Tradizionalmente,
l’approccio alla complessa materia del risarcimento del
danno da fatto illecito ruota intorno all’idea che
l’autore della condotta illecita sia obbligato a
risarcire la vittima per il danno arrecatole. Ne dà
puntuale conferma l’art. 2043 c.c., che cristallizza la
direttiva di massima secondo la quale a nessuno dovrebbe
essere concessa la possibilità di incidere negativamente
sull’altrui sfera giuridico-patrimoniale senza il
consenso del titolare.
Tuttavia, la ‘forza’ di siffatta impostazione viene
messa seriamente in dubbio dalla constatazione che non
sempre il risarcimento del danno è in grado di risolvere
completamente, meno che mai di esaurire senza residui,
le questioni relative alla lesione subita dalla vittima
della condotta illecita: molto spesso a rilevare non è
tanto il danno sofferto dal titolare del diritto, quanto
il vantaggio economico conseguito da chi
arbitrariamente, illecitamente, violando il diritto
altrui abbia realizzato un risultato di gran lunga più
vantaggioso (in termini di profitto) di quanto non sia
il detrimento patito dal titolare del diritto.
Vien fatto di chiedersi, allora, se sia sufficiente che
l’autore dell’illecito sia tenuto ‘soltanto’ al
risarcimento del danno oppure se non sia il caso di
obbligare l’autore dell’illecito a corrispondere al
titolare del diritto leso la maggior somma fra il danno
e il profitto realizzato in virtù della sua condotta.
Molto per tempo questi interrogativi (accentuati dalla
sempre più diffusa consapevolezza che la responsabilità
civile stenta a fronteggiare situazioni in cui il
vantaggio conseguito dall’autore dell’illecito sia molto
maggiore rispetto al danno subito dal soggetto leso)
vennero sviluppati nell’ambito di una più ampia
riflessione in merito all’esistenza di un obbligo di
restituzione dell’arricchimento ottenuto mediante fatto
ingiusto, capace di consentire il recupero del surplus
realizzato illecitamente con azione diversa tanto da
quella di risarcimento quanto da quella di arricchimento
senza causa (non a caso, in questa prospettiva rientrano
gli ulteriori tentativi compiuti da dottrina e
giurisprudenza di rinvenire un presupposto
imprescindibile per provvedere alla restituzione dei
profitti illegittimamente conseguiti ora nella
disciplina della gestione di affari altrui ora in quella
dei frutti).
Proprio la percezione, da un lato, degli sforzi compiuti
al fine di colmare questa lacuna del nostro apparato
rimediale e, dall’altro, del fatto che i profili
problematici individuabili nelle pieghe del tema
costituiscono soltanto la punta di un iceberg ancora
tutto da scoprire (basti tener presente che le stesse
problematiche contrappuntano le ‘vicissitudini
risarcitorie’ in settori quali l’inadempimento
contrattuale, la proprietà intellettuale e i torts)
inducono a domandarsi se una qualche indicazione, con
tanto di contributo a mettere le cose in ordine, possa
discendere dall’analisi delle soluzioni adottate da
un’esperienza pragmatica quale quella di common law,
dove – sia detto per inciso – la quantificazione del
danno non è mai stata relegata tra le questioni di mero
fatto, per ciò stesso sottratte alla ricognizione della
dottrina.
Date queste premesse, occorre dare visibilità ad un
istituto (operante nella realtà giuridica di common law)
pressoché sconosciuto nell’ambito del civil law: il
disgorgement, che possiamo tentare di tradurre con la
più dispersiva formula di retroversione degli utili
illeciti. Tale istituto, in effetti, appare in grado di
offrire spunti di dibattito molto interessanti e, sotto
certi punti di vista, di prospettare soluzioni di grande
interesse per le problematiche tradizionali sollevate in
materia di arricchimento senza causa, fatto illecito e
lesione del potere di disposizione. Determinando la
restituzione coattiva di quanto guadagnato
illecitamente, l’indicato rimedio assurge al ruolo di
‘legal response’ alle ipotesi di arricchimento derivante
da fatto illecito; del resto, ‘tradendo’ una natura
quasi-punitive, conferisce alla vittima dell’illecito
l’opportunità di ottenere un risarcimento basato non già
sulla perdita subita, ma sui profitti che la controparte
ha realizzato in virtù del compimento dell’atto
illecito.
Più prosaicamente, attraverso il disgorgement si
garantisce, alla vittima della condotta illecita, la
possibilità di usufruire di uno strumento ‘forte’ ovvero
di una risorsa rimediale che, consentendole di ottenere
un risarcimento basato sui profitti realizzati dalla
controparte in virtù del comportamento illecito,
colpisca quest’ultima proprio lì dove sperava di ‘farla
franca’, ossia in quella zona d’ombra prospettata dalla
teoria gius-economica classica in cui il fine (cioè
realizzare, anche a scapito della certezza e della
stabilità degli scambi economici, un rilevante guadagno,
frutto tanto di una migliore allocazione del bene in
capo al soggetto che gli attribuisce il valore più alto
quanto di una completa internalizzazione dei costi
proiettati all’esterno dall’inadempimento) sembrerebbe
giustificare i mezzi.
A ben vedere, nelle pieghe di tale risorsa rimediale
appare possibile individuare una duplice finalità [per
un verso, quella punitivo-sanzionatoria (volta a
combattere la realizzazione di profitti attraverso fatti
illeciti) e, per l’altro, quella preventiva (diretta ad
evitare che altri soggetti in condizioni equivalenti
siano incentivati al perseguimento di comportamenti
analoghi)] che ha spinto i formanti dottrinale e
giurisprudenziale di common law a domandarsi se non
fosse opportuno impiegare tale strumento come rimedio da
inadempimento contrattuale per fronteggiare le lacune
sottese agli strumenti tradizionali classici
(expectation, reliance e restitution damages).
Di qui l’opportunità di intraprendere un’analisi
comparativa, dalla marcata impronta omologativa, con
l’esperienza giuridica italiana al fine di prospettare
quale potrebbe essere l’impatto di un istituto così
connotato nel panorama giuridico nostrano. Del resto, il
disegno di individuare punti di contatto con il
complesso apparato rimediale connesso al breach of
contract è, sì, impresa improba, ma costituisce
traiettoria di sicuro stimolo, che merita di essere
esplorata con molta attenzione
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