Mobbing, cosa prevede la pubblica
amministrazione quando il mobber è un dirigente: in
inglese, lo chiamano anche bossing. Le sentenze.
Si riscontra una condizione di
mobbing quando un dipendente è oggetto ripetuto di
sopraffazioni da parte dei superiori e, in particolare,
quando vengono poste in atto pratiche dirette ad
isolarlo nell’ambiente di lavoro o ad allontanarlo. La
conseguenza è che si incide gravemente sull’equilibrio
psichico del dipendente, danneggiandone la capacità
lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando
disturbi e malesseri anche seri come la depressione.
Il termine mobbing deriva dalla
lingua inglese, dal verbo to mob, traducibile con
“aggredire, accerchiare, assalire in massa, malmenare”.
Definiamo Mobbing "verticale" il
mobbing strategico operato dalle imprese per allontanare
soggetti in qualche modo non desiderati. Ma possiamo
anche riscontrare il bossing, operato da un diretto
superiore per estromettere un lavoratore.
A sua volta il soggetto mobbizzato
può essere coinvolto in un doppio mobbing quando anche
la sua famiglia, in conseguenza del fastidio prodotto
alla lunga dal suo comportamento di mobbizzato, si
comporta in modo vessatorio nei suoi confronti. Ne può
derivare a catena la compromissione dei rapporti
parentali e relazionali, con un “danno esistenziale” al
lavoratore mobbizzato.
Attraverso un’analisi peritale è
possibile verificare la sussistenza o meno di un
fenomeno di mobbing.
Resta in ogni caso a carico del
lavoratore, in caso di mobbing, l'onere della prova ai
fini dell'accertamento della responsabilità del datore
di lavoro.
Con questo intervento si intende
analizzare la relazione tra il mobber e la PA.
La recente sentenza della Corte dei
Conti della Sicilia del 23 maggio 2011 ha visto
soccombere un dirigente di un’amministrazione comunale
condannato a ripagare parzialmente la somma che l’ente
locale aveva dovuto impegnare per risarcire un
dipendente mobbizzato dal dirigente. Già la Corte di
Cassazione aveva stabilito, con sentenza n. 22858
dell’11.09.2008, che la condotta persecutoria deve
manifestarsi nell’arco temporale di almeno un semestre.
Nel caso specifico il dirigente è stato punito per il
suo comportamento che aveva impedito la promozione di un
impiegato.
A tal fine si può configurare
l’azione persecutoria con la dequalificazione lavorativa
prolungata. E a tal proposito i giudici contabili,
riferendosi alla sentenza della Corte di Cassazione n.
18262 del 29.08.2007, hanno affermato che la
giurisprudenza civilistica “riconosce spesso la
responsabilità per condotta mobbizzante del datore di
lavoro, non solo quale soggetto agente direttamente, ma
anche per non essersi lo stesso personalmente attivato
per far cessare i comportamenti scorretti dei
dipendenti”.
Pertanto di fronte alla lamentela
del dipendente, l’ente locale è stato assolto per quanto
attiene alla struttura organizzativa del Comune,
considerando che le decisioni nei confronti del
dipendente potevano ritenersi “macroscopicamente lontane
da una ordinaria condotta finalizzata alla sana gestione
della cosa pubblica, al punto da incarnare una condotta
gravemente colposa idonea a giustificare l’accoglimento
delle pretese di parte attrice”.
Tuttavia per quanto concerne la
dequalificazione, attuata attraverso una serie di azioni
persecutorie, il ricorrente ha ottenuto l’accoglimento
della sua richiesta.
A questa sentenza possiamo
correlare quella della Corte dei conti, Sezione terza –
25 ottobre 2005, n. 623, relativa al mobbing di un
dirigente scolastico nei confronti di taluni docenti.
Occorre premettere che spetta al
dirigente scolastico promuovere il benessere
organizzativo nella scuola, facendo in modo che non si
verifichino fenomeni di mobbing e, più in generale, di
conflitti interpersonali che causano stati di malessere
psicofisico.
I giudici contabili, riconoscendo
il risarcimento stabilito nella sentenza di condanna
precedente pronunciata dal giudice del lavoro,
stabiliscono che «rimane acclarata sia la sussistenza
del danno morale e di quello da mobbing che quella della
colpa grave, provate in atti, anche sulla base delle
cospicue risultanze del processo penale e di quello
civile».
La «sentenza di primo grado deve
essere quindi riformata in parziale accoglimento
dell’argomentato appello della Procura Generale per
quanto concerne la rivalsa rispetto al danno risarcito
in sede civile quale danno morale e da mobbing, rivalsa
che deve essere riconosciuta ammissibile nei confronti
dell’appellato».
Ne deriva una diminuzione
patrimoniale per le risorse finanziarie
dell’amministrazione interessata che non può non
tradursi in un danno erariale.
In questo senso è stato
riconosciuto il diritto di rivalsa del Miur nei
confronti del mobber, per un importo equitativamente
determinato. |