di Stefano Corbetta
Precisazioni della Suprema Corte a
proposito del momento consumativo del delitto di usura,
rilevante anche ai fini del computo del termine di
prescrizione.
La vicenda processuale al vaglio
della Suprema Corte riguardava un imputato, condannato
in primo grado per il delitto di usura, per essersi
fatto promettere d un imprenditore interessi usurari nel
periodo gennaio-dicembre 2001 e ottobre 2007-gennaio
2008.
Adita dal ricorso del difensore, la
Cassazione ha annullato la sentenza perché ritenuta
contraddittoria in relazione al momento consumativo del
delitto di usura e al conseguente spirare del termine di
prescrizione.
La Corte, in primo luogo, nel solco
della propria giurisprudenza inaugurata nel 1998 (cfr.
Cass., Sez. I, 19 ottobre 1998, D'Agata e altri, in Dir.
pen. proc., 1999, 86 ss., con commento di P. Pisa,
Duplice svolta giurisprudenziale a proposito di usura e
art. 586 c.p., seguìta da Cass., Sez. II, 30 aprile
1999, Lopez, in C.E.D. Cass., n. 213380; Cass., Sez. II,
12 ottobre 2000, P.m. in c. Ivaldi, ivi, n. 217161), ha
affermato che «il reato di usura si configura come reato
a schema duplice e, quindi, si perfeziona o con la sola
accettazione della promessa degli interessi o degli
altri vantaggi usurari, non seguita dalla effettiva
dazione degli stessi, ovvero, quando questa segua, con
l'integrale adempimento dell'obbligazione usuraria».
In particolare, l’effettivo
pagamento degli interessi usurari, quale adempimento
dell’illecita pregressa pattuizione costituisce non un
post factum irrilevante, bensì la consumazione
sostanziale del delitto, il quale, in questo caso, si
atteggia a delitto a consumazione prolungata.
Infatti il delitto di usura può
presentarsi sotto un duplice schema, che trae origine da
un elemento comune, dal quale si dipartono, poi, due
possibili fattispecie entrambe costituenti ipotesi di
delitto consumato. Elemento comune ai due schemi è
l’induzione del soggetto passivo alla pattuizione di
interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di
una prestazione di denaro o di altra cosa mobile.
Duplice può essere il modo di
realizzazione del reato. In un caso, può perfezionarsi
con la sola accettazione del sinallagma preordinato
all'usura, che già di per sé è reato anche se non è
seguito da esecuzione (o inizio di esecuzione) del
patto. Nell’altro caso, si realizza con la dazione
effettiva degli interessi in esecuzione dell’illecita
pattuizione.
Questo diverso modo di atteggiarsi
del delitto di usura si riflette sul momento di
consumazione del delitto, che coincide, nel primo caso,
con l’accettazione dell’obbligazione rimasta
inadempiuta, nel secondo con il pagamento degli
interessi.
E l’esatta individuazione della
consumazione del reato incide sul dies a quo del termine
prescrizionale che decorre nel primo caso dal momento
della promessa, nel secondo caso dalla data in cui si è
verificato l’ultimo pagamento.
Una variante è rappresenta
dall’ipotesi in cui, tra le stesse persone, le dazioni
di denaro successive alla scadenza delle precedenti non
costituiscono l'esecuzione della promessa iniziale, ma
del rinnovo del patto usurario con la nuova fissazione
del capitale in diverso importo e dei conseguenti
interessi: trattandosi della conclusione di patti
successivi, si è in presenza di un reato continuato di
usura.
In tal caso – sebbene la Suprema
Corte non l’abbia esplicitato - il termine di
prescrizione per il reato continuato non decorre
dall’ultimo pagamento, poiché, a seguito della modifica
dell’art. 158 c.p., per ogni singola ipotesi di usura
decorre un autonomo termine di prescrizione, a far tempo
dalla promessa ovvero dalla dazione degli interessi
usurari.
Nel caso in esame, il giudice aveva
fatto decorrere il termine di prescrizione dall’ultima
richiesta di restituzione del prestito da parte
dell’imputato, elemento questo, che se può gettare luce
sulla determinazione del tasso applicato in origine, non
è dirimente ai fini di determinare i tempi e le modalità
di pattuizione degli interessi usurari. Di qui
l’annullamento della sentenza con rinvio per nuovo
esame. |