Marzario Margherita
Abstract: L’autrice presenta, in
una sintesi multidisciplinare, l’attualità dell’istituto
matrimoniale attraverso i suoi momenti fondanti,
illustrandone il significato con l’ausilio di alcune
parole chiave.
“Il matrimonio, dunque … un
problema. Divenuto problematico, ai giorni nostri, come
tutto il resto. I nostri nonni, beati loro, non
l’avrebbero capito. Sono brutti tempi, i nostri, in cui
le cose più necessarie, gli ordinamenti più elementari
sembrano divenire impossibili dal di dentro,
dall’istinto stesso dell’uomo, che di per se stesso è un
essere problematico, legato alla natura, obbligato verso
lo spirito, una creatura vessata dalla propria
coscienza, costretta all’ideale e all’assurdo, con la
tendenza a segare sempre il ramo sul quale è seduta”.
Quello che scriveva lo scrittore tedesco Thomas Mann nel
‘900 (“Lettera sul Matrimonio”, Il Saggiatore, Milano,
1958) è ancor più vero oggi, periodo in cui il
matrimonio è stato investito dalla crisi istituzionale e
generale. Allora che significa sposarsi oggi? Si può
provare a rispondere usando le lettere che compongono la
parola “matrimonio” come una sorta di acrostico della
vita matrimoniale.
Maturità di età, infatti non ci si
può sposare prima dei 16 anni (art. 84 cod. civ.), e
maturità del sentimento, nel nostro ordinamento a
differenza di altri non ci si può sposare dall’oggi al
domani senza le preventive pubblicazioni o con l’accordo
dei genitori. Il matrimonio è mediazione e non, come si
dice comunemente, compromesso. Mediazione che
corrisponde a quello che si dice nel linguaggio comune
“trovare la propria metà” e a “comunione spirituale e
materiale” espressa negli artt. 1 e 2 della legge 1
dicembre 1970 n. 898 “Disciplina dei casi di
scioglimento del matrimonio”. Materiale (dal latino
“mater”, madre) non nel senso venale ma inteso come
tutto ciò che è per la sostanza della vita. Questo è il
significato contenuto nell’etimologia di matrimonio, -
dal latino “mater”, madre e “munus”, impegno o dono -,
condivisione della maternità non necessariamente fisica
ma intesa come fonte di vita. Il matrimonio stesso è un
“munere” (contenuto anche nell’etimologia di
“comunione”), impegno e dono. E’ questo il significato
di coniuge (dal latino “cum”, con e “iugum”, giogo),
“uniti nella buona e nella cattiva sorte”. Sulla base di
questi presupposti dalla coniugalità può nascere la
genitorialità che è una metamorfosi della coppia
coniugale in coppia genitoriale e non una forma di
egoismo, o il superamento di proprie frustrazioni, o la
realizzazione di sogni infantili.
Acquisizione di diritti e
assunzione di doveri da attuare (art. 144 cod. civ.) e
da adempiere (art. 148 cod. civ.). In caso di
inadempimento si può profilare la fattispecie della
simulazione del matrimonio (art. 123 cod. civ.) o
l’addebito in caso di separazione dei coniugi (art. 151
comma 2 cod. civ.) o l’intervento giudiziale a tutela
dei figli (artt. 330 e ss. cod. civ.). Diritti e doveri,
quindi, e non aspettative che se disattese possono
essere causa di crisi, come spesso avviene. Appartenenza
non nel senso negativo di possesso ma nel senso di
prendere parte l’uno della vita dell’altra, come nel
significato di “consorte”, dal latino “cum”, insieme e
“sors”, sorte, “partecipe di ugual sorte”. Il matrimonio
è oggetto dell’antropologia del matrimonio come
espressione, sublimazione dell’umanità. Il matrimonio è
accoglienza (dal latino “ad colligere”, raccogliere,
riunire, tirar su o a sé, mettere insieme), tanto che
nel nuovo rito del matrimonio cattolico e concordatario
si ripete “io, …, accolgo te”, in luogo della formula
“io, …, prendo te”. L’espressione accoglienza ingloba
tutti e quattro i doveri che scaturiscono dal
matrimonio: fedeltà, assistenza morale e materiale,
collaborazione e coabitazione. Quest’ultimo dovere è
stato posposto agli altri nella riforma del diritto di
famiglia non perché sia stato declassato ma perché
comprende i doveri precedenti. Il dovere di condividere
la stessa abitazione non si riferisce solo fisicamente
alla stessa casa quanto alla condivisione della
quotidianità (dal verbo latino “habitare”, frequentativo
di “habere”, quindi col significato di “continuare ad
avere, avere consuetudine in un luogo, fermarsi”), alla
convivialità, alla commensalità, aspetti spesso
trascurati. Il matrimonio si basa sull’affinità (dal
latino “ad”, verso e “finis”, confine, quindi
somiglianza, conformità) non solo in termini progettuali
col coniuge ma anche in via generale con la sua famiglia
d’origine perché ognuno è portatore del patrimonio
educativo e psicologico derivante dalla famiglia
(sistema familiare d’origine, S.F.O.). Affinità, quindi,
non è solo il vincolo giuridico che nasce con i parenti
del proprio coniuge (art. 78 cod. civ.) ma la vicinanza
emotiva, affettiva che mancando condiziona negativamente
i rapporti, tanto che alcune coppie “scoppiano” alla
nascita del primo figlio perché s’innesta un “chiasma
relazionale”, ossia il bambino si trova al centro dei
bisogni e delle recriminazioni dell’intero contesto
familiare.
“Tener conto” è questa una delle
nuove locuzioni introdotte dalla riforma del diritto di
famiglia nell’art. 147 cod. civ. a proposito dei doveri
verso i figli, che richiama lessicalmente l’altra
locuzione “dare conto”. Perché i doveri verso i figli e
comunque tutti i doveri matrimoniali comportano una
responsabilità non solo endofamiliare ma anche
esofamiliare. “Tessere la tela” come Penelope in attesa
del ritorno di Ulisse, giacché il matrimonio comporta
attenzione, cura, tempo. Il matrimonio s'intreccia nel
tessuto sociale tanto che in caso di decesso o grave
menomazione del coniuge per incidente è riconosciuto il
danno edonistico all’altro coniuge, danno che attiene
alla perdita di una sorta di status connesso al
particolare rapporto che lega il soggetto con la persona
colpita dall’evento dannoso. Il matrimonio è tradizione
nel senso sociale di usanza, costume ma anche nel senso
letterale di consegna, dedizione dell’uno nelle mani
dell’altra, il cui contrario è tradimento, parola che
etimologicamente deriva dallo stesso verbo latino
“tradere” che, dopo l’episodio evangelico della consegna
di Gesù compiuta da Giuda, ha assunto il significato
negativo di ingannare. Tradire non riguarda solo la
sfera sessuale ma significa venir meno ad una promessa.
Tutte le possibili forme del tradire comportano una
rideterminazione dei rapporti, poiché si produce un
doppio spiazzamento. Chi tradisce si sposta da un ruolo
all’altro, cambia di luogo e spiazza chi è tradito,
costringendolo a modificare posto e parte. Il tradimento
cagiona uno sconvolgimento nella geografia delle
posizioni che i soggetti assumono all’interno delle
relazioni, produce derive non solo emozionali ma anche
identitarie che impongono la ricomposizione delle mappe.
L’elaborazione del tradimento implica tempo, il “tempo
della fiducia” in cui la persona tradita deve
ricostruire innanzitutto la fiducia in se stessa. Il
tempo è uno degli elementi fondamentali, nel bene e nel
male, del matrimonio che non può essere concepito come
un rapporto a tempo, come invece spesso viene inteso
quando ci si sposa preventivando la separazione e il
divorzio. Nel matrimonio bisogna altresì tollerare, da
intendere non nel senso negativo di subire ma nel senso
di disposizione d’animo di andare avanti, oltre (dal
verbo latino “tollere”, sollevare, prendere sopra di sé,
confortare). Così si superano le continue crisi
rendendole opportunità di crescita, di maturazione, come
nell’ideogramma cinese in cui la parola crisi ha il
duplice significato di fase difficile e di opportunità.
In caso contrario si rende intollerabile la convivenza
sino a chiedere la separazione (art. 151 cod. civ.).
Reciprocità è la caratteristica
degli obblighi che derivano dal matrimonio. La riforma
del diritto di famiglia del 1975 ha aggiunto nell’art.
143 comma 3 cod. civ. che “entrambi i coniugi sono
tenuti, ciascuno in relazione”, si noti che il
legislatore ha usato questa locuzione e non quella
equivalente usata altrove “in proporzione” per
sottolineare che il matrimonio è una relazione in cui si
porta e si riporta (dal verbo latino “referre”). Il
matrimonio non è un’assicurazione ma ha bisogno di
rassicurazione (uno dei cinque linguaggi dell’amore
secondo il consulente matrimoniale statunitense Gary
Chapman). E’ sempre stato celebrato con un rito che ne
sottolinea la sua natura pubblica e privata e le sue
peculiarità, tra cui l’assunzione di responsabilità.
Quello che, poi, deve essere un rito quotidiano è il
vicendevole rispetto (dal verbo latino “respicere”,
“guardare di nuovo, volgersi a guardare, guardare
indietro”) e non il sopportarsi o, peggio, ignorarsi
quotidianamente.
Identità è un altro elemento
essenziale del matrimonio non solo per la celebrazione
(art. 122 cod. civ.) ma perché col matrimonio si
costituisce l’identità sociale della persona coniugata.
Il matrimonio fornisce un’identità alla propria
relazione, perché si può dire “mio marito”, “mia
moglie”, mentre in altre relazioni, come per esempio la
convivenza, non si riesce a trovare un’espressione
adeguata, “il mio convivente”, “la mia compagna”, “il
mio fidanzato”, espressioni che si possono riferire a
relazioni di vario tipo. Anche in Francia in cui sono
stati approvati i patti civili di solidarietà (pacs) non
sono risultati un’alternativa al matrimonio, ma un
matrimonio depotenziato, definito “piccolo matrimonio”.
Il matrimonio rappresenta l’apice dell’intimità non solo
sessuale ma identitaria, personale perché, come si dice
nel linguaggio biblico, “i due saranno una sola carne”
(Genesi 2, 24), processo che prevede impegno, incontro
da realizzare insieme, termine che deriva dal latino
“similis”, simile. Quest’aggettivo richiama un altro
versetto biblico in cui la donna è definita “aiuto
simile, che corrisponde all’uomo” (Genesi 2, 20), quella
che si chiama “anima gemella”. Orbene l’amore coniugale
si traduce concretamente nell’aiuto (dal latino “ad”,
verso e “iuvare”, giovare), questo continuo andare uno
verso l’altra. A tal fine occorre capacità di “intus
legere” e “inter legere”, capacità di penetrare,
interiorizzare un legame, dote solitamente femminile
mentre l’uomo preferisce il contatto fisico.
Marito (“uomo ammogliato”) e moglie
(“colei che munge”, perché nella famiglia latina toccava
alla donna mungere le capre e le vacche) sono i ruoli
che discendono dal matrimonio che si costruiscono non
secondo il modello della famiglia di origine o del
periodo di fidanzamento, ma secondo un modus vivendi in
cui le modalità sono ispirate quotidianamente da un
coniuge all’altro. Per far questo occorre anche vivere
momenti speciali (secondo le indicazioni del dottor Gary
Chapman) affinché non si cada nella monotonia e si senta
ripetere che l’unico momento speciale è stato quello
della cerimonia o della nascita dei figli. Nella
disciplina novellata dalla riforma del diritto di
famiglia del 1975 il concetto più ripetuto è quello di
“mantenere” (dal latino “manu tenere”, tenere con la
mano), mentre nei previgenti artt. 145 e 146 cod. civ.
si parlava di “somministrare” e di “provvedere”, che si
riferiscono solo a un dare, procurare ciò che è utile,
necessario.
Obblighi da cui discendono
obbligazioni, mentre nella disciplina precedente alla
riforma del diritto di famiglia si parlava solo di
obbligazioni tra i coniugi e nei confronti dei figli. La
parola obbligo (dal latino “obligare”, “ob”, verso e
“ligare”, legare) si riferisce al fatto che si è legati
ad una persona e da questo derivano delle obbligazioni,
vincoli giuridici di carattere patrimoniale. Il coniuge
non deve essere considerato una presenza scontata ma un
ospite verso cui fare gesti di servizio (un altro dei
cinque linguaggi dell’amore secondo il dott. Gary
Chapman), servizio che si ricava anche dal significato
etimologico di famiglia (dal latino “famulus”,
servitore).
Nozze non è solo un sinonimo di
matrimonio ma è interessante considerare il suo
significato etimologico che si riferisce alla sposa che
veniva condotta al futuro marito con un velo che la
copriva da capo a piedi. L’origine etimologica è la
stessa della parola “nube” che copre, oscura il cielo.
Ebbene l’etimo di nozze fa comprendere che il matrimonio
è fatto di scoperte, di sacrifici e di relative scelte.
Il matrimonio è una necessità (filosoficamente carattere
di ciò che è e non può non essere) antropologica che
risponde a necessità emozionali tanto che alcuni si
sposano più volte anche dopo ripetuti fallimenti. Esso
stesso ha bisogno di una “necessità minima giornaliera”,
ovvero i coniugi devono stabilire un momento durante la
giornata in cui ognuno parla di situazioni che ha
sperimentato e di che cosa ha provato. Dal matrimonio
nasce il nucleo familiare, oggi sempre più chiuso e che,
invece, andrebbe vissuto come il centro, il cuore di un
organismo più grande (nucleo dal latino “nux”, noce,
nocciola, da cui ha origine la pianta). E’ questo il
significato di “famiglia come società naturale fondata
sul matrimonio” (art. 29 comma 1 Cost.)
Idealità: non esiste il matrimonio
ideale ma l’idealità del matrimonio, perché va oltre la
propria finitezza e fragilità ed insieme le ricomprende.
“Anche nei matrimoni combinati, o in quelli formalizzati
per l’acquisizione di un vantaggio materiale, nel
momento del “sì” è l’amore eterno che viene evocato”
(così la psicologa Silvia Vegetti Finzi in “Il romanzo
della famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme”).
Questa tensione ascensionale del matrimonio verso l’
infinito emerge anche nell’arte, come per esempio nelle
tombe coniugali etrusche.
Organizzazione, un altro elemento
importante per la vita del matrimonio dal quale può
nascere anche l’impresa familiare (art. 230 bis cod. civ.),
che può essere intesa anche come metafora del matrimonio
stesso. Serve pure l’obbedienza coniugale, non nel senso
di seguire gli ordini, i consigli, i suggerimenti di
qualcuno ma nel senso di prestare ascolto, corrispondere
(obbedire dal verbo latino “oboedire”, composto di “ob”,
dinanzi, di fronte e “audire”, udire). Tutto questo
significa essere “coppia” (dal latino “copula”, legame,
termine usato oggi anche per indicare l’amplesso
sessuale), “due elementi della stessa specie considerati
nel loro complesso”, due persone che pur conservando la
propria individualità e la propria personalità, di uomo
e donna, di marito e moglie, di padre e madre,
costituiscono una nuova dimensione, una nuova sfera
personale, unidualità, “unità dei due” (Giovanni Paolo
II, “Mulieris Dignitatem”).
Bibliografia di riferimento
“Il matrimonio, ultimo simbolo di
eternità dell’uomo occidentale” di Giovanni Cucci in “La
Civiltà Cattolica” n. 3863 del 4 giugno 2011 pagg.
425-438
“I 5 linguaggi dell’amore – Come
dire “ti amo” alla persona amata” di Gary Chapman,
Elledici, Torino, 2002
“Relazioni fragili – Coppie e
famiglie in cambiamento tra creatività e scacco” di
Giuseppe Belotti – Salvatore Palazzo, Elledici, Torino,
2004 |