a cura della redazione
L'ordinamento amministrativo ha,
negli anni più recenti, dato un considerevole impulso ai
contratti della p.a. e, in generale, ha valorizzato lo
strumento contrattuale quale valida alternativa allo
strumento provvedimentale per la realizzazione dei fini
pubblici.
La stipulazione, da parte della
p.a., di contratti, anzichè di provvedimenti,
nell'ambito della sua azione di carattere non
autoritativo viene, peraltro, espressamente incentivata
dall'art. 1 della legge 7.08.1990 come vigente.
I contratti della p.a. sono
regolati contestualmente dalle norme di diritto privato
e da quelle relative alla contabilità generale dello
Stato.
Essi si accompagnano, poi, ad una
prodromica fase procedimentale che addiviene alla
deliberazione di contrattare con la scelta del
contraente.
Nell'ambito di tale fase
prodromica, la p.a. deve dare conto sia delle ragioni
che la inducono alla scelta del modulo negoziale anzichè
di quello provvedimentale, sia della realizzazione
dell'interesse pubblico mediante il contratto.
In ogni caso vi è un rapporto tra
la fase procedimentale e provvedimentale prodromica ed
il successivo contratto della p.a. nel senso che la
mancanza, originaria o sopravvenuta della prima
determina conseguenze, diversamente articolate dalle
numerose tesi sviluppatesi sul punto, sul correlativo
contratto (si è così ipotizzata, nel caso dei contratti
pubblici di cui al d.lgs. n. 163 del 2006, la
caducazione automatica, l'inefficacia del contratto
originaria o sopravvenuta, l'annullabilità relativa del
contratto, l'annullabilità assoluta, la nullità virtuale
per violazione di norme imperative ovvero nullità
strutturale per difetto del consenso; nel caso degli
accordi integrativi e sostitutivi di cui all'art. 11
della legge n. 241 del 1990 l'annullabilità per difetto
del consenso ovvero la nullità per difetto di
attribuzione).
Tra i contratti della p.a., si può
effettuare una distinzione in relazione all'oggetto ed
alla peculiare disciplina giuridica.
Vi sono, così
a- i contratti ordinari di diritto
privato, che sono disciplinati dalle ordinarie norme
civilistiche senza alcuna differenza derivante dalla
natura pubblicistica di uno dei contraenti
b- i contratti speciali di diritto
privato che presentano una disciplina speciale di
diritto privato rispetto ai corrispondenti contratti di
diritto comune (si pensi al contratto di trasporto
feroviario, rispetto al contratto di trasporto di
diritto comune) c- i contratti ad oggetto pubblico che
si caratterizzano per la commistione tra provvedimento e
contratto (si pensi alle convenzioni che s'accompagnano
alla concessione di beni, agli accordi sostitutivi ed
integrativi di cui all'art. 11 della L. n. 241 del 1990
ed agli accordi tra pp.aa. di cui al successivo art. 15)
Con riferimento alla categoria dei
contratti di diritto speciale, un ruolo di particolare
rilievo è rivestito dall'ampia categoria dei contratti
pubblici di concessione e appalto relativi a lavori,
servizi , forniture e misti previsti e diciplinati dal
D.Lgs. n. 163 del 2006. Con riferimento a tale tipologia
contrattuale, l'evidenza pubblica indica il modo
procedimentale attraverso il quale la p.a. addiviene
alla determinazione di concludere il contratto ed alla
scelta del contraente.
La scelta della modalità di
evidenza pubblica da utilizzare nel caso di specie viene
individuata nel bando di gara che segue la deliberazione
a contrattare; a seguito dell'espletamento di gara, il
procedimento prodromico si conclude con l'aggiudicazione
(che diventa definitiva con l'approvazione dell'organo
competente) a cui segue la stipulazione del contratto.
Sotto il profilo temporale, l'art.
11 del decreto legislativo n. 163 del 2006 (il c.d.
codice degli appalti) prevede che la stipula debba
avvenire entro il termine di sessanta giorni
dall'aggiuduicazione potendo, in difetto, il privato
recedere dal contratto stesso o sciogliersi da ogni
vincolo; essa non potrà, tuttavia, intervenire se non
decorsi trenta giorni dalla comunicazione
dell'aggiudicazione ai controinteressati (si tratta di
una disposizione volta a rendere effettiva la
possibilità d'esito sostanzialmente vittorioso del
ricorso giurisdizionale eventualmente promosso dal
controinteressato leso dall'aggiudicazione - il termine
è stato elevato a trentacinque giorni dal D.Lgs. n.
53/10 attuativo della seconda direttiva ricorsi; il
nuovo termine ben si armonizza con il termine abbreviato
di trenta giorni per la proposizione di ogni ricorso
avverso l'aggiudicazione definitiva e con l'ulteriore
sospensione obbligatoria della stipula del contratto in
caso di domanda cautelare sino al provvedimento
decisorio sull'istanza cautelare).
Sotto il profilo formale i
contratti della p.a. possono essere stipulati nella
forma dell'atto pubblico a mezzo di notai o a mezzo di
pubblici ufficiali roganti.
Altrimenti i contratti della p.a.
possono essere stipulati:
a- con la sottoscrizione dell'atto
di obbligazione in calce al capitolato
b- con atto separato di
obbligazione oppure
c con scrittura privata
sottoscritta dalle parti.
Successivamente alla stipula del
contratto, la p.a. deve sottoporre lo stesso
all'approvazione che può essere rifiutata per motivi di
legittimità o per gravi motivi d'opportunità.
L'approvazione, secondo parte della dottrina, si
configura come requisito di validità del contratto;
secondo altra, prevalente, opinione come condizione
sospensiva dell'efficacia del contratto che, a seguito
della stipulazione, è, dunque, già perfetto e
vincolante.
I contratti della p.a., una volta
approvati, vanno inviati alla Ragioneria Generale dello
Stato per il relativo impegno di spesa.
Annotazione speciale e puntuale
merita la sentenza 07.07.2011 n. 4083 della terza
sezione
del Consiglio di Stato in merito
allo scioglimento unilaterale di contratto da parte
della p.a.
Viene affermato e confermato che
spetta al giudice amministrativo conoscere dei vizi del
procedimento amministrativo e al giudice ordinario i
vizi del contratto, anche quando si tratti di invalidità
derivata dal procedimento amministrativo presupposto dal
contratto.
Il Giudice di 2° grado è chiamato a
pronunziarsi in tema di transazione sottoscritta dalle
parti -in corso di giudizio- non preceduta da
provvedimento autorizzativo.
Il Supremo Giudice afferma che
l’eventuale mancanza o invalidità degli atti del
procedimento ad evidenza pubblica, la delibera a
contrarre, ove ritenuta necessaria ai fini della
transazione ed ove la sua mancanza sia opponibile al
privato – potrebbe essere fatta valere
dall’amministrazione, parte del contratto, solamente
davanti al giudice avente giurisdizione sull’atto
negoziale, attraverso un’azione di nullità, di
annullamento o di risoluzione.
La ragione, di ordine più generale,
muove dal consolidato riparto di giurisdizione in
materia di contratti “pubblici”, per il quale la fase
esecutiva è in linea di massima - fatte salve specifiche
e tassative deroghe - devoluta alla cognizione del
giudice ordinario, trattandosi di rapporti paritari nei
quali l’Amministrazione è (ormai) priva di poteri
autoritativi ed il privato è titolare di diritti
soggettivi (v., per un precedente proprio in tema di
transazione, Cons. St., V, 28.12.2001, n. 6443). Nella
vicenda in esame merita sottolineare come la transazione
abbia avuto ad oggetto non solo il compenso revisionale
ma anche, in una misura considerevole, lo stesso
corrispettivo contrattuale originariamente previsto, per
il quale è pacifico che un’eventuale azione di
adempimento e condanna debba essere proposta dinanzi al
giudice ordinario.
La motivazione del mancato atto
deliberativo autorizzativo è legata, più in particolare,
al tipo di atto impugnato con il quale
l’Amministrazione, credendo di potere esercitare un
proprio ius poenitendi, ha, alternativamente, (prima)
dichiarato la nullità della transazione, se ed in quanto
non preceduta da una previa autorizzazione, poi
annullato in autotutela tale provvedimento, ove ritenuto
implicito nella stipula del contratto di transazione. In
entrambe le ipotesi il contratto sarebbe comunque
inefficace, secondo la tesi dell’Amministrazione: nel
primo caso perché radicalmente nullo, nel secondo caso
perché annullabile per errore di diritto.
Entrambe le soluzioni, afferma il
C.d.S, postulano che, a monte della vicenda, vi fosse
bisogno di un atto ad evidenza pubblica che precedesse
la stipula del contratto di transazione.
Il Giudice di primo grado, non
ravvisando alcuna delibera a contrarre, né esplicita né
implicita, ha concluso per l’inefficacia dell’accordo
transattivo – aggiungendo - “senza necessità di pronunce
costitutive del suo cessato effetto o di atti di ritiro
dell’amministrazione, in conseguenza della mancanza
(originaria, in questo caso) dell’atto costitutivo della
volontà negoziale dell’amministrazione”.
Reputa il Collegio di 2° grado che
- anche ammettendo che vi fosse bisogno di una delibera
a contrarre e che la sua mancanza sia opponibile al
privato, determinando delle conseguenze invalidanti sul
contratto - non si possa comunque prescindere dal
principio generale secondo cui, giusta la formula
enfatica dell’art. 1372 c.c., “il contratto ha forza di
legge tra le parti”.
Da qui l’impossibilità di uno
scioglimento unilaterale, se non per cause ammesse dalla
legge, e di contro la necessità del mutuo consenso (vale
a dire di un secondo contratto) oppure di una pronuncia
del giudice.
In questa seconda prospettiva,
afferma, si può discutere, e la questione è da sempre
assai controversa in dottrina ed in giurisprudenza, se
occorra una pronuncia dichiarativa ovvero costituiva, il
che equivale a chiedersi, a ritroso, in che modo il
vizio della procedura ad evidenza pubblica si rifletta
sul contratto di diritto privato, se in termini di
nullità, annullabilità o inefficacia, originaria o
sopravvenuta. E’ evidente, prosegue, che il profilo
sostanziale circa la “sorte del contratto” si saldi con
quello processuale afferente il riparto di
giurisdizione, quanto meno secondo l’orientamento
tradizionale della giurisprudenza di legittimità, per la
quale dall’annullamento (non importa se in via
giurisdizionale o in sede di autotutela)
dell’aggiudicazione, o comunque di un atto della
procedura ad evidenza pubblica, discenderebbe, quale
conseguenza, l’annullabilità anche del contratto, per
(sopravvenuto) difetto di legittimazione a negoziare;
annullabilità da far valere con specifica domanda
proposta dall’amministrazione stessa, unico soggetto a
ciò legittimato ex art. 1441 c.c., in un giudizio
davanti al giudice ordinario (v., ad esempio, Cass. I,
17.11.2000, n. 14901 e Cass., II, 8.5.1996, n. 4269).
E’ noto, afferma il Giudice di 2°
grado, come questa soluzione, peraltro condivisa in
passato da voci autorevoli della dottrina (per cui il
contratto concluso in mancanza di deliberazione a
contrarre sarebbe assimilabile al negozio del falsus
procurator), sia stata in anni più recenti sottoposta a
revisione critica per la sostanziale elusione del
principio di effettività della tutela giurisdizionale
che si determinerebbe nell’ipotesi di annullamento
giurisdizionale dell’atto ad evidenza pubblica,
lasciando all’amministrazione – già soccombente nel
giudizio amministrativo – ogni decisione sulla sorte del
contratto facendone valere o meno l’annullabilità.
Tale obiezione, prosegue,
all’origine dell’evoluzione giurisprudenziale
registratasi nell’ultimo decennio (specie nella
giurisprudenza del Consiglio di Stato) e delle scelte
compiute dal legislatore nel 2010 in occasione del
recepimento della direttiva ricorsi in materia di
appalti pubblici (v. ora gli artt. 121 e 122 del
c.p.a.), non ha tuttavia pari fondamento in un caso,
quale quello qui in esame, di annullamento in autotutela
dell’atto presupposto di un contratto di transazione. In
simile evenienza, infatti, è semmai all’inverso proprio
il principio di effettività della tutela
giurisdizionale, valutato unitamente alla garanzia della
libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost., in cui
trova tutela indiretta anche l’autonomia negoziale dei
privati, che dovrebbe escludere che l’amministrazione
abbia il potere di sciogliersi unilateralmente dal
vincolo contrattuale. L’eventuale mancanza o invalidità
degli atti del procedimento ad evidenza pubblica – nel
caso di specie la delibera a contrarre, ove ritenuta
necessaria ai fini della transazione ed ove la sua
mancanza sia opponibile al privato – potrebbe essere
fatta valere dall’amministrazione, parte del contratto,
solamente davanti al giudice avente giurisdizione
sull’atto negoziale, attraverso un’azione (a seconda
della teoria che si ritiene di accogliere) di nullità
oppure di annullamento oppure, ancora, di risoluzione,
qualora in tale ultima categoria si voglia far rientrare
la “inefficacia del contratto” di cui genericamente
parlano ora gli artt. 121 e 122 del c.p.a.
Del resto, aggiunge, come ricordato
di recente autorevolmente anche dall’Adunanza Plenaria
del Consiglio di Stato 4.6.2011, n. 10, “al di fuori dei
casi in cui l’ordinamento attribuisce espressamente al
giudice amministrativo la giurisdizione sulla "sorte del
contratto" che si pone a valle di un procedimento
amministrativo viziato (v. art. 133, comma 1, lett. e),
n. 1, c.p.a., in tema di contratti pubblici relativi a
lavori, servizi, e forniture), secondo l’ordinario
criterio di riparto di giurisdizione spetta al giudice
amministrativo conoscere dei vizi del procedimento
amministrativo, e al giudice ordinario dei vizi del
contratto, anche quando si tratti di invalidità derivata
dal procedimento amministrativo presupposto dal
contratto” |