L’ordine non può negare
l’iscrizione all’albo riservato agli avvocati comunitari
stabiliti, al legale italiano che va a laurearsi in
Spagna e poi torna per lavorare in patria. La Corte di
cassazione, con la sentenza 28340, esclude qualunque
possibilità, sia per gli ordini professionali sia per il
Consiglio nazionale forense, di derogare a quanto
previsto dalle norme comunitarie e in particolare dalle
direttive 98/5/Ce e 5/36/Ce, in merito all’esercizio
della professione. L’abogados nostrano vince dunque una
battaglia che aveva perso in prima battuta con l’ordine
di Palermo poi con il Cnf. Diverse le motivazioni
fornite a sostegno di un rifiuto che aveva comunque
accomunato i due pareri. Secondo l’ordine Palermitano la
direttiva 98/5/Ce, invocata dal ricorrente, si
applicherebbe soltanto ai cittadini comunitari di
nazionalità diversa da quella dello stato membro al
quale si chiede l’abilitazione. Mentre il Consiglio
nazionale forense subordinava l’iscrizione allo
svolgimento di un tirocinio teorico pratico presso un
legale abilitato e al superamento dell’esame di Stato.
Paletti – spiega la Suprema Corte - che sono il segnale
di una discrezionalità vietata dalle norme dell’Unione.
E gli ermellini non mancano di ricordare le uniche due
strade, che possono essere imposte a chi si laurea in un
altro paese membro, per ottenere l’abilitazione in
Italia. Chi vuole il riconoscimento immediato del
titolo può avvalersi della normativa sul riconoscimento
delle qualifiche professionali, indicata dalla direttiva
5/36/Ce attuata dal Dlgs 115/1992. La richiesta di
iscrizione immediata va fatta al ministero della
Giustizia che, su parere dell’apposita conferenza di
servizi, individua con un decreto, le prove da sostenere
per compensare eventuali diversità di formazione.
Diversa la strada scelta dal
ricorrente che, con l’opzione due, aveva deciso per la
procedura di stabilimento-integrazione fissata dalla
direttiva 98/5/Ce, attuata con il Dlgs 96/2001.
L’iscrizione alla sezione speciale degli avvocati
comunitari stabiliti è subordinata, in questo caso,
soltanto alla prova dell’iscrizione presso la
corrispondente autorità di un altro Stato membro, è poi
necessario solo agire d’intesa con un avvocato iscritto
all’albo italiano. Dopo tre anni di affettiva attività
in Italia è possibile chiedere l’iscrizione all’albo
ordinario, dimostrando al consiglio dell’ordine di aver
svolto un’attività regolare. La strada del “parcheggio”
triennale, nell’albo dei comunitari stabiliti, salva
dalla prova attitudinale imposta invece a chi chiede
l’immediato riconoscimento del titolo e il conseguimento
della qualifica. Il giudice comunitario – spiega la
Cassazione – considera l’interesse pubblico
sufficientemente garantito sia dalla prova attitudinale
sia dal triennio di esercizio con il titolo del paese
d’origine. E quanto va bene al legislatore e al giudice
comunitario non può essere messo in discussione dagli
ordini professionali né integrato con i desiderata del
Consiglio nazionale forense. |