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Il Pil italiano è calato nel terzo
trimestre 2011 dello 0,2 per cento. E le stime per il
prossimo anno sono tutte negative. Ma è presto per
fasciarsi la testa. Con l'euro che si deprezza, il
quadro sarà grigio per il mercato interno e più roseo
per l'estero, come già nel 2010 e 2011. E se
l'aggiustamento fiscale sarà efficace e accompagnato da
una svalutazione fiscale, già nel secondo semestre 2012
potrebbero arrivare sorprese positive da consumi e
investimenti.
Oggi sono tutti d’accordo: nel 2012
ci sarà una seria recessione. Quanto “seria” lo ha
quantificato il Centro studi Confindustria (Csc) che per
il 2012 ha previsto un calo del Pil pari all’1,6 per
cento. La stima del Csc è più pessimista (ma anche più
recente) di quelle del Fondo monetario, della
Commissione Europea e del governo. C’è poi chi (ad
esempio, Sergio De Nardis) si basa sull’esperienza
passata e sui calcoli del Fmi, concludendo che la
previsione Csc è ancora ottimistica e che il vero calo
del Pil 2012 per l’Italia potrebbe arrivare a 3 punti
percentuali.
In realtà già un meno 1,5 per cento
di crescita per il 2012 sarebbe un brutto colpo per la
tenuta dei conti pubblici dell’Italia così faticosamente
“messi in sicurezza” con le manovre dei governi
Berlusconi e Monti. Con un Pil a meno 1,5, le entrate
fiscali sarebbero minori del previsto e ci vorrebbe più
spesa pubblica per assistere i nuovi disoccupati e
cassintegrati. E il deficit 2012 non sarebbe più pari a
20 miliardi, l’1,2 per cento del Pil previsto dal
governo, ma un numero più grande. Una regola calcolata
per il passato dice che il deficit aumenta di circa
mezzo punto di Pil per ogni punto di Pil perso. Dunque
un calo di un punto e mezzo del Pil - un punto
percentuale inferiore alle previsioni incorporate nella
manovra – obbligherebbe Mario Monti a trovare altri 7,5
miliardi di euro per far quadrare i conti.
Insomma, se nel 2012 arriverà
davvero una forte recessione, Monti dovrà fare un’altra
manovra o contrattare una dilazione nei termini
dell’aggiustamento fiscale con l’Europa e, in modo più
cruciale, con i mercati. Capire se e in che misura
l’attuale pessimismo sia giustificato o se esistano
margini per essere meno pessimisti è quindi molto
importante. In effetti, a mio avviso, l’ottimismo - il
minor pessimismo - può avvalersi di tre argomenti
principali.
LE PREVISIONI NON PECCANO SEMPRE DI
OTTIMISMO
Una prima cosa da considerare è che
le previsioni economiche non peccano sempre di eccessivo
ottimismo, anzi. Gli esempi di “al lupo, al lupo”
abbondano. Prima dell’estate 2011 la quasi totalità dei
commentatori aveva dato per morta e sepolta la ripresa
Usa, schiacciata dai debiti privati, da un mercato
immobiliare fermo, dalla disoccupazione cocciutamente
alta. Invece, se guardiamo ai dati 2011, vediamo che,
dopo il quasi stop del primo trimestre 2011, l’economia
americana ha fatto registrare crescite trimestrali dello
0,3 e dello 0,5 per cento nel secondo e terzo trimestre
2011. E la crescita 2011 è venuta dopo una crescita del
3 per cento nel 2010 rispetto al 2009. La capacità di
reazione dell’America dopo la crisi ha dunque finora
sorpreso i pessimisti. Lo stesso può dirsi anche
dell’economia cinese, data sempre in rallentamento negli
ultimi dodici mesi, ma che continua a esibire una
crescita non lontana dal 9 per cento. E anche per
l’Italia non sempre le previsioni sono azzeccate: nei
trimestri successivi all’inizio della ripresina
2009-2010 il cosiddetto superindice dell’Ocse aveva
previsto un’economia italiana in recessione già nel
terzo trimestre 2010. Certo, la crescita italiana ha
continuato a essere modesta e pericolosamente vicina
allo zero, ma la recessione - fino al secondo trimestre
2011 incluso - non si è vista. Anche di fronte al
pessimismo unanime di oggi vale dunque la pena di porsi
qualche domanda in più su come sarà davvero il 2012.
METTERE UNA PEZZA A UN PROBLEMA PUÒ
MIGLIORARE LA FIDUCIA
Ci sono poi altri due motivi più
sostanziali di ottimismo (o minor pessimismo). Primo, la
manovra Monti, per quanto ingiusta, recessiva e fatta di
tasse al 92,5 per cento (per 18,5 miliardi su 20),
interviene su una situazione già molto deteriorata.
Durante l’estate 2011 c’è stato un drastico
peggioramento della fiducia delle famiglie e delle
imprese bombardate quotidianamente di cattive notizie,
dall’Europa e dall’Italia. Il peggioramento di fiducia
ha prodotto tangibili conseguenze negative sui dati
congiunturali già nella seconda metà del 2011. I consumi
delle famiglie e il Pil sono diminuiti dello 0,2 per
cento nel terzo trimestre 2011, mentre il calo
trimestrale della spesa pubblica e degli investimenti ha
superato il mezzo punto percentuale. Non per caso
l’indice della produzione industriale è tornato a valere
86,5 nell’ottobre 2011, cioè tre punti in meno rispetto
al suo valore di ottobre 2010 e solo un punto in più del
suo valore eccezionalmente basso dell’ottobre 2009. Lo
stesso vale per fatturato e ordinativi: gli ordini
dell’industria di ottobre 2011 valgono quattro punti
meno che nello stesso periodo del 2010 e l’aumento di un
punto del fatturato (a prezzi correnti) è poca cosa
rispetto al ben più consistente aumento di costi subito
dal settore nel corso del 2011. È naturale mettere in
connessione il brusco peggioramento della congiuntura
economica italiana nel secondo semestre 2011 alle
cattive notizie europee e italiane che si sono succedute
durante l’estate. Questo vuol dire che, molto prima
della manovra Monti, sono state le cattive notizie sul
futuro dell’Unione e le esitazioni estive del governo
Berlusconi ad aver causato la recessione. Invece, come
spiegava già molti anni fa l’attuale capo economista del
Fondo Monetario Olivier Blanchard, l’approvazione di una
manovra dura e piena di tasse quanto si vuole, ma che
riesca ad allontanare lo spettro dal fallimento
dall’economia italiana, se efficace nel contenimento del
deficit, potrebbe portare a un assestamento delle
aspettative per il futuro. Subite le bastonate di fine
2011 e inizio 2012 sulle tredicesime, sulla casa e sugli
scaffali dei supermercati, le famiglie potrebbero
ricominciare a consumare e le imprese a investire già
nel corso del 2012.
SVALUTARE SI PUÒ ED È EFFICACE
Un’altra ragione addotta dai
pessimisti è che l’Italia si troverebbe nel 2012 ad
adottare politiche di bilancio restrittive senza potersi
avvalere della svalutazione come strumento per
riguadagnare competitività. È vero: in passato la
stretta fiscale di Amato fu addolcita dalla svalutazione
del 20 per cento della lira, che oggi non c’è più. Ma
non è vero che l’Italia non possa più avvalersi del
deprezzamento del cambio. In realtà, lo sta già facendo.
Proprio grazie alla crisi dei debiti sovrani, il cambio
dell’euro nei confronti del dollaro, nonostante la
politica monetaria super-espansiva della Fed, si è già
svalutato del 10 per cento negli ultimi sei mesi. Un
euro basso non aiuta le imprese italiane a esportare di
più nell’area euro, ma le aiuta eccome a penetrare i
mercati fuori dall’area euro, a cominciare da Svizzera,
Stati Uniti, Russia e gli altri paesi emergenti, che in
totale ormai rappresentano il 55 per cento circa
dell’export totale dell’Italia. E c’è ragione di pensare
che nel 2012 il guadagno di competitività continui.
Progressi rapidi nei tentativi di rabberciare le
istituzioni dell’Europa non sono in vista. Ma se anche a
marzo 2012 si arrivasse a un nuovo grande accordo
pan-europeo, non sarà attuato tanto in fretta. Nel
frattempo, l’euro dunque continuerà a indebolirsi
gradualmente. Non fino al collasso, però: i tedeschi
hanno troppo da guadagnare dall’esistenza dell’euro,
come testimonia il basso livello dei tassi che pagano
sul loro debito pubblico, l’entità dei loro avanzi di
bilancia commerciale verso l’Europa e verso il resto del
mondo e la composizione degli attivi delle loro banche
straboccanti di attività denominate in euro. Alla
signora Merkel conviene continuare a sostenere lenti, ma
continui progressi verso l’attuazione delle riforme
discusse negli ultimi mesi. Se sarà così, anche nel
2012, come già nel 1993, la stretta fiscale sarà
addolcita dalla svalutazione - dell’euro anziché della
lira.
Nell’insieme, è legittimo
aspettarsi un quadro grigio per i primi mesi del 2012,
ma questo vale, come già nel 2010 e nel 2011, più per il
mercato interno che per quello estero. Se
l’aggiustamento fiscale sarà efficace e sarà
accompagnato da misure più incisive volte a conseguire
una svalutazione fiscale che complementi quella del
cambio deprezzato, già nel secondo semestre 2012, invece
della Grande Depressione, potrebbero arrivare sorprese
positive da consumi e investimenti.
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