Di Stefano Ceccanti-Federalismi.it
(Professore ordinario di Diritto
Pubblico comparato,
“Sapienza” Università di Roma;
Senatore della Repubblica)
1. Delimitazione del compito e
rinvio per l'esame dettagliato
Nelle settimane scorse Massimo
Rubechi ha pubblicato un testo più che esaustivo sulla
materia (nel volume curato da S.
Calzolaio e B. Malaisi "Co.re.com.: nuove funzioni e
ruolo
istituzionale", Macerata, Eum,
2011). Ne riassumo qui in apertura le conclusioni
principali,
per poi concentrarmi sui criteri di
valutazione e sulla connessione tra le prospettive di
riforma
e la possibile evoluzione della
transizione.
La legge 28/2000 (sotto il Governo
D'Alema) nasce dopo una serie di decreti non convertiti,
sin da quello 25/3/1995 n. 83
(sotto il Governo Dini, poco prima delle regionali 1995)
e fino
al 17/5/1996, n. 266 (subito dopo
le elezioni politiche che videro la vittoria della
coalizione
dell'Ulivo) e si inserisce nella
principale anomalia della transizione italiana, dove lo
schieramento di centrodestra finì
per strutturarsi intorno al partito di Forza Italia,
creata dal
dominus di Mediaset Silvio
Berlusconi.
Al di là delle questioni tecniche,
è quindi una legislazione di conflitto: percepita da una
parte
del campo, il centrodestra, come
un'aggressione illiberale da rimuovere (proposta
Bergamo) o
limitare al massimo (proposta
Perrotta), e dall'altra, il centrosinistra, come una
legittima
difesa contro una preesistente
situazione illiberale da aggiornare nel senso di
estenderne
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l'efficacia o rispetto agli
strumenti (proposte Giulietti, di Pietro e Belisario) o
rispetto ai tempi
(proposta Rotundo).
Non a caso tra 2000 e 2010, su
questo terreno a priori segnato da opposti princìpi non
negoziabili, Rubechi segnala solo
10 proposte originali di riforma, di cui 5 più
strutturali e 5
puntuali (proposte Fabris sui
referendum, Bianchi sulle quote di genere).
2. Le questioni disputate: spazi,
messaggi, sondaggi
I principali nodi affrontati,
secondo tale analisi, sono:
a) la ripartizione di spazi uguali
durante la campagna elettorale che sovrarappresenta le
forze
minori (la proposta Perrotta riduce
al 10% gli spazi di diritto di tribuna per le nuove
formazioni politiche uguali e
parametra il restante 90% in proporzione ai voti delle
politiche
precedenti, la proposta Jannone
proponeva 20 e 80% sulla base dei voti, mentre quella
Abrignani usa le percentuali di 90
e 10 ma con riferimento ai seggi non ai voti e distingue
la
fase dalla convocazione dei comizi
fino alla presentazione delle candidature in cui si
ammettono solo i partiti già
rappresentati da quella successiva in cui scatta anche
il diritto di
tribuna del 10% per i nuovi e
infine quella Butti usa questa medesima distinzione in
due fasi,
la prima riservata ai già
rappresentati e la seconda a tutti sulla base dei voti
con le due quote
di 80 e 20%);
b) il divieto assoluto di spot
nazionali a pagamento e la forte limitazione di spazi
gratuiti (la
proposta Perrotta ampliava
significativamente tali spazi da 2 fino a 4 in un
medesimo
contenitore e portando da 4 a 8 i
contenitori giornalieri, quella Jannone da 2 a 3 i
contenitori e
dal 25 al 30% il totale degli spazi
di comunicazione ad essi dedicati, Abrignano ammette
quelli a pagamento);
c) una forte limitazione della
diffusione dei sondaggi (le proposte Jannone e Butti
riducono da
15 a 5 giorni prima del termine
della campagna).
3. Criteri di valutazione sui nodi
emersi: confermare la competizione aperta, basarsi su
un tetto complessivo di spesa,
liberalizzare i sondaggi ma controllarne le
caratteristiche
Volendo enucleare dei criteri di
valutazione di ordine giuridico-costituzionale, senza la
pretesa di una neutralità politica
forse impossibile in sé ma ancor più sospetto per chi
parla,
visto il doppio ruolo rivestito di
studioso ma anche di parlamentare, mi sembra che, almeno
in
prima istanza, si potrebbe
ragionare così, anche sulla scorta delle molteplici
suggestioni di
Fulco Lanchester e della relazione
svolta nel dicembre 2003 da Carlo Fusaro alla Sise ("La
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disciplina delle campagne
elettorali nella prospettiva comparata: l'omaggio che il
vizio rende
alla virtù?"):
a) Se restiamo dentro la logica che
ha guidato la transizione in materia elettorale c'è un
nodo carente, la mancata
soggettività delle coalizioni che invece è ben presente
nelle leggi
elettorali, e che risulta invece
ignota alla par condicio; più in generale sembra
difficile
muoversi dalla logica
dell'eguaglianza piena di chances estesa ai nuovi
arrivati, ossia da
quella di una democrazia
competitiva aperta, senza logiche di cartello; i
possibili correttivi
sulla base dei voti precedenti
tendono a restringere la competitività reale delle
campagne,
precostituendo vantaggi
irragionevoli, ancor più se dai voti si fa riferimento
ai seggi, dato che
il carattere selettivo del sistema
è finalizzato alla governabilità ma non anche in
prospettiva
alla blindatura di quella specifica
governabilità emersa in quella occasione e per quella
occasione. Quanto più il sistema è
selettivo nella trasformazione dei voti in seggi, tanto
più
deve essere inclusivo alla pari
nelle fasi precedenti, in modo che nuovi arrivati
possano avere
la chance di subentrare a quelli
stabiliti, altrimenti la competizione è arbitrariamente
ristretta
solo ai possibili mutamenti di
forza tra questi ultimi, il che può essere un esito
politico
ragionevole e frequente, ma non
certo un obiettivo giuridico compatibile coi princìpi
costituzionali; anzi, si potrebbe
ragionevolmente inserire una particolare
sottorappresentazione per le forze
momentaneamente al governo che godono, per ciò stesso,
di una visibilità istituzionale
anche in campagna elettorale non computata dentro i
parametri
della medesima;
b) La questione fondamentale sembra
essere la fissazione di ragionevoli tetti di spesa e di
controlli efficaci (nonché di
connesse credibili sanzioni, superando l'articolo 66
della
Costituzione che affidando del
tutto la verifica alle assemblee parlamentari stesse
rende
praticamente impossibile giungere
effettivamente a soluzioni come la decadenza dal
mandato)
piuttosto che inseguire limiti su
singoli strumenti che evolvono nel tempo; fissati i
limiti
ciascun soggetto politico sceglierà
il mix di strumenti che riterrà dal suo punto di vista
più
opportuno ed efficace; altrimenti
il legislatore è condannato a una fatica di Sisifo per
inseguire strumenti sempre nuovi e
l'evoluzione dei vecchi; inoltre si dovrebbe sempre più
concepire il servizio pubblico come
un insieme di vincoli e opportunità che lo Stato
regolatore
pone ai vari media,
indipendentemente dalla loro tipologia proprietaria e
sempre meno come
il pezzo 'statale' (rectius,
partitico) del sistema;
c) Sui sondaggi il problema
consiste nel far rispettare scrupolosamente i parametri
quantitativi e qualitativi dei
medesimi e la loro pubblicizzazione anziché inseguire
limiti
temporali che sono ormai fatalmente
elusi in modo talmente palese, pur sotto lo schermo
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prevalente di simpatiche corse
clandestine di cavalli, da risultare ridicoli e che,
peraltro, non
risultano più di tanto
giustificabili, se l'elettore deve poter avere il
massimo di informazioni,
in contraddittorio, per decidere.
Da segnalare inoltre che anche
ulteriori obiettivi, a cominciare da quello delle pari
opportunità
possono e debbono essere assunti,
specie dopo la riforma dell'articolo 51 della
Costituzione
(legge costituzionale 1/2003)
nonché dell'art. 117 comma 7 (legge costituzionale
(3/2001).
Segnalo ad esempio il caso
pionieristico della Campania che nella nuova legge
elettorale
(legge regionale n. 4 del 27 marzo
2009) ha previsto, unitamente alla ben più nota doppia
preferenza di genere e al tetto di
due terzi di candidati per un genere, all' art. 10,
comma 4 che
i soggetti politici debbano
assicurare la presenza paritaria di candidati di
entrambi i generi sia
durante i programmi di
comunicazione politica che nei messaggi autogestiti
dalle liste
elettorali.
4. Verso una nuova tappa della
transizione
Il modo con cui era sorto il
centrodestra all'inizio della transizione ha obbligato a
bilanciare
l'assenza di un pluralismo esterno
antitrust nell'ambito delle comunicazioni con dosi di
pluralismo interno coatto e
proibizionistico.
L'annunciata uscita di scena del
dominus di Mediaset può condurre a ripensare questo
assetto
emergenziale, capovolgendolo di
segno: più antitrust per i settori in cui si forma
l'opinione,
anche nelle fasi non elettorali, e
meno vincolismo dettagliato per il pluralismo della
regolamentazione in quel periodo.
Più par condicio nei mercati strategici, meno par
condicio
dettagliata per le campagne.
La chiusura della transizione, nel
segno di una democrazia competitiva regolata, deve
prendere sul serio quanto ha
scritto recentemente Sergio Fabbrini: "nel settore della
comunicazione televisiva sia le
situazioni di monopolio che di duopolio, come in Italia,
violano una basilare condizione
della democrazia liberale, cioè l'indipendenza del
sistema
informativo dal potere
politico...Le democrazie liberali abbisognano di
opinioni pubbliche e
non di un'opinione pubblica. Quando
si forma una sola opinione pubblica, allora la
democrazia è in pericolo"
("Addomesticare il principe, Marsilio, 2011, pp.
172-173). |