Tra le possibili politiche per ridurre in modo
strutturale il debito pubblico italiano è emersa anche
l'ipotesi di privatizzare i servizi locali e di cedere
partecipazioni. Le risorse degli enti territoriali si
riversano soprattutto nei trasporti locali. Ovvero in un
sistema di "sussidi incrociati", dove si generano
elevate rendite monopolistiche in alcuni ambiti e si
sussidiano i trasporti pubblici. Una privatizzazione del
settore così com'è avrebbe dunque scarso senso
finanziario. Meglio puntare sul drastico
ridimensionamento dei sussidi e sull'apertura alla
concorrenza.
Tra le politiche possibili per ridurre in modo
strutturale il debito pubblico italiano è emersa
anche l’ipotesi di privatizzare i servizi locali e di
cedere partecipazioni. E sono anche state fornite stime,
elevate, dei ricavi possibili: 30 miliardi. Va notato
che le imprese di cui si parla sono principalmente di
proprietà locale, ed in particolare comunale
(capitalismo municipale), pertanto tali privatizzazioni
non avrebbero un impatto diretto sul debito pubblico,
bensì sui bilanci comunali e sull’incidenza del Patto di
Stabilità e Crescita Interno, tramite flussi di cassa
immediati e possibili guadagni di efficienza. Si tratta
essenzialmente di trasporti locali, rifiuti,
elettricità, gas, servizi idrici, ma anche, e
soprattutto, delle partecipazioni in “monopoli
naturali”: autostrade, aeroporti, reti ferroviarie
locali.
PRIVATIZZARE PERCHÉ SIAMO ALLA CANNA DEL GAS?
Se a prima vista il conto economico delle imprese di
servizio pubblico presenta nel complesso un saldo
positivo, è necessario sottolineare che al netto dei
contributi ricevuti tale risultato subirebbe un
peggioramento notevole, soprattutto nel settore dei
trasporti. Vale infatti la pena notare che l’85-90 per
cento dei contributi degli enti locali alle controllate
va alle utilities, di cui il 70 per cento circa
solo al trasporto pubblico locale. (1)
Tab. 1 - Società di capitali
controllate dagli enti locali: distribuzione del
risultato di esercizio e contributi per principali
settori, valori in migliaia di €.
|
N. imprese |
Risultato di esercizio |
Dividendi |
Dividendi
EE.LL. |
Contributi (2) |
|
2003 |
2005 |
2003 |
2005 |
2003 |
2005 |
2003 |
2005 |
2003 |
2005 |
Energia elettrica |
149 |
177 |
425.067 |
464.386 |
225.541 |
326.430 |
129.121 |
182.239 |
19.300 |
16.857 |
Gas |
263 |
283 |
194.426 |
228.054 |
81.383 |
166.801 |
62.310 |
112.253 |
14.169 |
25.922 |
Acqua |
248 |
277 |
220.908 |
380.736 |
163.989 |
284.938 |
138.069 |
184.580 |
89.231 |
108.344 |
Trasporti |
419 |
434 |
139.257 |
171.586 |
22.764 |
40.161 |
16.868 |
31.594 |
391.235 |
901.927 |
Servizi ambientali |
353 |
393 |
40.865 |
51.885 |
17.709 |
22.866 |
13.165 |
16.775 |
23.626 |
31.253 |
Fonte: Unioncamere (2008), dati su 1.432 (anno 2003) e
1.564 (anno 2005) imprese su un totale di 4.604 (anno
2003) e 4.784 (anno 2005) controllate locali
(3).
La situazione complessiva sembra quella di un vistoso
sistema di “sussidi incrociati”: si generano
elevate rendite monopolistiche in alcuni settori e si
sussidiano fortemente i trasporti pubblici, le cui
tariffe sono mantenute molto basse rispetto ad altri
paesi europei. Se infatti in Italia il biglietto
ordinario urbano nel 2009 costava in media circa un
euro, a Parigi ne costava 1,57, a Berlino 2,10, a Londra
2,75, mentre a Stoccolma addirittura 3,73. (4)
I servizi idrici sono un caso particolare: non
presentano complessivamente uno squilibrio finanziario
accentuato, ma ciò sembra frutto del sommarsi casuale di
casi di elevati sussidi accanto ad altri di elevate
rendite. Inoltre, soffrono di un “arretrato” molto
elevato di investimenti: circa 50 miliardi di euro
necessari, secondo l’indagine 2009 della Commissione
nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche.
SUSSIDI INCROCIATI SENZA CHIARI MOTIVI
Qual è la razionalità economica e sociale di questa
situazione? Creare rendite in alcuni settori per
sussidiarne altri è sicuramente inefficiente (si
distrugge surplus sociale su entrambi i versanti);
tuttavia potrebbe essere giustificato in termini
distributivi, se i consumi nei diversi settori
concernessero gruppi sociali diversi, o per
obiettivi ambientali. Ma per quanto concerne la
socialità non sembrano esservi indizi di tali
differenze: i trasporti locali in quest’ottica
dovrebbero presentare un’utenza prevalentemente a basso
reddito, mentre in realtà l’utenza maggiore si concentra
nelle grandi città e ha direzione centripeta. Ora,
mentre una quota di utenti è sicuramente a basso
reddito, non si può ignorare che i centri urbani
maggiori vedono anche la concentrazione di lavoro
terziario ben retribuito. I lavoratori dell’industria,
essendo le loro residenze e i loro luoghi di lavoro
localizzati in aree periferiche e a bassa densità, non
possono che servirsi prevalentemente dell’automobile
privata, che al contrario è pesantemente tassata.
L’assenza di una adeguata analisi complessiva dei
contenuti redistributivi del servizio più sussidiato
è molto grave: induce a ritenere che il sussidio sia più
mirato a sostenere l’offerta che non la socialità della
domanda. Inoltre, mancano solidi indizi che i servizi
che generano rendite (per esempio, autostrade,
aeroporti, rifiuti ed elettricità) siano prevalentemente
usati da cittadini con redditi più elevati di quelli del
trasporto locale.
Per quanto concerne l’efficienza produttiva, le
informazioni sono nel complesso inadeguate: per i
trasporti locali, per esempio, questa sembra essere
bassa se confrontata con quella di altri paesi europei.
Ne segue che i benefici finanziari maggiori di una
privatizzazione concernerebbero i servizi che generano
rendite monopolistiche. (5) Ma ciò avverrebbe
solo garantendo ai compratori privati il perpetuarsi di
tali rendite, come è avvenuto di fatto per le autostrade
e per parte del settore elettrico. Non sembra dunque
ragionevole generare cassa a breve con una operazione di
questo tipo, che garantirebbe rendite nel lungo periodo
a svantaggio del consumatore, se ciò non avviene
contestualmente ad una serie di regole ben definite
volte a migliorare l’efficienza e/o eliminare gli
extra-profitti delle imprese coinvolte (cfr. oltre).
Solo per citare un esempio, il Sole-24 Ore ha definito
recentemente l’autostrada Serravalle (Roe 9,5 per
cento), le cui quote il comune di Milano ha messo in
vendita, “un bancomat”. (6)
UN PO’ DI CONCORRENZA PER UN’IDROVORA DI SOLDI PUBBLICI
Emerge quindi la centralità economica dei sussidi
ai trasporti locali, che costano alle casse pubbliche
più di 4 miliardi all’anno, con tariffe e produttività
molto basse. Infatti il settore genera ricavi per 4,4
miliardi e costi per 8,5 miliardi, di cui circa il 75
per cento sono costi per il personale. (7). Tra
l’altro, la copertura dei costi operativi attraverso i
ricavi da traffico è al di sotto del modesto parametro
obiettivo del 35 per cento (Decreto legislativo
442/2007).
Privatizzare il settore “a bocce ferme” avrebbe scarso
senso finanziario, se non riducendone drasticamente il
livello di sussidio e aprendolo alla concorrenza. Ciò
non comporta la rinuncia a tutelare i redditi più bassi:
infatti è possibile concentrare i sussidi su tale
utenza, fornendo abbonamenti a prezzi politici in modo
selettivo. Rimane tuttavia per i trasporti locali
l’altro possibile obiettivo che giustificherebbe tariffe
basse: la tutela ambientale. Ma le esperienze pratiche e
le simulazioni mostrano un calo molto ridotto
nell’utilizzo del modo stradale (inquinante e
congestionato) in corrispondenza della riduzione delle
tariffe nel Tpl: sarebbe allora perfettamente possibile
tutelare l’ambiente con meccanismi di tariffazione della
congestione, come -si avvia a fare Milano, sull’esempio
di Londra: una soluzione più efficiente, efficace ed
equa che non puntare sul sussidio generalizzato al
trasporto collettivo.
Occorrerebbe poi aprire tutti questi settori, compresi
quelli che generano rendite, a meccanismi di
competizione per il mercato. Ciò infatti darebbe
luogo a una “situazione virtuosa”, se le gare fossero
regolate in modo autorevole e indipendente da autorità
dedicate: vincerebbero le imprese più efficienti e
sottoposte a pressione concorrenziale. I risultati
finanziari a breve sarebbero solo quelli derivanti da
una drastica riduzione dei sussidi ai trasporti
collettivi (portando le tariffe ai livelli medi
europei), ma le gare determinerebbero sia rilevanti
benefici dalla riduzione dei costi di produzione in un
periodo immediatamente successivo, sia la rottura delle
gestioni clientelari proprie dell’intero settore, causa
prima della sua inefficienza.
(1)
Unioncamere (2008), “Le società partecipate dagli enti
locali”, Rapporto 2007.
(2) Tali contributi in c/esercizio provengono da
enti locali, amministrazioni centrali, Unione Europea,
etc.
(3)I dati presentati, elaborati da Unioncamere
sono estrapolati dal Registro delle Imprese, vanno
comunque analizzati con cautela: in questo settore
infatti i dati sono spesso lacunosi, contrastanti e poco
dettagliati. Andando a vedere i dati Confservizi
utilizzati nella redazione della Relazione Generale
sulla situazione economica del paese (6), per l’anno
2005 il risultato d’esercizio negli stessi settori
appare invece così suddiviso (valori in milioni di
euro): 469 energia elettrica, 352 gas, 204 acqua, -66
TPL, 138 rifiuti, sebbene non venga in alcun modo
menzionata la numerosità del campione. In entrambi i
casi però, è da notare la mancata menzione delle
multiutilities, che invece sono spesso utilizzate dai
comuni, di modo da fornire più servizi tramite un’unica
impresa. Una terza fonte di dati è il database AIDA del
Bureau Van Dyck, nel quale i dati sono più dettagliati,
ma la numerosità del campione più bassa.
(4) Asstra-Hermes (2010), “Livello delle tariffe
e le strutture tariffare nel trasporto pubblico locale”.
(5) Le stime dei ricavi da privatizzazione delle
municipalizzate riportate in questi giorni si aggira
attorno ai 30 miliardi: viene ottenuta tenendo conto
dell’attivo totale (attorno ai 100 miliardi) e del loro
rapporto col debito. Questo può essere vero per
l’energia e i rifiuti, ma nel caso dell’acqua (vista la
forte necessità di investimenti) e dei trasporti, il
dato andrebbe trattato con cautela, visto che oltre il
60 per cento dei ricavi del Tpl si riferisce a
trasferimenti pubblici.
(6) Il dato sul Roe della Serravalle è ripreso da
Mediobanca (2010), “Le principali società italiane”.
(7) I due dati citati sono contenuti
rispettivamente in ministero dell’Economia e delle
Finanze (2010), “Relazione generale sulla situazione
economica del paese – (2009)”, volume II; e in
Confservizi (2009), “I servizi pubblici locali di natura
industriale. Situazione, evoluzione e prospettive
generali e settoriali”.
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