Il conflitto tra governo ed enti
locali è ancora più aspro dopo le manovre estive. I
provvedimenti equivalgono a circa il 12 per cento della
loro spesa, sanità esclusa. Effetti probabili? Un
aumento della pressione fiscale locale e un'ulteriore
riduzione degli investimenti. Con il rischio che le
manovre, oltre ad avere un impatto recessivo immediato,
riducano anche il tasso di crescita potenziale
dell'economia, il fattore fondamentale a cui si lega la
sostenibilità del nostro debito pubblico. Le incertezze
sui premi ai virtuosi. Novità positiva la
regionalizzazione del Patto.
Le manovre estive di finanza
pubblica hanno generato un conflitto di asprezza non
usuale tra centro e periferia, con sindaci e presidenti
di Regioni, di tutte le fedi politiche, in trincea
contro il governo. Gli enti locali lamentano non solo
tagli di dimensioni insostenibili, ma anche vincoli
eccessivi nell’uso delle risorse. Chi ha ragione e chi
ha torto? E come coniugare controllo dei conti ed
efficienza?
IL PATTO DI STABILITÀ INTERNO
Al centro di tutta la vicenda c’è
il Patto di stabilità interno, un sistema di controlli
sulla finanza locale introdotto già dal 1999, ma la cui
storia è stata abbastanza tormentata. Le regole sono
state modificate quasi ogni anno, sia per gli enti ad
esse soggetti, che per la definizione degli obiettivi e
dei meccanismi sanzionatori. Per le Regioni a statuto
ordinario, l’obiettivo del Patto ha sempre preso la
forma di vincoli alla crescita della spesa diversa da
quella sanitaria (la sanità è regolata da norme
specifiche). Per i comuni e le province, l’obiettivo è
stato invece quasi sempre in termini di vincoli sul
saldo di bilancio variamente definito. (1) E nel 2008 si
è aperta per loro una nuova stagione, con l’abbandono
dell’obiettivo in termini di saldo finanziario
complessivo e l’adozione del saldo di “competenza
mista”, la competenza per la parte corrente del bilancio
e la cassa per la parte in conto capitale, in modo da
consentire una maggiore elasticità nella programmazione
degli investimenti. Dal 2009, inoltre, l’obiettivo
(ovvero il miglioramento del saldo di competenza mista)
è diverso a seconda che gli enti abbiano/non abbiano
rispettato il patto l’anno precedente e che il saldo sia
positivo/negativo; questo implica, ad esempio, un
effetto espansivo per gli enti virtuosi (con saldo
positivo e patto rispettato), con la possibilità di
peggiorare il saldo di competenza mista. Si tratta di
una sorta di meccanismo premiante che si affianca al
sistema sanzionatorio, anch’esso rafforzato nel tempo.
(2)
LE MANOVRE DELL’ULTIMO BIENNIO
Le manovre del 2010 e del 2011, che
definiscono il contributo degli enti locali al
risanamento dei conti pubblici per il triennio
2012-2014, si inseriscono in questo quadro normativo. In
particolare, il Dl 78/2010 non è intervenuto sugli
obiettivi del Patto di stabilità definiti l’anno
precedente, ma ha disposto una riduzione dei
trasferimenti dal bilancio dello Stato a tutti gli enti
territoriali. Il taglio dei trasferimenti, pari a 6,3
miliardi nel 2011, si è quindi cumulato agli obiettivi
del Psi. Al contrario, il Dl 98/2011 non ha toccato i
trasferimenti, ma ha inasprito gli obiettivi del Patto,
richiedendo ulteriori miglioramenti nei saldi per 3,2
miliardi nel 2013 e 6,4 nel 2014; infine, il Dl 138/2011
ha anticipato al 2012 le misure previste per il 2013 e
il 2014.
La tabella 1 fa il punto della
situazione. Come si vede, si tratta di correzioni molto
rilevanti, pari nel solo 2012 a 14,5 miliardi di euro,
che potrebbero ridursi a 12,3, se l’aumento della Robin
tax (le cui entrate andranno agli enti locali) produrrà
il gettito stimato di 1,8 miliardi. Per dare un’idea
della dimensione degli interventi, si tratta di manovre
equivalenti a circa il 12 per cento della spesa degli
enti territoriali (esclusa la sanità). Se la stessa
riduzione fosse stata applicata a tutti i comparti di
spesa delle amministrazioni pubbliche (esclusi gli
interessi sul debito), la manovra sarebbe stata pari a
circa 100 miliardi di euro nel solo 2012, invece dei 53
previsti. Gli amministratori locali hanno dunque qualche
ragione per lamentarsi.
Tabella 1: Contributo degli enti
territoriali alla manovra di finanza pubblica
2012
2013
2014
Dl 78/2010
Dl 98/2011 e 138/2011
Dl 78/2010
Dl 98/2011 e 138/2011
Dl 78/2010
Dl 98/2011 e 138/2011
Regioni S.O.
4.500
1.600
4.500
1.600
4.500
1.600
Regioni S.S. e PA
1.000
2.000
1.000
2.000
1.000
2.000
Province
500
700
500
800
500
800
Comuni
2.500
1.700
2.500
2.000
2.500
2.000
Totale
8.500
6.000
8.500
6.400
8.500
6.400
LE CONSEGUENZE DELLE MANOVRE
Si tratta di obiettivi sostenibili
e quali saranno le conseguenze economiche? Poiché il
saldo obiettivo comprende anche la spesa in conto
capitale, l’effetto più probabile, in assenza di
interventi compensativi, sarà un’ulteriore riduzione
degli investimenti, l’unica componente di spesa su cui
si può agire facilmente nel breve periodo. È già
successo. Nel 2010, infatti, gli investimenti delle
amministrazioni locali (che costituiscono da soli circa
il 70 per cento della spesa totale per investimenti
pubblici) sono diminuiti del 16 per cento. C’è dunque il
rischio che le manovre, oltre ad avere un impatto
recessivo nell’immediato, riducano anche il tasso di
crescita potenziale dell’economia, di fatto il fattore
fondamentale a cui si lega la sostenibilità del nostro
debito pubblico.
La seconda osservazione concerne le
fonti di finanziamento. Già nel 2010, le entrate
complessive delle amministrazioni locali sono diminuite
del 3 per cento, per la contrazione dei trasferimenti
dal governo centrale. L’insieme delle manovre taglierà
ulteriormente le risorse o costringerà comunque gli enti
locali ad avanzi crescenti. L’ovvia conseguenza sarà un
aumento della pressione tributaria locale, nei nuovi
spazi concessi dalle stesse manovre estive
(l’eliminazione del blocco sull’addizionale Irpef
comunale e l’anticipo della autonomia delle Regioni,
sempre sull’Irpef), magari accompagnata da un aumento
delle tariffe dei beni e servizi a domanda individuale.
I VIRTUOSI
Un’altra novità delle manovre
estive è l’introduzione della categoria degli enti
“virtuosi”, che avranno come premio una riduzione degli
obiettivi del Patto: ad esempio, per i comuni, solo il
mantenimento dell’equilibrio di bilancio e non il
miglioramento del saldo. La virtù di alcuni verrà però
pagata a spese degli altri; i saldi per comparto devono
comunque essere mantenuti, per cui ogni virtuoso genera
un’esternalità negativa su tutti gli altri,
costringendoli a miglioramenti ancora maggiori nei
saldi. Ora, i criteri per l’individuazione dei virtuosi
sono stati definiti dalla manovra di agosto, ma non i
pesi relativi, per cui non si sa ancora chi saranno i
virtuosi. (3) E questo è un problema, perché introduce
incertezza addizionale su tutti gli enti territoriali.
Difatti, tanto più numerosi e tanto più
quantitativamente importanti saranno gli enti locali
dichiarati virtuosi (per esempio, una metropoli
piuttosto che un villaggio), tanto maggiori saranno gli
oneri di cui dovranno farsi carico tutti gli altri.
VERSO UN PATTO REGIONALE
Infine, una seconda novità,
potenzialmente molto positiva, introdotta con la manovra
estiva è la possibilità di concertare con le Regioni, a
eccezione di quelle che in uno dei tre anni precedenti
non abbiano rispettato il Patto o siano state sottoposte
ai piani di rientro dai deficit sanitari, le modalità di
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica per
tutti gli enti appartenenti al loro territorio. La
previsione costruisce, specificandola meglio, su
analoghi provvedimenti già presi in passato nella legge
finanziaria per il 2009 e la successiva legge delega
42/2009. L’idea è di regionalizzare il Patto di
stabilità, con la Regione che contratta gli obiettivi
con il governo e che si fa garante, con le proprie
risorse, del rispetto degli obiettivi da parte dei
propri enti locali. È una novità importante perché, se
applicata, consentirebbe di rendere più flessibile il
Patto, compensando i risultati di comuni e province che
non rispettano il Patto con quelli che lo rispettano.
Sarebbe in particolare utile per la spesa in conto
capitale, che ha un andamento molto irregolare nel
tempo, soprattutto per gli enti di piccole dimensioni. I
comuni di una Regione, per esempio, sotto la guida e il
controllo di quest’ultima, potrebbero accordarsi perché
alcuni spendano di più in conto capitale in un dato
anno, compensando la maggiore spesa con una riduzione
maggiore negli anni successivi. Perché la cosa funzioni
tuttavia, l’arco temporale deve essere sufficientemente
lungo (un triennio almeno), e le Regioni devono avere
strumenti per mettere sotto controllo gli enti locali
recalcitranti. Un’altra ragione per cui i trasferimenti
erariali agli enti locali dovrebbero passare sotto il
controllo diretto della Regione, come è accennato, ma
non esplicitamente previsto nella legge delega sul
federalismo fiscale e nei relativi decreti attuativi.
(1) Fanno eccezione il 2005 e il
2006, con l’introduzione di un tetto alla crescita della
spesa.
(2) Nell’ultima versione le
sanzioni per chi viola il Patto prevedono: la riduzione
dei trasferimenti erariali, l’obbligo di impegnare spese
correnti in misura non superiore al più basso livello
dell'ultimo triennio, il divieto di indebitamento per
finanziare spese di investimento, il divieto di
assunzioni a qualsiasi titolo e la riduzione di
indennità e gettoni di presenza agli amministratori.
(3) I criteri sono: rispetto del
Patto, autonomia finanziaria, tasso di copertura della
spesa per i servizi a domanda individuale, effettiva
partecipazione alla lotta all’evasione fiscale,
incidenza della spesa di personale sulla spesa corrente,
equilibrio di parte corrente, capacità di riscossione
delle entrate correnti, convergenza fra spesa storica e
costi e fabbisogni standard, dismissioni delle
partecipazioni societarie. |