1. RAPPORTO TRA R.C.A. E SISTEMA
GENERALE
La questione del risarcimento del
danno alla persona ha rappresentato e rappresenta anche
attualmente, nel sistema aquiliano, uno dei settori più
discussi e assoggettati a continue evoluzioni
interpretative. In che rapporto con tali evoluzioni
debba porsi il sistema RCA è domanda che dovrebbe
trovare risposta univoca: il sistema assicurativo non
può prescindere da quelle trasformazioni e
necessariamente deve adeguarsi alle stesse. A suffragare
una conclusione del genere basta constatare come, nel
tempo, le evoluzioni generali della r.c. abbiano sempre
trovato riscontro nell’ambito del settore dei sinistri
stradali. Senza dover risalire all’introduzione del
danno biologico nel sistema, basta rammentare il caso
della risarcibilità del danno morale, che sulla base di
un orientamento mutato nel 2003, scatta anche quando il
responsabile risponda in applicazione dell’art. 2054
c.c. e non già in base ad una colpa concretamente
accertata: mutamenti, questi, dei quali si è preso atto
al momento in cui il risarcimento del danno sia
effettuato dall’assicuratore, a fornte di un incidente
stradale.
Il costante aggiornamento del
settore dei sinistri stradali dev’essere necessariamente
perseguito anche nel momento presente, per quanto
concerne le evoluzioni che hanno interessato il danno
alla persona: e ciò sia in ordine alla strutturazione
delle voci di danno risarcibile, sia in ordine alla
relativa quantificazione. A complicare la questione
interviene, però, il fatto che nel sistema assicurativo
sono state, in passato, inserite alcune previsioni a
livello normativo riguardanti la liquidazione del danno
biologico: le quali: (a) si rifanno a una sistemazione
concettuale del sistema risarcitorio la quale,
successivamente, è stata assoggettata ad ulteriori
cambiamenti; (b) prevedono, sul piano della
quantificazione, uno scollamento rispetto ai valori
usualmente applicati dalla giurisprudenza; (c)
individuano dei tetti invalicabili con riguardo
all’esercizio della discrezionalità equitativa del
giudice. Resta il fatto che è comunque indispensabile
raccordare le previsioni normative con il quadro
complessivo esistente in materia di risarcimento del
danno alla persona, alla luce della considerazione
generale che la r.c.auto dev’essere governata da regole
che si armonizzano con quelle previste per il sistema
aquiliano nel suo complesso. Non si può qui applicare la
stessa logica che governa i rapporti tra sistema
infortunistico e sistema aquiliano; questi ultimi
appaiono, infatti, quali istituti aventi differenti
finalità, i quali si prestano ad essere governati da
regole non necessariamente omogenee (salva restando la
necessità di individuare un raccordo tra i due sistemi
per quanto riguarda il piano operativo). Diversamente,
la fattispecie del danno prodotto da circolazione di
veicoli non si differenzia, sul piano strutturale, dalle
altre fattispecie di responsabilità; il vincolo
rappresentato dall’obbligatorietà dell’assicurazione non
determina, infatti, la sottrazione di tale figura
all’alveo aquiliano, e non può essere tale da snaturare
la funzione dalla stessa assolta.
E’ alla luce di tale indicazione
generale di armonizzazione tra sistema r.c.a. e
disciplina generale aquiliana che vanno, allora,
affrontate due recenti novità registrare sul fronte del
danno alla persona, vale a dire:
(a) Le sentenze di giugno
della Cassazione che hanno imposto l’omogeneità
valutativa a livello nazionale del danno da lesione
della salute, attraverso l’applicazione delle tabelle
milanesi;
(b) Lo schema di dpr
emanato dal consiglio dei ministri in agosto, relativo
alle tabelle nazionali assicurative per le invalidità
dal 10% al 100%.
2. LA VALENZA NAZIONALE DELLE
TABELLE MILANESI
Sostanziose novità sono emerse da
parte del formante giurisprudenziale nel mese di giugno,
con due pronunce della Cassazione (Cass. 7 giugno 2011,
n. 12408 e Cass. 30 giugno 2011, n. 14402) tramite le
quali i giudici di legittimità puntano ad imporre un
sistema di valutazione uniforme su tutto il territorio
nazionale per quanto riguarda il pregiudizio derivante
alla lesione alla salute.
La sentenza n. 12408/2011 elabora
una complessa serie di argomentazioni al riguardo. I
giudici di legittimità partono dalla constatazione che,
presso la giurisprudenza di merito, esistono marcate
differenze non solo dei valori adottati per la
liquidazione, ma anche in relazione al metodo utilizzato
ai fini della stessa, determinandosi divergenze di
trattamento assai accentuate tra le vittime di identiche
lesioni. Un fenomeno del genere, osserva la S.C.,
“vulnera elementari principi di eguaglianza, mina la
fiducia dei cittadini nell’amministrazione della
giustizia, lede la certezza del diritto, affida in larga
misura al caso l’entità dell’aspettativa risarcitoria,
ostacola le conciliazioni e le composizioni transattive
in sede stragiudiziale, alimenta per converso le liti”.
A fronte di tale situazione, la
Cassazione assume essere “suo specifico compito, al fine
di garantire l’uniforme interpretazione del diritto (che
contempla anche l’art. 1226 cod. civ., relativo alla
valutazione equitativa del danno) fornire ai giudici di
merito l’indicazione di un unico valore medio di
riferimento da porre a base del risarcimento del danno
alla persona, quale che sia la latitudine in cui si
radica la controversia”. Al momento di scegliere tra i
divergenti criteri adottati dalla giurisprudenza, la
S.C. opta per le tabelle milanesi, le quali hanno
trovato larga applicazione anche presso altri tribunali,
manifestando perciò una vocazione nazionale [Va,
perlatro, rammentato che - al fine di tamponare
l’effetto dirompente che simili indicazioni potrebbero
rivestire a livello del contenzioso attualmente in atto
- i giudici di legittimità specificano che non sarà
possibile il ricorso in cassazione, per violazione di
legge, verso le sentenze d’appello “per il solo fatto
che non sia stata applicata la tabella di Milano e che
la liquidazione sarebbe stata di maggiore entità se
fosse stata effettuata sulla base dei valori da quella
indicati”, ma “occorrerà che il ricorrente si sia
specificamente doluto in secondo grado, sotto il profilo
della violazione di legge, della mancata liquidazione
del danno in base ai valori delle tabelle elaborate a
Milano; e che, inoltre, nei giudizi svoltisi in luoghi
diversi da quelli nei quali le tabelle milanesi sono
comunemente adottate, quelle tabelle abbia anche versato
in atti”.]
La sentenza n. 14402/2011 conferma
simili indicazioni, pronunciandosi con riguardo ad un
caso in cui la vittima di un incidente stradale si
doleva del rigido automatismo applicato dal giudice di
merito, il quale (nel rifarsi alle tabelle del tribunale
di Brescia) approdava a una valutazione notevolmente
inferiore in termini quantitativi rispetto a quella
ricavabile tramite l’applicazione delle tabelle
milanesi. Con riguardo a queste ultime, la S.C.
ribadisce come le stesse “risultino essere quelle
statisticamente maggiormente testate, e pertanto le più
idonee ad essere assunte quale criterio generale di
valutazione”, ciò in quanto “recanti i parametri
maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto
di equità valutativa, e ad evitare (o quantomeno
ridurre) – al di là delle diversità delle condizioni
economiche e sociali dei diversi contesti territoriali –
ingiustificate disparità di trattamento”. Secondo la
Cassazione “tali parametri sono allora da prendersi
necessariamente a riferimento ai fini della liquidazione
del danno non patrimoniale, ovvero quale criterio di
riscontro e verifica di quella, di ammontare come nella
specie inferiore, cui il giudice di merito sia
diversamente pervenuto”. Dovranno essere adeguatamente
motivate le ragioni che abbiano spinto il giudice di
merito a liquidare una somma sproporzionata rispetto a
quella cui si perviene attraverso l’applicazione delle
tabelle milanesi.
Dalle due pronunce della Cassazione
possono trarsi indicazioni estremamente importanti per
quanto riguarda il settore dei sinistri stradali:
(a) Parità di trattamento
nella valutazione equitativa: la S.C. stabilisce che il
concetto di equità racchiude in sé due caratteristiche:
(1) si tratta di uno strumento di adattamento della
legge al caso concreto; (2) esso ha “la funzione di
garantire l’intima coerenza dell’ordinamento,
assicurando che casi uguali non siano trattati in modo
diseguale, o viceversa”, rappresentando perciò uno
strumento attuativo del precetto di cui all’art. 3 Cost.
La conclusione è che, nel caso di danno non
patrimoniale, “solo un’uniformità pecuniaria di base può
valere ad assicurare una tendenziale uguaglianza di
trattamento, ad un tempo sintomo e garanzia
dell’adeguatezza della regola equitativa applicata nel
singolo caso”.
(b) Necessaria
flessibilità: l’equità si fonda sulla compresenza di
uniformità e flessibilità, essendo necessario adottare
“sistemi di liquidazione che associno all’uniformità
pecuniaria di base del risarcimento ampi poteri
equitativi del giudice, eventualmente entro limiti
minimi e massimi, necessari al fine di adattare la
misura del risarcimento alle circostanze del caso
concreto”. Viene confermata, quindi, la necessità di
conservare uno spazio per l’intervento del giudice.
Al momento di scegliere un criterio
tra quelli adottati dalla giurisprudenza, al fine di
attribuire allo stesso la valenza di guida per tutto il
territorio nazionale, la Cassazione avalla la scelta
(operata da oltre sessanta tribunali collocati in varie
zone del paese) di applicare “i valori di riferimento
per la liquidazione del danno alla persona adottati dal
Tribunale di Milano, dei quali è dunque già nei fatti
riconosciuta una sorta di vocazione nazionale”. La S.C.
afferma che tali importi vengono ad incarnare “il valore
da ritenersi ‘equo’, e cioè quello in grado di garantire
la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi
in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze
idonee ad alimentarne o ridurne l’entità”.
Sorge, allora, per l’interprete la
domanda – ancor più attuale oggi che in passato –
riguardante la compatabilità costituzionale
dell’applicazione, nel settore dei sinistri stradali, di
criteri di quantificazione molto distanti, in termini
quantitativi, da quelli ritenuti equi a tradurre in
denaro il danno non patrimoniale patito dalla vittima di
una lesione alla salute.
3. NOZIONE UNITARIA DI DANNO NON
PATRIMONIALE
A conferma dell’opportunità di far
capo ai criteri milanesi, la Cassazione sottolinea come
gli stessi riflettano i principi enunciati dalle Sezioni
Unite del 2008 in materia di unitarietà del ristoro del
danno non patrimoniale. Viene, infatti, sottolineate
l’avvenuta sostituzione – da parte del tribunale di
Milano - della denominazione “Tabella per la
liquidazione del danno biologico” con quella di “Tabella
per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante
da lesione all’integrità psico-fisica”, avendo i giudici
meneghini ritenuto di dover assorbire il calcolo del
danno morale nell’ambito della tabelle del danno
biologico.
Oltre ad aver individuato valori
uniformi sul territorio nazionale per la valutazione del
danno biologico, la Cassazione viene così a confermare
quell’opzione teorica secondo cui sarebbe necessario
procedere all’accorpamento delle compromissioni di
carattere morale con le ripercussioni di carattere
biologico, entro un’unica voce di danno. Una scelta del
genere, perorata dalle sentenze delle Sezioni Unite del
novembre 2008, è stata oggetto di vivaci critiche da
parte della dottrina e non ha trovato unanime riscontro
a livello giurisprudenziale. Numerosi giudici hanno
avuto modo di sottolineare, successivamente, la
sostanziale diversità intercorrente tra danno morale e
danno biologico: la quale sarebbe, del resto, messa in
luce dalla stessa genesi che contraddistingue
quest’ultimo. La netta differenza intercorrente tra
danno morale e biologico ha, peraltro, trovato recente
conferma in sede normativa, all’interno dei d.p.r.
37/2009 e d.p.r. 181/2009: provvedimenti che prevedono
una chiara distinzione della componente morale del danno
(provocato dalla lesione alla salute) rispetto a quella
di ordine biologico.
Per venire al settore dei sinistri
stradali, la stessa nozione legislativa di danno
biologico - dettata dal Codice delle Assicurazioni
private, ma della quale le Sezioni Unite hanno
riconosciuto la valenza generale - esclude la
considerazione di qualunque ripercussione di carattere
emotivo: come conferma l’iter legislativo che ha portato
a tale definizione. Ricordiamo che nella prima versione
del progetto di legge riguardante le lesioni di lieve
entità - sfociato nell’art. 5 della legge 5 marzo 2001,
n. 57 - si ribadiva la netta distinzione tra danno
biologico e danno morale, prevedendo una specifica
disposizione con riguardo a quest’ultimo pregiudizio: la
quale stabiliva che lo stesso fosse liquidato in una
misura massima del 25% rispetto al danno biologico. Tale
indicazione venne in seguito stralciata, con lo
specifico intento di sopprimere in sede liquidatoria
ogni limitazione con riguardo al patema d’animo, da
risarcirsi quale posta autonoma sottratta a qualsiasi
calcolo di carattere tabellare.
Tali considerazioni portano allora
a concludere che esiste una differenza strutturale tra i
due sistemi tabellari: mentre le tabelle applicate in
sede giurisprudenziale sono costruite in maniera da
riflettere la nozione unitaria del danno non
patrimoniale, le tabelle normative relative al danno
biologico non comprendono il danno morale. Di questo
dato, quindi, deve tener conto il giudice quando procede
alla liquidazione del danno alla persona nel settore dei
sinistri stradali.
4. PERSONALIZZAZIONE DEL
RISARCIMENTO
La Cassazione ha sottolineato che
l’intervento di personalizzazione del risarcimento da
parte del giudice di merito è posto a garanzia del
rispetto quanto al principio di integralità del
risarcimento.
I margini di intervento del giudice
sono strettamente correlati al modo in cui risultano
costruite le tabelle. Per quanto riguarda quelle
milanesi, i relativi importi del punto di invalidità
risultano individuati quali valori monetari medi:
destinati, come tali, a tradurre in termini monetari gli
effetti standard della lesione, vale a dire quelli
frequentemente ricorrenti, sia per quel che concerne gli
aspetti anatomo-funzionali, sia quanto agli aspetti
relazionali, sia per i profili di sofferenza soggettiva.
Ciò posto, la possibilità di procedere ad un aumento è
ipotizzabile ove il caso concreto presenti peculiarità,
che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva)
dal danneggiato. L’intervento del giudice risulta
ammesso nel limite di una percentuale massima, stabilita
in seno alla tabella, salva restando la possibilità di
procedere alla liquidazione “oltre i valori massimi in
relazione a fattispecie del tutto eccezionali rispetto
alla casistica comune degli illeciti”.
Il ritocco è ammesso non soltanto
tramite un aumento, ma anche attraverso una riduzione
rispetto ai valori ottenuti dall’applicazione della
tabella: possibilità di decurtazione che rappresenta una
novità sostanziale rispetto al sistema tradizionale di
liquidazione del danno biologico. Una personalizzazione
declinata in termini riduttivi risulta giustificata dal
fatto che le attuali tabelle milanesi traducono, nel
valore del punto, non solo le ripercussioni di carattere
biologico, ma anche quelle relative al versante morale
(e relazionale). Ciò posto, la decurtazione risulta
ammissibile esclusivamente laddove sia accertata
l’assenza (o la limitata incidenza) di ripercussioni
negative di ordine emotivo ovvero relazionale. Non
sembra, invece, praticabile una riduzione la quale possa
incidere sulla quota relativa alle menomazioni di
carattere anatomo-funzionali corrispondenti ad una certa
percentuale di invalidità: vale a dire quelle
quantificate attraverso il valore del punto della
vecchia tabella del danno biologico. Se così non fosse,
verrebbe infatti violato il principio di integralità del
risarcimento, quale strumento di traduzione in denaro di
tutte le conseguenze non economiche della lesione. Per
quanto riguarda le tabelle dettate dal legislatore nel
settore dei sinistri stradali, la differenza strutturale
delle stesse rispetto a quelle milanesi porta, invece, a
concludere che il ritocco del giudice può operare
esclusivamente al fine di un incremento del ristoro; le
stesse quantificano infatti esclusivamente il danno
biologico, invidiando lo stesso quale valore minimo
corrispondente alle sole ripercussioni
anatomo-funzionali.
Sul versante dell’aumento dei
valori risultanti dalla tabella, le tabelle milanesi
stabiliscono che la percentuale di incremento venga a
mutare in relazione ai vari livelli di invalidità; il
margine di personalizzazione a disposizione del giudice
appare inversamente proporzionale rispetto
all’incremento che, nella costruzione delle tabelle, è
stato apportato al valore del punto al fine di
incorporare nello stesso le ripercussioni standard della
lesione. Dal momento che la quota relativa al danno
morale e alle ripercussioni relazionali è stata
incrementata in misura crescente all’aumentare
dell’invalidità, ciò si riflette in una riduzione
proporzionale del margine di personalizzazione. Nelle
tabelle assicurative – che riguardano esclusivamente le
ripercussioni anatomo-funzionali, non si tratta invece
di procedere alla personalizzazione di un valore medio,
bensì di un valore minimo del pregiudizio.
Sotto al profilo della
personalizzazione, importanti precisazioni provengono
dalla sentenza 14402/2011. La vittima di una lesione
alla salute lamentava il rigido automatismo applicato
nel calcolo del danno biologico, alla luce del quale non
si era tenuto conto delle ripercussioni dell’invalidità
sull’intero ambito di esplicazione personale,
relativamente al piano lavorativo, affettivo,
sentimentale, sessuale, abitativo e di spostamento,
essendo il danneggiato costretto a dipendere anche per
le più elementari esigenze di vita dalla propria anziana
madre. A tale proposito, la Cassazione rileva come sia
indispensabile verificare se i parametri recati dalle
tabelle tengano conto di tali profili concernenti la
sfera esistenziale del pregiudizio “dovendo in caso
contrario procedersi alla c.d. ‘personalizzazione’,
riconsiderando i parametri recati dalle tabelle in
ragione (anche) di siffatto profilo, al fine di
debitamente garantire l’integralità del ristoro
spettante al danneggiato”. Trasportando tali
considerazioni sul piano dei sinistri stradali, si
tratta di riconoscere che personalizzare significa
adeguare l’importo ricavabile dalle tabelle tenendo
conto di come la menomazione anatomo-funzionale si
ripercuota sulle attività realizzatrici della persona,
in considerazione della concreta situazione della
vittima.
Le indicazioni formulate dalla
sentenza 14402/2011, ipotizzano che il range di valori
del punto ricavabile dalle tabelle milanesi possa non
presentare sufficiente spazio per tradurre, sul piano
liquidatorio, la complessità delle compromissioni
esistenziali patite dalla vittima: soprattutto laddove
lo sconvolgimento dell’esistenza determinato dalla
lesione sia tale da sfuggire a qualunque proporzione con
l’entità dell’invalidità subita. Viene, in casi del
genere, considerata ammissibile una personalizzazione
del danno non patrimoniale anche oltre i valori massimi
individuati dalla tabella. Si deduce, allora, che il
superamento dei limiti massimi - ammesso esplicitamente
dalle tabelle milanesi “in caso del tutto eccezionali
rispetto alla casistica comune degli illeciti” - non
andrebbe confinato in tale ristretto ambito, risultando
sempre praticabile ove il giudice individui una motivata
giustificazione sulla quale fondare lo scostamento. Su
questo piano emerge, quindi, una discrasia con quanto
previsto nel settore dei sinistri stradali, ove la
personalizzazione è contenuta rigorosamente entro i
limiti di legge.
Le vittime dei sinistri stradali
vengono ulteriormente penalizzante, nell’ottica adottata
dalle Cassazione 12208/2011, dall’affermazione (che
emerge a livello di obter) secondo cui i tetti stabiliti
a livello normativo per la personalizzazione del
risarcimento riguardano non già la sola componente
biologica del pregiudizio, ma le conseguenze non
patrimoniali della lesione complessivamente intese:
comprensive, quindi, delle sofferenze di carattere
morale. I giudici di legittimità sostengono, infatti,
che i pregiudizi morali potranno essere presi in
considerazione entro i tetti previsti dalle tabelle. In
verità, conclusioni del genere si pongono in contrasto
con l’aperto riconoscimento – da parte dei giudici di
legittimità – che le tabelle normative risultano
costruite secondo “una concezione del danno biologico
anteriore” a quella unitaria affermata dalle Sezioni
Unite del 2008. Lo spazio limitato di personalizzazione
concesso al giudice deve, di conseguenza, essere
riferito soltanto alla componente biologica del danno, e
non può valere a comprimere entro quel tetto le
ripercussioni di ordine morale.
5. LE TABELLE NAZIONALI
ASSICURATIVE
Nella scelta del criterio di
valutazione da applicare su scala nazionale, la
Cassazione sonda, nella sentenza 12408/2011,
l’opportunità di procedere all’applicazione analogica
delle tabelle previste dall’art. 139 del Codice delle
assicurazioni. La S.C. rammenta l’esistenza di tre
differenti filoni interpretativi (a) una prima
indicazione si schiera a favore dell’applicazione
analogica degli indici normativi, forte del rilievo che
la differente fonte della lesione alla salute non rileva
ai fini della valutazione del danno conseguente; (b) un
secondo filone appare schierato contro l’applicazione
analogica, in forza della collocazione della relativa
norma, che manifesterebbe la valenza strettamente
settoriale della stessa; (c) un terzo indirizzo
sottolinea che le indicazioni normative andrebbero
riferite al solo danno biologico, restando estranea a
tale valutazione la componente morale del pregiudizio,
che andrebbe comunque riconosciuta attraverso
l’attribuzione di una somma ulteriore. I giudici di
legittimità propendono per attribuire valenza
esclusivamente settoriale alle tabelle essendo il
contenimento del danno alla persona previsto dalle
tabelle di legge dettato dalla necessità di non
incrementare i premi assicurativi.
Il settore dei sinistri stradali
appare, a seguito delle pronunce del giugno 2011,
governato dalle tabelle per quanto riguarda le
micropermanenti, mentre per la macroinvalidità
andrebbero applicate le tabelle milanesi, nelle more
dell’emanazione della tabella legislativa. Questa realtà
ha spinto il legislatore ad intervenire prontamente,
approvando immediatamente lo schema del tanto invocato
provvedimento attuativo dell’art. 138 del Codice delle
assicurazioni (che reca le tabelle nazionali di
valutazione del danno biologico cagionato da invalidità
comprese tra il 10% e il 100%). Esso presenta, nella
versione approvata dal Consiglio dei ministri del 3
agosto 2011, valori del punto tali da determinare un
deciso decremento del ristoro del danno alla persona,
imponendo un calo dal 35% al 50% rispetto ai valori
attualmente liquidati in sede giurisprudenziale.
Dal momento che le restrizioni
quantitative appaiono in tal modo destinate ad essere
applicate su scala generale nel settore dei sinistri
stradali, vengono meno la gran parte delle motivazioni
spese al tempo dell’emanazione delle tabelle normative
delle micropermanenti per giustificare il contenimento
dei valori del punto:
(a) si è sostenuto che
l’adozione di valori del punto inferiori a quelli
giurisprudenziali fosse giustificata in base alla
constatazione della scarsa incidenza delle
micropermanenti sulla vita del danneggiato;
(b) è stato affermato che
la valutazione contenuta delle micropermanenti avrebbe
consentito di non togliere risorse alle macrolesioni;
(c) è stato sottolineato
che la gran parte dei risarcimenti gravanti sulle
assicurazioni per il ristoro del danno alla persona
derivano da micropermanenti, e quindi il relativo
contenimento avrebbe permesso di ridurre adeguatamente i
premi assicurativi.
Oggi simili giustificazioni vengono
meno, per cui gli interpreti favorevoli alla limitazione
del risarcimento sottolineano che un simile sistema si
fonderebbe sulla specificità legata all’obbligatorietà
dell’assicurazione, evocandosi genericamente – come fa
la Cassazione nella sentenza 12208/2011 - la necessità
di non incrementare i premi assicurativi.
Tali motivazioni non possono essere
condivise. Se il problema è quello della sostenibilità
economica, la specificità della r.c.a dovrebbe essere
fatta pesare prima di tutto sul danno a cose, piuttosto
che su quello alla persona. In una logica del
contenimento dei premi, il sacrificio imposto alla
vittime andrebbe, in considerazione della gerarchia
costituzionale dei valori colpiti, fatto incidere prima
sui pregiudizi che colpiscono il patrimonio, piuttosto
che su quelli che ledono la sfera dell’individuo.
Bisogna, peraltro, constatare che
il sacrificio del valore della persona imposto
normativamente avviene in nome della protezione di
interessi economici dei quali non appaiono titolari le
vittime, le quali non sono necessariamente titolari di
contratti di assicurazione r.c.a.: si pensi ai pedoni,
ai ciclisti, ai trasportati. Anche dal punto di vista
del vantaggio economico degli assicurati l’operazione
messa in atto dal legislatore appare, del resto,
estremamente discutibile. Se l’esigenza da soddisfare è
quella di calmierare il mercato della r.c.a., dovrebbe
essere imposto per legge un taglio non solo dei
risarcimenti, ma anche dei premi assicurativi.
Resta da rilevare che il sistema
derivante dall’applicazione delle tabelle assicurative
ai danni alla persona provocati da sinistri stradali –
messo a confronto con le indicazioni applicate nei
confronti delle vittime di altri tipi di illecito - si
trasforma in un sistema di indennizzo e non già di
risarcimento. Su aprono, allora, prospettive
interpretative inedite: non ultima quella volta a
consentire al danneggiato di agire nei confronti del
responsabile del sinistro per ottenere il danno
differenziale quantitativo, in analogia a quanto avviene
in ambito infortunistico nei confronti del datore di
lavoro.
6. CONCLUSIONI
Si pone, in ogni caso, il problema
della compatibilità costituzionale di una simile
disciplina, tenuto conto della situazione deteriore che,
sul piano risarcitorio, vengono a subire le vittime dei
sinistri stradali e mancando un criterio ragionevole che
consenta di giustificare la disparità di trattamento
alla luce dell’art. 3 Cost.
Il rischio è che - per ovviare alla
forbice quantitativa esistente tra il sistema generale
della r.c. e quello dei sinistri stradali – si inneschi
un gioco al ribasso. L’effetto delle tabelle
assicurative potrebbe assumere portata generale, ove si
consideri che la Cassazione 12408/2011 impone Il metodo
liquidatorio delle tabelle milanesi a fronte della
mancata attuazione dell’art. 138 cod. ass.: i giudici di
legittimità evocano, infatti, tale necessità “nella
perdurante mancanza di riferimenti normativi per le
invalidità dal 10 al 100%”. Nulla esclude, allora, che –
una volta emanate queste ultime tabelle – si pervenga ad
affermare la necessità di applicare le stesse per tutti
i tipi di illecito, in forza della parità di trattamento
di tutte le vittime di lesioni analoghe.
Il risultato sarebbe sconfortante:
oltre ad un taglio drastico del risarcimento, si
assisterebbe alla definitiva scomparsa del danno morale,
il quale - sebbene non compreso nelle tabelle
assicurative - non potrebbe, in forza dell’adozione di
una nozione unitaria di danno non patrimoniale, essere
più oggetto di separata liquidazione.
Il presente scritto riproduce la
relazione tenuta al Convegno intitolato “R:C.A.:
questioni aperte e controverse”, tenutosi a Brescia il
21 ottobre 2011.
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