“L’intento del ministro Severino è apprezzabile ma Il
decreto sulle carceri, se resta come è, avrà un effetto
trascurabile, come è già successo la legge del 2010
sulla detenzione domiciliare”. Il presidente
dell’Unione Camere Penali , ricorda che la precedente
legge “svuota carceri” ha fatto uscire 4 mila persone,
al posto delle 11 mila annunciate. E prevede affetti
ancora più blandi per il decreto messo varato dal
Consiglio dei ministri lo scorso 16 dicembre.
Che impatto avranno le misure del Guardasigilli nel
sistema carcerario?
Assai limitato. Secondo i dati dell’osservatorio carceri
dell’Ucpi, ne usufruirebbero 3500 detenuti. Ben poca
cosa a fronte di un sistema che sopporta un affollamento
di 68 mila persone quando la capienza è di 45 mila. Per
renderlo efficace vanno eliminate molte preclusioni
oggettive e soggettive.
Nel decreto è previsto che il fermato o l’arrestato
anziché andare in carcere sia trattenuto nelle camere di
sicurezza di polizia e carabinieri. Lo stesso ministro
della giustizia Paola Severino ha ammesso che non tutte
sono attrezzate. Ma al di là della logistica, temete
anche possibili violazioni del diritto di difesa?
Sì. E’ meglio che l’arrestato non resti nella
disponibilità di chi ha eseguito l’arresto, per evitare,
ad esempio, il rischio di domande fatte in assenza del
legale. Senza arrivare ai casi di cronaca, in cui si
sono ipotizzate violazioni molte più gravi, è già
un’ipotesi da evitare. Visto che lo stesso ministro ha
sottolineato la necessità di mettere mano alle strutture
esistenti, perché inadeguate, sarà meglio spendere gli
stessi soldi per cercare soluzioni di accoglienza a
ridosso dei tribunali. Come avviene adesso a Milano.
Anche qui, va sottolineato che la strada è quella giusta
ma la soluzione no.
Accanto al decreto il consiglio dei ministri ha varato
anche un disegno di legge che prevede, tra l’altro, la
possibilità di usufruire delle misure alternative per i
reati puniti con pene non superiori ai 4 anni. Neppure
questo può servire?
R. Avrebbe un effetto assolutamente virtuale. Già ora,
per quel tipo di reati, anche grazie alla condizionale,
si evita il carcere. Per vedere dei risultati è
necessario stabilire il limite sulla pena
effettivamente irrogata, quindi sulle condanne effettive
a 4 anni.
Ma se già così alcuni partiti hanno paventato il rischio
di avere i criminali di nuovo per la strada?
Mai allarmismo fu più ingiustificato. Numeri alla mano è
dimostrato che chi usufruisce delle misure alternative,
dai domiciliari all’affidamento in prova, non torna a
delinquere. La percentuale di chi lo fa non è neppure
paragonabile a quella di chi non ha avuto la possibilità
di accedere alla legge Gozzini.
Il ministro Paola Severino che, come sua collega,
conosce bene il diritto, ha affermato che la riforma del
codice penale e di procedura sarebbe ambiziosa ma non
praticabile a causa dei tempi concessi a questo governo.
E’ un “particolare” a cui si può ovviare?
E’ una posizione realistica ma la revisione dei codici è
indispensabile. Da quella del codice penale, in
particolare dalla revisione del sistema sanzionatorio,
dipende l’effettività della pena ma anche il
reinserimento previsto dalla Carta.
A proposito di riforme. Proprio ieri avete messo a punto
una delibera, inviata al presidente del consiglio Mario
Monti, oltre che ai presidenti di Camera e Senato, per
chiedere che la riforma dell’ordinamento sia affidata a
una legge e non a un regolamento come previsto
dall’articolo 33 del decreto “Salva Italia”. Che cosa vi
aspettate che faccia il premier?
Intanto che ci ascolti, non è possibile non parlare con
gli avvocati, e magari interloquire solo con i
magistrati quando si parla di giustizia. Poi ci
aspettiamo che tuteli l’autonomia e l’indipendenza
dell’avvocatura. Perché se questo non avverrà la
protesta sarà forte. Molto forte.
Accanto a decreto il consiglio dei ministri ha varato
anche un disegno di legge che, tra le altre misure,
garantirebbe la detenzione domiciliare per i reati
puniti con pene fino a 4 anni.
UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE
OSSERVATORIO CARCERE
L’ALTRA EMERGENZA
In Italia, oggi, quando si parla
di emergenza viene subito in mente quella economica, ma
c’è
un’altra emergenza che mette
quotidianamente in pericolo diritti costituzionalmente
garantiti:
quella del carcere.
Basterebbe richiamare le
dichiarazioni sul punto delle maggiori cariche dello
Stato, dalla
dichiarazione dello “stato di
emergenza” del precedente governo del 14/01/2010,
prorogata ed
ancora in vigore, alle reiterate
e ferme prese di posizione pubbliche del Presidente
della
Repubblica.
La situazione attuale degli
istituti penitenziari italiani è ormai al collasso e le
cifre ne sono la
migliore testimonianza.
Costringere oltre 68 mila
persone in spazi destinati ad ospitarne 45 mila non è
fisicamente
possibile, così come è
intollerabile, a causa di una carenza di organico per
oltre 6500 unità circa,
costringere a turni massacranti
gli operatori.
C’è però una cifra che non può e
non deve rimanere una fredda valutazione matematica ed
e'
quella delle morti in carcere:
nel 2011 sono morte in carcere, ad oggi, 180 persone, e
di queste 64
si sono suicidate; dal 2000 ad
oggi i morti sono stati 1750, di cui 630 per suicidio.
***
Di fronte a questa vera e
propria catastrofe il Ministro della Giustizia ha
ribadito la necessità di
intervenire con priorità
assoluta, ipotizzando riforme strutturali che possano
contribuire a risolvere
l’ormai non più gestibile
sovraffollamento.
Stando alle prime anticipazioni
il Governo vuole incrementare le misure alternative alla
detenzione, prevedendo
l’istituto della messa alla prova anche per la
cognizione ordinaria, ovvero
operare una depenalizzazione di
alcuni reati di minor allarme sociale e valutare i costi
e l’effettiva
applicabilità di strumenti
elettronici per il controllo dei detenuti in regime
domiciliare. Da alcune
dichiarazioni del Ministro
sembrerebbe, inoltre, che si ipotizzi anche la diretta
applicazione della
reclusione domiciliare da parte
del giudice della cognizione.
***
Alcune di queste proposte
vengono avanzate da tempo (assieme ad altre associazioni
che nel
carcere operano da anni)
dall’Unione delle Camere Penali e dunque, in attesa
della loro
formalizzazione e di un esame
tecnico più compiuto, non possono che essere valutate
con favore.
Ciò premesso occorre in ogni
caso specificare che per la riuscita di una riforma
strutturale si
devono innanzi tutto accantonare
le logiche di esclusione che hanno caratterizzato la
politica
penitenziaria degli ultimi
decenni, a destra come a sinistra.
Misure quali quelle ipotizzate,
infatti, possono sortire l’effetto deflattivo previsto
solo se avranno
il coraggio di eliminare la
maggior parte delle preclusioni soggettive ed oggettive
che oggi
paralizzano l'applicazione della
legge Gozzini.
Ritenere applicabile la
detenzione domiciliare solo per una ristretta tipologia
di reati, e con limiti
di pena assai contenuti, ovvero
applicabile l’istituto della messa alla prova solo per
reati con pene
edittali minime o, infine,
ipotizzare una reclusione domiciliare come pena
applicabile direttamente
dal giudice di cognizione solo a
determinate condizioni, significherebbe vanificare in
concreto i
buoni propositi che la riforma
intende perseguire.
L’esempio della recente L.
199/2010 e il suo fallimento (meno di 4000 usciti in un
anno rispetto
agli 11000 previsti) è la
migliore dimostrazione del fatto che i buoni propositi
devono implicare
scelte conseguenti, altrimenti
si trasformano in mere enunciazioni.
***
In definitiva, una riforma
strutturale in materia penitenziaria che abbia concreta
possibilità di
successo deve prendere le mosse
da scelte coraggiose, come la situazione emergenziale
richiede,
partendo innanzitutto da una
riforma della custodia cautelare che renda
effettivamente eccezionale
la detenzione intramuraria e
dalla previsione di misure e pene alternative svincolate
da lacci e
laccioli che le rendono di
difficile e residuale applicazione, improntate come sono
ad una
legislazione penale che mette al
centro il tipo di autore e privilegia, più che le
istanze di tutela
sociale della sicurezza, la
propaganda securitaria.
Insomma, per realizzare le
riforme bisogna fare delle scelte di fondo, culturali,
prima ancora che
politiche, e per ottenere questo
bisogna avere una idea complessiva ed omogenea del
problema.
Se si avrà il coraggio di fare
questo, saremo in presenza di quella auspicata
inversione di tendenza
che sino ad oggi la politica non
ha saputo operare, e l'Unione delle Camere Penali
Italiane sarà
ancora una volta pronta a dare
il suo contributo per porre rimedio alle illegittime
condizioni degli
istituti penitenziari italiani.
Roma, 15 dicembre 2011
Il Responsabile
dell’Osservatorio Carcere
Avv. Alessandro De Federicis
GIUNTA
DELL’UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE
Delibera 21 dicembre 2011
La
Giunta dell’Unione Camere Penali Italiane,
premesso
che la
situazione che si è determinata negli ultimi mesi, già
denunciata nelle delibere del 3 e 24 ottobre, del 30
novembre e nel comunicato del 3 dicembre 2011, ha visto
un progressivo attacco al tradizionale assetto della
professione forense, in ordine alla quale si sono
registrate, nel corso del tempo, ipotesi estreme di
totale liberalizzazione, con abolizione degli ordini,
degli esami di accesso e persino della difesa tecnica in
primo grado in alcuni settori, ovvero previsioni meno
radicali ma altrettanto destabilizzanti di decurtazione
del periodo di praticantato e di introduzione di società
di capitali, per di più con soci maggioritari non
professionisti;
che,
in particolare, nei provvedimenti emanati tanto dal
precedente che dall’attuale Governo, la parola d’ordine
che si è imposta è stata quella della liberalizzazione
sia per risolvere i mali dell’avvocatura sia per
restituire maggior efficienza complessiva al sistema
giudiziario, ciò a fronte di un settore che vede nella
inflazione dei numeri, nella sempre maggiore
dequalificazione e nella progressiva caduta della
deontologia i suoi veri mali strutturali;
che
queste scelte, lungi dall'essere imposte dal quadro
normativo europeo, ovvero da esigenze obiettive, restano
in realtà legate a concessioni nei confronti di
potentati economici per un verso e ad una visione
mercificata della professione forense da un altro;
che,
peraltro, in base a mal interpretate esigenze di
tempestività, la scelta che il sistema politico ha
adottato, con sostanziale adesione di tutti i partiti e
delle compagini governative che si sono succedute negli
ultimi mesi, é stata quella di operare una radicale
delegificazione della materia dell'ordinamento forense,
affidandone la disciplina ad un regolamento governativo;
che
tale ultima opzione, come sottolineato in numerose prese
di posizione del mondo forense, prime tra tutte quelle
del CNF, presta il fianco a censure di costituzionalità;
che,
al di là di tale aspetto, ciò comporta una delega totale
al Governo che, con le norme previste nel decreto legge
varato il 5 dicembre scorso, solo parzialmente corrette
dal primo passaggio parlamentare, ha anche illogicamente
condizionato alla propria eventuale inerzia l'eventuale
decadenza delle norme attualmente in vigore, ad esempio
in tema di disciplina;2
che queste scelte
politiche hanno finito per porre su di un binario morto
la legge di riforma della professione, che pure era
stata già esaminata dal Senato e giace ormai da mesi,
sostanzialmente accantonata, avanti alla Commissione
Giustizia della Camera;
considerato
che
l’Unione delle Camere Penali Italiane ha sempre
sostenuto la necessità di una riforma strutturale
dell’ordinamento forense, soprattutto in tema di
accesso, di aggiornamento professionale, di
specializzazione e di disciplina non come pretesa
conservativa ma nell’interesse dei cittadini;
che,
in particolare, il tema del riconoscimento della
specializzazione in campo forense è stato negli ultimi
anni un terreno sul quale l'Unione ha prodotto il
maggiore sforzo, nella consapevolezza che la delicata
funzione di garanzia che viene affidata al difensore
penale necessita di una preparazione e di un
aggiornamento specifici proprio nell’interesse
dell’assistito;
che la
vera rivoluzione copernicana dell'avvocatura, in favore
dei cittadini, sarebbe quella di programmare e formare
adeguatamente i professionisti nei vari settori, di
riconoscere il merito abbattendo i nepotismi, di
tutelare con severità e rigore i comportamenti
deontologicamente scorretti, anche attraverso una
profonda riforma del procedimento disciplinare teso al
riconoscimento del principio di terzietà del giudice
previsto dall’art. 111 della Costituzione;
che su
questo terreno i penalisti sono da sempre pronti ad
accettare il confronto con il Governo e le forze
politiche e parlamentari, senza indulgere in quei
riflessi corporativi o quei toni ribellistici che pure
affliggono parte del mondo forense e soprattutto quelle
virtuali rappresentanze che si autoproclamano e si
autolegittimano senza avere una investitura frutto di
scelta e di consenso;
che,
allo stesso tempo, i penalisti sono prima di tutto
avvocati, eredi di un tradizione di libertà e di
indipendenza professionale che non può essere
sacrificata in nome di concetti evanescenti o vuote
parole d’ordine;
che
l’indipendenza dell’avvocato deve essere tutelata sia
verso l’esterno che all’interno del mandato
professionale;
sottolineato
che la
riforma dell’ordinamento forense non è argomento che si
possa sottrarre al confronto con l’avvocatura attraverso
scelte unilaterali;3
che la materia in esame
mal si presta anche a scelte dettate dall’impellenza
finanziaria, poiché i suoi riflessi sull'efficienza del
sistema giudiziario, e dunque sui rapporti economici,
non soddisfano le esigenze di cassa o di bilancio che
restano l’oggetto degli interventi d’urgenza di questi
giorni;
che il
Ministro della Giustizia ha anche recentemente indicato
la necessità, su questo terreno, di interventi misurati
ed equilibrati che, per definizione, non possono essere
frutto di scelte dettate dalla auto imposizione di
termini di decadenza della normativa che si vuole
modificare;
che la
stessa scelta di modificare il contenuto dell’art 33 del
DL, prevedendo la caducazione, nella ipotesi di mancata
riforma alla data del 13 agosto 2012, delle sole norme
riguardanti la pubblicità, le tariffe e la disciplina,
testimonia la presa d’atto, da parte del Governo e più
in generale del sistema politico, della insostenibilità
di un vuoto normativo riguardo ad una professione che
possiede un autonomo rilievo costituzionale;
che in
data 16.12.11 la Camera dei Deputati ha approvato un
ordine del giorno con cui ha impegnato il Governo “a
valutare l'opportunità di attuare la riforma della
professione forense con atto normativo di rango
primario, considerando il progetto di legge già
incardinato in Commissione Giustizia della Camera dei
deputati contenente la riforma organica della disciplina
della professione di avvocato, al fine di garantire il
conseguimento degli obiettivi economici rivolti alla
stabilità del mercato e alla ripresa economica e
salvaguardare al contempo i principi, anche
costituzionalmente garantiti, sui quali si fonda la
professione forense e l'antica tradizione giuridica
nazionale preservandone il decoro, l'autonomia e
l'indipendenza”;
evidenziata
l’esistenza di alcuni punti ineludibili dai quali ogni
possibile intervento riformatore non potrà prescindere,
che si individuano:
nell’inserimento di criteri di selezione fondati sul
merito e sull’attitudine nell’accesso alle facoltà
universitarie;
nella
previsione di serie verifiche della competenza
professionale in sede di prima abilitazione e
dell’aggiornamento professionale continuo;
nel
riconoscimento della specializzazione in campo forense
legata alla effettiva pratica e non alla mera
preparazione teorico-accademica;
nella
tutela reale della indipendenza sostanziale
dell’avvocato, anche all’interno delle società
professionali;4
nell’affermazione del
principio di terzietà del giudice disciplinare e nella
riforma della procedura disciplinare;
chiede
al
Governo, ai partiti, ai singoli parlamentari, di
tutelare la figura dell’avvocato, libero difensore degli
interessi del cittadino, stralciando la materia del
riordino dell’ordinamento forense dal decreto legge
all’esame del Parlamento;
in
ogni caso di riaprire immediatamente il dibattito
parlamentare sul testo di legge di riforma attualmente
all’esame della Camera dei Deputati, ovvero di adottare
tale testo come base dei futuri regolamenti governativi
che dovessero disciplinare la materia;
dispone
l’invio della presente delibera al Presidente del
Consiglio dei Ministri ed al Ministro della Giustizia,
ai Presidenti delle Camere, ai Presidenti delle
Commissioni Giustizia dei due rami del Parlamento, ai
capigruppo del Senato ed a tutti i senatori.
Roma, 21 dicembre
2011 Il Segretario |
Il Presidente
|
Avv. Franco Oliva
|
Avv. Valerio
Spigarelli |
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