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La sempre attuale materia della
legittimazione attiva e passiva dell’amministratore di
condominio si arricchisce di una nuova pronuncia che
servirà, come le altre, a delineare meglio l’oggetto
delle competenze dirette del mandatario. Ci spieghiamo
meglio: è noto che l’amministratore rappresenti la
compagine nelle cause che la riguardano. Si parla di
legale rappresentanza. Ciò che è meno chiaro è il limite
della legittimazione a stare in giudizio senza
preventiva autorizzazione assembleare. O meglio: se per
le ipotesi in cui è il condominio a dover agire contro
qualcuno sorgono pochi problemi (l’art. 1131 c.c. dice
chiaramente che la legittimazione è limitata ai poteri
di cui al precedente art. 1130 c.c.), è per i casi di
chiamata in giudizio che la situazione è tutt’altro che
certa. Ciò in quanto il secondo comma dell’art. 1131
c.c. non specifica i limiti della legittimazione. Da qui
un’infinita querelle: legittimazione senza limiti o
limitazioni come per i casi di legittimazione attiva? E
in quest’ultimo caso, che è poi quello che ha prevalso,
seppur non nettamente, in giurisprudenza (cfr. Cass.
SS.UU. n. 18331/10) che cosa accade se il mandatario
agisce senza il consenso assembleare? Sulla vicenda è
intervenuta la Cassazione a Sezioni Unite in modo
incisivo, o per meglio dire creativo, chiarendo che "
l'amministratore di condominio , in base al disposto
dell'art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi
in giudizio e impugnare al sentenza sfavorevole senza
previa autorizzazione a tanto dall'assemblea, ma dovrà,
in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo
operato da parte dell'assemblea per evitare pronuncia di
inammissibilità dell'atto di costituzione ovvero di
impugnazione" (Cass. SS.UU. 6 agosto 2010 n. 18331). Una
soluzione che, ai fini pratici, dev’essere considerata
giusta. Si pensi alla sentenza di primo grado notificata
al fine di accorciare i tempi d’impugnazione.
L’amministratore, molto spesso, non ha il tempo
nell’ordine di:
a) Convocare l’assemblea;
b) Attendere le sue decisione;
c) Dare mandato ad un legale per
proporre l’appello.
Con questa decisione egli potrà
agevolmente far proporre appello, scampando dalla scure
di eventuali decadenze, per poi ottenere (o meno la
ratifica) del suo operato. La critica a questa
impostazione è rappresentata dal fatto che in molti, a
giusta ragione, hanno evidenziato come l’iter descritto
dalla Cassazione non abbia rispondenza in alcuna norma.
I giudici, insomma, avrebbero creato di sana pianta un
modus operandi. Al di là di queste considerazioni è da
capire quali siano le materie soggette, o non, a questo
procedimento. Sicuramente non lo è l’azione a difesa del
condominio susseguente la citazione in giudizio della
compagine effettuata dal precedente amministratore per
vedersi riconosciuti dei crediti. Di questo avviso il
Tribunale di Busto Arsizio che con una sentenza del 25
ottobre 2011 ha specificato, in conformità ad altri
precedenti di merito, che non sussiste il “ difetto di
legittimazione a resistere in giudizio ad opera
dell'amministratore pro tempore, non espressamente
autorizzato mediante delibera assembleare, posto che la
resistenza in giudizio del condominio che sia convenuto
per il pagamento delle spettanze del precedente
amministratore rientra nei poteri lato sensu
conservativi dell'amministratore in carica ex artt. 1130
e 1131 c.c. che, conseguentemente, non necessita di
espressa autorizzazione assembleare al fine di procedere
alla costituzione”.
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