La necessità di esibire certificati
di varia natura in diverse situazioni rappresenta una
perdita di tempo e di energie per amministrazioni,
aziende e famiglie. La soluzione non è eliminare le
certificazioni, ma modificare il sistema col quale si
acquisiscono le informazioni. Già da undici anni il Dpr
445 prevede per le pubbliche amministrazioni il
cosiddetto accesso diretto alle banche dati. Per
verificare la veridicità delle autocertificazioni dei
cittadini senza richiedere alcun certificato a nessuno.
Perché non si mette in pratica quella norma?
Le certificazioni di varia natura
costituiscono un ostacolo chiaro alla funzione
amministrativa e un onere per famiglie e imprese.
Il ministro Brunetta ha
probabilmente esposto male la soluzione corretta a un
problema reale. Non si devono eliminare le
certificazioni antimafia o riguardanti la regolarità
contributiva in sé e per sé, ma occorre certamente
modificare il modo di acquisirle.
IL DURC, QUANDO SERVE E QUANTO VALE
Prendiamo il Durc, il documento
unico di regolarità contributiva. Va richiesto nelle
seguenti circostanze:
a) per la verifica della
dichiarazione sostitutiva relativa al possesso dei
requisiti di “moralità”, tra i quali la regolarità
contributiva; le imprese autocertificano la loro
regolarità in sede di gara, ma ai fini
dell’aggiudicazione definitiva, occorre acquisire il
Durc;
b) per la stipula del contratto,
successiva all’aggiudicazione;
c) per il pagamento degli stati di
avanzamento lavori o delle prestazioni relative a
servizi e forniture, nel corso dell’operatività del
contratto;
d) per il certificato di collaudo,
per il certificato di regolare esecuzione, per la
verifica di conformità e il pagamento del saldo finale;
e) qualora tra la stipulazione del
contratto e il primo stato di avanzamento dei lavori o
il primo accertamento delle prestazioni effettuate
relative a forniture e servizi, ovvero tra due
successivi stati di avanzamento dei lavori o
accertamenti delle prestazioni effettuate relative a
forniture e servizi, intercorra un periodo superiore a
centottanta giorni.
Dunque, occorre chiedere il Durc in
continuazione. Nulla di male. Se non fosse che appunto,
il documento va “chiesto” e che per ottenerlo occorrono
circa trenta giorni. E un’amministrazione appaltante
prima di poter autorizzare il pagamento della
prestazione ricevuta dall’appaltatore deve aspettare che
Inps, Inail, Cassa edile e gli enti che aggiornano i
dati relativi al Durc, ricevuta la richiesta,
rispondano, per poter poi andare oltre.
PROBLEMI DI ACCESSO
Non si capisce perché le medesime
amministrazioni appaltanti per effettuare un’altra
verifica, cioè quella dell’assenza di procedure in atto
per irregolare versamento delle imposte e delle tasse
nei casi di pagamenti superiori ai 10mila euro, possano
accedere direttamente alle informazioni di Equitalia,
per il tramite del portale della Consip, mentre per
un’operazione in tutto analoga, la verifica della
posizione contributiva, per via telematica possano solo
fare la richiesta del Durc. Ma non possano accedere
direttamente alle informazioni registrate nel sistema.
È evidente a chiunque la perdita di
tempo e di risorse. Senza dimenticare che per anni e
anni si è discusso se la validità Durc fosse di un mese
o di tre mesi. Solo da poco è stata presa una posizione
definitiva, indicando la validità trimestrale. Il che
facilita il reperimento del certificato, se gli
adempimenti sono contenuti entro i tre mesi dalla sua
emissione. Ma, si badi, la normativa vigente pretende
comunque un Durc diverso a seconda se si compia una o
l’altra delle attività indicate nell’elenco. Pertanto,
un’amministrazione potrebbe già essere in possesso di un
Durc ancora valido, vedendosi comunque costretta a
chiederne un altro, da destinare a un utilizzo diverso
da quello del quale risulti in possesso.
Non è da eliminare il Durc, ma il
sistema col quale si acquisiscono le informazioni. Lo
stesso vale per la certificazione antimafia e per
qualsiasi altro dato in possesso delle pubbliche
amministrazioni.
È da undici anni che il Dpr
445/2000 prevede per gli accertamenti istruttori delle
pubbliche amministrazioni il cosiddetto “accesso
diretto” alle banche dati. In parole povere, i cittadini
possono autocertificare il possesso di tutti i requisiti
necessari a intraprendere un’attività soggetta a
un’autorizzazione, un contratto o anche un semplice
controllo ex post; le amministrazioni competenti non
dovrebbero chiedere alcun certificato a nessuno, ma
dovrebbero poter consultare le banche dati delle altre
amministrazioni per verificare la veridicità delle
autocertificazioni.
Da anni, il problema si pone anche
per l’esenzione dal ticket sanitario. Le Asl non
riescono ad accedere automaticamente alle banche dei
disoccupati, gestite in vario modo dalle Regioni, sicché
i Centri per l’impiego delle province sono subissati di
richieste di certificati di disoccupazione, dei quali si
potrebbe fare certamente a meno.
Le banche dati già disponibili,
utili per controlli e verifiche, sono molteplici: tra
esse appunto quelle detenute dalle prefetture per
l’antimafia, il casellario giudiziale, il casellario
informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture (che certifica il possesso dei requisiti per
accedere agli appalti), l’anagrafe tributaria, il
registro delle imprese, le banche dati dei percettori di
ammortizzatori sociali, le già ricordate banche dati dei
disoccupati. Una riserva enorme di informazioni
l’accesso alle quali è ancora troppo spesso condizionato
a sistemi non adeguati alle risorse offerte oggi dalla
rete telematica. |