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SE LA CRISI NON GIUSTIFICA LA PRIVATIZZAZIONE DEI SERVIZI di Margherita Boggio e Marco Ponti –La voce.info

 

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Tra le possibili politiche per ridurre in modo strutturale il debito pubblico italiano è emersa anche l'ipotesi di privatizzare i servizi locali e di cedere partecipazioni. Le risorse degli enti territoriali si riversano soprattutto nei trasporti locali. Ovvero in un sistema di "sussidi incrociati", dove si generano elevate rendite monopolistiche in alcuni ambiti e si sussidiano i trasporti pubblici. Una privatizzazione del settore così com'è avrebbe dunque scarso senso finanziario. Meglio puntare sul drastico ridimensionamento dei sussidi e sull'apertura alla concorrenza.

Tra le politiche possibili per ridurre in modo strutturale il debito pubblico italiano è emersa anche l’ipotesi di privatizzare i servizi locali e di cedere partecipazioni. E sono anche state fornite stime, elevate, dei ricavi possibili: 30 miliardi. Va notato che le imprese di cui si parla sono principalmente di proprietà locale, ed in particolare comunale (capitalismo municipale), pertanto tali privatizzazioni non avrebbero un impatto diretto sul debito pubblico, bensì sui bilanci comunali e sull’incidenza del Patto di Stabilità e Crescita Interno, tramite flussi di cassa immediati e possibili guadagni di efficienza. Si tratta essenzialmente di trasporti locali, rifiuti, elettricità, gas, servizi idrici, ma anche, e soprattutto, delle partecipazioni in “monopoli naturali”: autostrade, aeroporti, reti ferroviarie locali.

PRIVATIZZARE PERCHÉ SIAMO ALLA CANNA DEL GAS?

Se a prima vista il conto economico delle imprese di servizio pubblico presenta nel complesso un saldo positivo, è necessario sottolineare che al netto dei contributi ricevuti tale risultato subirebbe un peggioramento notevole, soprattutto nel settore dei trasporti. Vale infatti la pena notare che l’85-90 per cento dei contributi degli enti locali alle controllate va alle utilities, di cui il 70 per cento circa solo al trasporto pubblico locale. (1)

 

               Tab. 1 - Società di capitali controllate dagli enti locali: distribuzione del risultato di esercizio e contributi per principali settori, valori in migliaia di €.

 

N. imprese

Risultato di esercizio

Dividendi

Dividendi

EE.LL.

Contributi (2)

 

2003

2005

2003

2005

2003

2005

2003

2005

2003

2005

Energia elettrica

149

177

425.067

464.386

225.541

326.430

129.121

182.239

19.300

16.857

Gas

263

283

194.426

228.054

81.383

166.801

62.310

112.253

14.169

25.922

Acqua

248

277

220.908

380.736

163.989

284.938

138.069

184.580

89.231

108.344

Trasporti

419

434

139.257

171.586

22.764

40.161

16.868

31.594

391.235

901.927

Servizi ambientali

353

393

40.865

51.885

17.709

22.866

13.165

16.775

23.626

31.253

Fonte: Unioncamere (2008), dati su 1.432 (anno 2003) e 1.564 (anno 2005) imprese su un totale di 4.604 (anno 2003) e 4.784 (anno 2005) controllate locali (3).

 

La situazione complessiva sembra quella di un vistoso sistema di “sussidi incrociati”: si generano elevate rendite monopolistiche in alcuni settori e si sussidiano fortemente i trasporti pubblici, le cui tariffe sono mantenute molto basse rispetto ad altri paesi europei. Se infatti in Italia il biglietto ordinario urbano nel 2009 costava in media circa un euro, a Parigi ne costava 1,57, a Berlino 2,10, a Londra 2,75, mentre a Stoccolma addirittura 3,73. (4)
I servizi idrici sono un caso particolare: non presentano complessivamente uno squilibrio finanziario accentuato, ma ciò sembra frutto del sommarsi casuale di casi di elevati sussidi accanto ad altri di elevate rendite. Inoltre, soffrono di un “arretrato” molto elevato di investimenti: circa 50 miliardi di euro necessari, secondo l’indagine 2009 della Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche.

SUSSIDI INCROCIATI SENZA CHIARI MOTIVI

Qual è la razionalità economica e sociale di questa situazione? Creare rendite in alcuni settori per sussidiarne altri è sicuramente inefficiente (si distrugge surplus sociale su entrambi i versanti); tuttavia potrebbe essere giustificato in termini distributivi, se i consumi nei diversi settori concernessero gruppi sociali diversi, o per obiettivi ambientali. Ma per quanto concerne la socialità non sembrano esservi indizi di tali differenze: i trasporti locali in quest’ottica dovrebbero presentare un’utenza prevalentemente a basso reddito, mentre in realtà l’utenza maggiore si concentra nelle grandi città e ha direzione centripeta. Ora, mentre una quota di utenti è sicuramente a basso reddito, non si può ignorare che i centri urbani maggiori vedono anche la concentrazione di lavoro terziario ben retribuito. I lavoratori dell’industria, essendo le loro residenze e i loro luoghi di lavoro localizzati in aree periferiche e a bassa densità, non possono che servirsi prevalentemente dell’automobile privata, che al contrario è pesantemente tassata. L’assenza di una adeguata analisi complessiva dei contenuti redistributivi del servizio più sussidiato è molto grave: induce a ritenere che il sussidio sia più mirato a sostenere l’offerta che non la socialità della domanda. Inoltre, mancano solidi indizi che i servizi che generano rendite (per esempio, autostrade, aeroporti, rifiuti ed elettricità) siano prevalentemente usati da cittadini con redditi più elevati di quelli del trasporto locale.
Per quanto concerne l’efficienza produttiva, le informazioni sono nel complesso inadeguate: per i trasporti locali, per esempio, questa sembra essere bassa se confrontata con quella di altri paesi europei. Ne segue che i benefici finanziari maggiori di una privatizzazione concernerebbero i servizi che generano rendite monopolistiche. (5) Ma ciò avverrebbe solo garantendo ai compratori privati il perpetuarsi di tali rendite, come è avvenuto di fatto per le autostrade e per parte del settore elettrico. Non sembra dunque ragionevole generare cassa a breve con una operazione di questo tipo, che garantirebbe rendite nel lungo periodo a svantaggio del consumatore, se ciò non avviene contestualmente ad una serie di regole ben definite volte a migliorare l’efficienza e/o eliminare gli extra-profitti delle imprese coinvolte (cfr. oltre). Solo per citare un esempio, il Sole-24 Ore ha definito recentemente l’autostrada Serravalle (Roe 9,5 per cento), le cui quote il comune di Milano ha messo in vendita, “un bancomat”. (6)

UN PO’ DI CONCORRENZA PER UN’IDROVORA DI SOLDI PUBBLICI

Emerge quindi la centralità economica dei sussidi ai trasporti locali, che costano alle casse pubbliche più di 4 miliardi all’anno, con tariffe e produttività molto basse. Infatti il settore genera ricavi per 4,4 miliardi e costi per 8,5 miliardi, di cui circa il 75 per cento sono costi per il personale. (7). Tra l’altro, la copertura dei costi operativi attraverso i ricavi da traffico è al di sotto del modesto parametro obiettivo del 35 per cento (Decreto legislativo 442/2007).
Privatizzare il settore “a bocce ferme” avrebbe scarso senso finanziario, se non riducendone drasticamente il livello di sussidio e aprendolo alla concorrenza. Ciò non comporta la rinuncia a tutelare i redditi più bassi: infatti è possibile concentrare i sussidi su tale utenza, fornendo abbonamenti a prezzi politici in modo selettivo. Rimane tuttavia per i trasporti locali l’altro possibile obiettivo che giustificherebbe tariffe basse: la tutela ambientale. Ma le esperienze pratiche e le simulazioni mostrano un calo molto ridotto nell’utilizzo del modo stradale (inquinante e congestionato) in corrispondenza della riduzione delle tariffe nel Tpl: sarebbe allora perfettamente possibile tutelare l’ambiente con meccanismi di tariffazione della congestione, come -si avvia a fare Milano, sull’esempio di Londra: una soluzione più efficiente, efficace ed equa che non puntare sul sussidio generalizzato al trasporto collettivo.
Occorrerebbe poi aprire tutti questi settori, compresi quelli che generano rendite, a meccanismi di competizione per il mercato. Ciò infatti darebbe luogo a una “situazione virtuosa”, se le gare fossero regolate in modo autorevole e indipendente da autorità dedicate: vincerebbero le imprese più efficienti e sottoposte a pressione concorrenziale. I risultati finanziari a breve sarebbero solo quelli derivanti da una drastica riduzione dei sussidi ai trasporti collettivi (portando le tariffe ai livelli medi europei), ma le gare determinerebbero sia rilevanti benefici dalla riduzione dei costi di produzione in un periodo immediatamente successivo, sia la rottura delle gestioni clientelari proprie dell’intero settore, causa prima della sua inefficienza.

(1) Unioncamere (2008), “Le società partecipate dagli enti locali”, Rapporto 2007.
(2) Tali contributi in c/esercizio provengono da enti locali, amministrazioni centrali, Unione Europea, etc.
(3)I dati presentati, elaborati da Unioncamere sono estrapolati dal Registro delle Imprese, vanno comunque analizzati con cautela: in questo settore infatti i dati sono spesso lacunosi, contrastanti e poco dettagliati. Andando a vedere i dati Confservizi utilizzati nella redazione della Relazione Generale sulla situazione economica del paese (6), per l’anno 2005 il risultato d’esercizio negli stessi settori appare invece così suddiviso (valori in milioni di euro): 469 energia elettrica, 352 gas, 204 acqua, -66 TPL, 138 rifiuti, sebbene non venga in alcun modo menzionata la numerosità del campione. In entrambi i casi però, è da notare la mancata menzione delle multiutilities, che invece sono spesso utilizzate dai comuni, di modo da fornire più servizi tramite un’unica impresa. Una terza fonte di dati è il database AIDA del Bureau Van Dyck, nel quale i dati sono più dettagliati, ma la numerosità del campione più bassa.
(4) Asstra-Hermes (2010), “Livello delle tariffe e le strutture tariffare nel trasporto pubblico locale”.
(5) Le stime dei ricavi da privatizzazione delle municipalizzate riportate in questi giorni si aggira attorno ai 30 miliardi: viene ottenuta tenendo conto dell’attivo totale (attorno ai 100 miliardi) e del loro rapporto col debito. Questo può essere vero per l’energia e i rifiuti, ma nel caso dell’acqua (vista la forte necessità di investimenti) e dei trasporti, il dato andrebbe trattato con cautela, visto che oltre il 60 per cento dei ricavi del Tpl si riferisce a trasferimenti pubblici.
(6) Il dato sul Roe della Serravalle è ripreso da Mediobanca (2010), “Le principali società italiane”.
(7) I due dati citati sono contenuti rispettivamente in ministero dell’Economia e delle Finanze (2010), “Relazione generale sulla situazione economica del paese – (2009)”, volume II; e in  Confservizi (2009), “I servizi pubblici locali di natura industriale. Situazione, evoluzione e prospettive generali e settoriali”.

 

 

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