Il Parlamento ha approvato lo
statuto d'impresa. Vi faceva riferimento anche la
lettera di intenti inviata dal governo all'Europa.
Contiene importanti principi, ma mira a tutelare
soprattutto le piccole imprese. Il rischio di
privilegiare la piccola dimensione è però quello di
condannare il nostro sistema produttivo a una condizione
di nanismo industriale che non crea i presupposti per
una reale crescita dell'economia.
Nei giorni convulsi precedenti la
caduta del governo è passato quasi sotto silenzio un
evento importante. È arrivata, infatti, la prima
verifica per la lettera di intenti (vedi il nostro
articolo Perché non sia una lettera a babbo natale, di
Daveri e Fumagalli, ) a suo tempo inviata dal governo
all’Europa. In quella lettera, tra gli impegni per
sostenere l’imprenditorialità e l’innovazione, si
richiamava “lo statuto delle imprese che diventerà legge
nelle prossime settimane”.
LO STATUTO DELLE IMPRESE
Riuscendo a passare in un
Parlamento bloccato dalla crisi, lo statuto delle
imprese è adesso diventato legge e quindi si può
finalmente andare ad analizzare i contenuti, anche se
qui il governo c’entra, ma non troppo, perché si tratta
del classico provvedimento bipartisan, approvato
praticamente all’unanimità, e che contiene letteralmente
un po’ di tutto.
Nei ventuno articoli si elencano i
principi generali che caratterizzeranno il nuovo statuto
dell’impresa, si definiscono i criteri ai quali
l’attività regolativa si dovrà ispirare attraverso
l’Air, Analisi di impatto della regolamentazione,
vietando l’introduzione di nuovi oneri i per le imprese
se non compensati da contestuali “alleggerimenti”; si
semplificano e si rendono più trasparenti i rapporti con
la pubblica amministrazione, obbligando finalmente il
governo a recepire la direttiva comunitaria sui ritardi
nei pagamenti.
Una serie di misure, alcune delle
quali in realtà già conosciute e sperimentate, da
analizzare e approfondire, anche perché dovranno passare
il filtro dei regolamenti di attuazione, ma che nel
complesso possono effettivamente contribuire a rendere
il nostro ordinamento più funzionale alle attività
d’impresa e a rimuovere gli ostacoli normativi alla
crescita.
PICCOLO E PRIVILEGIATO
Ma è proprio quello della crescita
il nodo cruciale, o se vogliamo la zona d’ombra, della
legge. Si chiama “Norme per la tutela della libertà di
impresa”, ma il titolo non racconta tutta la verità
perché il filo conduttore dei ventuno articoli, la vera
chiave di volta del provvedimento, è la creazione di uno
statuto particolare per le piccole e piccolissime
imprese. La convinzione, in sostanza, è che riservando a
queste un trattamento privilegiato si possa valorizzare
il nostro apparato imprenditoriale che ha nella piccola
dimensione il suo tratto caratteristico. Così le micro,
piccole e medie imprese diventano per legge destinatarie
del 60 per cento degli incentivi (con una quota
obbligatoria del 25 per cento alle micro imprese) e
vengono anche facilitate nell’accesso alle procedure di
appalto introducendo, fra l’altro, “modalità di
coinvolgimento nella realizzazione delle grandi
infrastrutture” di quelle residenti nei territori dove
sono localizzati gli investimenti (alla faccia della
concorrenza). Viene, infine, istituito il “Garante per
le micro, piccole e medie imprese” con il compito di
monitorare le politiche del settore e seguire lo stato
di attuazione dei diversi provvedimenti.
LE SCELTE DIFFICILI PER CRESCERE
La piccole imprese devono,
naturalmente, essere tutelate e operare in un ambiente
regolamentare semplice ed efficiente, ma lo sviluppo
dell’apparato produttivo non può essere affidata solo
alla piccola dimensione, che corre il rischio di
trasformarsi in nanismo o, peggio ancora, in territorio
di conquista per le grandi imprese dei nostri vicini di
casa.
In questo caso, le regole non sono
affatto neutrali, ma possono fungere da stimolo per il
raggiungimento di quei livelli assolutamente necessari
per fronteggiare sfide competitive sempre più
drammaticamente difficili. Al contrario, il pericolo di
un sistema che premia la piccola e la micro impresa solo
perché piccola e micro è quello di disincentivare la
crescita dimensionale, della quale, invece, la nostra
economia ha un gran bisogno. |