Cimmino Maria
Sommario: 1. Introduzione: i
confini della responsabilità sportiva 2. Il problema. 3.
Sport amatoriale: definizione e regime di
responsabilità. 4.La responsabilità sportiva in ambito
amatoriale. 5. Segue: a) lo sport amatoriale e il
rispetto delle regole del gioco. 6. b) lo stretto
rapporto tra sport amatoriale e l’attività sportiva dei
minori. 7. c) l’applicabilità della clausola
dell’accettazione del rischio allo sport praticato da
minori. 8. Conclusioni.
Introduzione: i confini della
responsabilità sportiva
Obiettivo della presente indagine è
una breve riflessione sui «i mobili confini della
responsabilità sportiva1».
L’analisi della figura
dell’illecito civile sportivo è da tempo oggetto di
studio ed attenzione abbastanza in dottrina2 come in
giurisprudenza3.
Gli studiosi infatti da tempo hanno
ricostruito la cosiddetta responsabilità civile sportiva
fondandola sulla (non meglio qualificata) scriminante
atipica dell’accettazione del rischio sportivo4; i
giudici dal canto loro hanno ammodernato5 questa
impostazione richiedendo ai fini dell’attribuibilità
dell’evento lesivo a titolo di responsabilità che lo
stesso- verificatosi durante un’azione di gioco e quindi
ad essa eziologicamente connesso- non denotasse un grado
di violenza non consono al tipo di sport praticato.
Ciononostante, non pare che ci si
sia soffermati abbastanza sui limiti di applicabilità di
siffatta ricostruzione6.
In ragione della diffusione dello
sport, ormai fenomeno di massa, praticato a tutti i
livelli, c’è motivo di chiedersi se si debba parlare
sempre di una responsabilità sportiva, secondo lo schema
sopra richiamato, per il solo fatto dell’esser l’evento
lesivo occorso durante un’attività sportiva, oppure se,
come appare più logico occorra effettuare un’apposita
selezione delle diverse occasioni di danno, e per questo
andare alla ricerca di quei confini, pur labili, al fine
di individuare le ipotesi in cui non più di
responsabilità sportiva si debba parlare ma di
responsabilità civile tout court.
Appare evidente che le conseguenza
di una siffatta scelta sarebbero rilevanti, poiché il
giudizio di responsabilità andrebbe elaborato secondo i
canoni tradizionali dettati dal codice civile, e magari
anche ammettendo il ricorso alle norme degli artt. 2047
c.c. e 2048 c.c., che con l’attività sportiva sembrano
avere molti punti di contatto.
2. Il problema
Secondo i recenti orientamenti
della giurisprudenza della suprema Corte di Cassazione
nel caso di un evento lesivo occorso tra minori durante
un torneo amatoriale tra associazioni sportive., in
genere si esonera dalla responsabilità propria del
sorvegliante l’associazione sportiva di appartenenza del
minore autore del fatto, non ritenendo incompatibile il
fallo con il tipo di gioco praticato.
La Suprema Corte sostanzialmente
applica sic et simpliciter alla fattispecie le regole
proprie del giudizio di responsabilità dello sport
professionistico e pertanto denota una scarsa attenzione
al contesto amatoriale- dilettantistico della pratica
sportiva.
I giudici non si domandano7 se
oltre all’apprezzamento della compatibilità della
condotta con il tipo di sport praticato, debba
attribuirsi una qualche giuridica rilevanza anche alla
natura amatoriale e amicale della competizione sportiva;
ciò al fine di escludere, o quanto meno dubitare, che la
responsabilità potesse essere inquadrata tout court
nella nota fattispecie della responsabilità sportiva,
piuttosto che essere ricostruita alla luce del canone
generale dell’art. 2043 c.c. ovvero delle altre norme
che compongono il complesso sistema della responsabilità
extracontrattuale.
Sin d’ora non si può non rilevare,
infatti, in via di prima approssimazione, che nel caso
in cui il contesto della competizione sia occasionale o
si svolga in via amatoriale, pare difetti quella
particolare ed elevata carica agonistica8 che sembra
giustificare, invece, a livello professionistico
l’innalzamento della soglia del cosiddetto rischio
consentito9 e la conseguente riduzione dell’area
dell’antigiuridicità.
Come detto, ciononostante, nel caso
in esame, i Giudici di legittimità hanno preferito
glissare sul punto e applicare nella decisione i
principi e le norme propri della responsabilità sportiva
anche alle ipotesi di attività amatoriali.
3. Sport amatoriale: definizione e
regime di responsabilità
Ad alimentare i dubbi10 sull’esatta
ricostruzione della responsabilità civile nei casi in
cui ci si trovi a dover giudicare di eventi lesivi
occorsi durante un evento amatoriale, è anche l’assenza
di una chiara definizione e di una netta distinta
disciplina delle diverse pratiche sportive amatoriali,
dilettantistiche e professionistiche
La possibilità di un’equiparazione
dello sport amichevole a quello professionistico agli
effetti del giudizio di responsabilità civile sportiva (
questo è il tema dell’indagine) è, infatti, in verità
questione che involge un tema più ampio, a partire dalla
stessa qualificazione dello sport e dalla sua
definizione, aspetto questo sui cui la dottrina11 da
tempo dibatte.
Al fine di individuare tra le
attività umane quelle rilevanti come attività sportive,
infatti, si è osservato12 in proposito che, trattandosi
di apprezzare la meritevolezza degli interessi di cui è
espressione l’attività umana, occorre valorizzare il
dato sostanziale e non formale che connota l’attività
sportiva, e che, quindi, in realtà il problema
definitorio finisce per essere astratto, mentre la
qualificazione va fatta in concreto, sulla base di un
giudizio squisitamente casistico.
Sotto altro profilo, va rilevato
anche, come noto, che negli ultimi decenni la pratica di
attività sportiva ha conosciuto un notevole incremento,
determinando così la diffusione dello sport, che da
fenomeno elitario, quale era all’inizio del XX secolo,
si è imposto come “di massa”. Cosicchè il settore
sportivo oggi denota una complessità soggettiva ed
oggettiva tale per cui innanzitutto, occorre riflettere
su cosa si intende per sport amatoriale13.
Sussiste infatti una molteplicità
di soggetti14, persone fisiche, atleti, dirigenti,
medici, procuratori, e persone giuridiche, siano essi
Enti, Federazioni, associazioni, Leghe, che a vario
titolo sono coinvolti nell’esercizio dello sport; dal
punto di vista oggettivo, invece si assiste al
proliferare delle discipline sportive, rispetto alle
quali si pone il quesito di stabilire quali siano quelle
regolamentate e riconducibili ad un’organizzazione di
tipo federale.
Ciò posto, in questo quadro
complesso si colloca la problematica classificazione e
distinzione dei vari livelli della pratica delle
attività sportive, amatoriale, dilettantistica,
semiprofessionistica e professionistica, così come, più
specificamente, si pone il problema di stabilire se ci
si trovi di fronte ad un’attività praticata a livello
amicale ma del tipo di quelle riconosciute e
regolamentate ufficialmente, ovvero si tratti di un
gioco non riconducibile ad uno sport per dir così
ufficiale, riconosciuto, ma che rappresenti comunque una
competizione mirante a stabilire sia pure
occasionalmente un vincitore.
A ben guardare è la stessa
definizione15 di sport come qualsiasi forma di attività
fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o
non, abbia per obiettivo l’espressione o il
miglioramento della condizione fisica e psichica, lo
sviluppo delle relazioni sociali e l’ottenimento di
risultati in competizione a tutti i livelli, che mette
in crisi i tentativi di stabilire un netto distinguo tra
sport amatoriale e non, ai fini dell’applicazione di un
unico canone di responsabilità.
La dottrina16 che di recente ha
affrontato la spinosa questione della definizione e
selezione delle attività riconducibili all’area dello
sport, se da un lato ha criticato la scelta di
qualificare come sportive le sole attività rispondenti
ad un criterio formale-soggettivo fondato sul
riconoscimento della relativa disciplina da parte del
Coni, dall’altro tuttavia sembra aver scelto comunque di
attrarre nell’ambito del fenomeno sportivo le sole
discipline organizzate rispondenti a regole comunemente
condivise e praticate17, ma soprattutto connotate dal
carattere della competitività.
Partendo da questo aspetto, è il
caso di domandarsi, allora, se debbano essere ricondotti
all’area dello sport in senso stretto le contese
sportive amichevoli e/o amatoriali. Si tratta altrimenti
di stabilire se ad esse sia proprio quel carattere di
competitività che connota lo sport organizzato e se ad
esse vada applicato il regime della responsabilità
sportiva tradizionalmente fondato sul rischio
consentito.
Si potrebbe affermare che
l’elemento di distinzione tra la competizione sportiva
tout court tra atleti e la partita giocata in contesto
amicale risieda proprio nell’elemento “organizzazione”.
Difficile è non notare come diversa sia l’ipotesi in cui
gli atleti, sebbene minori giochino nell’ambito di una
competizione organizzata rispondente a regole
predeterminate e note, da quella in cui essi stessi si
riuniscono occasionalmente per motivi di svago.
Il dato di diritto positivo non è
chiaro.
Dalla legge sul lavoro sportivo18 è
possibile ricavare solo una definizione di sport
professionistico, alla quale quindi per esclusione si
può opporre quella di sport non professionistici (nella
quale categoria andrebbero ricompresi non solo quelli
svolti a livello dilettantistico, ma anche quelli
amatoriali).
A complicare ulteriormente la
questione interviene la normativa di rango secondario
dello Stato.
Infatti, se, da un lato, la nozione
di atleta dilettante19 sembra essere superata ad opera
del Coni che (nella deliberazione del Consiglio
Nazionale n. 1256 del 23 marzo 2004 in tema di Principi
fondamentali degli Statuti delle federazioni sportive
nazionali, delle discipline sportive associate e delle
associazioni benemerite) si limita a distinguere
l’attività professionistica da quella non
professionistica senza menzionare “l’attività
dilettantistica”, dall’altro, la figura dell’atleta
dilettante è stata espressamente contemplata dal
legislatore nazionale (D. M. 17 dicembre 2004 in materia
di tutela assicurativa, pubblicato in G. U. n. 97 del
28/04/2005) che definisce20 sportivi dilettanti: “tutti
i tesserati che svolgono attività sportiva a titolo
agonistico, non agonistico, amatoriale, ludico motorio o
quale impiego del tempo libero, con esclusione di coloro
che vengono definiti professionisti”.
Una parte della dottrina21, alla
luce della carente disciplina legislativa, ritiene
insufficiente la classificazione e definizione delle
attività sportive operata all’interno del sistema delle
federazioni, e allo stesso tempo critica anche la scelta
di utilizzare quale criterio discretivo il concetto di
agonismo. Si osserva in proposito come anche lo sport
amatoriale possa esser connotato da tale profilo, sia
pure in misura minore, e come anch’esso debba esser
sottoposto a delle regole, che i praticanti conoscono e
o accettano.
Si pone quindi l’esigenza di
distinguere non solo tra sport professionistico e
dilettantistico, ma anche tra sport dilettantistico,
amatoriale ed amicale, prendendo in considerazione la
circostanza dell’inserimento dell’evento all’interno di
un’organizzazione che coordini una gara.
Ne consegue che la partita
occasionale tra amici pure se mira a stabilire un
vincitore con delle regole conosciute e accettate è
amatoriale, e pertanto dovrebbe esser soggetta alle
regole comuni della responsabilità civile di cui agli
artt. 2043 c.c. e ss., se invece la contesa si inserisse
in una pluralità di eventi che comunque fossero in
raccordo rispondendo ad una regolamentazione e facenti
capo ad un’organizzazione che li gestisse, in tal caso
si passerebbe dall’amatoriale al dilettantismo, con
conseguente ripristino delle regole proprie della
responsabilità civile sportiva fondata sull’accettazione
del rischio.
Tuttavia non si può escludere che,
sia pure in diversi gradi e forme, in alcuni casi anche
lo sport amatoriale od occasionale presenti i caratteri
propri che rappresentano l’essenza22 dello sport e cioè
agonismo23 e accettazione delle regole del gioco.
Sotto quest’aspetto,
particolarmente problematico risulterà, tuttavia,
stabilire le regole del gioco, nonché individuare in
base a quale meccanismo esse debbano dirsi conosciute
dagli sportivi e da essi accettate, in maniera tale da
agevolare l’interprete o il giudice nella ricostruzione
del giudizio di responsabilità.
Si discute infatti se le medesime
regole che valgono nella competizione sportiva che si
inserisce in un contesto di agonismo programmatico
illimitato debbano applicarsi anche se il medesimo sport
venga praticato occasionalmente in via amichevole (si
pensi al classico esempio della partita di calcio tra
amici, od addirittura tra minori).
Conseguenzialmente controversa di
volta in volta risulterà l’esatta individuazione delle
norme applicabili nel giudizio di responsabilità civile,
laddove non è pacifico se l’accertamento dell’illiceità
della condotta debba arrestarsi alla sola verifica della
conformità alle regole del gioco ( se e quando
individuate).
4. La responsabilità sportiva in
ambito amatoriale
Se si considerano la progressiva
erosione della differenza tra sport professionistico,
sempiprofessionsitico e dilettantistico, che si evince
dall’ordinamento comuniatrio24, il progressivo
riconoscimento allo sport amatoriale di una dimensione
inutilitaristica25 occupazione del tempo libero, la
crescente attenzione verso il fenomeno sportivo nelle
sue manifestazioni extra-agonistiche e, più in generale,
il riconoscimento del ruolo sociale dello sport a
livello comunitario26 si comprende l’esigenza di una
rinnovata riflessione sui limiti di liceità
dell’attività sportiva amatoriale.
In particolare, appare lecito
dubitare che la ricostruzione della responsabilità
sportiva per gli eventi dannosi che dovessero occorrere
nel corso di competizioni agonistiche in cui sia
logicamente riscontrabile la cosiddetta “ansia da
risultato” possa ritenersi valida anche se i fatti
lesivi che si dovessero verificare in un contesto
amatoriale, o quando l’evento sportivo pur inserendosi
in un contesto organizzativo, abbia come protagonisti i
minori, affidati per giunta ad associazioni sportive.
Se, infatti, sussiste una sorta di
scriminante sportiva27 che si applica ogni qualvolta vi
sia una manifestazione sportiva, con la funzione di
rendere lecite condotte lesive, che cioè normalmente
sarebbero fonte di responsabilità civile, ciò detto, non
può ritenersi de plano sic et simpliciter scontata
l’applicazione della medesima scriminante nel caso in
cui l’attività sportiva venga svolta amatorialmente,
oppure in allenamento, ovvero da minori.
La questione non è meramente
teorica, poiché, come già precisato, dalla soluzione del
problema, nell’un senso piuttosto che nell’altro, deriva
l’applicazione di un diverso regime di responsabilità,
civile o penale28.
La competizione amatoriale29 è
caratterizzata da una minore carica agonistica dovuta
all’assenza di una eccessiva propensione al risultato e,
pertanto, debbano essere affrontate con maggiore
cautela, nel rispetto della capacità ed esperienza
dell’avversario.
Si può rilevare che la
ricostruzione della responsabilità sportiva amatoriale
ovvero l’individuazione dei limiti della responsabilità
sportiva tout court dipendono dall’esame di questi
profili: la rilevanza delle regole sportive e la
problematica individuazione delle stesse; lo stretto
rapporto tra sport amatoriale e l’attività sportiva dei
minori; l’applicabilità della clausola dell’accettazione
del rischio allo sport praticato da minori.
5. Segue: a) lo sport amatoriale e
il rispetto delle regole del gioco
Il problema della rilevanza delle
regole sportive, a dire il vero, sembra aver destato
minor attenzione rispetto alla cosiddetta accettazione
del rischio nella ricostruzione della responsabilità
sportiva.
Come noto, non sono mancati in
dottrina posizioni volte a negare la rilevanza giuridica
delle regole sportive, intese come regole puramente
tecniche proprie dell’autonomia organizzatoria
dell’ordinamento sportivo.30
Non è il caso in questa sede di
ripercorrere le varie teorie in argomento, basti
tuttavia sottolineare, come, sia quelle a carattere
tecnico che quelle di gioco, le une tese a prevenire
fatti dannosi, le altre tese a determinare le modalità
di svolgimento della gara e di assegnazione dei
risultati, possono fungere da regole di condotta, come
tali idonee a prevenire fatti dannosi, e pertanto esse
sono rilevanti giuridicamente, attraverso il giudizio di
responsabilità per colpa ex art. 2043, c.c., sicchè
acquistano giuridica rilevanza come regole di prudenza e
o perizia31.
Vero che nel caso di competizioni
agonistiche l’ accertamento della violazione della
regola sportive non può da solo costituire indizio
(positivo o negativo) di responsabilità, dovendosi
verificare il superamento della soglia del rischio
consentito, ovvero la volontarietà- involontarietà del
fallo.
Tuttavia, in ipotesi di contesa
amatoriale, occasionale o addirittura nel gioco tra
ragazzi ispirato al divertimento e non all’ansia da
risultato, è agevole comprendere l’importanza che viene
ad assumere il rispetto di quelle regole, forse più
dell’accettazione del rischio.
Come noto, in ambito sportivo il
giudizio di responsabilità32 si fonda sulla conoscenza e
sull’applicazione delle regole di gioco, sicchè
nell’accertamento dell’illiceità della condotta il
giudice dovrà far riferimento ad un parametro astratto
basato sulle regole le quali rappresentano veri e propri
standard di condotta cui sono tenuti a conformarsi
solitamente gli atleti, ovvero, per quanto interessa in
questa sede, gli sportivi amatori.
Il parametro di valutazione della
condotta nella competizione agonistica sarà
tendenzialmente meno severo rispetto a quello che
informa la gara tra dilettanti, in considerazione della
minor carica agonistica che caratterizza lo sport che si
svolge al di fuori delle gare ufficiali, mentre tenderà
al massimo rigore nel caso degli allenamenti e
dell’attività sportiva amatoriale33.
Allo stesso tempo, tuttavia, si
deve constatare una concreta difficoltà nell’apprezzare
la conformità della condotta alle regole del gioco34,
soprattutto laddove ci si trovi al di fuori di attività
sportive ufficialmente regolamentate, e pertanto in
taluni casi preferiscono ritenere corretta in diritto
l'affermazione secondo cui, in contesti non ufficiali,
il parametro valutativo della responsabilità per le
lesioni riportate da uno dei contendenti è costituito
dalle regole di comune prudenza35.
6. b) lo stretto rapporto tra sport
amatoriale e l’attività sportiva dei minori.
Il contesto amatoriale e/o
dilettantistico della pratica sportiva e l’assenza
dell’agonismo programmatico inducono a dubitare se sia
sufficiente apprezzare i comportamenti dei partecipanti
del punto di vista della conformità dell’azione alle
regole del gioco36, o, se invece sia piuttosto opportuno
anche a valutare lo specifico livello al quale lo sport
è praticato e l’età di chi lo pratica.
Ove la competizione amicale od
amatoriale abbia come protagonisti minori, infatti, la
ricostruzione della responsabilità civile impone anche
il richiamo ad altre regole che fanno capo alla
responsabilità dei sorveglianti.
Considerato il numero crescente di
infradiciottenni che praticano attività sportiva, è
opportuno chiedersi quando del danno cagionato in ambito
sportivo dagli allievi possano essere chiamati a
rispondere, in base al disposto degli artt. 2047 c.c. e
2048 c.c. i genitori, gli allenatori, gli istruttori e
gli insegnanti; in altri termini, quale sia il rapporto
tra il minore e la responsabilità civile sportiva37.
E’ lecito dubitare se in tali casi
la ricostruzione della responsabilità civile debba esser
fatta alla stregua dei criteri comunemente adottati
dalla giurisprudenza in argomento, e se, come nelle
ipotesi di responsabilità civile sportiva ex art. 2043
c.c., sia corretto integrare il giudizio mediante il
ricorso alla clausola del rischio consentito, si da
ridurre l’area dell’antigiuridicità.
In merito, la recente
giurisprudenza della Suprema Corte 38 sembra aver
risentito del condizionamento delle teorie sulla
responsabilità sportiva tout court, laddove essa non ha
avuto tema di ribadire il principio39 secondo cui il
gioco del calcio, come ogni attività sportiva connotata
da competitività e da un certo grado di contrasto fisico
tra i partecipanti in funzione del raggiungimento di un
risultato favorevole nella disputa, comporta un rischio
per l'incolumità dei giocatori, insito nello stesso
espletamento dell'attività, ed è certamente consentita
dall'ordinamento e, anzi, promossa e favorita dallo
Stato 40.
Sicchè, emerge un trattamento
sanzionatorio di maggior favore e minor rigore per
l’attività sportiva, con conseguente riduzione
dell’ambito dell’illiceità, escludendosi di conseguenza
l’operatività di anche altre forme di responsabilità
come quelle che fanno capo a genitori istruttori o
sorveglianti41.
Sotto altro profilo, non
trascurabile, alla luce anche del caso concreto portato
dalla sentenza in esame, in virtù del dovere di
controllo e di educazione dei propri figli in capo ai
genitori, si pone anche il problema di stabilire se e
quando la responsabilità degli istruttori escluda quella
dei genitori.
Infatti, ai sensi dell’art. 2048
c.c., la responsabilità dei genitori dovrebbe essere
esclusa42 quando il minore abbia agito nel corso di una
gara o durante gli allenamenti, essendo stato affidato
all’istruttore.
In verità si discute43 se e quando
i genitori debbano rispondere del fatto illecito
commesso dal figlio minore, per esempio con riferimento
ai casi in cui il fatto si presenti come del tutto
anomalo in relazione all’indole e alle tendenze abituali
del fanciullo, all’educazione ricevuta e alla normale
vigilanza dovuta; ossia in tutti quei casi in cui il
fatto del minore non sia ex ante prevedibile dai
soggetti che su di esso esercitano la potestà.
Il che rimanda innanzitutto ad un
accertamento nel caso concreto, e significa, per quello
che interessa in questa sede, che il giudice dovrà
valutare il grado di maturità del minore; anzi per
questa la norma spiega una funzione di general
prevenzione, atteso che si ritiene che essa debba
indurre i genitori ad impartire una educazione
sufficiente ed idonea ai figli44.
Ciò non significa che il genitore,
per andare esente da responsabilità, debba accompagnare
costantemente il minore nelle proprie attività sportive
ma si reputa sufficiente che impartisca un’educazione
sportiva consona all’età.
Tuttavia questo richiede che sia il
giudice ad accertare in concreto del grado di maturità
del minore. Tale profilo dell’accertamento in concreto
viene ad esser privilegiato per ammettere od escludere
la responsabilità in capo ai precettori, istruttori e
allenatori, i quali, personalmente oppure solidalmente
con i gestori dell’impianto o gli organizzatori della
competizione sportiva, rispondono dei danni cagionati
dal minore e in base al disposto degli articoli 2047
c.c. e 2048 c.c. rispondono della mancata adozione delle
opportune cautele finalizzate a prevenire l’evento
dannoso ma anche per omissione dei poteri di controllo e
di direzione sugli allievi45.
Non è il caso di ripercorrere in
questa sede le varie teorie da tempo elaborate in
dottrina46 circa la natura giuridica delle due diverse
figure di responsabilità ( ex art 2047 c.c. ed ex art.
2048 c.c.), né circa il possibile concorso della
responsabilità dei genitori con quella degli altri
sorveglianti (profilo questo che sarebbe stato
interessante esaminare anche nel caso concreto), ovvero
della possibilità di invocare la regola generale
dell’art. 2043 c.c., basti tuttavia richiamare le
difficoltà che si prospettano nei casi concreti
allorquando si tratta di formulare un giudizio di
responsabilità.
La giurisprudenza47, a fronte della
difficoltà di accertare in concreto quando vi sia
un’effettiva responsabilità, ritiene a tal fine che la
valutazione del comportamento tenuto dall’istruttore non
debba effettuarsi in base ai parametri previsti secondo
uno standard astratto di “buon insegnante”, bensì debba
operarsi sul singolo caso concreto48, dovendo tener
conto di circostanze quali l’età, la formazione, il
grado di maturità dell’allievo e le condizioni
ambientali nelle quali si è svolto l’insegnamento della
disciplina; di conseguenza, la probabilità di affermare
la responsabilità dell’istruttore sarà maggiore in caso
di allievo minorenne ed inesperto nella disciplina
sportiva, richiedendosi in tali situazioni una vigilanza
massima per continuità ed attenzione.
Questo è l’orientamento prescelto
anche in altra decisione49, che in verità ha richiamato
non la responsabilità che fa capo alle persone fisiche
degli istruttori, essendo stata chiamata a giudicare
della responsabilità dell’ente associativo in base al
disposto dell’art. 2047 c.c.
In tal caso, sposando
l’orientamento secondo cui la responsabilità ex art.
2047 è responsabilità per fatto altrui50 la Corte ha
ritenuto dovesse prescindersi dall’accertamento del dolo
o della colpa ed andare ad apprezzare la sussistenza di
tutti gli altri elementi che intergrano l’illecito, e
tra questi i giudici si sono soffermati sulla
antigiuridicità della condotta.
In definitiva l’attenzione del
giudicante si è concentrata tutta sul profilo
dell’antigiuridicità della condotta. Si è affermato,
quindi, che affinché il sorvegliante sia tenuto al
risarcimento occorre che il danno sai arrecato non iure
cioè sia inferto in assenza di una causa giustificativa,
che nel caso di specie è stata ritenuta sussistere
proprio quale scriminante sportiva tout court.
Infatti, i giudici di legittimità
hanno ritenuto che la circostanza della minore età, il
carattere dilettantistico della gara non fossero
sufficienti ad escludere l’applicazione del noto
principio secondo cui la responsabilità va esclusa tutte
le volte in cui oltre a sussistere un nesso funzionale
tra l’azione di gioco e l’evento lesivo vi sia un grado
di violenza compatibile con lo sport praticato51.
Essi hanno quindi precisato che la
valutazione della minore età degli atleti, del carattere
dilettantistico dell’evento, nonché del grado di
violenza dell’azione compete al giudice di merito, e,
soprattutto, che si tratta di una qualità di cui il
giudice deve tener conto nel giudizio di bilanciamento
tra il grado di irruenza manifestato e la normalità
dello sport praticato in quelle circostanze.
7. c) l’applicabilità della
clausola dell’accettazione del rischio allo sport
praticato da minori
L’argomentazione della Corte porta
quindi a riflettere su un altro aspetto. La presunzione
di (tacito) consenso al rischio da parte degli atleti,
che decidono di impegnarsi nelle attività sportive,
appare difficilmente configurabile in capo ai minori
coinvolti che praticano lo sport amatoriale tra amici
ovvero presso le scuole e le parrocchie.52
Allo stesso modo, va detto quanto
sia difficile appurare se essi conoscevano durante la
partita le regole di quel gioco o sport e se fossero
tenuti al tempo stesso al rispetto delle medesime.
Da tale ragionamento dovrebbe
dedursi che l’attività sportiva non direttamente
riconducibile alle competizioni ufficiali non possa
soggiacere agli effetti della scriminante fondata sul
rischio consentito.
Occorre, infatti, dar conto della
difficoltà di riferire ai minori l’accettazione del
rischio (nonché il rilascio del tacito consenso),
soprattutto perchè attraverso l’applicazione di un
criterio alquanto restrittivo di imputazione della
responsabilità aquiliana, essa finisce per limitare
l’ambito di tutela del minore danneggiato rispetto al
regime ordinario di responsabilità extracontrattuale.
In tali casi difficilmente potrà
ammettersi tout court la limitazione di responsabilità
che è giustificata in virtù del favore dell’ordinamento
verso lo sport, in generale, e verso il gioco di
ruba-bandiera, in particolare53.
Si può concludere nel senso che la
difficoltà di ricostruire la responsabilità sportiva in
ambito amatoriale risiede nell’individuazione delle
regole del gioco, dalla quale dipende strettamente, ove
non si ritenga applicabile il rischio consentito, la
valutazione tesa a stabilire se l’atto, violando le
regole, sia trasmodato nel disprezzo, o anche soltanto
nel mancato rispetto (che è cosa assai diversa)
dell'altrui incolumità fisica.
Ciò non può significare se non che
in ambito amatoriale più che in ogni altro contesto
agonistico lo sport debba rispondere al dovere generale
di lealtà sportiva54.
8. Conclusioni
Non può negarsi che esiste un
minimo comun denominatore che accomuna tutti i tipi di
sport anche a livello amatoriale, rappresentato dallo
spirito competitivo, dal rispetto delle regole del
gioco, governati dal principio del fair play.
Spetterà al giudice tenere conto
dei principi generali dell’ordinamento statuale e
segnatamente dell’art. 2 Cost. ogni qualvolta la
verifica del superamento della soglia del rischio
consentito o la giustificazione del fallo per la foga
agonistica del risultato non siano sufficienti.
Esiste l’esigenza una più rigorosa
valutazione del rispetto delle regole del gioco ovvero
della colpa sotto il profilo dell’imprudenza, nonché
della riferibilità del rischio consentito all’attività
sportiva svolta in ambito amatoriale55.
Se si parte dall’inopportunità di
una qualificazione astratta delle varie tipologie di
sport, e dalla necessità di un’analisi condotta caso per
caso che tenga conto della meritevolezza56 degli
interessi legati alla pratica sportiva, non può che
tornare di grande vantaggio il riferimento
all’etica57che consente di tener in conto la
particolarità dell'attività sportiva, la vocazione
sociale dello sport, quale momento di incontro e
ambiente ideale ove educare al rispetto delle regole58.
1 Le mobili frontiere del danno
ingiusto sono analizzate da F. Caringella in Studi di
diritto civile, Milano, 2005.
2 Calciano, Diritto dello sport. Il
sistema delle responsabilità nell’analisi
giurisprudenziale, Milano, 2010, 47 s.s., Colantuoni,
Diritto dello sport, Torino, 2009, 330 ss.; Aa.Vv.
Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, Atti del
Convegno della SISDC, Napoli, 2009; Ponzanelli,
Responsabilità civile e attività sportive, in Danno e
resp., 2009, 603 ss.; Frau, La responsabilità civile
sportiva nella giurisprudenza, Profili generali, in
Resp. civ., 2006, 1028; Giampetraglia, Riflessioni in
tema di responsabilità sportiva, Napoli, 2002.
3 Ex multis, Cass. 13 febbraio 2009
n. 13528, in Nuova giur. civ. commentata 2009, 7-8, 1,
764 ss., con nota di Frata, La responsabilità per
attività pericolosa del gestore di ippodromo e degli
organizzatori di attività agonistiche: due recenti
pronunce della Cassazione; Cass. 28 febbraio 2007 n.
8067, in Danno e resp., 2007, 7, 811; Cass. 4 ottobre
2005 n. 20908, in Danno e resp., 2006, 6, 633 con nota
di Ferrari; Cass. 8 novembre 2005, n. 211664, in Foro
it., 2006, 5, 1459. Una rassegna di massime recenti in
Calciano, Diritto dello sport. Il sistema delle
responsabilità nell’analisi giurisprudenziale, op. cit.,
129 ss.
4 Sferrazza, La scriminante
sportiva nel gioco del calcio, in Riv. dir. economia
sport, 2008, 3, 49 ss.
5 Cass. 21 febbraio 2000, n. 1951,
in Foro it., 2000, II, 320, nonché, Cass. 27 ottobre
2005 n. 20908, in Foro it., 2006, I, 1465. Secondo la
giurisprudenza la responsabilità sportiva è una
responsabilità civile fondata sulla colpa, da ravvisare
quando la condotta riveli disprezzo per l’altrui
integrità fisica, travalicando i limiti del rischio
consentito. Quando la gara diventa solo occasione del
fatto illecito, vi sarà responsabilità per dolo.
6 Lepore A., Responsabilità civile
e tutela della persona atleta, Napoli, 2009; Pittalis
M., La responsabilità sportiva tra diritto comune e
regole particolari, 2008.
7 La significativa diffusione
della pratica sportiva con il conseguente aumento della
domanda di strutture, impianti, addetti ha anche
moltiplicato la domanda di tutela di fronte a quelle
occasioni di danno in concomitanza con la pratica -
agonistica o ricreativa - dello sport; si impone
tuttora, al giurista di reinterpretare il sistema
codicistico della responsabilità civile, il quale
sembra ancora di più, alla luce della nota atipicità
dell’illecito aquiliano, aperto in divenire. V.
Franzoni, Dei fatti illeciti, (artt. 2049 e 2054), in
Comm. cod.civ. a cura di Scialoja e Branca, Bologna;
Roma, 1993, p. 68; Visintini, Trattato Breve della
Responsabilità Civile, Padova, 2005, p. 597 ss.; C.M.
Bianca, Diritto Civile, La responsabilità, Milano, 2002,
p. 692.
8 Non è estraneo allo sport
amatoriale l’agonismo in se e per sé. Come si vedrà più
innanzi esso è definito come l’essenza di ogni tipo di
sport.
9 In argomento, Bacco, Attività
sportive e rischio consentito: il caso delle
competizioni automobilistiche, Nota a Trib. Ivrea 10
ottobre 2005, n. 544 e Trib. Alessandria 6 febbraio
2006, n. 1009, in Giur. mer., 2007, 7-8, 2000 ss.; Frau,
La responsabilità civile sportiva nella giurisprudenza.
Profili generali, in Resp. civ. prev., 2006, 6, 1028; De
Marzo, Accettazione del rischio e responsabilità
sportiva, in Riv. dir. sport., 1992, 8 ss.
10 In argomento si rinvia a
Indraccolo , Rapporti e tutele nel dilettantismo
sportivo, Napoli, 2008, 8 ss.; Capilli-Putti, La
responsabilità nello sport, Milano, 2002, 88 ss.
11 Si è rilevato che i criteri per
tentare una qualche definizione sono vari e spaziano
fino al campo filosofico. Liotta- Santoro, Lezioni di
diritto sportivo, Milano, 2009, 6 ss. Sul punto anche
Indraccolo, Rapporti e tutele nel dilettantismo
sportivo, op. cit., 8 ss., il quale sottolinea come
anche lo sport amatoriale sia connotato dalla
competitività che è estranea solo al mero esercizio
fisico. Si sofferma sull’etimologia del termine Pierini,
Autonomia, concorrenza e autogoverno dello sport in
Europa, in Aa. Vv., Diritto comunitario dello sport,
Torino, 2009, 127.
12 Liotta- Santoro, Lezioni di
diritto sportivo, op. cit., 6 ss.
13 La dottrina si interroga da
ultimo sulla rilevanza giuridica del fenomeno sportivo
in generale e sui rapporti tra lo Sport, lo Stato e le
Istituzioni sovranazionali. Sul punto, De Silvestri, Le
nuove frontiere del diritto dello sport, in Aa. Vv.,
Diritto comunitario dello sport, op. cit., 78 ss.; e Di
Nella, Lo sport, profili metodologici, in Aa. Vv.,
Manuale di diritto dello sport, Napoli, 2010, 41 ss.
14 Lo Stato italiano ha inteso
regolarizzare la gestione e l’organizzazione di questi
soggetti istituendo il CONI, organo che disciplina per
conto dello Stato tutti gli altri soggetti del mondo
sportivo. La sua articolazione è su base regionale,
provinciale e locale, in cui dispone di propri uffici di
competenza territoriale. Per ciascuno sport poi, il
CONI, si avvale delle Federazioni Sportive Nazionali.
15 Si tratta della definizione
fornita nella Carta Europea dello Sport adottata dal
Consiglio d’Europa, a Rodi nel 1992. In argomento,
Colantuoni, Diritto Sportivo, op. cit., 5. Essa riprende
ed amplia i princìpi della “Carta Europea dello Sport
per Tutti” approvata nel 1975 a Bruxelles, che furono
poi recepiti nella “Carta Internazionale per
l’Educazione Fisica e lo Sport” adottata dalla
Conferenza Generale dell’Unesco nel 1978 a Parigi. La
dottrina, Liotta- Santoro, Lezioni di diritto sportivo,
op. cit., 6 ss., ritiene non condivisibile la
qualificazione delle attività sportive sulla base del
solo criterio formale soggettivo dell’appartenenza delle
discipline sportive al Coni attraverso le federazioni
sportive. Si osserva, in proposito, che la tesi suddetta
pecca di formalismo giuridico, assumendo quale criterio
di qualificazione non gli elementi intrinseci del
fenomeno ma un atto formale di riconoscimento.
16 Liotta- Santoro, Lezioni di
diritto sportivo, op. cit.,6 ss.
17 In particolare, si afferma,
Liotta- Santoro, Lezioni di diritto sportivo, op. cit.,
6 ss , che ciò che conta non è tanto il riconoscimento e
la regolamentazione della disciplina ad opera della
Federazione sportiva e del CONI, poiché secondo questo
criterio si verrebbero ad escludere discipline sportive
regolamentate a livello mondiale e non appartenenti al
CONI.
18 La legge del 23 marzo 1981 n.91,
ha dato la definizione di professionismo sportivo, che
mancava fino ad allora, ha regolato per la prima volta
il contratto di lavoro sportivo, inteso come
quell’accordo che dà luogo al rapporto di lavoro
intercorrente tra le società e gli sportivi
professionisti, introducendo diverse forme di tutela per
il professionista e per le società. Secondo quanto
disposto dalla normativa vigente (art. 2 l. n. 91/1981)
sono considerati sportivi professionisti coloro che
esercitano l'attività sportiva: - a titolo oneroso; -
con carattere di continuità; - regolamentata dalle
disposizioni del CONI; - qualificata professionalmente
dalle Federazioni sportive nazionali. Si precisa,
inoltre, che affinché possa essere considerato
professionista lo sportivo dovrà conseguire la
qualificazione da parte delle federazioni sportive
nazionali, secondo la normativa da loro emanata,
osservando le direttive stabilite dal CONI per
distinguere l'attività dilettantistica da quella
professionistica. Rientrano, pertanto, tra gli sportivi
professionisti le seguenti figure: - atleti; -
allenatori; - direttori tecnico-sportivi; - preparatori
atletici. Sul punto, Colantuoni, Diritto dello Sport,
op. cit., 208 ss.; Cantalamessa, Il contratto di lavoro
sportivo professionistico, in Aa.Vv., Lineamenti di
diritto sportivo, Milano, 2008, 147 ss.
19 In argomento v. Indraccolo,
Rapporti e tutele nel dilettantismo sportivo, op. cit.,
8 ss.
20 Ai sensi dell’art 1 sono
soggetti obbligati e beneficiari delle prestazioni
assicurative : 1. Ai sensi del primo comma dell'art. 51
della legge 27 dicembre 2002, n. 289 sono beneficiari
delle prestazioni assicurative obbligatorie tutti gli
sportivi dilettanti tesserati con la qualifica di
atleta, tecnico, dirigente alle Federazioni sportive
nazionali, alle discipline sportive associate ed agli
enti di promozione sportiva. 2. Ai fini
dell'applicazione della richiamata legge 27 dicembre
2002, n. 289: a) per atleti dilettanti si intendono
tutti i tesserati che svolgono attivita' sportiva a
titolo agonistico, non agonistico, amatoriale, ludico
motorio o quale impiego del tempo libero, con esclusione
di coloro che vengono definiti professionisti dagli
specifici regolamenti delle organizzazioni sportive
nazionali di appartenenza o che vengono ricompresi nelle
previsioni di cui al decreto legislativo 23 febbraio
2000, n. 38; b) per dirigenti si intendono tutti i
tesserati con tale qualifica alle organizzazioni di
riferimento e che esercitano le proprie funzioni a
livello centrale e/o periferico, ovvero in seno agli
affiliati: c) per tecnici si intendono tutti i tesserati
in qualita' di maestri, istruttori, allenatori,
collaboratori ed altre figure diversamente definite o
individuate dalle organizzazioni di appartenenza che
siano preposte all'insegnamento delle tecniche sportive,
all'allenamento degli atleti ed al loro perfezionamento
tecnico.
21 Indraccolo, Rapporti e tutele
nel dilettantismo sportivo, op. cit., 18 ss.
22 Alvisi, Autonomia privata e
autodisciplina sportiva. Il CONI e la regolamentazione
dello sport, Milano, 2005, 94 ss.
23 Indraccolo, Rapporti e tutele
nel dilettantismo sportivo, op. cit., 22 ss.,osserva
come l’agonismo possa addirittura difettare nel campo
professionistico e essere più intenso in quello
dilettantistico, ed ancora che l’agonismo incarna il
fine autentico, l’anima dello sport. Sotto altro profilo
si osserva anche l’inopportunità di una distinzione tra
attività amatoriale, dilettantistica e porfessionsitica.
Ciò sia perché lo stesso statuto del Coni sembra oramai
soprassedere sulla distinzione tra dilettantismo e
professionismo, sia perché né la carta olimpica né i
principi fondamentali degli statuti delle federazioni e
delle discipline associate contengono la parola
dilettante.
24 In dottrina sul punto Musumarra,
La qualificazione degli sportivi professionisti e
dilettanti nella giurisprudenza comunitaria, in Riv.
dir. economia sport, 2005, 2, 39 ss. L’ordinamento
interno non è in linea con gli orientamenti degli organi
dell’Unione europea, dal punto di vista della
qualificazione dei diversi livelli a cui si praticano
attività sportive. Non a caso, la stessa distinzione fra
attività sportiva dilettantistica e professionistica,
così come accolta nel nostro ordinamento e fondata su un
criterio prevalentemente formale, rischia di essere
“messa in crisi” dalle decisioni della giurisprudenza
comunitaria la quale si discosta dalla concezione
accolta nel nostro paese, ritenendo che l’atleta può
svolgere attività economica ai sensi dell’art. 2
Trattato CE nonostante la sua qualificazione come
dilettante ad opera delle federazioni nazionali. Vedi
Corte CE, 17 marzo 2005 in Raccolta della giurisprudenza
della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 2005;
Corte CE,11 aprile 2000, in Raccolta della
giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità
Europee 2000, I, 2549; Corte CE 23 marzo 1982, Raccolta
della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle
Comunità Europee, 1982, 1035. In queste pronunce la
Corte è partita dall’assunto secondo cui l’attività
sportiva è disciplinata in ambito comunitario in quanto
sia a rilevanza economica, ma ciò non autorizza ad
escludere la rilevanza per l’ordinamento comunitario
dello sport non professionistico. Piuttosto è vero che
ai fini della distinzione tra sport professionistici e
dilettantistici devono abbandonarsi i criteri
individuati dai legislatori nazionali. Rispetto a questi
la corte prospetta quale nuovo criterio valido alla luce
delle libertà fondamentali del trattato la possibilità
di considerare lo sportivo un lavoratore, possibilità
che si realizza semplicemente ove si individui una
pratica retribuita sebbene in maniera non duratura e
anche svolta part-time. Da questo ragionamento deriva la
possibilità di considerare lavoratore, quindi
professionista anche il dilettante. Sullo sfondo
rimarrebbe il solo sport amatoriale cioè quello svolto
per puro diletto o gioco.
25 Sul punto, Liotta- Santoro,
Lezioni di diritto sportivo, op. cit., 3 ss. Gli Autori,
osservano che lo sport nasce come dilettantismo, poiché
gli atleti già autosufficienti economicamente assunsero
questa qualificazione poiché si dedicavano alle attività
sportive nel tempo libero; oggi è superata tanto la
vecchia ottocentesca concezione del dilettantismo come
attività in utilitaristica e perciò non ricompensabile,
quanto la distinzione tra professionismo e dilettantismo
fondata sul criterio formale della legge sul lavoro
sportivo, almeno stando agli orientamenti dell’Unione
che ritiene retribuibile anche il lavoro sportivo del
dilettante. Ne deriva quindi che il dilettantismo non è
definito se non in negativo e che la qualifica di
professionisti dipende dall’attribuzione ad opera delle
Federazioni sportive, sulla base di un criterio
puramente interno all’ordinamento sportivo
26 In proposito c’e da rilevare che
nel libro bianco contemporaneamente alla riaffermazione
della rilevanza giuridica dello sport, soggetto in
quanto tale all’acquis comunitario, si ribadisce il
ruolo sociale dello sport, si opera un espresso
riconoscimento dello sport professionistico, ma, come è
ovvio, maggiore attenzione viene dedicata allo sport non
professionistico, in primis a quello amatoriale. Lo
sport sia entrato a pieno titolo nel campo d’azione
degli organi UE. Il libro bianco sullo sport ha
rappresentato secondo l’autore un’occasione mancata,
nella quale l’Unione avrebbe potuto prendere in
considerazione una volta per tutte la specificità dello
sport e definire una quadro giuridico adatto alle
attività sportive. Esiste tuttora il rischio di una
forte assimilazione delle attività sportive a quelle
economiche, poiché è su queste basi che l’Unione si è
venuta occupando via via del fenomeno sportivo.
Tuttavia, tale tendenza è stata controbilanciata dalla
Dichiarazione allegata al trattato di Amsterdam in cui
si è preso atto della dimensione socioculturale dello
sport. Sul punto, Bastianon-Nascimbene, Diritto europeo
dello sport. L’Europa in movimento. Raccolta di testi e
documenti, Torino, 2011; Tognon, Unione Europea e sport:
evoluzione e sviluppi di un rapporto particolare, La
centralità dell’Unione europea in ambito sportivo, in
Diritto comunitario dello sport, Torino, 2009, 3 ss.;
Zylberstein, La specificità dello sport in ambito
europeo, in Riv. dir. ec. sport, 2008, IV, 1, 59 ss.
27 Da ultimo, Sferrazza, La
scriminante sportiva nel gioco del calcio, in Riv. dir.
economia sport, 2008, 3, 49 ss. L'illecito sportivo è in
stretta relazione con il problema del ''consenso
dell'avente diritto'': perché si possa parlare di
illecito sportivo infatti, si deve presupporre che
sussista, in capo al partecipante di una gara, la
possibilità di subire danni alla propria integrità
fisica, e che egli sia disposto ad accettare i rischi
insiti nella disciplina praticata. Alcuni, Riz.
Lineamenti di diritto penale, Padova, 2002, 194, hanno
sostenuto che in questi ambiti, soprattutto se si tratta
di sport violenti, si debba applicare l’art. 50 c. p.
che opererebbe come causa di giustificazione alla
rilevanza penale del fatto lesivo compiuto dallo
sportivo; questo articolo del codice penale sarebbe
elemento decisivo per escludere ogni responsabilità del
fatto compiuto da parte dell’agente. Altri, Fiandaca-
Musco, Diritto penale,Torino, 2007, 239, invece hanno
sostenuto che l’articolo 50 del cod. pen. non possa
essere addotto a causa di giustificazione della
rilevanza penale del fatto dello sportivo perché il
nostro codice civile all’articolo 5 vieta gli atti di
disposizione del proprio corpo quando cagionino una
diminuzione permanente dell’integrità fisica, rendendo
quindi l’integrità fisica del proprio corpo bene
indisponibile nei confronti dello stesso soggetto, che
in conseguenza non potrebbe manifestare il proprio
consenso, rendendo inapplicabile la scriminante
dell’art. 50 c. p. Tutto ciò presupposto appare chiaro
che le attività sportive violente non sono scriminante
dal consenso dell’avente diritto ma sono lecite in
quanto attività consentite e sostenute dall’ordinamento
giuridico, si tratta perciò si una causa di
giustificazione atipica.
28 Può esser utile un riferimento
agli orientamenti della giurisprudenza penale secondo
cui quanto previsto per le competizioni
professionistiche tout court non possa essere riferito
automaticamente anche ai fatti occorsi durante gli
allenamenti né alle partite o competizioni amatoriali,
occasionali, né agli eventi che abbiano come
protagonisti i minori, poichè in tali casi “i
contendenti devono usare particolare prudenza e
diligenza per non travalicare i limiti connessi a
siffatte modalità di pratica sportiva.. I giudici di
legittimità in quell’occasione hanno espresso siffatto
diverso orientamento in una fattispecie relativa ad un
evento verificatosi nel corso di una partita amatoriale
di calcetto in cui un partecipante, con un’entrata in
scivolata, aveva procurato ad un giocatore della squadra
avversaria la rottura dei tendini di entrambe le
ginocchia.. La Corte di legittimità ha riconosciuto in
quello’occasione che il comportamento del responsabile
era stato “indubbiamente colposo, per avere egli
interpretato l’evento sportivo in corso come una
competizione effettiva, quindi animato da un agonismo
non conferente alla situazione concreta.”Cass. pen. 6
ottobre 2006 n. 33577, in Riv. dir. ec. sport, 2006, 3,
167, che richiama la precedente Cass. 8 ottobre 1992 n.
9627.
29 Lo stesso dicasi per la fase di
allenamento. Con riferimento alla responsabilità
sportiva per danni occorsi durante gli allenamenti, si
rinvia a Cass. 3 aprile 2003, n. 5136, in Dir. ec. ass.,
2004, 1, 290. Nella specie, concernente i danni
riportati da una allieva di un circolo di tennis, minore
di età, caduta a causa di un avvallamento di una
stradina in pendenza, bagnata e cosparsa di brecciolino,
scelta dal personale del circolo per lo svolgimento
dell'allenamento, la S.C. ha cassato la sentenza di
merito, che aveva escluso la responsabilità
dell'associazione, in quanto l'ostacolo, essendo
visibile, non presentava i caratteri dell'insidia o
trabocchetto. La suprema corte, ritiene che ai fini
dell’accertamento della responsabilità debba esser
valutata la colpa specifica, con riguardo alla
violazione delle regole posta a salvaguardia
dell’incolumità degli atleti e quella generica , in
relazione alla comune prudenza e diligenza
30 In argomento, v. Sanino-Verde,
Il diritto sportivo, 28 ss. Gli autori, partendo dalla
nota teoria della pluralità degli ordinamento giuridici,
dopo aver riconosciuto all’ordinamento sportivo la
natura di ordinamento separato, si soffermano
sull’irrilevanza delle regole sportive, in particolare
di quelle tecniche. Si sottolinea in proposito come né
la teoria normativa né quella contrattualistica debbano
esser richiamate per giustificare la rilevanza delle
regole sportive in questo caso, dove piuttosto si addice
discorrere di irrilevanza giuridica essendo pienamente
indifferente l’ordinamento generale a talune regole
elaborate dall’ordinamento sportivo al proprio interno
nell’ambito della propria autonomia in cui lo stato non
è chiamato ad interferire od intervenire. Vedi Tribunale
Roma, 20 settembre 1996, in Riv. dir. sport., 1997, 546,
secondo cui le norme tecniche concernenti le condizioni
di regolarità delle competizioni sportive che in quanto
tali risultano estranee ad ogni interesse oggetto di
attenzione da pare dell'ordinamento generale, non
possono essere sottoposte alla cognizione del giudice
statale.
31 Chiaramente sul punto
Frattarolo, La reponsabilità civile per le attività
sportive, Milano, 1984, 19 ss.
32 Gli sforzi profusi dai giudici
di merito non hanno ancora sortito una linea di
demarcazione attendibile tra le condotte di gioco lecite
ed illecite, diradando i dubbi circa le eventuali
conseguenze riservate dall’ordinamento a chi partecipa
ad una competizione sportiva.
33 Ciò non significa che la gara
ufficiale costituisca uno schermo totalmente
impermeabile all’operare degli ordinari criteri di
responsabilità civile e penale, ma solo che la
scriminante sportiva in tali casi opera con la sua
massima estensione. Come noto, non è la violazione di
quelle norme a escludere in re ipsa la configurabilità
dell’illecito sportivo: non viene travalicata l'area del
rischio consentito, ove la stessa violazione non sia
volontaria e rappresenti, piuttosto, lo sviluppo
fisiologico di un'azione che, “nella concitazione o
trance agonistica (ansia del risultato), può portare
alla non voluta elusione delle regole anzidette”.
34 In argomento v. Cass. 8 agosto
2002, n. 12012, in Danno e resp., 2003, con nota di
Della casa, Attività sportiva e criteri di selezione
della condotta illecita tra colpevolezza ed
antigiuridicità. In tale pronuncia la giurisprudenza
ritiene che il nesso funzionale con l'attività sportiva
non è idoneo ad escludere la responsabilità tutte le
volte che venga impiegato un grado di violenza o
irruenza incompatibile con le caratteristiche dello
sport praticato, ovvero col contesto ambientale nel
quale l'attività sportiva si svolge in concreto, o con
la qualità delle persone che vi partecipano. Infatti,
difficoltà di individuare le regole del gioco da
rispettare sono state ravvisate in altro caso, (Cass.
SS.UU. 11 giugno 2001, n. 8740, in Giur. it., 2002, 6,
1167 ss, con nota di Poncibò, Gioco, sport e
responsabilità aquiliana ) riferito al gioco del ruba
bandiera in cui si è ritenuto che per quanto concerne le
attività sportive, si può fare riferimento alle norme
regolamentari stabilite dal Coni e, quindi, dalle
singole federazioni sportive (ad esempio: le regole
della FIGC per il calcio), mentre è evidente la
difficoltà per il giudice di merito di ricostruire le
(incerte) regole del gioco ruba-bandiera in base alle
consuetudini, agli usi e, talvolta, agli accordi presi
tra i partecipanti. .
35 V. Cass. 22 ottobre 2004 n.
20597, in Danno e resp., 2005, 5, 509, con nota di
Conti, Il braccio di ferro tra amici non è competizione
sportiva.. Sul valore delle regole sportive, v.
Capilli-Putti, La responsabilità nello sport, op. cit.,
88 ss. Va rilevato che la difficoltà di individuare le
regole del gioco e tra esse quali siano rilevanti al
fine del giudizio di responsabilità riguarda soprattutto
gli sport minori ovvero competizioni amatoriali che
dovessero essere espressione di un’attività non
riconducibile a discipline sportive ufficiali. In via di
approssimazione, in casi come questo, i giudici sembrano
orientati ad ammettere la liceità delle contese
sportive, tanto è vero che, ad esempio, in un'amichevole
competizione al "braccio di ferro" i giudici hanno
ritenuto di escludere che fosse vietata dall'ordinamento
per le sue caratteristiche di pericolosità intrinseca,
invece notoriamente assenti
36 Ebbene tener presente le regole
del giuoco: esse costituiscono i parametri di
riferimento per individuare i modelli di condotta che è
lecito attendersi dall’atleta nel caso concreto e sono
determinanti per la valutazione della colpa. Secondo la
Cassazione questa volta penale che vi voglio segnalare è
quella che afferma che: “ nonostante la mancata
violazione di leggi e regolamenti è in colpa chi, in
relazione all’attività svolta, avrebbe dovuto adottare
cautele in grado di impedire o neutralizzare rischi per
l’altrui incolumità, e per tale colpa risponde della
realizzazione di quei rischi, Cass. pen. 1 feb. 2000, in
Dir. pen. proc., 2000, 612.
37 In argomento si rinvia a Lepore,
La responsabilità nell’esercizio e nell’organizzazione
di attività sportive, in Di Nella, Manuale di diritto
dello sport, Napoli, 2010, 255 ss.; Aa.Vv.
Responsabilità civile, a cura di Cuffaro, Milano, 2007,
in particolare 412 ss.; Moncalvo, Sulla responsabilità
civile degli insegnanti di educazione fisica e edgli
istruttori dportivi, in Resp. civ. prev., 2006, 1839
ss.; Monateri, La responsabilità civile nello sport,
Milano, 2002.
38 Cass. 19 gennaio 2007 n. 1197,
in Corr. giur., 2007, 4, 489, con nota di Vidiri, Lo
sport del calcio è un’attività pericolosa?
39 Così dimostrando la irrilevanza,
al fine del decidere e di ritenere la responsabilità
dell'insegnante di educazione fisica nonché
dell'istituto ora controricorrente, di ogni indagine
volta a verificare se tale attività faccia, o meno,
parte dei programmi scolastici ministeriali.
40 Pertanto, riconoscendo che il
gioco del calcio «è normalmente praticata nelle scuole
di tutti i livelli come attività di agonismo non
programmatico finalizzato a dare esecuzione a un
determinato esercizio fisico», essa ha escluso che vi
fosse una qualsiasi colpa dell'insegnante presente
durante il gioco, data l’impossibilità di evitare
l’evento a causa delle condizioni in cui si era
verificato l'incidente. Nel caso citato i Giudici hanno
accertato, altresì, che "l'infortunio" era «stato
conseguenza di un fatto accidentale ascrivibile a un
errore del minore nel controllare il possesso del
pallone in un frangente del gioco in cui senza che vi
fosse contrasto con altro giocatore, era inciampato sul
pallone stesso e nel cadere aveva appoggiato a terra la
mano sinistra, procurandosi la frattura dell'avambraccio
sinistro». Gli ermellini hanno altresì evidenziato che
deve escludersi che si sia a fronte a una "attività
pericolosa a norma dell'art. 2050 c.c. contrariamente a
quanto invocato dagli appellanti. Sulla nozione di
attività sportiva pericolosa, v. Cass. 13 febbraio 2009,
n. 3528, in Resp. civ. 2009, 5, 463 ss., e in Riv. dir.
ec. sport., 2009, V,1, 111 e ss., con nota di Cerbara,
Natura dell’attività di predisposizione del campo di
gara. In dottrina, Lepore, Le responsabilità
nell’esercizio e nell’organizzazione, in Aa. Vv., Di
Nella, Manuale di Diritto dello sport, op. cit., 266 ss
41 A dire il vero la questione
sembra non del tutto chiara, dal momento che occorre in
via preliminare stabilire quando debba farsi ricorso
alla fattispecie della responsabilità degli incapaci e
quando invece debba trovare applicazione la diversa
norma della responsabilità dei genitori, tutori,
precettori e maestri d’arte. Pare infatti che le due
ipotesi possano sovrapporsi nella qualificazione del
fatto compiuto dal minore. Sussiste , inoltre, una
radicale differenza tra le due fattispecie, laddove
nell’art. 2047 c.c. si richiede che il fatto sia
commesso da un incapace ( di intendere e di volere)
mentre nell’art. 2048 c.c. si contempla il fatto
commesso da chi fosse capace e consapevole
42 La giurisprudenza (Cass. 21
settembre 2000 n. 12501, in Resp. civ. prev., 2001, 73)
ammette il concorso della responsabilità dei genitori
con quella degli istruttori, ritenendo che i primi
possano esser sollevati dalla culpa in vigilando ma non
da quella in educando.
43 Pardolesi, Genitori ed illecito
dei minori, una responsabilità da risultato?, in Danno e
resp., 2010, 6, 368 ss.
44 In tal modo si giunge anche ad
affermare, come ha ritenuto la dottrina, la
responsabilità civile del genitore per il fatto del
quasi maggiorenne. Infatti, posto che il minore d’età
non è civilmente responsabile in prima persona e posto
che ai fini dell’applicazione dell’art. 2048 c.c. si
ritiene che il fatto sia commesso da un soggetto capace
di intendere e volere, tale capacità naturale vien
riscontrata sicuramente nel minore quasi maggiorenne.
Sul punto, Arnone, Responsabilità civile dei genitori
per fatto illecito del figlio quasi maggiorenne, nota a
Cass. 28 agosto 2009 n. 18804, in Danno e resp., 2010,
4, 363 ss. L’A. rileva come la norma non consenta di
graduare od escludere la responsabilità dei minori in
base allo loro età. Ciò in quanto ratio della previsione
è quella di gravare i genitori del costo sociale dei
danni provocati dai minori a terzi. fare figli, in altre
parole è considerata un’attività lecita ma rischiosa.
Questa considerazione, secondo l’A., giustifica
l’allocazione in capo ai genitori della responsabilità e
consente di configurare una posizione di garanzia dei
genitori per i figli.
45 Non deve essere trascurato che
tali obblighi possano trovare fondamento, in primo
luogo, sulle disposizioni previste dagli articoli 2043
c.c. e 2048 c.c. ed inoltre anche in un eventuale
contratto intercorso tra le parti.
46
47 Sul punto, Cass. 22 aprile 2009,
n. 9542, in Resp. civ., 2009,5, 467, Cass. 29 aprile
2006 n. 10042 in Rep. Foro it., 2006 voce Responsabilità
ciivle, n. 46; Cass. 4 febbraio 2005 n. 2272, in Resp.
civ 2005, 6, 562.
48 In tal senso si rimanda a Cass.
14 ottobre 2003 n. 15321, in Giur. It., 2004, 10, 1848 e
in Foro it., 2004, 2, 426. La pronuncia, ai fini della
configurabilità della responsabilità dei maestri per
infortunio sportivo avvenuto durante l’ora di educazione
fisica a scuola, è necessario accertare che la condotta
lesiva sia stata in concreto connotata da un grado di
violenza ed irruenza incompatibili con il contesto
ambientale e con l’età e la struttura fisica dei
partecipanti al gioco.
49 Cass. 30 marzo 2011 n. 7247.
50 Ciò a differenza della
responsabilità ex art. 2048. In verità la ricostruzione
della natura giuridica della responsabilità ex art. 2048
c.c. non è affatto pacifica, laddove sostanzialmente si
possono distinguere ben tre orientamenti i primi due
contrapposti ed un terzo intermedio. In dottrina si
condivide la tesi della natura soggettivo-colposa della
responsabilità, stante la violazione da parte
dell’insegnante del dovere di vigilanza; la
giurisprudenza tende da parte sua a riconoscere alla
fattispecie in esame natura oggettiva, individuando
nell’istruttore un vero e proprio garante nell’interesse
dei terzi potenziali offesi dal fatto illecito del
minore; infine una posizione intermedia ammette che la
responsabilità sussista e vada rioconosciuta per omessa
adozione delle misure idonee ad evitare il danno. Sul
punto, C. Baldassarre, La responsabilità degli
insegnanti di una disciplina sportiva, in Danno e resp.,
6. 2010, 601 ss.; diffusamente Monateri, La
responsabilità per fatto altrui, in Dig. Disc. Priv.,
Sez. civ., Torino, 1998, XVII, 388.
51 In altra occasione, con
riferimento ai danni subiti da un allievo nell’ora di
educazione fisica, La Suprema Corte ha parimenti escluso
la responsabilità, riaffermando il principio secondo cui
l’ente non va esonerato solo nell’ipotesi in cui non
abbia predisposto le misure idonee ad evitare il fatto.
Cass. 28 settembre 2009 n. 20743, cit., 601 ss..
52 Cass. 8 agosto 2002, cit., Se si
seguisse il criterio della accettazione volontaria del
rischio connesso ad un gioco assolutamente rispettoso di
ogni regola, non potrebbe assumere rilievo scriminante
la non qualificabilità del fatto come fallo, in
relazione alla sicura nullità (secondo la legge civile)
dell'accordo tacito concretatosi nell'accettazione
dell'eventualità di lesioni con postumi permanenti o di
morte, provocate da un intervento regolare (ma solo
secondo l'ordinamento sportivo); se, invece, si
conferisse determinante rilievo alla violazione della
regola particolare della disciplina sportiva, sarebbe
inevitabile ravvisare responsabilità ogni qual volta
essa sia rimasta inosservata, con l'impossibilità di
scriminare l'atto falloso tutte le volte che la regola
miri anche a salvaguardare l'incolumità dei
partecipanti, quand'anche la coscienza sociale rifiuti
l'attribuzione di responsabilità per la sola
inosservanza della regola. Non la volontarietà del fallo
dunque rileva ne' - entro i limiti cui si è accennato e
che di seguito vengono meglio delineati - che violazione
della regola di gioco vi sia stata o non, ma lo stretto
rapporto di collegamento funzionale tra giuoco ed evento
lesivo.
53 V. Cass. SS.UU. 11 giugno 2001,
n. 8740, cit.
54 Izar, Obbligo di lealtà sportiva
e inadempimento contrattuale: rapporti tra giustizia
sportiva e giustizia dello Stato, Nota a Trib. Venezia 2
ottobre 2004, in I Contratti, 2005, 10, 876 ss.; Monaco,
Ciclismo - Disciplina -
Comportamento violento e ingiurioso tenuto da un socio -
Violazione dei principi di lealtà e rettitudine sportiva
– Sospensione, Nota a Federazione Ciclistica Italiana
Commissione di Appello Federale 13 giugno 1997 in Riv.
dir. sport., 1997, 3, 591 ss.
55 Dello stesso avviso, in
dottrina, Baldassarre, La responsabilità degli
insegnanti di una disciplina sportiva, op. cit., 607,
che rileva la concreta difficoltà di riferire a soggetti
particolari il rilascio di un tacito consenso ( alle
future possibili lesioni).
56 Di Nella, Le attività sportive,
in Aa. Vv., Manuale di diritto sportivo, op. cit., 65
ss.
57 Simonetta, Etica e diritto nello
sport, in Riv. dir. sport., 1956, 24.
58 Sul punto, Papisca, Diritti
umani e sport nell’anno europeo del dialogo
interculturale, in Aa.Vv., Diritto comunitario dello
sport, op. cit., 63 ss. |