Claudio Silvis
Il recente assoggettamento,
previsto dall’art. 5 del D.Lgs.28/2010, al previo
esperimento obbligatorio di un tentativo di
conciliazione stragiudiziale di molte ed importanti
tipologie di controversie civilistiche ha incontrato la
spietata opposizione della classe forense .
A questa si deve un’impressionante
raffica di iniziative ed azioni mirate a colpire
l’istituto sul nascere: comunicati stampa degli
organismi di rappresentanza dell’avvocatura, assemblee
di concertazione delle strategie di attacco, astensioni
organizzate dalle aule giudiziarie, appelli di
sensibilizzazione dell’opinione pubblica, richieste di
incontri col Guardasigilli.
Ma il vero attacco frontale alla
media-conciliazione obbligatoria è stato sferrato a
pochi giorni dall’entrata in vigore del decreto
legislativo che ne contiene la previsione, il cui art. 5
è divenuto bersaglio di plurime iniziative di
deferimento al Giudice delle legge, in relazione a
svariati profili d’incostituzionalità ravvisati a suo
carico.
Che dietro le nobili motivazioni
dell'aggressione, proclamate dall'avvocatura a gran voce
(tutela del diritto costituzionalmente protetto di adìre
liberamente il giudice, iniquo aggravio economico per
gli utenti della Giustizia ecc...), possa esservi
dell’altro è cosa altamente plausibile. La mediazione
obbligatoria depotenzia non poco il ruolo
dell’avvocato–tecnico del diritto: questi, per un verso,
si vede scalzato, nel rapporto con l’assistito, dalla
tradizionale posizione di dominus unico e necessario del
contenzioso processuale e, per altro verso, deve
registrare come l’amministrazione dello strumento
conciliativo non sia stata riservata ai membri della
classe forense, scelta che l’avvocatura interpreta come
una sorta di mancata “compensazione” per la perdita di
centralità comportata dalla obbligatorietà della
procedura compositiva.
Tuttavia, che ad agitarsi nel
retroscena siano autentici moti di resistenza civile a
proditori attacchi al sistema delle garanzie
costituzionali o che siano meno aristocratiche levate di
scudi corporativistiche è questione marginale: quel che
importa sapere e valutare è se le critiche
d’incostituzionalità mosse a carico della
media-conciliazione obbligatoria siano puramente
strumentali ad esigenze corporative o colgano in qualche
misura nel segno.
Frizioni fra l’art. 5 del D.Lgs.
28/2010 e la Legge fondamentale della Repubblica ne sono
individuate ad ogni piè sospinto; qui interessa
restringere il campo ad un unico profilo di
incostituzionalità della norma, che personalmente reputo
essere quello più pregnante e dotato di autentica
consistenza.
Mi riferisco alla (presunta)
violazione dell’art. 76 Cost. da parte dell’art. 5 del
D.Lgs. 28/2010, che il Legislatore delegato avrebbe
perpetrato nel prevedere, per controversie relative a
molte e rilevanti materie, il tentativo di conciliazione
stragiudiziale quale condizione di procedibilità
dell’azione giudiziale, a fronte di una precisa
direttiva dell’art. 60 della legge-delega n.69/2009, che
impegnava il Governo a dare corpo al sistema della
mediazione "senza impedire l'accesso alla Giustizia”.
Nelle more dei verdetti che la
Corte costituzionale emetterà su questo come sugli altri
profili di sospetta incostituzionalità dell’art. 5 del
D.Lgs 28/2010, sostenitori del nuovo istituto si
cimentano nello “smontare” l’impianto logico-giuridico
delle accuse d’incostituzionalità lanciate contro
l’obbligatorietà dello strumento compositivo.
Riguardo alla supposta violazione
dell’art. 76 Cost., è stato di recente osservato che
l’art. 5 del più volte citato decreto legislativo non
contrasta con le direttive impartite dal Legislatore
delegante, in quanto <<...è nell’introduzione stessa
della mediazione (o, quantomeno, nel potenziamento delle
sue possibilità applicative) nell’ambito di un sistema
processuale come il nostro che va vista la finalità
deflattiva (benché non esclusiva) dell’intervento
normativo del legislatore delegante. (...) La ratio di
una normativa come quella in esame non può essere letta
separatamente dalle esigenze sociali che la stessa è
chiamata a soddisfare: rinunciare a ciò vorrebbe dire
rinunciare alla funzione stessa del diritto. (...)
Pretendere di trovare una puntuale traccia della volontà
deflattiva nelle singole disposizioni di una normativa
anche quando la logica complessiva di quest’ultima è
palese, significa esasperare il dato letterale a
detrimento della ragione profonda, dello scopo ultimo di
una legge. >> [1].
L’assunto è essenzialmente questo:
essendo la deflazione dei processi civili la finalità
unica o principale per cui il Legislatore delegante ha
introdotto la mediazione, è questa finalità – implicita,
ma al contempo chiarissima e munita di forza assorbente
di ogni altro ipotetico scopo con essa configgente – a
giustificare ex se la previsione della mediazione
obbligatoria da parte del Legislatore delegato.
A primo acchito, il ragionamento è
ineccepibile. E’innegabile che l’introduzione della
media-conciliazione in materia civile è stata voluta al
precipuo scopo di sgravare la macchina giudiziaria dal
paralizzante fardello del contenzioso civile. E ciò
sembra rendere definitiva ragione della perfetta
aderenza alla legge–delega della scelta del Governo di
attualizzare quel proposito, immanente all’intervento
del Legislatore delegante, con la previsione di una
media-conciliazione congegnata quale condizione di
procedibilità dell’azione giudiziale in quelle materie
che fanno registrare il maggior carico di lavoro per gli
uffici giudiziari.
Ma il ragionamento è solo
apparentemente impeccabile; esso, infatti, riflette
un’impostazione ermeneutica inammissibile che,
capovolgendo la regola sancita dall’art. 12 delle
Disposizioni sulla legge in generale, pretende di
enucleare la ratio della legge (-delega) da una
intenzione del Legislatore (delegante) inespressa, ma
dotata di una supposta forza conformante tale da imporre
all’interprete di trascurare ogni diversa intenzione
eventualmente palesata dallo stesso Legislatore
attraverso le espressioni verbali contenute nel testo
legislativo: << nell'applicare la legge >> dispone
l’art. 12 poc’anzi ricordato << non si può ad essa
attribuire altro senso che quello fatto palese dal
significato proprio delle parole secondo la connessione
di esse, e dalla intenzione del legislatore >>.
Costringere le parti in conflitto
ad adìre il mediatore prima del giudice è sicuramente il
sistema che più d’ogni altro garantisce il
raggiungimento della finalità deflattiva dell’istituto,
ma a patto che nella legge non si rinvengano elementi
semantico-lettarali gravi, precisi e concordanti che
riflettono un’intenzione del Legislatore delegante di
escludere il ricorso a quel sistema.
Ebbene, la legge-delega, per un
verso, non ha speso una parola sulla possibilità
dell’Esecutivo di prevedere forme di conciliazione atte
a condizionare la prosecuzione dell’azione giudiziaria
e, per altro verso, ha affidato all’Esecutivo stesso il
compito di:
- prevedere che la mediazione,
finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto
controversie su diritti disponibili, senza precludere
l'accesso alla giustizia (art. 60, comma 3 , lett. a);
- prevedere il dovere dell'avvocato
di informare il cliente, prima dell'instaurazione del
giudizio, della possibilità di avvalersi dell'istituto
della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi
di conciliazione (art. 60, comma 3 , lett. n) ;
- prevedere un sistema organico che
garantisca un dato livello minimo di competenza ed
imparzialità nel mediatore e di efficacia ed efficienza
del procedimento di mediazione (art. 60, comma 3, lett.
da b a m )
- prevedere, a favore delle parti,
forme di agevolazione di carattere fiscale (art. 60,
comma 3 , lett. o).
In presenza di simili emergenze
testuali, diviene impossibile accreditare la tesi
secondo cui ciò che il Legislatore delegante non ha
detto (possibilità di prevedere la mediazione quale
condizione di procedibilità) prevale su quanto lo stesso
Legislatore delegante, in più punti, ha inteso
chiaramente esplicitare in direzione diametralmente
opposta ad una (presunta) volontà non espressa di
autorizzare il Governo a prevedere una mediazione -
condizione di procedibilità.
E che la direttiva all’Esecutivo di
confezionare una mediazione che non precluda l’accesso
alla Giustizia andasse nella direzione esattamente
contraria a quella seguita dal Governo è constatazione
su cui non è possibile discutere, visto che le
condizioni di procedibilità, finché non si compiono,
altra conseguenza non determinano che quella di
precludere l’accesso alla Giustizia e ciò per
l’elementare ragione che l’accesso alla Giustizia è in
re ipsa precluso ogni qual volta, a fronte di una
istanza di tutela giurisdizionale, il giudice non possa
pronunciare nel merito di quella istanza perché non si è
verificato l'evento al quale la legge subordini la
possibilità di emettere quella pronuncia [2] .
L’intenzione del Legislatore
delegante di non autorizzare forme obbligatorie di
mediazione, manifestata apertis verbis col divieto di
prevedere procedure conciliative ostative dell’accesso
alla Giustizia, trova conferma nel fatto che la
legge-delega impegnava l’Esecutivo a prevedere l’obbligo
dell’avvocato di informare l’assistito circa la
possibilità di ricorrere al mediatore, possibilità
inconcepibile se la si intende riferita ad un tentativo
di conciliazione pensato come obbligatorio; il profilare
un obbligo d’informare il cliente riferendosi ai soli
casi in cui la mediazione è facoltativa assume un
significato ermeneutico forte, poiché “tradisce” come
nella mens del Legislatore delegante non vi fosse nulla
di simile ad una mediazione obbligatoria.
A chiudere la partita, le
norme-direttiva, rivolte al Governo, con cui il
Parlamento aveva indicato quale dovesse essere la leva
strategica per favorire la deflazione dei processi, leva
che avrebbe dovuto trovare i propri punti di forza non
in una imposizione dello strumento conciliativo (di cui
non v’è neppure un lontano cenno nella legge-delega), ma
nell’apprestamento di un sistema di garanzie e di
agevolazioni fiscali tali da rendere, per un verso,
affidabile e, per l’altro, appetibile lo strumento
stesso.
__________________
[1] Francesco Coppola “La
mediazione obbligatoria tra dubbi di costituzionalità,
opportunità e rischi”, in “Diritto e Diritti”
(www.diritto.it)
[2] La questione relativa al
contrasto del decreto legislativo con la direttiva della
legge - delega secondo cui la mediazione non deve
impedire l’accesso alla Giustizia ha poco a che vedere
con l’altra questione di costituzionalità, pure
sollevata innanzi alla Consulta, riguardante il
conflitto fra il medesimo decreto legislativo e la
previsione dell’art. 24 Cost. in tema di diritto alla
tutela giurisdizionale. In quest’ultimo caso, il divieto
di porre ostacoli al libero accesso alla Giustizia va
ricavato in via interpretativa dalla norma
costituzionale che si assume imporlo al Legislatore
ordinario, mentre, nel primo caso, quel divieto è
espressamente posto dallo stesso Legislatore ordinario.
Ne discende che il profilo attinente alla violazione del
divieto fatto dal Legislatore delegante prescinde
totalmente dalla necessità di estrapolare dall’art. 24
Cost. un analogo divieto in base al quale l’art. 5 del
decreto legislativo non avrebbe potuto prevedere ipotesi
in cui la mediazione si pone come condizione di
procedibilità dell’azione giudiziale. Ne segue,
ulteriormente, che, con riferimento alla questione del
contrasto di tale previsione con quella contenuta nella
legge – delega, non potrebbe trovare applicazione la
giurisprudenza della Corte costituzionale, formatasi
intorno all’art. 24 Cost., secondo cui le condizioni di
procedibilità non ledono il precetto dell’art. 24 Cost.
qualora siano giustificate da obiettive esigenze legate
alla funzionalità del processo. |