Mancuso Raffaele
Parlando di Common Law parliamo del
diritto comune all’Inghilterra che a partire dall’XI
secolo venne elaborato dalle corti regie di Westminster;
La conquista normanna
dell'Inghilterra ha comportato due novità rilevanti per
quanto riguarda il governo del regno. I Normanni
introdussero in Inghilterra un sistema feudale ed un
sistema di amministrazione centralizzata moderno ed
efficiente.
Semplificando la ricostruzione
storica che in questa sede non è il punto focale del
presente paper possiamo affermare che coloro che
avessero voluto ottenere giustizia e riparazione ad un
torto subito avrebbero dovuto rivolgersi all'ufficio di
cancelleria ove i chierici preposti, dietro
corrispettivo emanavano il Writ. Il sistema dei writs
servì a mettere le basi tecniche della legalità
dell'ordinamento. Dopo la chiusura del registro dei
writs, il common law amministrato dai giudici di
Westminister ebbe una crescita organica spinto dai
cambiamenti socio-economici.
Distinguiamo quattro grandi
periodi:
• Il primo periodo è quello
anglosassone dal V secolo fino al 1066.
• Il secondo periodo va dal 1066
all’avvento dei Tudors, in tale periodo si
realizza un sistema giuridico
comune a tutta l’Inghilterra, il Common Law ad
opera delle corti regie.
• Il terzo periodo va fino al 1875
e vede, accanto al sistema di Common Law,
l’affermarsi del sistema di
giustizia di equity.
• Il quarto periodo è quello che va
dal 1875 ai giorni nostri.
La House of Lords, organo
giurisdizionale, non era obbligata a seguire le proprie
decisioni fino al caso London Street Tramways vs London
Country Council 1898.
Solo dopo questo caso, una volta
che i Lords si fossero espressi su una questione di
diritto, la questine era considerata chiusa, almeno fino
a che il Parlamento non avesse effettuato modifiche alla
decisione presa, attraverso la statute law. Questa è
stata la forma più rigida di stare decisis mai applicata
in precedenza, che non permetteva ai giudici di
adeguarsi all'evoluzione della realtà sociale in
continua evoluzione.
Dopo l’emanazione del Practice
Statement del 1966 la situazione cambiò, ciò consentì
alla House of Lords di adattare le proprie decisioni ai
cambiamenti della società.
Andando ad esaminare più nel
dettaglio la situazione del Regno Unito, possiamo
affermare che la statute law del Parlamento, rimane
fonte di diritto nazionale superiore, potendo apportare
modifiche alla common law. Nonostante ciò, la
legislazione parlamentare conserva il carattere della
eccezionalità, essendo la maggior parte delle questioni
legali regolate dal precedente. Non raramente, però, la
statute law interviene in materie già “regolate” dalla
common law e non esclusivamente per modificarlo, ma, più
frequentemente, per indirizzarlo.
Ruolo della statute law è quello di
introdurre concetti o principi nuovi.
La funzione del giudice Inglese
rimane tuttavia primario, nonostante la prevalenza del
diritto parlamentare. Infatti il giudice implementa la
common law anche lì dove una legge scritta già c’è:
nonostante la completezza della statute law, rimane per
i giudici la possibilità di intervenire ove vi siano o
si riscontrino delle carenze.
L'impostazione della giustizia del
Regno Unito fa partire l’analisi del giudice, non da un
singolo testo legislativo, ma da una pluralità di
decisioni che vi sono state nel passato per secoli.
Questo fa sì che la natura del testo di una decisione
britannica sia ben diversa da ogni testo legislativo,
dovendo consentire una successiva analisi da parte di
altri giudici, rimane comunque dovere del giudice quello
di non appropriarsi di una funzione propria del
parlamento. Così, mentre a volte i giudici accettano
radicalmente nuove visioni di pensiero, creando nuovi
principi, molto più spesso tendono a rifiutarle,
ritenendo che la questione debba essere decisa dal
Parlamento.
Uno dei motivi dello sviluppo della
dottrina del precedente nel Regno Unito è quella della
unitarietà delle corti britanniche: infatti, a
differenza di molti Stati continentali, la House of
Lords ha costituito l’organo di ultima istanza non solo
per questioni di diritto privato, ma anche per quelle di
diritto penale e costituzionale. Ciò ha consentito
unitarietà nel decidere le questioni, sia che riguardino
diritti umani, che diritto amministrativo o
costituzionale.
Distinti dai precedenti vincolanti,
sono quelli persuasivi, che non obbligano il giudice a
conformarvisi, ma costituiscono un importante punto di
riferimento. Vanno a costituire precedenti persuasivi
non solo le decisioni delle corti inferiori o di pari
grado, ma anche le decisioni del Privy Council e le
decisioni delle corti straniere.
Premesso ciò sembra utile citare
alcune pagine del Prof. Galgano (Istituzioni di Diritto
privato, Cedam, Padova, 2000),che tiene presente anche
il sistema inglese ed inoltre cita le “massime” e le
fonti dove si possono reperire: “L’attribuzione di
significato alle norme, la ricerca di norme regolatrici
di casi analoghi e l’identificazione dei principi
generali sono operazioni funzionali all’applicazione del
diritto a casi concreti.
Il giudice le compie ogniqualvolta
è chiamato a decidere una controversia; e le conclusioni
alle quali perviene circa il significato delle norme,
l’esistenza degli estremi dell’analogia, la vigenza di
un implicito principio generale sono conclusioni dotate
di autorità, della medesima autorità che è propria delle
sentenze. Esse valgono, perciò, solo per il caso
concreto deciso con quella sentenza: altri giudici, che
decidano casi identici, o lo stesso giudice che sia
successivamente chiamato a decidere un nuovo caso
identico al precedente, possono pervenire a conclusioni
diverse”
Sul tema il Prof. Galgano ha
scritto numerose pagine. Ricordo i saggi: Il precedente
giudiziario in civil law,L'interpretazione del
precedente giudiziario ( in Contratto e Impresa,1985,p.
701 e sgg. ).- Nel primo lavoro, l'Autore mette a
confronto i due sistemi e nota come non sia possibile la
utilizzazione degli stessi termini o degli stessi
concetti se non a costo di forzature interpretative. Si
pensi allo stare decisis,alla analogia legis e alla
analogia iuris, alle regulae iuris.
Sempre il Prof. Galgano nota nel
Suop , Il precedente giudiziario in civil law,:"" Sta di
fatto che, nell'esperienza forense dei paesi di civil
law,gli avvocati redigono le proprie difese - ed i
giudici le proprie sentenze - facendo appello più che
alle norme di legge,ai precedenti di
giurisprudenza,assumendo a questo modo atteggiamenti
argomentativi non dissimili da quelli degli avvocati - o
dei giudici - di common law.
Nel nostro sistema non opera il
principio del precedente giudiziario vincolante e questo
implica la possibilità, per nuovi giudici chiamati a
pronunciarsi di rivedere l’interpretazione già data ad
una norma.
Ciò non impedisce, tuttavia, che
una certa autorevolezza sia, di fatto data ai cosiddetti
precedenti di giurisprudenza , cioè alle soluzioni
uniformemente date da più giudici ad una medesima
questione interpretativa, oppure alla soluzione che ad
una questione interpretativa sia stata data dalla
Cassazione.
Lo stare decisis quindi nel diritto
inglese è il vincolo del precedente giudiziale cioè
l'obbligo giuridico di conformarsi alle ragioni del
precedenti che assumono una statuizione universale per
cui i casi futuri pertinenti dovranno tenerne conto.
Peraltro non sono poche le voci che
si levano dalla dottrina, in ultimo Violante, che
chiedono l’imposizione dello stare decisis anche in
Italia, per lo meno per la Cassazione. I frequenti cambi
di giurisprudenza del giudice supremo, infatti, fanno
sorgere l’esigenza di certezza.
Come non ricordare la riflessione
di G. Tarello ,laddove,a proposito degli atteggiamenti
culturali sulla funzione del giurista-interprete, in
quelli che oramai (erano) obsoleti e antichi modelli di
magistrato, così affermava:"" In riferimento alle
materie sottratte alla magistratura ordinaria,come in
particolare il diritto costituzionale, amministrativo,
sindacale, per non parlare del diritto internazionale
pubblico,viene piuttosto in rilievo il giurista
definitore del diritto, il giurista confezionatore di
schemi di disposizione delle materie, il giurista dedito
alla modellistica e,solo sussidiariamente, forse, il
giurista interprete. Tutto ciò non è senza ragione:
o,meglio , non è senza ragioni storiche.
Con la legge 69/2009 tuttavia è
avvenuta una rivoluzione nel processo civile, il
legislatore ha introdotto nell’ordinamento una norma che
vincola i giudici di merito ad adeguarsi
all’orientamento consolidato della Cassazione e per
contro è inammissibile il ricorso per Cassazione quando
il giudice di merito abbia deciso tenendo conto
dell’indirizzo costante dei supremi giudici. In sostanza
il nostro legislatore ha recuperato un criterio del
mondo anglosassone, che consente anche di tagliare i
tempi delle cause. In questo modo, i precedenti tratti
dalle sentenze anteriori operano come fonte di diritto
nel senso più lato e, negli ordinamenti di common law, a
tutt'oggi, la maggior parte delle norme è prodotta
proprio tramite questo sistema. L'efficacia vincolante
della sentenza precedente è limitata alla sola ratio
decidendi, ossia agli argomenti essenziali addotti dal
giudice per giustificare la decisione del caso a lui
sottoposto o, secondo una diversa prospettiva, alla
norma giuridica specifica, desumibile dalla sentenza in
base alla quale è stata assunta la decisione. In passato
tale normativa era affiorata anche in Italia almeno come
emerge da questa massima: “Soddisfa l'obbligo di
motivazione la sentenza del giudice di merito - tenuto
alla concisa esposizione dei motivi in fatto e in
diritto della decisione - che, in punto di diritto e
sulla questione discussa e decisa, abbia riportato
l'orientamento della giurisprudenza di legittimità,
dichiarando di condividerlo e di volervisi uniformare,
in quanto anche in tal caso e con tali modalità
risultano
esposte, sia pure sinteticamente,
le ragioni giuridiche della decisione”. (Cassazione
civile, Sez. III, Sent. n. 13066 del 05-06-2007).
Una breve indagine normativa sembra
utile ai fini del tema de quo, tema che non si riferisce
soltanto alla questione centrale della funzione assolta
dalla motivazione della sentenza nel processo ma anche e
sopratutto all'effetto e al concreto dispiegarsi
dell’ordinamento giuridico italiano in rapporto al
common law inglese.
In varie parti dell’ordinamento
giuridico vi sono norme che si riferiscono alla
motivazione della sentenza in generale.
L’art. 111 Cost. pone l’obbligo
della motivazione per tutti i provvedimenti
giurisdizionali e rende chiaro all'operatore del diritto
che motivazione e provvedimento giurisdizionale
costituiscono un connubio perché è nell’essenza del
secondo che si racchiude la prima.
Vi sono chiaramente altre
disposizioni, che permettono di rendere criterio guida
generale l’alto precetto costituzionale citato e da
criterio di generale in concreta regola di realizzabile
osservanza nell’adozione di ogni provvedimento
giurisdizionale.
Certamente le norme processuali
forniscono utili indicazioni circa il percorso da
seguire per soddisfare il precetto dell’art.111 Cost.,
ossia per far in modo che l’obbiettivo della motivazione
venga perseguito effettivamente.
Ed infatti, sintomo di disvalore
nell’esercizio di funzioni giurisdizionali è secondo il
legislatore rappresentato dall’emanazione di
provvedimenti privi di motivazione o “motivazione
consistente nella sola affermazione della sussistenza
dei presupposti di legge senza indicazione degli
elementi di fatto dai quali tale sussistenza risulti,
quando la motivazione è richiesta dalla legge”.
Sembra necessario anche dire che
ricondurre al principio del giusto processo, trasfusone
all’art. 111 Cost., l’obbligo di motivazione è
giustificato anche dalla direzione della piena
conformazione dell’ordinamento italiano alla
corrispondente,norma dell’art. 6 CEDU.
Questa considerazione è
perfettamente spendibile nel diritto inglese, in cui è
l’autorità giurisprudenziale ad aver riconosciuto che la
motivazione della sentenza concorre a garantire la
realizzazione di un fair trial, venuto a far parte del
patrimonio legislativo di quel common law in virtù
dell’emanazione dello Human Rights Act del 1998 -
entrato in vigore il primo ottobre di due anni dopo - la
cui sezione 6 riproduce testualmente la medesima
disposizione della Convenzione.
E’, infatti, in un leading-case
coevo alla trasposizione della Convenzione nel diritto
interno, Flannery v. Halifax Estate Agencies (2000) I
All ER 373, l’idea europea di giusto processo ha
imbevuto di sé il common law britannico, impegnando le
Corti nel compito di concretizzare la volontà degli
Stati membri mediante l’individuazione degli atti, delle
attività, delle facoltà, delle libertà che
contribuiscono a delineare il contenuto della nozione di
fair trial. In quel caso il giudice dichiarò che il
diritto inglese contempla l’obbligo per il giudice di
motivare i propri provvedimenti, così rendendo possibile
stabilire se egli abbia ben deciso in fatto ed in
diritto, ed aggiunse che tale obbligo è posto in
funzione di garantire il giusto processo sia perché dà
alla parte insoddisfatta della decisione il mezzo per
dirimere il dubbio circa le ragioni della propria
soccombenza sia perché favorisce una maggior
ponderazione ed accuratezza nell’opera decisoria delle
Corti.
Il primo rilievo da farsi,
intuitivo con riferimento ad un sistema di judge-made
law , sta nel fatto che lo sviluppo del diritto
precedenziale non può che abbinarsi alla conoscibilità e
comprensibilità delle decisioni attraverso le loro
motivazioni.
Il secondo elemento di rilievo
riguarda la dichiarata volontà di guardare alla
giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani che
siede a Strasburgo come ad una fonte rilevante e di
primo piano, se non direttamente vincolante, ai fini
della decisione su questioni di diritto interno.
La Corte inglese tende, in modo
collimante con le conclusioni raggiunte prima a
proposito del diritto italiano e traendo fondato
argomento dalla giurisprudenza di Strasburgo, a rendere
relativo l’obbligo di motivazione alle sole questioni
controverse che presentino caratteri di essenzialità,
senza che possa ritenersi violato l’art. 6 laddove siano
trascurati nella motivazione punti secondari, rispetto
ai quali può ritenersi operante la presunzione del loro
implicito rigetto.
In terzo luogo, la giurisprudenza
inglese ha tratto ispirazione di quella europea per
suffragare la propria opinione secondo cui l’obbligo di
motivazione è posto a presidio del giusto processo che
abbia ad oggetto diritti delle parti e si concluda con
provvedimenti a contenuto decisorio e non in relazione a
procedimenti istruttori o ordinatori non suscettibili di
pregiudicare posizioni soggettive.
Una breve osservazione conclusiva
porta ad affermare che nelle varie esperienze giuridiche
(italiana, inglese, europea dei diritti dell’uomo)
sommariamente esaminate circola una sostanziale
omogeneità di soluzioni e vedute: 1) nell’individuare un
obbligo generale di motivazione dei provvedimenti
giurisdizionali avente fonte nell’art.6 della CEDU e
nelle norme nazionali attraverso le quali la Convenzione
è stata trasposta nei diritti interni; 2) nel
riconoscere la sussistenza dell’obbligo di motivazione
in relazione a tutte le questioni controverse e decisive
che si dibattono nei processi civili; 3) nell’escludere
la violazione dell’art.6 con riferimento ad omissioni o
inadeguatezze motivazionali relative a questioni
marginali o inessenziali,
con valutazione che soggiace alla
regola del caso per caso.
Questa larga condivisione sembra la
diretta conseguenza di una volontà europea,l'attività di
interpretazione si è configurata nell'esperienza europea
continentale moderna in modi che sono connessi
inscindibilmente al ruolo affidato alla magistratura
dalla organizzazione giuspolitica.
Per concludere potremmo citare le
bellissime parole del Prof. G. Alpa: “ ..i princìpi sono
anch'essi "norme",ma con caratteristiche diverse da
quelle scritte......D'altra parte,se i princìpi sono
ricavati dalle norme attraverso un processo di
generalizzazione e di astrazione successiva,da norma non
nasce che norma;ciò a maggior ragione, per i princìpi
fondamentali espressi...".
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