(Antonino Ciavola)
La legge professionale forense si
avvia a compiere il suo 78° compleanno; è stata
approvata con R.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578,
convertito in L. 22 gennaio 1934 n. 36.
Fin dal secondo dopoguerra si
discute della sua possibile modifica, che da alcuni anni
sembra essere diventata indispensabile.
La riforma è oggi all’esame del
Parlamento ed è stata preceduta da una norma che,
sebbene inserita in un decreto legge di manovra
finanziaria, ne ha tracciato le linee guida.
Sommario:
Legge quadro o legge speciale
Le linee guida della riforma
Accesso alla professione
Formazione permanente
Determinazione del compenso
Assicurazione obbligatoria
Organi di disciplina
Pubblicità e informazione
Conclusione - i punti mancanti.
Legge quadro o legge speciale
Da tanti anni si discute se la
riforma dell’ordinamento forense debba avvenire con una
legge “dedicata” ovvero debba essere preceduta da una
generale legge quadro riguardante tutte le professioni,
riservando poi ad altra fonte normativa la
regolamentazione di dettaglio.
La questione è stata risolta nel
secondo senso, poichè oggi esiste la legge quadro ed è
l’art. 3 del Decreto Legge 13 agosto 2011 n. 138,
convertito in Legge 14 settembre 2011, n. 148.
Il titolo II del Decreto è
intitolato “Liberalizzazioni, privatizzazioni ed altre
misure per favorire lo sviluppo”, mentre l’art. 3 è
rubricato con Abrogazione delle indebite restrizioni
all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle
attività economiche.
Conviene quindi esaminare
partitamente il contenuto dell’art. 3 poichè, se la
legislazione ha una sua logica, la nuova legge
professionale dovrà rispondere alle linee guida che
questa legge quadro ha tracciato.
Non mi sembra il caso di contestare
il metodo seguito, quello della decretazione d’urgenza:
può darsi che anche la disciplina definitiva sia
introdotta nell’ordinamento con questo strumento, e ciò
sarebbe in linea con la normativa vigente che, 78 anni
fa, fu approvata proprio con un regio decreto legge!
Non ritengo nemmeno che si possa
invocare la specialità della legge successiva in caso di
conflitto con quella anteriore poichè, come detto,
l’art. 3 è definito come norma principale e una
normativa di dettaglio radicalmente difforme
costituirebbe soltanto un cattivo esempio di
schizofrenia legislativa.
Le linee guida della riforma
I primi 4 commi dell’art. 3 si
riferiscono all’attività economica delle imprese e non
riguardano le professioni, alle quali è dedicato il
comma 5.
Ciò è chiarito dal successivo comma
6 che così testualmente recita: Fermo quanto previsto
dal comma 5 per le professioni, l'accesso alle attività
economiche e il loro esercizio si basano sul principio
di libertà di impresa.
E’ inoltre dimostrato dai commi
successivi (da 7 a 11) che sono espressamente dedicati
ad attività economiche diverse da quelle professionali.
E’ da notare, a nuova conferma di
quanto sopra detto, che il comma 9, che stabilisce la
definizione del termine restrizione, alla lettera d)
faceva riferimento alle sedi deputate all’esercizio
della professione o di una attività economica, ma in
sede di conversione sono state espunte le parole della
professione o che evidentemente erano frutto di un
refuso.
Occorre a questo punto esaminare
partitamente le previsioni del V comma.
5. Fermo restando l'esame di Stato
di cui all'articolo 33 quinto comma della Costituzione
per l'accesso alle professioni regolamentate, gli
ordinamenti professionali devono garantire che
l'esercizio dell'attività risponda senza eccezioni ai
principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa
dei professionisti su tutto il territorio nazionale,
alla differenziazione e pluralità di offerta che
garantisca l'effettiva possibilità di scelta degli
utenti nell'ambito della più ampia informazione
relativamente ai servizi offerti.
Questa prima parte conferma la
necessità dell’esame di Stato nonchè il mantenimento
degli ordinamenti professionali, che dovranno essere
riformati senza che ciò possa intaccare la struttura
ordinistica, come da qualche parte era stato ventilato.
I principi di libera concorrenza
sono di chiara derivazione comunitaria mentre la
presenza diffusa dei professionisti su tutto il
territorio nazionale non costituisce una novità per gli
avvocati, il cui titolo li abilita già ad esercitare
senza limitazione di sede.
Il riferimento alla
differenziazione e pluralità di offerta nell’ambito di
un’ampia informazione, come vedremo tra breve, introduce
un importante chiarimento.
La natura di legge quadro sopra
indicata è resa evidente da questo passaggio:
Gli ordinamenti professionali
dovranno essere riformati entro 12 mesi dalla data di
entrata in vigore del presente decreto per recepire i
seguenti principi:
Il legislatore ha evidentemente
dettato i criteri fondamentali ma – passaggio importante
– li ha dettati a se stesso; infatti non vi è alcuna
delega legislativa al Governo nè è possibile che un
ordinamento professionale sia riformato mediante norme
di rango secondario.
Dovrà essere quindi una nuova legge
ordinaria ad attuare nel dettaglio quei principi
fondamentali che andiamo a esaminare.
Accesso alla professione
a) l'accesso alla professione è
libero e il suo esercizio è fondato e ordinato
sull'autonomia e sull'indipendenza di giudizio,
intellettuale e tecnica, del professionista.
Negli ultimi anni si è spesso
parlato, anche a sproposito, di una presunta
assimilazione dell’attività professionale all’attività
di impresa.
Ciò perchè, malgrado il nostro
codice civile distingua espressamente l’imprenditore dal
professionista intellettuale (al quale sono dedicati gli
articoli 2229 - 2237 cod. civ.), considerando l’ipotesi
della professione organizzata in forma di impresa come
residuale (art. 2238), qualcuno sostiene che la
normativa europea imporrebbe una piena equiparazione.
Non è questa la sede per affrontare
compiutamente la questione: basterà ricordare che anche
l’unione europea considera l’attività professionale
distinta e specifica rispetto a quella di impresa, ma ne
pretende l’equiparazione ai soli fini della libertà di
concorrenza, essendo questa necessaria per l’esercizio
proficuo di qualunque attività economica.
La netta differenza tra professione
e impresa è presente anche nelle norme interne più
recenti: basti pensare che l’IRAP non è dovuta da tutti
i professionisti ma soltanto (così ha precisato la Corte
Costituzionale) da chi abbia una struttura
imprenditoriale nella quale l’attività intellettuale
personale passa in secondo piano.
Il legislatore odierno segue la
stessa scia indicando come principi cardine l’autonomia
e l’indipendenza di giudizio, sia intellettuale che
tecnica, del professionista.
Sono termini chiarissimi e
vincolanti per l’attività che il Parlamento svolge in
questi giorni: i riferimenti all’autonomia e
all’indipendenza ricordano decenni di giurisprudenza
della Cassazione e confermano che non potrà esserci un
avvocato che contemporaneamente sia stipendiato da
soggetti pubblici o privati, nè potrà esserci un
avvocato che costituisca società di capitali con
soggetti non professionisti, poichè ciò sarebbe in
palese contrasto con gli alti principi sopra scolpiti.
La limitazione, in forza di una
disposizione di legge, del numero di persone che sono
titolate ad esercitare una certa professione in tutto il
territorio dello Stato o in una certa area geografica, è
consentita unicamente laddove essa risponda a ragioni di
interesse pubblico, tra cui in particolare quelle
connesse alla tutela della salute umana, e non introduca
una discriminazione diretta o indiretta basata sulla
nazionalità o, in caso di esercizio dell'attività in
forma societaria, della sede legale della società
professionale.
Come è noto, si ritiene attualmente
che l’accesso alla professione di avvocato non possa
essere sottoposto a limitazioni numeriche (numero
chiuso) poichè ciò contrasterebbe con i principi
dell’Unione Europea.
Anche queste affermazioni non
sembrano sufficientemente meditate, poichè le norme
europee indicano invece un percorso esattamente analogo
rispetto a quello voluto dal nostro legislatore e sopra
indicato.
Ciò che l’Europa desidera è che non
si pongano ingiustificate limitazioni corporative (per
essere chiari: meno siamo e più guadagniamo) oppure
basate sulla nazionalità.
Sulla questione, sommariamente,
faccio due considerazioni.
La prima, che gli esami di
abilitazione alla professione di avvocato erano
previsti, in origine, a numero chiuso, e tale numero era
basato sul fabbisogno di professionisti legali riferito
al numero degli abitanti e al carico giudiziario dei
singoli distretti di corte d’appello.
La suddetta previsione è ancora
vigente, ma è temporaneamente sospesa da 57 anni (!!) in
forza del D.lgs. lgt. 7 settembre 1944, n. 215.
La seconda, che il legislatore di
questa estate 2011, nel convertire il decreto legge in
argomento, ha inserito a sorpresa una norma non prevista
relativa alla riduzione e revisione degli uffici
giudiziari sul territorio.
Uno dei criteri che il Governo
dovrà seguire riguarda proprio l’estensione del
territorio, il numero degli abitanti, i carichi di
lavoro e l’indice delle sopravvenienze.
Analoghi criteri potrebbero essere
seguiti per limitare il numero degli avvocati avendo
cura però, a mio parere, di non penalizzare i giovani
aspiranti, ma di riqualificare l’intera categoria
professionale con riferimento al rispetto delle norme
deontologiche e all’aggiornamento.
Introdurre limitazioni
esclusivamente all’accesso dei giovani, conservando per
il resto l’esistente, sarebbe un errore imperdonabile.
Come illustrerò tra breve, il
costante aggiornamento, la tutela del cliente con
l’assicurazione obbligatoria e un nuovo organo di
disciplina sono finalizzati a un innalzamento della
qualità che dovrebbe condurre a una riduzione del numero
degli iscritti, ma senza ingiustificate barriere diverse
da quelle culturali e senza quelle limitazioni basate
sul censo, pure previste da un disegno di legge
attualmente in discussione.
Il criterio è chiaro, non è inutile
ripeterlo: l'accesso alla professione è libero e il suo
esercizio è fondato e ordinato sull'autonomia e
sull'indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica,
del professionista.
Manca il riferimento alla
deontologia. Ma non serve, perchè è già previsto
altrove.
Per superare l’esame di Stato i
candidati devono dimostrare la conoscenza
dell’Ordinamento Forense e dei diritti e doveri
dell’Avvocato (art. 17 bis R.d. 22 gennaio 1934, n. 371,
Norme integrative e di attuazione del R.d.l. 27 novembre
1933, n. 1578, sull'ordinamento della professione di
avvocato).
Questa è la qualità del
professionista forense, questo è ciò che garantisce il
destinatario della prestazione, cliente o consumatore
che si voglia chiamare. E mi auguro che il Legislatore,
nella normativa specifica che adotterà, confermi e
potenzi questa indicazione.
Formazione permanente
b) previsione dell'obbligo per il
professionista di seguire percorsi di formazione
continua permanente predisposti sulla base di appositi
regolamenti emanati dai consigli nazionali, fermo
restando quanto previsto dalla normativa vigente in
materia di educazione continua in medicina (ECM). La
violazione dell'obbligo di formazione continua determina
un illecito disciplinare e come tale è sanzionato sulla
base di quanto stabilito dall'ordinamento professionale
che dovrà integrare tale previsione.
Questa parte della norma legifica
quanto già previsto nel codice deontologico forense e
nel regolamento per la formazione continua approvato dal
CNF.
Nessuna novità, quindi, per le
professioni che si sono dotate di questo strumento di
aggiornamento, se non il riferimento chiaro e
determinato all’illecito disciplinare, con una
tipizzazione finalizzata a non lasciare molto spazio
discrezionale agli organi di disciplina.
c) la disciplina del tirocinio per
l'accesso alla professione deve conformarsi a criteri
che garantiscano l'effettivo svolgimento dell'attività
formativa e il suo adeguamento costante all'esigenza di
assicurare il miglior esercizio della professione. Al
tirocinante dovrà essere corrisposto un equo compenso di
natura indennitaria, commisurato al suo concreto
apporto. Al fine di accelerare l'accesso al mondo del
lavoro, la durata del tirocinio non potrà essere
complessivamente superiore a tre anni e potrà essere
svolto, in presenza di una apposita convenzione quadro
stipulata fra i Consigli Nazionali e il Ministero
dell'Istruzione, Università e Ricerca, in concomitanza
al corso di studio per il conseguimento della laurea di
primo livello o della laurea magistrale o specialistica.
Le disposizioni della presente lettera non si applicano
alle professioni sanitarie per le quali resta confermata
la normativa vigente.
Anche in questo caso, per quanto
riguarda la professione forense, le indicazioni del
legislatore rispecchiano quanto già attuato.
In particolare, i criteri che
garantiscono l’effettivo svolgimento dell’attività
formativa sono già previsti e in molti fori applicati
(libretti per il controllo della pratica, colloqui ed
altro), mentre il grande nodo irrisolto è quello del
compenso al praticante, già previsto in maniera assai
generica dall’art. 26 del codice deontologico e qui
indicato con le stesse parole e cioè commisurato al suo
concreto apporto.
Il punto è: chi deve stabilire
quanto vale il concreto apporto?
Ritengo che l’unica strada
percorribile sia quella di un contratto di apprendistato
con precisi parametri salariali e con il concorso di
fondi pubblici: questo potrebbe giustificare una
limitazione numerica ma soprattutto garantirebbe al
praticante una concreta possibilità di inserimento al
mondo del lavoro.
Determinazione del compenso
d) il compenso spettante al
professionista è pattuito per iscritto all'atto del
conferimento dell'incarico professionale prendendo come
riferimento le tariffe professionali. E' ammessa la
pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe.
Il professionista è tenuto, nel rispetto del principio
di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello
della complessità dell'incarico, fornendo tutte le
informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal
momento del conferimento alla conclusione dell'incarico.
In caso di mancata determinazione consensuale del
compenso, quando il committente è un ente pubblico, in
caso di liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei
casi in cui la prestazione professionale è resa
nell'interesse dei terzi si applicano le tariffe
professionali stabilite con decreto dal Ministro della
Giustizia.
Questa parte della norma non è di
facile interpretazione.
Occorre ricordare che la normativa
codicistica (art. 2233 cod. civ.) pone al primo posto
tra i criteri di determinazione del compenso la
convenzione tra le parti, e solo al secondo posto la
tariffa professionale.
Il Decreto Bersani spingeva nella
direzione della determinazione consensuale, forfettaria
ed omnicomprensiva del prezzo della prestazione, ma
nella pratica ciò non ha avuto seguito e le parti del
rapporto professionale, di norma, continuano ad
affidarsi alle tariffe.
La nuova disposizione potrebbe
intendersi nel senso dell’obbligo di redigere un
preventivo basato sulla tariffa e sul prevedibile
svolgimento dell’incarico, pattuendo per iscritto un
compenso forfettario.
Questa interpretazione darebbe un
senso alle frasi successive che prevedono l’applicazione
della tariffa solo quando il committente è un ente
pubblico ovvero in caso di liquidazione giudiziale.
In sostanza, seguendo
l’impostazione tracciata dal Decreto Bersani, nel
rapporto con i privati la tariffa sarebbe soltanto un
parametro per preventivare il costo della prestazione,
la cui concreta determinazione dovrebbe essere pattuita
tra le parti in una misura predeterminata prima
dell’inizio della prestazione.
E’ interessante notare come la
norma in argomento estenda l’obbligo di pattuire il
compenso per iscritto a tutti i professionisti, mentre
il Decreto Bersani, modificando il comma 3 dell’art.
2233 cod. civ., si riferiva soltanto ai professionisti
forensi.
Assicurazione obbligatoria
e) a tutela del cliente, il
professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione
per i rischi derivanti dall’esercizio dell'attività
professionale. Il professionista deve rendere noti al
cliente, al momento dell’assunzione dell'incarico, gli
estremi della polizza stipulata per la responsabilità
professionale e il relativo massimale. Le condizioni
generali delle polizze assicurative di cui al presente
comma possono essere negoziate, in convenzione con i
propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti
previdenziali dei professionisti.
Con questa norma si introduce
l’obbligo a carico di tutti i professionisti di
stipulare una polizza assicurativa, informando il
cliente dell’importo del relativo massimale.
E’ una disposizione largamente
annunciata che da un lato comporterà un aumento dei
costi di gestione degli studi, ma dall’altro dovrebbe
assicurare ai professionisti una maggiore serenità in
tutte le ipotesi di prestazioni complesse o di rapporti
conflittuali con i clienti.
Organi di disciplina
f) gli ordinamenti professionali
dovranno prevedere l'istituzione di organi a livello
territoriale, diversi da quelli aventi funzioni
amministrative, ai quali sono specificamente affidate
l'istruzione e la decisione delle questioni disciplinari
e di un organo nazionale di disciplina. La carica di
consigliere dell'Ordine territoriale o di consigliere
nazionale è incompatibile con quella di membro dei
consigli di disciplina nazionali e territoriali. Le
disposizioni della presente lettera non si applicano
alle professioni sanitarie per le quali resta confermata
la normativa vigente.
La modifica del sistema
disciplinare, considerato meritevole di giurisdizione
domestica a tutela dell’indipendenza della professione,
è stata oggetto di innumerevoli convegni e proposte di
legge.
Da più parti si è ipotizzata la
soppressione degli ordini professionali oppure la
sottrazione agli stessi del potere disciplinare, che
secondo una diffusa opinione è mal esercitato.
Questo rischio è scongiurato,
perché gli Ordini restano e mantengono la giurisdizione
sui propri iscritti; ciò non significa che il problema
sia risolto.
Lasciamo spazio ai numeri e
verifichiamo che il Consiglio Nazionale Forense, nella
sua relazione per l’anno 2009, dichiara di aver trattato
circa 400 ricorsi in materia disciplinare.
Se pensiamo che gli avvocati sono
oltre 230.000 e che ogni anno i ricorsi disciplinari
presentati dai cittadini o da altri colleghi ai Consigli
dell’Ordine sono decine di migliaia, il dato è
preoccupante.
Significa che, a fronte di decine
di migliaia di lamentele, solo poche centinaia si
concludono con l’irrogazione di una sanzione
disciplinare.
Quella che arriva al CNF è infatti
la punta dell’iceberg e cioè i pochi provvedimenti di
condanna impugnati dagli incolpati, giacchè il privato
non ha potere di impugnazione mentre il ricorso del P.M.
nell’interesse della legge è di fatto rarissimo.
Nelle altre professioni i numeri
sono addirittura molto più bassi.
La ragione del cattivo
funzionamento del sistema disciplinare interno è da
ricercarsi, a mio parere, nel sistema elettorale dei
Consigli dell’Ordine che, consentendo l’elezione senza
alcun limite di mandato, finisce per favorire la
creazione di sistemi clientelari che influiscono anche
sulla gestione dei procedimenti disciplinari.
Ciò non riguarda soltanto la fase
decisoria, ma molto più spesso quella istruttoria che
vede archiviazioni, non impugnabili da alcuno, in
situazioni che meriterebbero maggiore approfondimento.
L’avvocatura non è mai riuscita a
proporre una soluzione condivisa, e come emblema di
quanto sopra illustrato ricordo la conferenza nazionale
del 2000 organizzata dall’OUA a Riva del Garda.
In quella occasione si discuteva
della istituzione di un organo distrettuale di
disciplina i cui componenti fossero diversi dai
consiglieri degli ordini.
Non si trovò una soluzione
condivisa poichè la platea si divise in due fazioni: gli
ordini minori che non volevano perdere l’esercizio della
funzione disciplinare e, dall’altra parte, gli ordini
maggiori che, avendo la sede coincidente con quella
distrettuale, avrebbero potuto gestire il potere
disciplinare sull’intero territorio del distretto.
Il precedente dimostra che non
basta istituire un organo diverso e rendere i suoi
membri incompatibili con i consiglieri che svolgono
funzioni amministrative, ma occorre una riforma più
profonda dei Consigli dell’ordine che, limitando nel
tempo la possibilità di restare in carica, ritorni al
principio del servizio piuttosto che a quello di
gestione del potere.
La norma in commento fa riferimento
a organi a livello territoriale e quindi il legislatore
potrà istituire il consiglio di disciplina scegliendo se
mantenere l’azione disciplinare all’interno di ogni
singolo circondario ovvero a livello distrettuale;
tuttavia questa riforma, certamente opportuna, deve
essere completata con la revisione del sistema
elettorale che preveda un limite di mandato.
Pubblicità e informazione
g) la pubblicità informativa, con
ogni mezzo, avente ad oggetto l'attività professionale,
le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti,
la struttura dello studio ed i compensi delle
prestazioni, è libera. Le informazioni devono essere
trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere
equivoche, ingannevoli, denigratorie.
Molta acqua è passata sotto i ponti
da quando John R. Bates vinse la causa contro il proprio
ordine forense, ottenendo una sentenza che dichiarava
legittimo il suo annuncio pubblicitario.
Da allora (era il 1977) anche
l’Europa si è interrogata sulla possibilità di
consentire la pubblicità delle prestazioni
professionali, e inizialmente si è creata una frattura
tra gli Stati del nord che per primi l’hanno consentita
(Inghilterra, Norvegia, Olanda e altri) e quelli del sud
che continuavano a vietarla (Italia, Grecia e Spagna).
Pressato dall’Autorità garante
della concorrenza, il CNF ha aperto le porte
all’informazione sui servizi svolti, ma nel 2006 è
arrivata la ventata liberalizzatrice del Decreto
Bersani, che ha abrogato tutte le norme limitative della
pubblicità professionale.
Il dibattito non è cessato perchè
si è continuato a discutere sulla distinzione tra
pubblicità commerciale e pubblicità informativa.
Pur nella fretta di una manovra
estiva, il legislatore sembra aver trovato il giusto
punto di equilibrio.
Non è tanto importante la
definizione di pubblicità informativa, quanto
l’indicazione dell’oggetto possibile.
Si potranno infatti pubblicizzare
l’attività professionale, la specializzazione, la
struttura dello studio e i compensi delle prestazioni:
nient’altro.
Rileggiamo l’annuncio dell’avvocato
John R. Bates:
Avete bisogno di un avvocato?
Servizi legali a prezzi ragionevoli. Divorzio o
separazione $175,00.
L’annuncio pubblicizza l’attività
professionale (servizi legali), il titolo posseduto
(avvocato), il prezzo della prestazione.
Una simile pubblicità sarebbe
lecita anche da noi e lo sarebbe stata anche negli anni
precedenti, poichè il Decreto Bersani la consentiva
espressamente e senza limiti.
Ipotizziamo un altro esempio:
Sono il migliore avvocato del
mondo. Con me la causa è certamente vinta. Prezzi
modici.
A prescindere dal contenuto del
messaggio, che è equivoco, ingannevole e non veritiero
(non esiste una causa sicuramente vinta), vi sono
elementi non suscettibili di valutazione discrezionale
che, alla luce della nuova disposizione, lo rendono
sicuramente vietato.
L’annuncio sopra ipotizzato non
riguarda l’attività professionale, la struttura dello
studio e i compensi delle prestazioni.
Il riferimento al compenso deve
essere determinato con indicazione della cifra, come
fece l’avvocato Bates, oppure determinabile (applico
sempre i minimi di tariffa); non può certo essere
generico nè evidenziare qualità del professionista prive
di oggettività e non verificabili.
Il legislatore, in poche righe, ci
ha chiarito la differenza tra la pubblicità commerciale
(più bianco non si può) e quella informativa, che deve
essere limitata ai dati specifici sopra indicati.
Conclusione – i punti mancanti
A dispetto delle numerose critiche,
il testo mi sembra un ottimo punto di partenza, anche se
giocoforza non tratta alcune questioni fondamentali, che
dovranno essere affrontate dalla legge di dettaglio.
Legge che dovrà affrontare il tema
della consulenza esclusiva, da riservare ai
professionisti iscritti negli albi: essi garantiscono
non solo la maggior qualità della prestazione, ma
(grazie all’assicurazione obbligatoria) anche una
garanzia in caso di errori professionali.
Della riforma del sistema
elettorale dei Consigli dell’Ordine ho già detto: senza
un controllo serio ed efficace dei comportamenti, la
ventata liberalizzatrice rischia di condurre a una
giungla governata solo dall’avidità di denaro.
E a proposito di denaro, mi aspetto
una prova di forza del Legislatore che risolva la
questione della generazione 1000 euro (questo è un film,
nella realtà sono anche 300 euro): gli avvocati che,
senza alcuna garanzia di stabilità ma con tutti gli
oneri (dalla Cassa forense alla nuova assicurazione
obbligatoria) lavorano come parasubordinati presso un
altro avvocato.
Vogliamo pensare anche a loro?
Articolo di Antonino Ciavola) |