di Stefano Gorla
Con due recenti sentenze il Tar del
Lazio ha bocciato il concorso del 2010 dell'Agenzia
delle Entrate per dirigenti amministrativi che sanava
incarichi conferiti a funzionari interni senza qualifica
dirigenziale.
Con la sentenza del primo agosto
2011, n. 6884 e, successivamente, con quella del 30
settembre 2011, n. 7636, il Tar del Lazio si è
pronunciato per la illegittimità del concorso bandito
nel 2010 dall’Agenzia delle Entrate per assumere
dirigenti amministrativi con riserva di posti ai
funzionari interni che da diversi anni svolgevano
funzioni dirigenziali pur privi di qualifica.
Il comportamento dell’Agenzia delle
Entrate riflette una prassi diffusa nelle pubbliche
amministrazioni, che consente di realizzare uno spoil
system “mascherato”, saltando a piè pari le disposizioni
normative che richiedono il concorso per soli esami per
accedere alla qualifica dirigenziale.
Il Tar, tribunale amministrativo
regionale, del Lazio ha motivato l’accoglimento del
ricorso che ha annullato il provvedimento con la
violazione dei principi generali che regolano l'accesso
alla dirigenza.
In base al principio generale
stabilito dall’art. 19, comma 6, del Dlgs 165/2001, è
possibile per le PA reclutare dirigenti al di fuori
della dotazione organica solo in casi eccezionali e per
“riparare” alla conclamata assenza di professionalità
tra i dirigenti in ruolo.
L’Agenzia delle Entrate è andata
oltre i limiti dell’accettabile limitando a 376 i posti
assegnati a dirigenti con qualifica su un totale di ben
1143 previsti in dotazione!
Dal combinato disposto dell’art. 97
c.3 della Costituzione Italiana e dell’art.28 del dlgs
165/2001, deriva l'indicazione dell'unica via del
concorso pubblico per soli esami.
Come si può infatti definire
“pubblico”, ossia aperto a tutti, un concorso che
prevedendo la riserva di posti già predetermina una
ristretta cerchia di candidati? Ma anche l’art. 52, c.5,
del dlsg 165/2001 è stato violato con una attribuzione
illegittima di mansioni superiori attraverso la ripetuta
assegnazione degli incarichi dirigenziali.
Secondo i giudici l'Agenzia avrebbe
dovuto adottare una gestione diversa per risolvere il
problema della carenza di figure dirigenziali. La strada
da seguire era quella degli incarichi di «reggenza» ai
propri funzionari in quanto la funzione di reggenza fa
parte dei «contenuti professionali di base propri della
terza area funzionale», come definiti dalla
contrattazione nazionale collettiva del comparto delle
Agenzie fiscali.
A cascata c’è il problema degli
atti adottati dai dirigenti “incaricati”. Solo
l’applicazione del principio dell’affidamento dei terzi
sulla legittimità dell’azione amministrativa li può
salvare dalla decadenza.
Il caso ci consente di allargare il
discorso e di fare alcune riflessioni in merito al
sistema dello “spoil system mascherato” attraverso la
negazione del rinnovo dell’incarico dirigenziale
indipendentemente dai risultati raggiunti. Si tratta in
sostanza della situazione inversa rispetto a quella di
cooptazione suindicata.
La Corte Costituzionale, con la
sentenza n.81/2010, in continuità logica con quanto
affermato nelle pronunce n. 103 del 2007 e n. 161 del
2008, ha ribadito nel merito che l'impossibilità di
rinnovo dell'incarico dirigenziale deve essere motivata
con riferimento agli scarsi risultati raggiunti dal
dirigente.
La Corte ha stabilito che è
costituzionalmente illegittimo l’art. 2, c. 161, del
decreto legge n. 262/2006 (“Disposizioni urgenti in
materia tributaria e finanziaria”), nella parte in cui
afferma che gli incarichi conferiti al personale di cui
al c. 6, dell’art. 19 del Dlgs n. 165/2001, conferiti
prima del 17 maggio 2006, “cessano ove non confermati
entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore
del presente decreto” perché in contrasto con gli artt.
97 e 98 della Costituzione, in quanto lesiva del
principio dell’imparzialità e del buon andamento e del
principio di continuità dell’azione amministrativa.
La Corte ha ribadito che il
principio costituzionale alla base dell’azione dei
dipendenti e dirigenti pubblici è costituito
dall’imparzialità, con la regola fondamentale secondo
cui i pubblici impiegati sono "al servizio esclusivo
della Nazione". |