorrente non offre
elementi per ritenere che non era stata dedotta già in
prime cure dall'opponente la circostanza rappresentata
dal fatto che in sede amministrativa si era profilato il
rischio del mancato accredito contributivo. Anzi, nel
controricorso l'odierno intimato spiega che all'udienza
di discussione erano stati illustrati i motivi
dell'esame delle domande nel merito. In ogni caso, la
circostanza amministrativa summenzionata rappresentava
solo un motivo atto a giustificare la domanda di
accertamento dell'insussistenza del debito contributivo
che, pertanto, non poteva essere considerata come nuova.
Nè il fatto che la questione connessa al rischio del
mancato accredito contributivo fosse rimasta assorbita
dalla decisione di accoglimento della prescrizione
faceva solo per questo venir meno l'interesse a far
valere la domanda principale di accertamento
dell'insussistenza del debito contributivo.
2. Col secondo motivo
la ricorrente denunzia l'omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), facendo rilevare
che nel ricorso di primo grado non è dato cogliere alcun
collegamento testuale, nè diretto, nè indiretto, tra la
richiesta di declaratoria di nullità del ruolo e quella
di accertamento della inesistenza ab origine
dell'obbligo contributivo.
Al riguardo non può
non evidenziarsi il dato di fondo preliminare
rappresentato dalla mancata sintesi giuridica delle
ragioni dedotte col motivo stesso, sintesi che avrebbe
dovuto essere omologa alla formulazione del quesito di
diritto imposto dall'art. 366 bis c.p.c., a pena di
inammissibilità, posto che, contrariamente a quanto
sostenuto attraverso tale motivo di doglianza, nella
sentenza impugnata è contenuto l'espresso riferimento
alla richiesta di declaratoria di nullità assoluta del
ruolo, per cui non è dato comprendere quale sarebbe
l'omissione o l'insufficienza o la contraddittorietà
della motivazione che la renderebbero alternativamente
inidonea a giustificare la decisione impugnata.
Invero, come si è già
avuto modo di affermare (Cass. Sez. Lav. n. 4556 del
25/2/09), l'art. 366 bis c.p.c., nel prescrivere le
modalità di formulazione dei motivi del ricorso in
cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di
inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa
valutazione da parte del giudice di legittimità a
seconda che si sia in presenza dei motivi previsti
dall'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero
del motivo previsto dal numero 5 della stessa
disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve,
all'esito della sua illustrazione, tradursi in un
quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità
espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall'art.
384 cod. proc. civ., all'enunciazione del principio di
diritto ovvero a "dieta" giurisprudenziali su questioni
di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga
in rilievo il motivo di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5,
(il cui oggetto riguarda il solo "iter" argomentativo
della decisione impugnata), è richiesta una
illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si
deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica
del fatto controverso - in relazione al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria - ovvero
delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza
rende inidonea la motivazione a giustificare la
decisione". Pertanto, il suddetto motivo di censura è
inammissibile.
3. Col terzo motivo
la ricorrente deduce la violazione, nonchè la falsa ed
errata applicazione della L n. 576 del 1980, artt. 10 e
11, unitamente all'omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).
In particolare la
difesa della Cassa Nazionale Forense pone il seguente
quesito di diritto: "Se il giudizio in ordine alla
imponibilità, ai sensi della L. n. 576 del 1980, artt.
10 e 11, dei singoli cespiti di reddito e di volumi
d'affari prodotti dall'avvocato, vada condotto
verificando l'esistenza o meno di una connessione fra il
contenuto concreto dell'attività svolta (da cui il
singolo cespite di reddito e volume d'affari deriva) e
le conoscenze professionali e il bagaglio culturale
tipici della professione; e se debba ritenersi
imponibile tutto il reddito ricavato dall'impiego delle
conoscenze professionali e del bagaglio culturale
dell'avvocato, anche per quanto riguarda attività
stragiudiziale di consulenza alle aziende, ivi comprese
la consulenza e l'assistenza in procedimenti
amministrativi finalizzati all'ottenimento di
finanziamenti o attività di docenza e produzione di
scritti, retribuite a fronte del materiale di rilascio,
da parte del professionista, di fatture per competenze
professionali".
In sostanza, la
ricorrente contesta alla Corte d'appello di aver
aprioristicamente ed erroneamente escluso ogni ipotesi
di collegamento tra le attività di consulenza
finanziaria svolta dall'avv. N. e la sua professione di
legale, facendo malgoverno delle norme di cui alla L. n.
576 del 1980, artt. 10 e 11, e finendo, così, per
consentire all'appellante di avvalorare la sua tesi di
non imponibilità dei redditi e dei volumi d'affari
prodotti nel periodo in contestazione. Il motivo coglie
nel segno e va, perciò, accolto.
Orbene, ai fini di un
ordinato iter motivazionale della presente decisione è
opportuno riprodurre il dato testuale dell'art. 11, sul
contributo integrativo, di cui alla L. n. 576 del 1980:
"A PARTIRE DAL PRIMO GENNAIO DEL SECONDO ANNO SUCCESSIVO
ALL'ENTRATA IN VIGORE DELLA PRESENTE LEGGE, TUTTI GLI
ISCRITTI AGLI ALBI DI AVVOCATO E DI PROCURATORE NONCHE'
I PRATICANTI PROCURATORI ISCRITTI ALLA CASSA DEVONO
APPLICARE UNA MAGGIORAZIONE PERCENTUALE SU TUTTI I
CORRISPETTIVI RIENTRANTI NEL VOLUME ANNUALE D'AFFARI AI
FINI DELL'IVA E VERSARNE ALLA CASSA L'AMMONTARE
INDIPENDENTEMENTE DALL'EFFETTIVO PAGAMENTO CHE NE ABBIA
ESEGUITO IL DEBITORE. LA MAGGIORAZIONE E' RIPETIBILE NEI
CONFRONTI DI QUEST'ULTIMO. LE ASSOCIAZIONI O SOCIETA' DI
PROFESSIONISTI DEVONO APPLICARE LA MAGGIORAZIONE PER LA
QUOTA DI COMPETENZA DI OGNI ASSOCIATO ISCRITTO AGLI ALBI
DI AVVOCATO E PROCURATORE. L'AMMONTARE COMPLESSIVO ANNUO
DELLE MAGGIORAZIONI OBBLIGATORIE DOVUTE ALLA CASSA DAL
SINGOLO PROFESSIONISTA E' CALCOLATO SU UNA PERCENTUALE
DEL VOLUME D'AFFARI DELLA ASSOCIAZIONE O SOCIETA' PARI
ALLA PERCENTUALE DEGLI UTILI SPETTANTE AL PROFESSIONISTA
STESSO. GLI ISCRITTI ALLA CASSA SONO ANNUALMENTE TENUTI
A VERSARE,PER IL TITOLO DI CUI AL PRIMO COMMA,UN IMPORTO
MINIMO RISULTANTE DALLA APPLICAZIONE DELLA PERCENTUALE
AD UN VOLUME D'AFFARI PARI A QUINDICI VOLTE IL
CONTRIBUTO MINIMO DI CUI ALL'ART. 10, COMMA 2,DOVUTO PER
L'ANNO STESSO. SALVO QUANTO DISPOSTO DALL'ART. 13, COMMA
1, LA MAGGIORAZIONE PERCENTUALE,IN SEDE DI PRIMA
APPLICAZIONE DELLA PRESENTE LEGGE, E' STABILITA NELLA
MISURA DEL 2 PER CENTO".
Come è dato vedere la
norma richiama costantemente, ai fini
dell'assoggettamento delle varie somme e percentuali
all'imposizione contributiva e fiscale, il concetto di
"volume d'affari", così come nel primo comma fa
esplicito riferimento a tutti i corrispettivi rientranti
nel volume d'affari. Bisogna, però, considerare che
nella fattispecie si versa in ipotesi di redditi
promiscui, essendo pacifico che l'opponente alla
cartella esattoriale, pur rivestendo la qualifica di
legale, svolgeva nel contempo attività di consulenza
finanziaria.
Ebbene, in casi del
genere l'imponibile, ai fini contributivi che
interessano, non può che essere verificato alla stregua
del parametro della connessione fra l'attività (da cui
il reddito deriva) e le conoscenze professionali (v. in
tal senso Cass. Sez. lav. N. 20670 del 25/10/2004).
Ai fini di tale
connessione, è stato affermato che dal volume di affari
devono essere escluse "quelle altre attività che, pur
non essendo incompatibili, non hanno nulla in comune con
l'esercizio della professione" (Corte cost. 12 novembre
1991 n. 402, in relazione a controversia riguardante la
Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense). La
rilevanza di questa connessione discende dal fatto che
nell'attuale contesto sociale la professione tende ad
espandersi a molteplici campi di assistenza contigui per
ragioni di affinità e ciò vale non solo per la
professione forense (per la quale l'osservazione è stata
formulata da Corte cost. cit.), ma anche per altre
professioni, mentre il limite della connessione - e,
pertanto, del parametro di assoggettabilità
all'imposizione contributiva - è l'estraneità
dell'attività stessa alla professione. Inoltre, nella
fattispecie un preciso riscontro a tali principi lo si
ricava anche dalla semplice circostanza che gli introiti
in contestazione erano riportati dal professionista
nella dichiarazione IRPEF nel quadro "E" del Modello
fiscale "740" con codice di attività proprio degli studi
professionali.
D'altra parte, questa
Corte ha già avuto modo in passato di affrontare il
problema oggi discusso (Cass., sez. lav., 26-03-1999, n.
2910) pervenendo alla statuizione che "l'avvocato che,
unitamente all'attività forense, svolga quella inerente
all'esercizio di un'agenzia di pratiche ipotecarie e
catastali, deve tenere conto anche dei redditi derivanti
da tale ultima attività per determinare la maggiorazione
dovuta alla cassa nazionale di previdenza e assistenza
per avvocati e procuratori ai sensi della L. n. 576 del
1980, art. 11, come modificato alla L. n. 175 del 1983,
art. 2, giacchè non trattasi di redditi derivanti da
un'attività del tutto estranea alla professione forense,
bensì funzionale ad essa, essendo addirittura compresa
nelle tariffe professionali per i diritti di procuratore
spettanti nei giudizi di esecuzione, a nulla rilevando
che essa possa essere svolta anche da chi non sia in
possesso del titolo abilitante all'esercizio della
professione forense".
Si è, altresì,
precisato (Cass., sez. lav., 15-12-2000, n. 15816) che
"l'attività di consulenza ed assistenza legale, svolta
dall'iscritto all'albo degli avvocati, sia pure in
materia fiscale e tributaria, è qualificabile come
attività professionale di avvocato, ai sensi
dell'ordinamento della professione di cui al R.D.L. 27
novembre 1933, n. 1578, convertito con modificazioni
nella L. 22 gennaio 1934, n. 36, e quindi i relativi
redditi e volumi di affari sono soggetti a contribuzione
a favore della cassa nazionale di previdenza e
assistenza forense ai sensi della L. 20 settembre 1980,
n. 576, artt. 10 e 11".
Nè va sottaciuto che
il R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito con L.
n. 36 del 1934, che regola la professione di avvocato,
prevede come propria della professione, accanto alla
principale attività giudiziale di patrocinio, quella in
materia stragiudiziale, art. 57, e per essa la
determinazione degli onorari e delle indennità in
relazione all'entità dell'affare. I decreti
ministeriali, che fissano e aggiornano le tariffe
forensi, indicano i pareri e l'attività di consulenza e
assistenza come attività stragiudiziali dell'avvocato
libero professionista. La pertinenza di tali attività
alla professione di avvocato risulta confermata dal
terzo comma dell'art. 3 del citato R.D.L. che recita
"(l'esercizio della professione di avvocato) è infine
incompatibile con ogni altro impiego retribuito anche se
consistente nella prestazione di opera di assistenza o
consulenza legale che non abbia carattere scientifico o
letterario". L'estensione del divieto per l'avvocato di
esercitare la professione come lavoratore dipendente,
oltre che al patrocinio, anche alle attività di
consulenza e assistenza, presuppone che queste attività
stragiudiziali siano state ritenute proprie
dell'esercizio della professione di avvocato.
D'altronde, l'opera intellettuale presenta i caratteri
della professionalità, ai fini della applicazione della
tariffa relativa per la determinazione del compenso,
quando concorrono l'elemento soggettivo dell'iscrizione
del prestatore in un albo professionale e quello
oggettivo della natura tecnica ed assolutamente
esclusiva dell'attività del professionista o, quanto
meno, del collegamento della relativa attività non
tecnica con prestazione di ordine tecnico (Cass. 22
febbraio 1988, n. 1851).
In definitiva, non
può porsi in dubbio che il reddito professionale netto
ai fini IRPEF ed il volume di affari ai fini IVA, ai
quali sono collegati il contributo soggettivo e quello
integrativo dalla L. n. 576 del 1980, artt. 10 e 11, (e
successive modificazioni), debbano essere il frutto
dell'attività professionale dell'avvocato o di attività
ad essa intrinsecamente connessa.
Pertanto, va
enunciato il seguente principio di diritto: "L'attività
di consulenza finanziaria deve reputarsi connessa a
quella della professione di avvocato, ai sensi
dell'ordinamento di detta professione di cui al R.D. 27
novembre 1933, convertito nella L. 22 gennaio 1936, n.
34, sicchè i relativi redditi e volumi d'affari vanno
assoggettati a contribuzione ai sensi della L. 20
settembre 1980, n. 576, artt. 10 e 11, e successive
modifiche".
4. Con l'ultimo
motivo la ricorrente denunzia l'omessa ed insufficiente
motivazione della sentenza impugnata prospettando le
seguenti considerazioni: la Corte d'appello non diede
atto del fatto che i redditi erano stati dichiarati in
sede fiscale col codice di attività proprio degli studi
professionali (Quadro "E" del Modello "740"); non fu
dato atto della circostanza che le fatture prodotte
erano state assoggettate a contributo integrativo e fu
escluso il loro collegamento all'attività forense; si
sopravvalutò, infine, l'importanza della prova
testimoniale a fronte della rilevata circostanza che era
mancata la cura della fase contenziosa da parte del
professionista.
Il motivo è
inammissibile: invero, la ricorrente si limita a
segnalare quelle che a suo giudizio costituiscono delle
omissioni o delle insufficienze dell'iter motivazionale
della decisione senza procedere, però, alla sintesi
finale in punto di diritto delle ragioni dedotte col
motivo stesso, momento di sintesi che avrebbe dovuto
essere omologo alla formulazione del quesito di diritto
imposto dall'art. 366 bis c.p.c., a pena di
inammissibilità, per cui non consente a questo Collegio
di comprendere in qual modo le lamentate violazioni
possano aver inciso sulla "ratio decidendi" della
sentenza d'appello.
Ne consegue che il
primo motivo va rigettato, mentre vanno dichiarati
inammissibili il secondo ed il quarto motivo.
Va, invece, accolto
il terzo motivo e in relazione allo stesso la sentenza
impugnata va cassata con rinvio alla Corte d'appello di
Bari che giudicherà il caso in concreto tenendo conto
dell'enunciato principio di diritto sulla esistenza di
una connessione, ai fini impositivi contributivi, tra
attività di legale e di consulente finanziario,
provvedendo anche alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il
primo motivo, dichiara inammissibili il secondo ed il
quarto motivo e accoglie il terzo motivo.
Cassa la sentenza
impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla
Corte d'Appello di Bari anche per le spese.
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