Introduzione
di Fulco Lanchester
Par condicio è uno splendido
brocardo per dire qualcosa che l’ideologia
liberaldemocratica ha
teorizzato alle sue origini, ovvero
la necessità che vi sia nell’ambito delle competizioni
elettorali e referendarie una
eguaglianza tendenziale delle opportunità tra i
concorrenti
nell’orientamento dei cittadini
aventi diritto al voto. Lo schema teorico, cui fa
implicito
riferimento la legge n. 28 del
2000, è costituito da un’arena in cui i singoli aventi
diritto al
voto chiedono informazioni per
l’espressione dell’atto elettivo o deliberativo e le
ottengono
da soggetti interessati a fornirle
sul piano dell’eguaglianza tendenziale. L’atto di
votazione
non può essere ristretto al mero
momento costitutivo dell’espressione del voto, ma trova
una
fase fondamentale nella
preparazione dello stesso, caratterizzata dalla
formazione della
volontà. La formazione della
volontà non è soltanto quella del periodo strettamente
elettorale,
della cosiddetta campagna
elettorale, ma include anche la stessa comunicazione
politica.
È per questo che nelle società di
massa la qualità e il tipo di comunicazione
costituiscono
elementi essenziali del
procedimento democratico, caratterizzandone lo stesso
contenuto. Il
problema italiano è comune a quello
di altre democrazie, ma sicuramente è più grave per la
situazione del sistema dei mezzi di
comunicazione di massa, che si è venuto formando tra
prima e seconda fase della vicenda
repubblicana. Non è tutta responsabilità della seconda
fase; è colpa anche della prima,
soprattutto per come si sono sciolti alcuni nodi tra gli
anni
Sessanta e Settanta. Tutte le
contraddizioni del settore delle comunicazioni di massa,
derivanti
dal duopolio radiotelevisivo
costituitosi dagli anni Ottanta, e dalla concentrazione
della
stessa stampa quotidiana e
periodica, sono esplose con la discesa in campo di
Silvio
Berlusconi. Da quel momento, la
peculiarità italiana del settore è divenuta altamente
problematica e quasi irresolubile,
perché ogni riequilibrio ha assunto un significato di
normalizzazione – possiamo
chiamarla, facendo riferimento “cum grano salis” alle
vicende
tedesche post 1933, Gleichschaltung
– nei confronti dell’avversario politico. Per discutere
di
questo coacervo problematico, che
ci ha fatto scadere nelle classifiche della Freedom
House e
dell’Economist, abbiamo riunito
docenti universitari, giornalisti, parlamentari,
operatori del
settore radiotelevisivo e dei
controlli, che esprimeranno il loro parere secondo
regole molto
chiare: è stata preventivamente
distribuita una scaletta di quesiti; ciascuno ha scelto
tra
questi liberamente ed la
possibilità di esprimere la propria opinione per otto
minuti,
che nel testo pubblicato qui di
seguito si sono condensati in un testo contenuto in un
massimo di 10.000 battute.
Ne è venuto fuori un panorama
articolato ma efficace, che Roberto Zaccaria e chi
scrive ritengono utile
socializzare. Si tratta di un materiale preparatorio,
che è già
stato presentato al Convegno
italo-tedesco di Villa Vigoni su “Campagne elettorali e
mezzi di comunicazione di massa
nello stato costituzionale democratico” del 21 - 22
luglio scorso, come tappa di un
percorso che tende a monitorare lo stato della normativa
sulla comunicazione politica,
elettorale e referendaria. Un simile dibattito conferma
www.federalismi.it 2
l’importanza fondamentale, per gli
ordinamenti democratici, delle votazioni pubblicistiche
non soltanto per quanto riguarda il
meccanismo di trasformazione della volontà
elettiva o deliberativa( ed in
particolare il sistema elettorale in senso stretto), ma
anche per quanto attiene all’ambito
strategico relativo alla cosiddetta legislazione
di
contorno.
Interventi
Fulco Lanchester
Introduzione……………………………………………………....... p.
Gianni Betto
La società italiana dal “minuto per
minuto” a tutti i suoi ascolti
attuali………………………………………………………………. p.
Enzo Cheli
Punti critici della disciplina
attuale in tema di “par condicio”…... p.
Achille Chiappetti
Par condicio, una disciplina da
rielaborare………………………. p.
Giovanni Cuperlo
Par condicio: siamo gli artefici o
le vittime?.................................... p.
Filippo Donati
Par condicio e nuovi
media………………………………………... p.
Paolo Gentiloni Silveri
Legge necessaria per un’epoca al
tramonto………………………. p.
Valeria Ferro
Il
monitoraggio…………………………………………………….. p.
Ottavio Grandinetti
Par condicio e programmi
informativi nella prassi dell’Autorità per le
garanzie nelle
comunicazioni……………………………….. p.
Armando Melchionna
Alcune osservazioni relative alla
campagna elettorale per le amministrative
2011………………………………………………... p.
Marco Mele
La par condicio
inesistente………………………………………… p.
Paolo Messa
Par condicio: una toppa per un buco
più grande………………….. p.
Mario Morcellini
Tra par e impar condicio. Regole e
protagonisti dell’informazione alla prova
delle elezioni 2011………………………………………
p.
Alessandro Pace
La discutibile insindacabilità
delle delibere della Commissione parlamentare
di indirizzo e di vigilanza sul
servizio pubblico…….. p.
Francesco Pardi
Par condicio: rimedio necessario e
non sufficiente……….……….. p.
Michele Prospero
Legge anacronistica ma necessaria
in un contesto politico
ambiguo……………………………………………………………. p.
Roberto Rao
La par condicio “un’anomalia
indispensabile”……………...……. p.
Piero Alberto Capotosti
La regola della par condicio è
ancora valida................................... p.
Giuseppe Sangiorgi
La riforma della par condicio ed il
ruolo ambiguo dei partiti.......... p.
Giovanni Valentini
La par condicio e il sostegno
privilegiato: due “pannicelli caldi”... p.
Vincenzo Vita
Elogio della “par
condicio”……………………………………….. p.
Roberto Zaccaria
Par condicio e AGCOM: un richiamo
ad una maggiore fruibilità dei dati dei
monitoraggi e ad un controllo vero
sul sostegno
privilegiato………………………………………….………………
p.
Appendice
1) L. 22 febbraio 2000, n. 28,
Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di
informazione durante le campagne
elettorali e referendarie e per la
comunicazione politica……………………… p.
2) Sent. Corte cost. 7 maggio 2002,
n. 155………………………… p.
3) Delibera Agcom n. 22/06/CSP,
Disposizioni applicative delle norme e dei
principi vigenti in materia di
comunicazione politica e parità di accesso ai
mezzi di informazione nei periodi
non
elettorali……………………………………………………….……
p.
4) Delibera Agcom n. 80/11/CSP,
Disposizioni di attuazione della disciplina
in materia di comunicazione
politica e di parità di accesso ai mezzi di
informazione relative alle campagne
per le elezioni provinciali e comunali
fissate per i giorni 15 e 16 maggio
2011……………………………………………………….………... p.
5) Criteri per la vigilanza sul
rispetto del pluralismo politico e istituzionale nei
telegiornali diffusi dalle reti
televisive nazionali… p.
6) Elenco delibere Agcom in materia
per la campagna elettorale per le elezioni
provinciali e comunali (15-16
maggio 2011)………. p.
7) La base di discussione del
seminario……...……………………. p.
Notizie sugli
Autori………………………………………. P
Interventi
Fulco Lanchester
Introduzione
Par condicio è uno splendido
brocardo per dire qualcosa che l’ideologia
liberaldemocratica ha
teorizzato alle sue origini, ovvero
la necessità che vi sia nell’ambito delle competizioni
elettorali e referendarie una
eguaglianza tendenziale delle opportunità tra i
concorrenti
nell’orientamento dei cittadini
aventi diritto al voto. Lo schema teorico, cui fa
implicito
riferimento la legge n. 28 del
2000, è costituito da un’arena in cui i singoli aventi
diritto al
voto chiedono informazioni per
l’espressione dell’atto elettivo o deliberativo e le
ottengono
da soggetti interessati a fornirle
sul piano dell’eguaglianza tendenziale. L’atto di
votazione
non può essere ristretto al mero
momento costitutivo dell’espressione del voto, ma trova
una
fase fondamentale nella
preparazione dello stesso, caratterizzata dalla
formazione della
volontà. La formazione della
volontà non è soltanto quella del periodo strettamente
elettorale,
della cosiddetta campagna
elettorale, ma include anche la stessa comunicazione
politica.
È per questo che nelle società di
massa la qualità e il tipo di comunicazione
costituiscono
elementi essenziali del
procedimento democratico, caratterizzandone lo stesso
contenuto. Il
problema italiano è comune a quello
di altre democrazie, ma sicuramente è più grave per la
situazione del sistema dei mezzi di
comunicazione di massa, che si è venuto formando tra
prima e seconda fase della vicenda
repubblicana. Non è tutta responsabilità della seconda
fase; è colpa anche della prima,
soprattutto per come si sono sciolti alcuni nodi tra gli
anni
Sessanta e Settanta. Tutte le
contraddizioni del settore delle comunicazioni di massa,
derivanti
dal duopolio radiotelevisivo
costituitosi dagli anni Ottanta, e dalla concentrazione
della
stessa stampa quotidiana e
periodica, sono esplose con la discesa in campo di
Silvio
Berlusconi. Da quel momento, la
peculiarità italiana del settore è divenuta altamente
problematica e quasi irresolubile,
perché ogni riequilibrio ha assunto un significato di
normalizzazione – possiamo
chiamarla, facendo riferimento “cum grano salis” alle
vicende
tedesche post 1933, Gleichschaltung
– nei confronti dell’avversario politico. Per discutere
di
questo coacervo problematico, che
ci ha fatto scadere nelle classifiche della Freedom
House e
dell’Economist, abbiamo riunito
docenti universitari, giornalisti, parlamentari,
operatori del
settore radiotelevisivo e dei
controlli, che esprimeranno il loro parere secondo
regole molto
chiare: è stata preventivamente
distribuita una scaletta di quesiti; ciascuno ha scelto
tra
questi liberamente ed la
possibilità di esprimere la propria opinione per otto
minuti,
che nel testo pubblicato qui di
seguito si sono condensati in un testo contenuto in un
massimo di 10.000 battute.
Ne è venuto fuori un panorama
articolato ma efficace, che Roberto Zaccaria e chi
scrive ritengono utile
socializzare. Si tratta di un materiale preparatorio,
che è già
stato presentato al Convegno
italo-tedesco di Villa Vigoni su “Campagne elettorali e
mezzi di comunicazione di massa
nello stato costituzionale democratico” del 21 - 22
luglio scorso, come tappa di un
percorso che tende a monitorare lo stato della normativa
sulla comunicazione politica,
elettorale e referendaria. Un simile dibattito conferma
l’importanza fondamentale, per gli
ordinamenti democratici, delle votazioni pubblicistiche
non soltanto per quanto riguarda il
meccanismo di trasformazione della volontà
elettiva o deliberativa( ed in
particolare il sistema elettorale in senso stretto), ma
anche per quanto attiene all’ambito
strategico relativo alla cosiddetta legislazione
di contorno.
Gianni Betto
La società italiana dal “minuto per
minuto” a tutti i suoi ascolti attuali
G
razie buon pomeriggio a tutti e
grazie per questo invito. Quello che abbiamo preparato
vuole
essere un minimo, negli otto
minuti, di approfondimento rispetto a quelle che possono
essere
le problematiche relative sia al
monitoraggio della par condicio e del pluralismo
dell’informazione sia ai criteri
utilizzati fino ad oggi per questo monitoraggio. In
particolare il
paradigma utilizzato fino ad oggi è
stato sempre e soltanto quello del tempo, quindi dal
tempo
messo a disposizione dalle varie
emittenti ai vari esponenti politici o soggetti politici
in
generale. Quello che vorremmo fare
e proporre oggi a voi è quello di ipotizzare e avere uno
spunto di riflessione ulteriori
rispetto non più soltanto al tempo, ma in particolare
rispetto a
quello che sono gli ascolti delle
varie trasmissioni. Sappiamo tutti che ogni trasmissione
o
telegiornale di qualunque tipo ha
un certo bacino di ascolto, che oggi possiamo
considerare
noto quasi a priori nella storicità
della trasmissione, nel senso che sappiamo a distanza di
tempo quanto una trasmissione
collocata all’interno del palinsesto televisive delle 24
ore che
tipo di ascolto ha. Allora il
problema e la suggestione che vogliamo suggerirvi non è
soltanto
il fatto di quanto tempo si parla
in televisione, ma girandoci dalla parte del cittadino,
quanto il
cittadino ha la possibilità di
incappare in un determinato soggetto politico e poi in
particolare
sul tempo quanto ha la possibilità
di conoscere e approfondire sia tematiche sia le
proposte dei
vari soggetti politici. Quindi il
problema è un minuto a duecento mila spettatori
piuttosto che
un minuto a 5 milioni di
telespettatori. Il minuto è sempre lo stesso, ma
chiaramente l’impatto
che può avere quel minuto è
completamente diverso. Qui riportiamo qualche dato: in
realtà
questo tipo di approccio è già
stato utilizzato precedentemente proprio dall’autorità
quando si
è trattato di decidere sugli spot
Rai dove per la prima volta è stato utilizzato il metodo
degli
ascolti, quindi è stato indicato
alla Rai di posizionare gli spot in fasce di maggiore
ascolto.
Questo è ciò che recita la legge
oggi in materia di comunicazione politica e calcolate
che in un
anno Rai1, Rai2,Rai3 (queste
analisi per stare negli otto minuti le abbiamo fatte
solamente
sulle reti del servizio pubblico)
emettono 7600 edizioni di telegiornali per un totale di
2100
ore. In particolare il Tg1 ne
emette 3600 (questi sono dati totali del 2010), circa
dieci edizioni
al giorno che hanno un ascolto
medio tra tutte le 3600 edizioni di circa 2milioni di
telespettatori. Ma come vediamo tra
le varie edizioni ci sono differenze sensibili: sono
andate
nel 2010 da 94mila telespettatori
fino a edizioni con 7,8 milioni di telespettatori. In
questo
caso la varianza, cioè la
volatilità dell’ascolto all’interno della media degli
ascolti di tutto
l’anno è molto elevata, di circa
3,2 milioni. Il Tg2: 2180 edizioni con un ascolto medio
di 1,3
milioni; anche qui con oscillazioni
che vanno da 86mila telespettatori fino a massimi di 4
milioni. Il Tg3: 1830 edizioni, ha
una media di 1,4 milioni, però, con oscillazioni che
vanno
da 144mila a 4 milioni. Immaginate
appunto che oggi viene calcolato il minuto e quindi un
minuto in un’edizione da 144mila
ascolti vale, in termini di pluralismo e pari
condizioni, a un
minuto a 4milioni di
telespettatori. Se prendiamo anche solo le edizioni
principali delle varie
testate e per principali intendiamo
i meridiani e i tg serali, quelli di pranzo e di cena,
abbiamo
ovviamente anche qui notevoli
differenze di ascolti. Il Tg1 mediamente, calcolandole
insieme
le edizioni di pranzo e cena,
fornisce una media di 5,2milioni di ascolti; Tg2
2,6milioni, Tg3
2milioni. Anche qui le differenze
sono sostanziali perché per esempio nelle edizioni
principali
del Tg1 l’ascolto oscilla da un
minimo di 2,8milioni a un massimo di 7,8milioni.
Ovviamente
quello di cena ha ascolti più alti
rispetto a quello di pranzo e succede anche che nelle
edizioni,
magari, a parti invertite del Tg2 e
Tg3. Se calcoliamo come numero di edizioni quelle
principali, quindi pranzo e cena,
costituiscono il 20% in termini di numero di edizioni,
ovviamente sono due sulle dieci
presenti. Il 20% del numero di edizioni di tutte le
edizioni del
Tg1, ma costituiscono come tempo
totale il 40% di tutte le edizioni. Se andiamo ad
analizzare
gli ascolti le sole edizioni
principali costituiscono il 53% del totale degli
ascolti, quindi le
edizioni principali del Tg1 fanno
il 53% degli ascolti disponibili tra tutte le edizioni
del Tg1.
Tg2 e Tg3: la percentuale degli
ascolti è ancora più alta. Il totale è il 63% del Tg2,
il Tg3 il
58%. Se poi passiamo alle
trasmissioni vediamo che, sempre nel corso del 2010,
Porta a Porta
in 139 puntate (abbiamo monitorato
le principali trasmissioni di approfondimento, ma anche
lì
si può discutere su cosa sia
l’approfondimento e infatti è uno dei temi che ci
propone il
Professor Zaccaria): 139 puntate
erogano in termini di ascolto 207milioni di ascolti,
sommando l’ascolto medio di ogni
puntata viene fuori questo numero. Ovviamente di metodi
di analisi ce ne possono essere
parecchi per incrociare gli ascolti al tempo, però
questo è uno,
ne abbiamo elaborati anche diversi
forse più articolati, ma questo è uno. L’ascolto medio
di
una puntata è di 1,5milioni;
Ballarò in 33 puntate ha erogato ascolti di 135milioni;
Anno Zero
in 32 puntate ne ha erogati
161milioni. Già vediamo una differenza: per esempio tra
Anno
Zero e Ballarò, con una puntata in
meno ha circa 30milioni di ascolti in più Anno Zero
rispetto a Ballarò. Singolarmente e
nominalmente Anno Zero ha ascolti maggiori rispetto a
Ballarò. In conclusione come detto
in precedenza l’ascolto in realtà sempre più non dipende
dall’ospite presente in studio che
può fare oscillare l’ascolto, ma in realtà è un ascolto
dato,
presente e già conosciuto e noto
indipendentemente da chi c’è: dai grafici la linea
arancione
presenta l’ascolto medio di tutte
le puntate, poi andiamo sulla parte di analisi delle
presenze
politiche e si vede che in termini
di ascolti dei soggetti politici tra Anno Zero, Ballarò
e Porta
a Porta, per tutte e tre le
trasmissioni insieme da marzo ad oggi, il 60% degli
ascolti sono fatti
da due forze politiche, il 70%
degli ascolti sono erogati da tre forze politiche, il
78% fino a
cinque forze politiche che erogano
rispetto ai telespettatori l’85% degli ascolti. Allora
per
arrivare alla fine, come ad esempio
sull’ultima campagna referendaria: quanti sono
effettivamente i cittadini che
hanno potuto approfondire le tematiche per cui poi alla
fine sono
stati chiamati a votare? Quindi la
par condicio non a uso della politica ovvero come
possibilità
per il cittadino di conoscere per
deliberare. Grazie.
Enzo Cheli
Punti critici della disciplina
attuale in tema di “par condicio”
Tra le domande fatte circolare da
Roberto Zaccaria mi sembra utile soffermarsi in
particolare
su quelle indicate nel punto 1 e
nel punto 9, con riferimento all'efficacia della legge
28 del
2000 e del suo impianto
sanzionatorio.
Sin da quando è stata promulgata,
ho sempre pensato che la legge 28 fosse ben giustificata
nelle sue finalità, ma poco
efficace ed inadeguata nell’impianto del suo modello di
disciplina.
Quale Presidente dell'AGCOM ho
avuto modo di sperimentare direttamente l'iniziale
applicazione della legge, in un
periodo particolarmente difficile per l'Autorità, e non
conservo
un ricordo esaltante di quella
fase. Per l’applicazione della legge durante le campagne
elettorali a Napoli avevamo
istituito un centro di ascolto presidiato dalla Guardia
di finanza
con tre finanzieri presenti a turno
nell’arco dell’intera giornata. Avevamo anche istituito
una
serie di collegamenti con alcuni
centri di monitoraggio, in particolare con l'
Osservatorio
Pavia. La Commissione servizi e
prodotti stava praticamente riunita in modo permanente.
Ma
nonostante questo apparato,
l'impressione che avevamo era quella di vuotare “il mare
con un
cucchiaio”, perché si arrivava
sempre con un certo ritardo a sanzionare i casi che
sorgevano e
la sanzione si presentava alla fine
sempre insufficiente rispetto al danno che era già stato
creato.
Oggi la situazione è certamente
migliorata, ma restano vari punti su cui occorre
riflettere.
Centrata sul sistema
radiotelevisivo (anche se con alcuni riferimenti alla
stampa) e finalizzata,
in primo luogo, a regolare gli spot
(che avevano inciso fortemente nella campagna elettorale
regionale del 1999) la legge 28 ha
cercato di costruire un quadro di regole sostanzialmente
surrogatorie rispetto all’assenza
di una adeguata disciplina antitrust e di una seria
disciplina
sul conflitto interessi nel settore
dei media.
I limiti maggiori di questa legge,
caratterizzata da un impianto molto compromissorio,
sono, a
mio avviso, tre. Il primo è dato
dall'eccessiva minuziosità della sua disciplina. La
legge si
presenta troppo dettagliata e
quindi poco adatta alla flessibilità e velocità del
mezzo che
dovrebbe tenere sotto controllo. In
secondo luogo, il suo quadro sanzionatorio manifesta una
scarsa efficacia, in quanto basato
prevalentemente sulla tecnica del riequilibrio o su
sanzioni
pecuniarie non particolarmente
dissuasive, soprattutto per gli operatori più forti. In
terzo
luogo, la legge si caratterizza per
una incongrua distinzione dei soggetti investiti del
potere di
controllo, dividendo tra la
Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza
sui servizi
radiotelevisivi e l’AGCOM le
competenze in tema di emittenza pubblica e privata.
Se si dovesse oggi affrontare il
tema di una riforma della legge 28 suggerirei, quindi,
in primo
luogo, una linea di semplificazione
del suo impianto, da orientare non tanto verso la
disciplina
quanto verso la semplice abolizione
degli spot elettorali, così come succede nella maggior
parte dei paesi europei. In secondo
luogo, punterei sul rafforzamento del quadro
sanzionatorio
e sull’ampliamento della
discrezionalità dell'AGCOM nell'applicazione delle
diverse sanzioni.
Infine, concentrerei nell'AGCOM
tutte le competenze con un trasferimento alla stessa
delle
competenze sul servizio pubblico
oggi assegnate alla Commissione parlamentare.
Si aggiunga che la legge 28, nata
già vecchia, si presenta oggi ancor più datata.
Dopo i recenti referendum ci si
chiede, infatti, chi abbia portato ventisette milioni di
elettori al
voto, considerata la crisi
dell’istituto referendario in cui il quorum dei votanti
negli ultimi
quindici anni non ha mai superato
il 38% degli aventi diritto. Si aggiunga che, nonostante
gli
interventi sollecitatori della
Commissione parlamentare e dell’Agcom, la promozione
televisiva, per questi ultimi
referendum, non è stata nel complesso, particolarmente
incisiva.
E allora come si spiega un
risultato di queste proporzioni? Credo che il risultato
si possa
spiegare solo pensando al ruolo che
hanno giocato nella partita i nuovi media, connessi ad
Internet e ai social networks. E si
può spiegare anche con l’influenza che oggi il fattore
generazionale sta assumendo sulla
comunicazione politica. Dopo le elezioni del 2006 sei
nuove generazioni si sono, infatti,
affacciate sulla scena politica e sono tutte generazioni
di
“nativi digitali”. Come è accaduto
di recente negli Stati Uniti, in Francia e nelle
democrazie
emergenti nella sfera africana e
mediorientale l’uso di Internet sta, quindi, assumendo
un
ruolo decisivo anche nel nostro
paese dove si è raggiunta una soglia di utenze che
superano
ormai i 25 milioni.
Se la comunicazione politica non
trova, dunque, più nella televisione lo strumento dotato
di
maggiore efficacia, nasce questa
domanda: è possibile estendere la disciplina oggi
operante in
tema di “par condicio” anche ad
Internet ed al sistema dei nuovi media? Credo che la
risposta
a questo interrogativo non possa
che essere negativa per la natura stessa di questi mezzi
e per
le particolari modalità della loro
fruizione.
Di fronte alle difficoltà di
estendere alla rete i controlli connessi al rispetto
della “par
condicio” acquistano, dunque, nuova
attualità e urgenza le discipline destinate a incidere
sulle
condizioni pregiudiziali e, se
vogliamo, “ambientali” della comunicazione elettronica
destinata alla stessa politica,
quali sono le discipline in tema di conflitto di
interesse e di
finanziamento delle campagne
elettorali.
Achille Chiappetti
Par condicio, una disciplina da
rielaborare
Quello della par condicio è un
campo nel quale fino ad oggi non mi sono mai espresso in
maniera specifica, salvo qualche
intervento sulla stampa quotidiana, e che ho, dunque,
seguito
in maniera generica e non
strettamente scientifica. Ed è per tale ragione che ho
letto con
estrema attenzione i quesiti,
essendo conscio di non essere interamente al corrente
delle
molteplici vicende che si sono
verificate in concreto riguardo alla sua applicazione.
Ho
pertanto scelto di dare una
risposta che li consideri nel loro complesso.
In tale ottica, la prima
considerazione che ritengo di dover fare è che sono
totalmente
d’accordo con quanto ha osservato
Enzo Cheli nella parte finale del suo intervento; ossia,
che
-pur trattandosi di una legge
avente un ruolo necessario, anzi, essenziale, per il
funzionamento
della democrazia nello snodo
fondamentale della comunicazione e dell’informazione-
essa
appare per non pochi versi non
pienamente rispondente a tale ruolo. E voglio aggiungere
che,
a ben vedere, la plausibilità di
questo dubbio è confermata anche dalla lunga serie dei
quesiti
posti da Lanchester. In effetti,
non vi è uno di questi interrogativi che non evidenzi
aspetti
obiettivamente perplessi della
legge n.28 del 2000, dando in tal modo un senso
complessivo
della sua probabile manchevolezza e
della necessità di apportarvi dei correttivi, a mio
avviso,
radicali.
Il punto di partenza dell’analisi
della legge non può non connettersi alla circostanza che
la
normativa italiana sulla par
condicio è stata condizionata dall’approccio iniziale,
dovuto
all’ideologico innesto nel nostro
ordinamento “politico” del concetto di equal time rule,
venuto in essere nell’ordinamento
dagli Stati Uniti d’America. In altre parole, si è
voluto
trapiantare un istituto
conformatosi nell’ambito un sistema politico totalmente
diverso dal
nostro, sia dal punto di vista
della tradizione, sia dal punto di vista del’assetto dei
partiti che in
esso concorrono, sia, infine dai
modus tipici di agire delle forze politiche e della
partecipazione democratica di quel
grande Paese. E questo ha costituito un appressamento
evidentemente rudimentale, specie
per le fondamentali differenze che intercorrono tra una
democrazia che da più di duecento
anni si fonda su regole di confronto sostanzialmente
elementari, ma obiettivamente
efficaci in quel sistema fondato su di una civiltà
politica
totalmente diversa dalla nostra e
talmente unica da consentire il funzionamento di un
assetto
dualistico praticamente solitario
nel mondo. Ed è questa peculiarità, che ha consentito
che
nella Repubblica a stelle e strisce
sia pacificamente accettata la convivenza di due regole
che,
invece, non siamo riusciti ad
assimilare contestualmente: la rule dell’equal time e
quella della
fairness doctrine, ovvero la
simultanea soddisfazione dell’esigenza di dare
equivalent
opportunity a tutti i candidati da
una parte, e quella del balanced point of view in ogni
dibattito, dall’altra.
Vero è che gli americani sono
facilitati dal fatto che le loro regole della par
condicio operano
in un sistema sostanzialmente
bipartitico mentre in Italia, abbiamo a che fare con una
forma di
governo estremamente articolata ed
un assetto partitico nel quale non vi è chiarezza
alcuna.
Ma ciò non giustificherebbe il
fatto che, ancora dopo venti anni, stiamo ancora
navigando a
vista riguardo al contemperamento
tra quelle due regole o concetti che nel loro insieme
costituiscono la par condicio (in
senso lato); un problema, cioè, che invece meriterebbe
di
essere accuratamente risolto, senza
il condizionamento di preconcetti politici, tanto più
che è
proprio la farraginosità del nostro
sistema partitico, nel quale convivono partiti di
diversa
entità e presenza nelle
istituzioni, che rende assolutamente necessaria tale
risoluzione (e che,
di fatto, la impedisce). Eppure,
cosi è: il confronto attorno alla riforma o, meglio,
alla
revisione della legge n. 28 non
riesce a progredire nonostante si tratti di una
disciplina
assolutamente essenziale per il
funzionamento della democrazia. Non si tratta certamente
di
una critica aprioristica, ma vi è
un dato che appare certo: è vero che abbiamo tratto dal
sistema americano un prodotto che
risolve in maniera sbrigativa lo snodo tra le due
anzidette
componenti della par condicio,
apparendo persino rudimentale ma è altresì vero che la
legislazione italiana, che si è
fermata ormai da diversi anni su di una legge che
s’incentra
esclusivamente sulla regola della
equal time (o della equivalent opportunity) si sta
dimostrando un meccanismo
sinceramente grezzo e non adeguato alla complessità
dell’assetto
partitico italiano che ancor oggi è
fermo alle soglie di un asfittico bipolarismo.
Ritengo che sono, appunto, le
numerose domande che Lanchester ci ha sottoposto ad
evidenziare che manca ancora una
piena chiarezza su quale è l’oggetto da tutelare o da
regolare e, di converso, quali
siano le deviazioni da sanzionare o da colpire; quali
sono i
parametri sulla base dei quali
operare, e quali sono le regole utili per far funzionare
la par
condicio in un sistema quale è
quello italiano in cui vi una enorme prolificità di
partiti specie
piccoli e una ingiustificata
tendenza alla loro sopravvivenza. I quesiti segnati, dai
punti 3, 6,
7, 8 e 9 evidenziano proprio questa
incapacità di crescita - diciamo così - della legge
vigente.
Anch’io volevo (e devo riconoscere
che anche qui Cheli mi ha anticipato con le sue parole)
richiamare l’attenzione sul fatto
che, effettivamente, alla legge n. 28 è stato imposto un
compito estremamente difficile;
quello, cioè, di risolvere il nodo complessivo della
disciplina
della par condicio, comprensivo del
balanced point of view, partendo da un atto che ha come
nerbo logico centrale quello della
equal time. Operazione, questa di estrema difficoltà che
si
presenta ogni qual volta si
provvede a calare in un sistema politico specialissimo,
quale è
quello italiano, dei modelli
stranieri, specie se parzialmente recepiti. Operazione
che ha avuto
come risultato finale una legge
sempre più articolata e dettagliata e, perciò rigida e
favorente
sviamenti applicativi e possibili
abusi da parte di chi è chiamata ad applicarla.
Mi interessa, pertanto, richiamare
l’attenzione su di un’esigenza che parte dal fatto che
l’attuale legge 28, come
successivamente modificata ed integrata, non abbia
progredito sulla
linea di un maturato raffinamento
dei principi sulla base dei quali occorrerebbe operare e
sul
fatto che è questa la ragione per
la quale è stata invece posta in essere in poco tempo
una ricca
giungla di regole di mero
dettaglio, che alla fin fine impattano contro le regole
di libertà, che
dovrebbero applicarsi per la
manifestazione del pensiero, tanto più nel dibattito
politico. Vero
è che tale modus procedendi è stato
anche causato da contingenze politiche ma sarebbe
comunque opportuno procedere al più
presto senza necessariamente attendere che avvenga
quel cambiamento “epocale” che
starebbe per avvenire nella politica italiana in base
alle
vicende di questi ultimi mesi –
che, a dire di alcuni consentirebbe di affrontare la
revisione
della par condicio in una
situazione di minore difficoltà. Ma mi rendo altresì
conto che
l’attualità dei nodi politici è
molto condizionante: si è già tanto parlato, in questo
pomeriggio,
del declino di Berlusconi. Ebbene,
mi sia consentito di dire che, se il quadro dovesse
modificarsi come molti sperano, mi
auguro che si possa finalmente compiere un’analisi più a
freddo del vero nucleo di
inadeguatezza della legge, non fondandosi sulla passione
politica,
dato che i problemi non si
esauriscono nell’esigenza di bloccare un politico (e il
suo partito)
che detiene dei mezzi televisivi,
ma consistono principalmente nella difficoltà di
ricostruire un
sistema normativo della par
condicio che sia adeguato alla peculiarità delle
situazioni ed
occasioni di conflitto tipiche del
nostro complicato assetto politico-partitico. Ma tutto
ciò, ad
avviso di un profano quale io sono,
comporta a ben vedere una considerazione insuperabile:
occorre abbandonare la prassi, cui
si è ricorsi per correggere il sistema, di dettagliare
sempre
di più l’originale impianto della
legge n. 28. Occorre, piuttosto, impiantare e rendere
diffusa
una diversa cultura della par
condicio, più razionale, più moderata e meno repressiva
di
quanto non sia fino ad oggi
avvenuto.
È ovvio che, se questo è il reale
stato delle cose, appare fondamentale l’apporto del
dibattito
dottrinale, al quale è demandato di
analizzare in profondità, tralasciando, per un momento,
la
legge (che è comunque vigente e che
continuerà a funzionare più o meno adeguatamente nel
frattempo).
Occorre, infatti, tornare a
verificare quali sono le reali necessità per un corretto
dibattito
politico e per una corretta
informazione politica nel nostro articolatissimo sistema
politico e
calibrare su di esso un insieme
elastico di garanzie per la par condicio che non alteri
il
dibattito e il confronto. Tutto il
sistema dei limiti e dei divieti che hanno ingabbiato
(ma, in
realtà, deformato) l’informazione
politica nel nostro Paese è stato costantemente prodotto
dalle particolarissime situazioni
in cui ha versato nel corso dei decenni il nostro
sistema
politico: dapprima con la
perdurante centralità della Democrazia Cristiana degli
anni ‘70-‘80
(cui ha fatto seguito il riparto
politico dei tre canali della televisione di stato come
“strumento” di pluralismo esterno)
e con la successiva vicenda berlusconiana (cui ha fatto
seguito l’appesantimento e la
degradazione della legge sulla par condicio) Ma ora, ciò
che può
e deve emergere dall’odierno
confronto è appunto l’esigenza restituire ai cittadini
un
confronto politico meno
condizionato da uno incompleto o, meglio, squilibrato
pluralismo al
quale si è ritenuto di fare fronte
con un accumulo di interventi sanzionatori al limite
della
censura che è progressivamente
divenuto il sistema di tutela della par condicio.
Un contributo, quello della
dottrina, che appare tanto più necessario, laddove si
tenga presente
la difficoltà in cui versa la Corte
costituzionale quando è chiamata ad esprimersi sui
principi
cardinali del diritto
d’informazione per giudicare della legge della par
condicio, restando essa,
per sua tradizione, necessariamente
ancorata, come hanno fatto con evidenza le sentenze n.
161 del 1995 e n, 155 del 2002, al
principio della parità di trattamento di accesso di
“tutti i
soggetti politici”, ossia alla sola
rule dell’equal time sulla quale è basata
principalmente, se
non esclusivamente, la nostra
legislazione. La stessa sentenza n. 155 comprova come le
giuste
esigenze di salvaguardare il nostro
sistema della par condicio impongano l’inedita lettura
di
svariati istituti, a partire dalle
ragioni fondanti della previsione legislativa delle
concessioni
radiotelevisive fino alla pretesa
di dovere “prevenire in ogni modo qualsiasi influenza,
anche
«in forma surrettizia», sulle
libere e consapevoli scelte degli elettori”.
Forse è venuto il tempo di
districarci da questioni astratte e argomentazioni che
possono
giustificare tutto o il contrario
di tutto. Faremmo bene a divenire (con molta prudenza)
un po’
più pragmatici, meno bizantini ed
un pochino più americani.
Tra l’altro non posso non
condividere il fatto, che rilevava pure da ultimo Enzo
Cheli, che in
realtà stiamo ancora rivangando un
discorso che già un po’ appare del passato come avveniva
quando ancora di recente
dibattevamo del monopolio televisivo e, poi, del
duopolio, senza
avvederci che ci si accapigliava
attorno a qualcosa che era già in parte superato dalle
nuove
realtà tecniche. Anche qui abbiamo
lo stesso scenario, stiamo ancora discutendo di campagne
elettorali, di par condicio, su un
mezzo – non posso che essere d’accordo - che è in
pratica
sempre meno utilizzato e sempre
meno rilevante specie nei ranghi dei giovani che si
affollano
di più ogni anno che passa.
D’altronde, non posso non notare come, se una
trasmissione fa
audience, non lo fa solo per forza
propria, ma perché è rilanciata e moltiplicata dalla
stampa o
da internet.
Il merito di questa tavola rotonda,
tuttavia, non dovrebbe consistere nell’aver proposto
idee
per regolamentare anche la
formidabile e inafferrabile macchina della rete ma
piuttosto quello
di tenere presente la sua rilevanza
per ricalibrare in maniera più elastica la disciplina
della par
condicio. È, dunque, condivisibile
l’idea secondo la quale, per procedere al suo
ammodernamento, occorre ripensarla
nell’ambito di un sistema di comunicazioni ormai molto
diverso da quello esistente nel
1990.
Giovanni Cuperlo
Par condicio: siamo gli artefici o
le vittime?
Ringrazio molto il professor Fulco
Lanchester e Roberto Zaccaria per questo invito. Siccome
è giusto rispettare il tempo
previsto mi limito a due sole considerazioni. La prima è
di
carattere generale. Credo che negli
ultimi dieci anni più che artefici noi siamo stati le
“vittime” di questa par condicio. E
dico questa perché ovviamente non mi riferisco al
principio in astratto ma alla
concreta legge 28 del 2000 e alle necessità che
l’avevano istruita.
Il punto è sempre lo stesso: la
profonda anomalia che tante volte abbiamo discusso nel
corso
di questa lunga stagione. Più
precisamente il fatto che in altri paesi vi sarebbe
stato un
intervento a monte e non a valle
del conflitto d’interessi che ha modulato per quasi
vent’anni,
non solo le competizioni elettorali
ma il profilo stesso della nostra democrazia e le forme
innovative del linguaggio e della
comunicazione politica. La mia è anche una nota
autocritica
perché è come se la politica di
fronte a un ostacolo nuovo, almeno nelle dimensioni,
avesse
riconosciuto la propria impotenza,
delegando la soluzione del problema a un altro ambito
disciplinare che è stato quello
della comunicazione con le sue articolazioni nel campo
del
diritto, della sociologia, dello
stesso dibattito sul pluralismo dell’informazione. Ora,
questa
delega aveva anche delle
giustificazioni. Cito solo la più nota. E cioè che già
nel 1994 il neo
premier Berlusconi era nella
sostanza ineleggibile per la ragione che tutti
conosciamo. Ma il
fatto che la decisione in materia
fosse demandata a una giurisdizione domestica – la
Giunta
per le elezioni della Camera dei
Deputati, come noto, è composta secondo criteri che
riproducono la maggioranza
parlamentare – fece sì che ciò che non era compatibile
con le
regole divenisse all’improvviso
compatibile con le cose. Di fronte a quel primo
risultato
elettorale (anche se il mio partito
di allora votò contro la delibera della Giunta) non
abbiamo
ritenuto ragionevole sollevare la
questione nei termini radicali che avrebbe meritato. E
su
questo ovviamente è legittimo avere
opinioni diverse. Personalmente ricordo le ragioni che
indussero a evitare nell’immediato
uno scontro frontale sul punto che ho citato, e proprio
per i
ricordi che ho mi sento di
respingere una lunga serie di dietrologie proliferate
negli anni
seguenti e tutte rivolte a motivare
quel primo passaggio come la prova fattuale di una
rinuncia
del centrosinistra, o parte di
esso, a condurre la battaglia sul nodo di fondo del
conflitto
d’interessi. Resta il fatto che
fino da allora si sono create le premesse perché la
valanga, come
avviene in natura, si alimentasse
della sua stessa discesa costringendo soggetti diversi,
comprese istituzioni di garanzia e
autorità indipendenti, a cercare con ogni mezzo di
arginare
una discesa a valle resasi già a
quel punto inevitabile. Ecco, io penso che la legge 28
del 2000
sia stata nel corso del tempo uno
degli strumenti che noi abbiamo piantato nel terreno –
diciamo uno degli alberi – che
aveva la funzione di rallentare l’inerzia della corsa.
Poi, si può
discutere se lo abbia fatto bene o
male ma comunque di questo si è trattato: di un albero
contrapposto a una valanga. E
dunque di uno strumento che persino aldilà delle sue
imperfezioni e dei limiti della sua
applicazione era in sé troppo poco per risolvere
l'anomalia
di fondo e troppo se rapportato
alle caratteristiche fisiologiche di una competizione
elettorale
in una democrazia matura. A quel
punto, la stessa distribuzione dei ruoli, quasi
inevitabilmente, si è adattata al
contesto: per cui da una parte abbiamo conosciuto la
regressione di professionalità
votate alla fedeltà nei confronti del nuovo potere.
Dall’altra si è
perfezionata la denuncia, in tutto
e per tutto giustificata, degli abusi che quel “potere
squilibrato” e privo di contrappesi
andava accumulando. Ora, noi da diversi anni siamo come
prigionieri – vittime appunto – di
questa dinamica. Ed è probabile che ne usciremo – perché
prima o poi ne usciremo – non tanto
per via amministrativa o legislativa, ma come è giusto
che sia per via politica e
aggiungo, attraverso quel sussulto culturale del paese
che le vicende
più recenti fanno intuire come
abbastanza prossimo. Detto ciò sul merito vorrei
aggiungere
solo un paio di notazioni. Se il
quadro di riferimento è quello accennato, allora tra le
conseguenze di questa lunga
anomalia del nostro modello di competizione c’è anche la
paralisi di una evoluzione della
comunicazione politica che altrove ha conosciuto uno
sviluppo magari contraddittorio ma
comunque progressivo. In altre parole tra le tante
responsabilità della concezione
berlusconiana della democrazia c’è stato anche un blocco
nella modernizzazione del
linguaggio e di codici espressivi della politica che
troppo a lungo
sono rimasti compressi dentro
format e griglie di regole forzatamente irrigiditi. E’
stata come
una bolla, una sospensione del
tempo che ha costretto anche noi a concepire la
competizione
elettorale più come un campo di
vincoli che come un’arena di potenzialità. E però dietro
questa necessità si sono mescolati
approcci diversi, con elementi di conservatorismo anche
nella nostra metà del campo. Potrei
citare il divieto degli spot. Giustamente proibiti per
l’ovvia ragione che non c’è logica
nel pagare il tuo diretto competitore e non esiste
nessuna
democrazia al mondo disposta a
tollerare un abuso del genere. Ma in diversi, invece,
hanno
giustificato quella decisione, in
sé alquanto discutibile, con la non compatibilità tra
una
comunicazione visiva e concentrata
(come appunto nel caso di uno spot) e la complessità del
discorso politico. Non sto parlando
di tempi remoti. Ad esempio di quando un editoriale di
Rinascita, il settimanale teorico
del Pci, bollava l’introduzione della Tv a colori come
un’azione contraria agli interessi
dei lavoratori e della democrazia. Parlo di motivazioni
argomentate più di recente, ma che
– e così veniamo all’attualità – stridono in modo
clamoroso con l’impatto che la Rete
e l’uso del marketing virale hanno avuto nel recente
voto
amministrativo e referendario.
Quindi intendo dire che noi siamo di fronte ai segni di
una
agitazione profonda delle modalità,
dei contenuti e degli strumenti che accompagnano la
formazione dell’opinione pubblica e
la sedimentazione del consenso. Il che non deve farci
abbassare la guardia sui nodi
tuttora non risolti, a partire dal contenimento di quel
conflitto
d’interessi che ci portiamo in
eredità dal secolo passato, ma neppure può impedirci di
vedere
una trasformazione accelerata della
politica, della comunicazione e della partecipazione che
si
intrecciano in uno scenario già
oggi mutato e, a quanto pare, destinato a mutare sempre
di più
nel futuro. Naturalmente, conviene
essere realisti, soprattutto perché le statistiche ci
spiegano
che una percentuale elevata di
persone, e non solo di quelle meno acculturate, tende
tuttora a
formarsi un’opinione attraverso i
Tg delle due ammiraglie o tramite i contenitori di più
bassa
qualità delle reti generaliste,
però è forte l’impressione di due mondi che si
sovrappongono,
come avviene sempre nelle fasi di
transizione. E allora, certo da una parte c’è il
direttore in
carica del TG1 che nell’edizione
delle 20.00, la sera del primo turno delle elezioni
amministrative programma un
servizio che nell’audio denuncia la vittoria della
sinistra
radicale e nel video monta non le
immagini contestualizzate di Pisapia o Zedda, ma quelle
delle teche Rai di Pecoraro Scanio
e Diliberto. Dunque da una parte c’è questa faziosità,
ma
dall’altra, soprattutto se pensiamo
a quest’ultimo referendum, c’è una dinamica sociale, nel
senso di nuove aggregazioni e
movimenti che invadono spazi via via più ampi del
vecchio
bacino comunicativo. E’ un po’ un
braccio di ferro che sarà interessante seguire nel suo
andamento. Sapendo che almeno dal
punto di vista della muscolatura e del vigore giovanile
la
bilancia pende chiaramente da una
parte. Infine, cosa fare in una fase di transizione tra
vecchio e nuovo che non sarà
comunque brevissima per rendere più efficaci le garanzie
di
equilibrio e di equità tra i
diversi soggetti? Rispondo, due cose. La prima è
prendere atto che
non tutto è normabile. Lo ha capito
anche la destra che ha tentato di applicare le regole
della
comunicazione elettorale ai
programmi di informazione politica. Il punto è che una
cosa era
la televisione delle tribune: con
spazi definiti e condivisi dove si misurava la
dialettica tra i
partiti. Un’altra televisione è
quella che ha dilatato il discorso politico nei
palinsesti con
ricadute che neppure a volerlo si
possono ricondurre entro confini limitati. Ovviamente
questa
evoluzione pone nuovi problemi, ad
esempio, il notevole potere, e talvolta l’arbitrarietà,
che
consente ai singoli conduttori di
selezionare i protagonisti del conflitto politico, ma
questa
casomai è materia di un convegno
separato. Ciò che non si può fare è ricondurre l’intera
disciplina sulle campagne
elettorali a meccanismi tipici di altre stagioni e di
contesti diversi.
La seconda e ultima osservazione
riguarda le sanzioni: su questo piano si è visto anche
di
recente che qualcosa si può fare ma
solo se l’autorità garante è chiamata ad agire con
tempestività e quindi “prima” che
il danno conseguente all’eventuale abuso si risolva in
un
esito del voto condizionato
dall’abuso stesso. Credo che su questo punto sia giusto
insistere in
futuro anche accentuando le
sanzioni e senza timore di aggredire più duramente i
soggetti
editoriali e proprietari che si
dovessero rendere protagonisti di violazioni delle norme
a
tutt’oggi in vigore. In sintesi,
direi che ragionando di questi temi molto sta cambiando
e molto
cambierà ma proprio questi
mutamenti devono restituire, in primo luogo alla
politica, un po’
più di coraggio, di autonomia e di
autorevolezza, anche sul piano culturale. Il che vuol
dire
avere piena coscienza dei nostri
limiti pregressi ma, nel limite del possibile, rivolgere
lo
sguardo in avanti. Tutto qui, ma
non è poco.
Filippo Donati
Par condicio e nuovi media
1. Premessa – Limiti di tempo non
mi permettono di seguire la traccia distribuita, che
elenca
10 punti problematici di cui
ciascuno è meritevole di attenta considerazione. Mi
concentrerò
pertanto sul punto 1 della traccia,
che pone l’interrogativo relativo alla perdurante
adeguatezza delle vigenti regole
della comunicazione politica e all’eventuale opportunità
di
un loro adeguamento.
Procederò ad alcune considerazioni
al riguardo, scusandomi per la loro scarsa
sistematicità.
Premetto che l’attuale quadro
legislativo sconta tuttavia alcuni problemi
difficilmente
risolvibili: non solo l’eccesiva
minuziosità della regolazione e l’individuazione di
distinti
poteri regolatori per la
concessionaria pubblica e le emittenti private, ma anche
l’incertezza
della distinzione tra informazione
e comunicazione politica. Sotto quest’ultimo profilo ci
possono essere casi eclatanti, come
il recente intervento del Presidente del Consiglio sui
notiziari del 21 maggio scorso,
poco prima del voto di ballottaggio alle elezioni
amministrative del 29-30 maggio. In
quel caso era obiettivamente difficilmente contestabile
che l’intervento del Presidente del
Consiglio fosse un vero e proprio spot elettorale, volto
ad
esprimere opinioni e valutazioni
politiche al di fuori delle regole della par condicio al
fine di
incidere sull’esito della
competizione elettorale. Del tutto giustificata pertanto
appare la
sanzione che l’Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni (AGCOM ) ha comminato per
questa vicenda. In altri casi la
distinzione può essere più difficile. E’ inevitabile, ad
esempio,
che riguardo a determinati eventi
(si pensi ad esempio alla recente vicenda della guerra
in
Libia) sia indispensabile garantire
spazio a esponenti del governo. In molti casi, del
resto, non
è facile stabilire se si tratta di
comunicazione politica oppure di informazioni che
trovano la
loro giustificazione nell’attualità
della cronaca e nell’interesse pubblico alla loro
conoscenza.
Proprio per evitare problemi di
questo tipo occorrerebbe introdurre una disciplina
basata su
alcune norme di principio la cui
applicazione è affidata ad un’autorità indipendente e
autorevole. In particolare ritengo
preferibile una disciplina che prescinda
dall’applicazione
meccanica di regole quantitative e
che consenta invece all’organo di vigilanza un’indagine
sul
merito volta a verificare eventuali
violazioni dei principi in materia di par condicio. La
vicenda relativa alle comunicazioni
del Presidente del Consiglio dello scorso 21 maggio, su
cui è si è avuta una decisione
dell’AGCOM a mio avviso del tutto condivisibile,
dimostra che
questa è una strada percorribile.
Occorre però tenere in considerazione il fatto che, in
più
occasioni l’AGCOM, è stata accusata
di scarsa terzietà e indipendenza. Qui si apre il tema
relativo all’idoneità dell’AGCOM a
verificare e sanzionare le regole in materia di par
condicio.
Lascio tuttavia da parte il
problema relativo all’autonomia e all’indipendenza
effettive
dell’AGCOM, che rischierebbe di
portarci fuori tema, e passo svolgere alcune brevi
valutazioni su una questione ovvero
preliminare: se è ancora necessaria una disciplina sulla
comunicazione politica così
penetrante e pervasiva come quella attuale.
2. La televisiva perdurante
necessità di una disciplina della comunicazione politica
– Il punto
di riferimento obbligato per
rispondere a questo interrogativo è ancora oggi la
sentenza della
Corte costituzionale n. 155 del
2002.
La decisione della Corte si basa su
due presupposti di fatto: (i) la “particolare forza
penetrativa” della televisione, che
giustifica una disciplina specifica per questo mezzo
trasmissivo, e (ii) la mancata
realizzazione del pluralismo informativo, per effetto
della
limitazione delle emittenti.
Partendo da questi presupposti la Corte ha ravvisato la
necessità di
assicurare un “pluralismo
sostanziale” mediante la garanzia di “parità di
condizioni” a tutti i
soggetti politici. In quella
prospettiva la Corte ritenne che la disciplina contenuta
nella legge
n. 28 del 2000 realizzi un
ragionevole bilanciamento tra il profilo attivo della
libertà di
informazione e l’interesse generale
ad una completa ed obiettiva informazione del cittadino
per il corretto svolgimento del
confronto politico.
Dal 2002 a oggi, però, molte cose
sono cambiate. L’avvento della televisione digitale ha
moltiplicato le risorse
trasmissive. La televisione digitale satellitare e
terrestre ha permesso di
superare quella limitatezza delle
emittenti cui si riferiva la Corte nella decisione del
2002.
Altro fattore di novità è collegato
alla diffusione di internet. Il Presidente dell’AGCOM ha
posto l’accento, nella sua recente
relazione al Parlamento, sull’importanza centrale che i
social network hanno assunto nel
mondo dell’informazione di oggi. Ha rilevato a tal
riguardo
che proprio i social network hanno
fatto da detonatore delle rivolte nei paesi del Nord
Africa e
del Medio oriente. E’ inoltre
risaputo che l’elezione di Barack Obama è stata favorita
da un
attento e capillare uso dei social
network.
Oggi siamo bombardati dalle
informazioni. I partiti politici e i candidati hanno la
possibilità di
diffondere le proprie idee e i
propri programmi attraverso la rete, permettendo quindi
ai
cittadini di realizzare il proprio
diritto di essere informati nel modo più ampio e
completo
sulle forze politiche in
competizione e sui loro programmi.
Se ci dovessimo basare solo su
queste considerazioni, probabilmente saremmo portati a
concludere che le nuove dimensioni
del mondo dell’informazione impongono un
ripensamento di fondo sulla attuale
disciplina italiana in materia di comunicazione
politica.
Una conclusione del genere sarebbe
però errata nel quadro attuale, per due concorrenti
motivi.
Il primo motivo è che, come ha
ricordato lo stesso presidente dell’AGCOM nella
relazione
annuale, che ancora oggi è la TV
“il veicolo di gran lunga prevalente per
l’informazione”.
Il secondo motivo, non evidenziato
nella sentenza 155/2002, attiene all’anomalia del caso
italiano, caratterizzato dal fatto
che il leader di un partito e di una colazione oggi al
governo
sia in grado di incidere su gran
parte dell’informazione radiotelevisiva e a mezzo
stampa. Tale
anomalia, ove non eliminata alla
radice da una disciplina che imponga una netta ed
effettiva
separazione tra soggetti politici e
soggetti cui è direttamente o indirettamente
riconducibile la
titolarità o la gestione dei mezzi
di informazione, giustifica una disciplina volta a
garantire la
par condicio sia nel periodo
elettorale sia negli altri periodi dell’anno.
3. E internet? – Veniamo al quesito
indicato al punto 1 della traccia. Il presidente
dell’AGCOM, nella sua recente
relazione al Parlamento, ha evidenziato il problema
relativo
alla possibile estensione della
disciplina sulla par condicio anche alla comunicazione
via
internet.
Qui si pone il grosso problema
relativo alla garanzia della libertà della rete ed alla
difficoltà di
interventi al riguardo. La rete è
refrattaria per definizione a forme di censura sui
contenuti.
Inoltre non è facile capire se le
regole in materia di par condicio pensate per i media
tradizionali possano essere
applicate al mondo di internet, e come si possa riuscire
a garantire
l’osservanza di queste regole.
Il costante progresso della
comunicazione diffusa attraverso la rete e la sua
capacità di
influenzare settori sempre più ampi
della popolazione pone il rischio che la par condicio,
in
ipotesi garantita per le
trasmissioni televisive, possa essere vanificata
dall’informazione
politica trasmessa attraverso la
rete.
Paolo Gentiloni Silveri
Legge necessaria per un'epoca al
tramonto
La legge sulla par condicio è
figlia di un'epoca che fortunatamente volge al tramonto:
un'epoca caratterizzata dal
conflitto di interessi. Nell'autunno di questa stagione,
la legge va
comunque difesa. Per quanto
insufficiente e producente effetti distorsivi, si può
con sicurezza
affermare che è meglio avere che
non avere questa legge, almeno finché la situazione di
fatto
non sia sostanzialmente mutata. Non
si possono negare le inadeguatezze della disciplina
sulla
par condicio: le tendenze negli
anni sono state quelle di una eccessiva produzione di
regolamenti da parte dell'AGCOM e
della CPIV e quella dell'AGCOM a farsi “dare coraggio”
dall'esterno, procedendo sola
contro le emittenti e, di fatto, contro i soggetti
politici.
L'AGCOM ha sempre cercato una pezza
d'appoggio oggettiva, il cronometro ad esempio, per
poter procedere in modo chiaro ed
incontrovertibile.
Così l'AGCOM ha operato una
ossessiva “rincorsa al cronometro” ed un' ossessiva
delega alle
denunce di parte senza le quali
l'AGCOM ha stentato ad intervenire.
Altra inadeguatezza evidente
dell'AGCOM è stato il silenzio sul conflitto di
interessi. La
legge Frattini vieta il sostegno
privilegiato da parte delle emittenti di un soggetto
politico a
quello stesso soggetto politico.
Nelle ultime campagne elettorali (cioè negli ultimi 4
anni) ci
sono stati da parte dell'AGCOM 10
provvedimenti contro il Tg4, 6 contro Studio Aperto, 6
contro il Tg5. Se 22 diffide non
sono in re ipsa la dimostrazione di un sostegno
privilegiato,
non si capisce cosa altro
potrebbero essere.
Nel futuro il sistema delle
comunicazioni sarà diverso da quello attuale. Non farà
testo
l'emissione lineare, ma il flusso
di informazione. Solo per dare un esempio, il comitato
Tv e
minori fino a qualche tempo fa
controllava sei canali, adesso centinaia: soprattutto
internet
rappresenta una vera sfida.
In questo contesto occorrono regole
chiare: in primo luogo regole che evitino “l'
accanimento
cronometrico”, in secondo luogo
norme semplici applicabili da un Garante autorevole e
credibile e capace di agire
d'ufficio. Il Garante attuale in questi ultimi tempi,
per alterne
vicende politiche, si è trovato in
una situazione in cui ha 4 consiglieri di maggioranza, 4
di
opposizione e un presidente
autonomo. Per questo ha preso decisioni interessanti.
Altro elemento importante è agire
su alcuni principi: la semplificazione delle norme e
l'autorevolezza del Garante possono
funzionare solo se esiste una legislazione antitrust
adeguata e “normale” contro le
posizioni dominanti.
Valeria Ferro
Il monitoraggio
In Italia il monitoraggio
televisivo ha avuto inizio agli albori degli anni ’80 e,
come avveniva
e avviene a livello internazionale,
al centro delle rilevazioni vi erano i soggetti
(singolari e
collettivi). Nel processo di
evoluzione della comunicazione è stato necessario
aggiungere, in
una seconda fase, un collegamento
tra i soggetti e i temi trattati. Infatti, privilegiare
un
argomento nella narrazione della
realtà/politica può favorire i soggetti che a quel tema
dedicano iniziative e programmi. Si
è tuttavia verificato che alcuni argomenti possono
essere
riconducibili ad un soggetto pur
non essendone rilevabile la presenza, indipendentemente
dalla sua volontà. Valgano come
esempi il caso Ruby o la casa di Montecarlo. Nel tempo,
è
stato quindi necessario conformare
gli strumenti di rilevazione al fine di ottenere analisi
più
adeguate come, ad esempio,
l’utilizzo di un ampio thesaurus di parole-chiave
(metodologia
Isimm Ricerche). Nell’ambito della
rilevazione quantitativa, ciascun istituto di ricerca
propone un diverso approccio
metodologico ed essendo impossibile che i dati di
monitoraggio
restituiscano le informazioni nella
loro interezza, i risultati dipendono dai filtri che
vengono
applicati. Non esiste una
metodologia valida per ogni tipo di analisi e immutabile
nel tempo: è
quindi necessario introdurre
correttivi e adeguamenti. Ad esempio, nelle sue
rilevazioni
l’Osservatorio di Pavia propone il
“tempo totale”, che permette di valutare la centralità
di un
soggetto nel dibattito politico (il
“tempo di antenna” di Isimm-Agcom, rappresenta invece
l’attenzione che l’emittente ha
prestato al soggetto1), il Centro d’ascolto radicale
propone di
parametrare le presenze agli indici
d’ascolto, a prescindere dall’appeal del soggetto.
La legge 28/2000 ha introdotto
nella comunicazione alcune regole che hanno sollevato
numerose critiche, talvolta in
netta contraddizione tra loro, in particolare da parte
di operatori
dell’informazione: la legge impone
“il bilancino”, oppure, non vi sono regole certe che
indichino quali siano i
comportamenti cui attenersi. Per quanto riguarda
l’imposizione di spazi
e tempi rigidi, questi si
riferiscono alle trasmissioni di “comunicazione
politica” (le
tradizionali tribune
politico-elettorali) e non ai telegiornali, ai quali
vengono imposte le
antiche prescrizioni di
correttezza, completezza e imparzialità. Occorre
precisare, inoltre, che
le valutazioni sul comportamento
delle emittenti da parte dell’Agcom sono in genere
supportate sia dai dati
quantitativi che da ulteriori elementi, quali la
presenza del
contraddittorio, l’analisi dei temi
trattati, etc.
Chi invoca regole certe fa spesso
riferimento all’unica normativa in materia, realizzata
nella
Francia mitterandiana e da allora
ampiamente rivisitata. La nota regola francese dei tre
terzi
(un terzo del tempo al Governo, un
terzo alla maggioranza parlamentare, un terzo
all’opposizione parlamentare) ha
successivamente richiesto significativi correttivi, a
partire
dalla rilevazione delle presenze
del Presidente della Repubblica, oggetto di una
attenzione
mediatica non indifferente,
inizialmente escluse da quote. Una delibera del CSA
francese del
luglio 2009 stabilisce che gli
interventi del Presidente della Repubblica debbano
essere
rilevati “in ragione del loro
contenuto e del loro contesto”, se inerenti ai temi del
dibattito
politico nazionale. Anche in
Italia, Isimm Ricerche per conto dell’Autorità per le
Garanzie
nelle comunicazioni, rileva i tempi
dei soggetti istituzionali sulla base del diverso ruolo
assunto (es: a Fini può essere
attribuito il ruolo di leader di partito o di Presidente
della
Camera, a Berlusconi quello di
Presidente del Consiglio, esponente di partito o ancora
di
imprenditore). In Francia inoltre
deve essere assicurata all’opposizione parlamentare
almeno
la metà del tempo di intervento
attribuita al Governo, alla maggioranza parlamentare, al
Presidente della Repubblica (nei
suoi interventi di politica nazionale, come sopra
descritti) e
ai suoi collaboratori. Per quanto
riguarda le formazioni politiche non presenti in
parlamento, il
CSA raccomanda di dedicare un non
meglio definito tempo equo.
Un ulteriore elemento significativo
nell’analisi dei dati di monitoraggio è il periodo di
tempo
che si ritiene utile per una
valutazione del rispetto del pluralismo. E’ infatti
probabile che le
analisi relative ad un periodo
breve producano dati eccessivamente condizionati dagli
avvenimenti in agenda. In merito,
l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni pubblica
i
dati con cadenza mensile2 (ad
eccezione dei periodi di campagna elettorale, durante i
quali le
pubblicazioni hanno cadenza
settimanale). In altri Paesi, le valutazioni vengono
espresse su
periodi più lunghi (trimestri,
semestri o un anno).
I dati di monitoraggio, in
conclusione, vanno letti attentamente, seguendo le
avvertenze e le
indicazioni degli analisti, in modo
da non incorrere in valutazioni non corrette. Ad
esempio:
leggere le sole percentuali di
presenza, tralasciando i valori assoluti, può essere
fuorviante se
la base-dati è esigua.
1 Il “tempo totale” è costituito
dalla somma del tempo di cui il soggetto fruisce
direttamente con la propria voce
(intervista o intervento), di quello della mediazione
giornalistica (il giornalista parla
del soggetto) e del tempo che il competitore politico
gli
dedica. Il “tempo di antenna” è
costituito dal tempo di cui il soggetto fruisce
direttamente con
la propria voce (intervista o
intervento) e di quello della mediazione giornalistica
(il
giornalista parla del soggetto).
2 Benché nella delibera del 15
novembre del 2010 N. 243/10/CSP l’Agcom precisi che
“l’Autorità effettua d’ufficio la
valutazione del rispetto del pluralismo politico e
istituzionale di ciascun
telegiornale sottoposto a monitoraggio nell’arco di
ciascun
trimestre.”
Ottavio Grandinetti
Par condicio e programmi
informativi nella prassi dell’Autorità per le garanzie
nelle
comunicazioni
Il principale oggetto di questo mio
breve intervento è relativo alla informazione, ovvero ai
programmi informativi ed ai
telegiornali.
Tuttavia, prima di entrare nel
dettaglio di questo tema, vorrei riprendere alcune
sollecitazioni
emerse nel corso del dibattito sin
qui svolto.
Mi riferisco in particolare al
fatto che la par condicio è solo uno dei tre principi
cardine
individuati, dalla Corte
costituzionale, a presidio del pluralismo informativo.
Al riguardo, è
quasi superfluo ricordare, dinanzi
ad una platea così competente, come gli altri due
principi
siano il pluralismo interno, inteso
come indipendenza ed obiettività della Rai, e il
pluralismo
esterno, ovvero la presenza di una
molteplicità e diversità di voci e quindi anche di
posizioni
di controllo proprietario delle
emittenti nazionali. Rispetto a questi due primi
pilastri, la par
condicio tutela il c.d. pluralismo
politico (o sostanziale) e rappresenta, quindi, il terzo
pilastro.
È però evidente che, se pluralismo
interno e pluralismo esterno non sono pienamente
realizzati, sulla par condicio
finisce con lo scaricarsi il peso di riequilibrare il
sistema nel suo
complesso: effetto che, però, la
disciplina sulla par condicio non è in grado, da sola,
di
realizzare.
È noto che il pluralismo esterno
non è stato mai realizzato in Italia (v., tra le altre,
C. cost. n.
420/1994 e n. 466/2002), tanto che
potrebbe persino dirsi che in realtà ci si trova in una
situazione di illegittimità
costituzionale (oltre che comunitaria: v. Corte di
giustizia 31
gennaio 2008, C-380/05, “Centro
Europa 7”) che dura da almeno venti anni. Né potrebbe
obiettarsi che il passaggio alle
trasmissioni digitali terrestri abbia ormai risolto il
problema,
ricollegando tale asserzione al
fatto che vi è effettivamente una maggiore quantità di
canali
televisivi nazionali. Infatti,
l’attuale disciplina del pluralismo esterno, che
continua ad essere
parametrata sul numero delle reti
(quindi, in un’ottica assolutamente retrospettiva,
ovvero
quella della televisione
analogica), è ormai superata ed inidonea a misurare il
grado di
pluralismo esterno nel nuovo
ambiente digitale, in cui contano piuttosto i dati
relativi
all’audience.
Ed allora, se si vanno a guardare i
dati dell’audience (che è appunto il vero aspetto
rilevante),
si può facilmente verificare come,
pur in presenza di numerose canali nazionali, i
duopolisti
del settore raccolgano pressoché
tutta l’audience anche nel nuovo scenario digitale.
Pertanto,
volendo riproporre la questione del
pluralismo esterno, non si può ragionare in maniera
retrospettiva né si può liquidare
l'argomento sostenendo che non esiste più un problema,
per il
mero fatto che vi è una pluralità
di reti.
Vi è poi un'altra sollecitazione
emersa dal dibattito: internet. Occorre evitare di
estendere
meccanicamente le attuali regole
della par condicio ad un mezzo particolare come
internet,
rispetto al quale è tutto da
dimostrare che una disciplina di questo tipo possa
servire. Bisogna
infatti considerare che internet ha
probabilmente dei meccanismi di accesso molto più
“attivi”
da parte degli utenti, tali da far
sorgere un legittimo dubbio in merito alle regole da
applicare
(eventualmente) a tale mezzo.
Vengo ora al tema più
dell’informazione. Per chi ha seguito l’applicazione, in
questo ambito,
della legge sulla par condicio da
parte dell’Autorità, è possibile riscontrare, sia con la
vecchia
che con l’attuale composizione
dell’Autorità, una grandissima confusione nelle stesse
delibere
dell’Agcom. Solo per fare un
esempio si può constatare come la stessa Autorità in
varie sue
delibere affermi candidamente che
«le disposizioni previste nella legge e quelle di rinvio
alla
legge stessa contenute nei
regolamenti della Commissione parlamentare per
l'indirizzo e la
vigilanza e quelle della stessa
Autorità per la garanzia nelle comunicazioni non sono
univoche» (tra le altre, v. le
delibere 85/09/CSP e 73/08/CSP). La stessa Autorità
detta quindi
una disciplina regolamentare di cui
riconosce la sostanziale contraddittorietà, sia
intrinseca
che in rapporto alla normativa
primaria del settore.
Per altro, è la stessa Autorità a
chiarire gli aspetti in relazione ai quali viene a
crearsi questa
contraddizione. Viene innanzitutto
in considerazione una disposizione quale quella
contenuta
nell'articolo 1, comma 5 della
legge 515 del 1993, ove si prevede che la presenza dei
politici
tanto nei programmi di informazione
quanto in quelli di approfondimento dovrebbe
rappresentare un’eccezione.
Ovverosia la regola è che la presenza dei politici nei
TG e negli
altri programmi di informazione è
ammessa soltanto se è giustificata da oggettive esigenze
informative. Al contrario, però,
molte delle delibere adottate dall'Autorità per
disciplinare le
più recenti competizioni elettorali
prevedono invece che i telegiornali devono assicurare la
presenza di esponenti politici, al
fine di esporre le loro opinioni (v. ad es. delibere
33/08/CSP
e 42/08/CSP). È evidente
l’incompatibilità tra disposizioni di legge e
regolamentari.
Se le stesse delibere dell’Autorità
– sovvertendo il rapporto “regola-eccezione” fissato
dalla
legge – impongono la presenza dei
politici nei telegiornali, diviene poi difficile andare
a
reprimere una lunga intervista
concessa al leader politico di turno.
Passando ad esaminare la questione
del rapporto tra la rilevazione dei tempi concessi alle
varie forze politiche e
l’applicazione di altri criteri per la rilevazione di
eventuali violazione
della par condicio, mi trovo
abbastanza in linea con quanto detto sinora. In altre
parole i tempi
dovrebbero essere solo uno dei
criteri da prendere in considerazione. È chiaro tuttavia
che, in
un contesto in cui i membri
dell’Agcom sono nominati dagli stessi soggetti sui quali
dovrebbero vigilare (cioè, dai
partiti), è comprensibile che l’Autorità tenda a cercare
un
criterio di valutazione obiettivo
e, per così dire, matematico.
Avendo esaminato le delibere
adottate nel tempo dall’Autorità, devo dire che si
riscontrano
notevoli diversità di criteri per
valutare eventuali squilibri di presenze tra i vari
soggetti
politici (e istituzionali).
Talvolta, l’Autorità procede – secondo me, correttamente
– a
verificare caso per caso se gli
squilibri rilevati possano ritenersi giustificati da
obiettive
esigenze informative (v., ad es.,
la delibera 115/09/CSP). Altre volte l’Autorità, una
volta
riscontrato lo squilibrio
“matematico” dei tempi, procede invece direttamente alla
emanazione
della sanzione, senza fare alcuna
verifica e senza dare motivazioni di carattere pratico e
operativo. Anche questa divergenza
è criticabile, oltre che difficilmente giustificabile.
Esiste poi la necessità di
applicare anche altri criteri diversi da quello
meramente matematico.
Occorre infatti valutare le
modalità con cui vengono realizzate certe interviste o
ricostruite
determinate notizie, proprio dal
punto di vista della tecnica comunicativa. È evidente
che
l’applicazione di questi criteri dà
all'Autorità un margine di discrezionalità molto ampio,
poiché ciò può implicare, in
definitiva, il sindacato delle “modalità” di svolgimento
dell’attività informativa. Tuttavia
l'Autorità, sia in passato che più di recente, ha
individuato
una serie di criteri. Uno di
questi, del tutto condivisibile, è quello che si basa
sulla differenza
tra “conduzione forte” e
“conduzione debole” della trasmissione giornalistica.
L’altro criterio a mio parere
condivisibilmente applicato nelle ultime delibere (cioè
proprio
quelle relative alla nota vicenda
dell’intervista cd. a reti unificate del Presidente
Berlusconi), è
quello basato sulle caratteristiche
complessive del messaggio (delibere 132/11/CSP e ss.).
L’applicazione di questo criterio
rappresenta un primo passo in avanti, che andrebbe
incentivato e “completato” anche
attraverso la creazione di un panel, formato da un
gruppo di
autorevoli esperti, a loro volta
indipendenti anche rispetto all’Autorità, in grado di
fare una
valutazione e di formulare
all’Autorità un parere sulla tecnica comunicativa
utilizzata nella
singola fattispecie concreta
dall’emittente.
Armando Melchionna
Alcune osservazioni relative alla
campagna elettorale per le amministrative 2011
La campagna elettorale del maggio
2011 ha evidenziato una serie di criticità relativamente
alla valutazione del pluralismo,
soprattutto, se non esclusivamente, nel genere dei
notiziari.
L’Agcom ha sanzionato ripetutamente
i telegiornali con motivazioni che sono apparse
“regole” innovative rispetto alla
prassi consolidata di circa 10 anni di normativa sul
pluralismo.
Il punto più delicato e innovativo
è che la valutazione del rispetto del pluralismo si sia
basata
su monitoraggi puntuali, su periodi
variabili e con criteri di valutazione e di giudizio
noti ex
post agli operatori del settore e
quindi alle redazioni dei telegiornali.
Come noto alcuni principi sono
consolidati nella normativa e tra questi meritano di
essere
ricordati:
i telegiornali sono caratterizzati
dalla correlazione ai temi dell’attualità e della
cronaca;
• il diritto alla completa ed
obbiettiva informazione del cittadino appare dunque
tutelato
in via prioritaria soprattutto in
riferimento a valori costituzionali primari, che non
sono
tanto quelli…della pari visibilità
dei partiti, quanto piuttosto quello connessi al
corretto svolgimento del confronto
politico su cui in permanenza si fonda il sistema
democratico;
• in base a tali criteri la Corte
Costituzionale con la sentenza 155 del 2002 ha osservato
come le regole più stringenti che
valgono per la comunicazione politica non si
attaglino “alla diffusione di
notizie nei programmi di informazione” e quindi l’art. 2
della legge n. 28 del 2000 NON
COMPORTA LA TRASPOSIZIONE DEI CRITERI
DETTATI PER LA COMUNICAZIONE
POLITICA NEI PROGRAMMI DI
INFORMAZIONE….;
• la rappresentazione delle diverse
posizioni politiche nei programmi appartenenti
all’area dell’informazione NON è
regolata, a differenza della comunicazione politica,
dal criterio della ripartizione
matematicamente paritaria degli spazi attribuiti, ma
deve
conformarsi al criterio della
parità di trattamento, il quale va inteso propriamente,
secondo il consolidato orientamento
dell’Autorità, nel senso che “ …situazioni
analoghe debbano essere trattate in
maniera analoga”’, al fine di assicurare in tali
programmi l’equa rappresentazione
di tutte le opinioni politiche ed il corretto
svolgimento del confronto politico
su cui si fonda il sistema democratico.
In sintesi le normative fanno
riferimento costantemente allo stretto legame tra
attualità e
contingenza delle notizie, alla
libertà editoriale nelle scelte e alla conseguente
responsabilità
deontologica, alla differenza tra
la comunicazione politica e quella dei telegiornali,
alla
conseguente inadeguatezza di
criteri di ripartizione matematica paritaria. Al
contrario, nella
prassi, tali criteri vengono
smentiti da generici enunciati come “l’obbligo della
parità di
trattamento tra le diverse forze
politiche” che “situazioni analoghe debbano essere
trattate in
maniera analoghe”. In questo modo
non si definisce a quali criteri oggettivi il
telegiornale
debba attenersi ma si lascia alla
discrezionalita’ dell’Agcom di decidere ex post se la
ripartizione dei tempi sia o meno
conforme a qualcosa che appare totalmente indefinito ex
ante.
Inoltre i periodi su cui si valuta
il rispetto del pluralismo sono variabili e disomogenei.
L’esigenza primaria quindi è che si
faccia chiarezza sulle modalità di valutazione del
pluralismo all’inizio della
campagna elettorale, fornendo anticipatamente nel
dettaglio, tanto
alla emittenza pubblica che a
quella privata dagli Organi di indirizzo ad esse a tal
fine
rispettivamente preposti, i criteri
con i quali le testate saranno giudicate ed
eventualmente
sanzionate.
Un possibile modello potrebbero
essere le linee individuate in Francia dal Conseil
Superieur
de l’Audiovisuel, nelle delibere
del 21.7.2009 e del 4.1.2011.
Marco Mele
La par condicio inesistente
Relativamente alle tecniche e
modalità di monitoraggio, vorrei sottolineare che alcuni
profili
di differenza tra l’Osservatorio di
Pavia e l’Isimm. Tra questi ricordo il fatto che
l’Osservatorio di Pavia non da, al
contrario dell’Isimm, informazioni relativamente alla
differenza tra Governo e Presidente
del Consiglio. Mentre l’Osservatorio di Pavia fornisce
il
tempo per ogni telegiornale dei
dieci soggetti politici più presenti. Questa tecnica
potrebbe
risultare utile anche all’Agcom,
per valutare la presenza dei differenti soggetti
politici. Non si
può che concordare con quanto
sosteneva Ottavio Grandinetti, laddove egli riscontrava
come
fosse il sistema televisivo
italiano nel suo complesso ad essere anomalo e nessuna
legge sulla
par condicio, per quanto aggiornata
e rivista, potrà mai da sola riequilibrare l’intero
sistema.
La par condicio, nei fatti, non
esiste nei Tg nazionali.
Occorre, infatti, valutare anche lo
stato del pluralismo al di fuori del periodo elettorale.
Che
cosa accade, dunque, quando le
elezioni sono terminate? I dati Isimm dal 29 maggio al 5
giugno, per esempio, ci
restituiscono questi dati relativi al Tg1 e ai soli
partiti politici: Popolo
della libertà (51,83%), Partito
Democratico (10,57%). Si guardi poi l’altra colonna che
raccoglie i dati relativi ai
partiti politici e alle istituzioni: Popolo della
libertà (37,66%),
Partito democratico (7,7%), Governo
16,03%. Tornando alla colonna con i soli soggetti
politici, si vedano i dati del Tg2:
Popolo della libertà (36,51%), Partito Democratico
(12,08%). In questo caso il Governo
si attesta su un dato molto più basso, ovvero 2,12%. I
dati che ho appena fornito si
riferivano al tempo di parola di due telegiornali Rai;
come noto,
il tempo di parola rappresenta il
dato più significativo perché relativo all’intervento in
prima
persona del soggetto politico o
istituzionale.
Si vedano ora i dati relativi al
tempo di parola dei telegiornali Mediaset, non molto
differenti
da quelli Rai. Tg4: Popolo della
Libertà 42,63%. Tg 5: 40, 66%; Studio Aperto Popolo
della
libertà 15,56% ma il Governo ha il
47,6%. Secondo Pavia, a giugno Governo e maggioranza,
sul Tg4 hanno avuto il 92,5% del
tempo di parola nelle edizioni principali. Su Studio
Aperto
l’83,3%.
Il dato sorprendente, per tornare
alla questione che anticipavo poc’anzi, è che prendendo
i dati
relativi a qualsiasi mese dell’anno
non interessato da campagna elettorale i dati sono più o
meno analoghi. Le variazioni sono
minime e diventano più rilevanti solo durante le ultime
settimane di campagna elettorale,
quando, peraltro, i Tg sono normalmente costretti
dall’Agcom a un parziale
riequilibrio. In generale, pertanto, si riscontra una
permanenza e
costanza assoluta di questi dati, a
prescindere se ci si trovi o meno in periodo elettorale.
Diviene pertanto evidente che la
legge sulla par condicio non può risolvere i problemi,
tanto
più che in alcuni casi è una legge
quasi inapplicabile. Questo sia perché l’Agcom solo
negli
ultimi tempi ha adottato sanzioni
un po’ più dure e questo in relazione al tipo di
connotazione
politica in particolare all’interno
della Commissione Servizi e Prodotti dell’Agcom. Mi pare
poco rilevante, al contrario,
ragionare sulla modalità di diffusione e comparazione
dei dati, e
quindi non vorrei entrare nel
merito della diatriba tra il trimestre, il semestre o,
addirittura,
l’anno.
Al contrario molto rilevante è il
criterio dell’audience: le edizioni principali devono
essere
considerate prioritarie
nell’analisi dei dati. Anche in questo caso, tuttavia,
le edizioni
principali andrebbero riparametrate
sulla base degli ascolti, perché non tutti i Tg sono
uguali e
non tutti vengono seguiti allo
stesso modo. Tanto per fare un esempio, il Tg la7
diretto da
Enrico Mentana sta incrementando di
molto gli ascolti e quindi i dati andrebbero
riparametrati
in una maniera tale da tener conto
di questi aspetti. Infatti il criterio di bilanciare il
dato
quantitativo dei minuti con
l’indice di ascolto rimane valido. La carenza di
pluralismo del
Tg1 e del Tg5 delle 20, insomma,
“pesa” a mio avviso molto di più nella formazione delle
opinioni.
Non cambia il giudizio complessivo
sul pluralismo informativo. Il nostro sistema è talmente
sbilanciato, che Rai e Mediaset
nella televisione free detengono l’86% delle risorse,
secondo
l’ultima relazione annuale
dell’Agcom (quanti italiani lo sanno o ne sono stati
informati?).
Confrontando questo dato con quanto
rilevato dalla relazione Agcom recentemente presentata
dal presidente Calabrò, e
confermato dall’ultimo rapporto Censis-Ucsi sulla
comunicazione,
ovvero che il 90 per cento dei
cittadini dichiara di informarsi prioritariamente dalla
Televisione, si comprenderà la
rilevanza del persistente assetto duopolistico del
sistema a
danno del pluralismo informativo.
Nella parte finale del mio
intervento vorrei dedicare qualche riflessione su
Internet. Questo
strumento non è antagonista
rispetto alla televisione ma, al contrario, il Web e la
Tv
divengono sempre più complementari
e integrati. La televisione resta al centro del consumo
ma cambiano le modalità di
fruizione del suo prodotto. Si pensi per esempio al
numero
crescente di giovani che guardano
frammenti di televisione su altri terminali quali
appunto
internet e discutono ciò che stanno
vedendo o che hanno appena visto con gli amici sulla
rete.
La televisione rimane al centro del
processo di elaborazione dell’opinione pubblico e
risulta
persino rafforzata dall’avvento del
Web 2.0, grazie anche all’evoluzione degli apparecchi
riceventi. Il digitale terrestre –
che, per inciso, non si vede in molte parti d’Italia, o,
meglio
diversi canali non si vedono,.tanto
che l’Antitrust ha recentemente aperto un’istruttoria in
tal
senso nei riguardi della Rai – è
uno strumento che non sta ampliando il pluralismo né la
platea dei soggetti che fanno
informazione. Questo argomento meriterebbe di essere
trattato
più ampiamente in un altro
intervento. Le emittenti locali stanno sperimentando
sulla loro
pelle cosa significa un modello di
transizione basato sulla continuità dell’assetto
analogico e
costruito attorno agli interessi
dei soggetti incumbent. Con la nuova tv non c’è più par
condicio o più pluralismo, anzi….
Paolo Messa
Par condicio: una toppa per un buco
più grande
Sono il fondatore della rivista
Formiche e per cinque anni, dal 2001 al 2006, mi sono
occupato della comunicazione
politica dell'Udc. Lo preciso per completezza di
informazioni e
per segnalare che con le
disposizioni di questa legge mi sono in qualche modo
confrontato
“attivamente”.
Mi scuso in anticipo se userò un
linguaggio diretto e senza fronzoli: sono convinto che
dibattiti come questi abbiano senso
se rappresentano un'occasione pubblica di brainstorming.
Il tema che si affronta oggi è
relativo alla legge sulla par condicio, una legge che
ormai ha
superato la soglia degli undici
anni e che ha come oggetto quello della parità di
accesso delle
forze politiche ai mezzi di
informazione in genere e in particolare nelle campagne
elettorali e
referendarie. Il tema par condicio
è declinato anche dal punto di vista regolatorio in due
aspetti.
Uno attiene alla modalità
“pubblicitaria” della campagna elettorale. Per esempio,
lo ha citato
prima di me Cuperlo, è vietata la
diffusione di spot nelle televisioni nazionali (incluse
quelle
satellitari), disposizione che
francamente mi sembra corretta. Allo stesso modo esiste
la
possibilità, ed è regolamentata in
maniera dettagliata, di fare spot su radio e televisioni
locali e
nei cinema. Non vi sono divieti
espressi circa la possibilità di trasmettere messaggi
pubblicitari su internet. Vi è poi
il capitolo della pubblicità esterna (cartellonista,
fissa e
mobile): anch’esso è regolamentato
con tempistiche e modalità assai precise anche se
talvolta
contraddittorie fra loro.
Il secondo aspetto, non
pubblicitario in senso stretto, riguarda l’informazione
tout court. Ci
riferiamo in questo caso a
telegiornali, talk-show e contenitori di infotainment. È
evidente che
qui si concentra l’attenzione
maggiore dei politici e degli addetti ai lavori. Non
ripeto le
analisi che sono state già svolte,
condividendole in gran parte. Se posso fare una battuta,
parafrasando l’ormai celebre
canzoncina: “meno male che la par condicio c’è”! Tra il
scegliere di avere o non avere
questa legge, non c’è dubbio: molto meglio tenersela
stretta.
Detto questo, dobbiamo avere la
consapevolezza che si tratta di una toppa piccola ad un
buco
molto più grande: quel buco, o quel
baco, si chiama conflitto di interessi e qui noi
dobbiamo
avere la consapevolezza che urge un
intervento, magari di natura costituzionale – mi
permetto
di dirlo dinanzi ad autorevolissimi
costituzionalisti – che davvero abbia un'efficacia non
discrezionale. Quello che noi
abbiamo vissuto con Berlusconi, con l’imprenditore
premier
Berlusconi, non può essere più
ripetuto. Va in tutti i modi evitato che quella che è
stata
un'eccezione a mio avviso non
positiva, possa essere anche solo potenzialmente
riproducibile.
Si tratta di una conditio sine qua
non che però non deve distrarci dal tema, assai
delicato, della
regolazione della comunicazione
politica.
Su questo, vorrei proporre un paio
di provocazioni. La prima: occorre sapere che non è vero
che ad una presenza televisiva
molto assidua corrisponde un consenso politico
proporzionato.
Se così fosse, avremmo avuto, mi
sarà perdonata per l’iperbole, presidente del Consiglio
Clemente Mastella e vicepresidente
Fausto Bertinotti. Cito volutamente i nomi di due
esponenti politici di cui ho
considerazione, non certo per denigrarli ma per
ricordare a noi
stessi che entrambi erano
presentissimi sul piccolo schermo ma nonostante questo
né il partito
di Mastella né quello di Bertinotti
hanno superato la soglia dello sbarramento elettorale.
Insomma, intendo dire che i
telespettatori e i cittadini riescono a discernere il
dato
quantitativo da quello qualitativo,
la pressione dal contenuto.
Lo stesso Berlusconi che occupa lo
spazio televisivo in modo quasi totalitario ha perso due
elezioni su cinque. In particolare,
ogni volta che ha governato, e quindi esercitato il suo
asfissiante controllo sulla Rai,
poi è stato bocciato nelle urne. Anche ora che è a
Palazzo Chigi
e la stretta sui media arriva al
punto di ricordare esperienze storiche tragiche che
speravamo di
avere del tutto cancellato, le
amministrative e il referendum hanno dimostrato che gli
italiani
non hanno l’anello al naso.
Questo non vuol dire mettere in
discussione la bontà della legge, pur con tutti i suoi
limiti.
Dobbiamo però avere consapevolezza
anche che il palinsesto mediatico degli italiani è
cambiato (di questo probabilmente
potrà parlare con maggiore rigore scientifico il
professor
Morcellini). Gli italiani formano
la propria opinione non solo attraverso l'informazione
televisiva e gli spazi che sono
oggetto di attenzione cronometrica da parte di
osservatori,
autorità, e commissioni di
vigilanza, ma da un bouquet di fonti molto più ampio.
Anche su
questo non vorrei essere frainteso:
come è giusto vietare gli spot sulle televisioni
nazionali
altrettanto sarebbe fallace l’idea
di poter regolamentare la comunicazione politica su
internet.
Seconda considerazione,
apparentemente provocatoria. Non possiamo nascondere a
noi stessi
alcuni problemi irrisolti della
legge sulla par condicio. A questo dibattito è presente
Roberto
Rao, deputato dell’Udc che nelle
sedi politiche competenti ha posto un tema nient’affatto
banale: il faccia a faccia su Sky
tra Pisapia e Moratti e tra De Magistris e Lettieri
corrispondono ad una logica di par
condicio o, non essendo stati presenti i candidati
“terzi”,
sono state trasmissioni in cui
comunque la condizione era relativamente impari? Questo
è un
nodo che va sciolto. La par
condicio non può essere l’ennesima camicia di forza di
un
bipolarismo inteso come precetto.
Avviandomi verso la conclusione,
chiedo a me stesso e ai qualificati interlocutori di
questo
seminario se per la comunicazione
politica dobbiamo riferirci solo agli spazi tradizionali
di
informazione o se non dobbiamo
considerare invece il fatto che nella formazione
dell’opinione pubblica, incidono
anche, se non di più, altre trasmissioni, altri format.
Influenza di più una dichiarazione
“di troppo” al Tg1 di un esponente della maggioranza
oppure il tronista di Maria De
Filippi che invece plasma un modello culturale che in
qualche
modo si trasforma in voto? E, in
questo caso, come si realizza il monitoraggio? Per
calcolare
l'audience di un trasmissione o di
un intervento di Santoro o di Travaglio, utilizziamo il
dato
auditel o guardiamo anche il
contatore di youtube che ripropone il messaggio? Come
spesso
accade, le domande superano le
risposte. Tuttavia, volendo provare a tirare le somme,
ribadirei l'importanza di
preservare la par condicio evitando di irrigidire troppo
il sistema con
la pretesa di regolamentare tutto
con il rischio, invece, di limitare spazi di libertà. E
in ogni
caso, non dimentichiamo che abbiamo
l’imperativo categorico di intervenire in modo
definitivo e coordinato su
conflitto di interessi, antitrust (nel senso della
proprietà e della
concentrazione dei mezzi di
informazione ma anche dei mezzi di diffusione
elettronica) e
finanziamento pubblico dei partiti
e dei movimenti politici. Quest’ultimo è un aspetto non
trascurabile che rientra a pieno
titolo nel ragionamento sulla condizione di parità e
sull’accesso ai mezzi di
comunicazione. Vi ringrazio.
Mario Morcellini
Tra par e impar condicio. Regole e
protagonisti dell’informazione alla prova delle elezioni
2011
Premessa
La struttura delle domande intorno
all’adeguatezza e aggiornamento della “par condicio” è
tecnicamente elaborata. Per
risposte adeguate, occorrerebbe una riflessione
difficile da
riassumere in un intervento di
pochi minuti. Dal punto di vista degli obiettivi
generali,
concordo con l’intervento di
Roberto Zaccaria, mentre per quanto attiene alla
“cultura della
par condicio” – intesa quale
complesso regolatorio capace di garantire uno standard
di parità
di trattamento ai diversi soggetti
politici, faccio riferimento agli interventi di Cheli e
Chiappetti, con cui pienamente
consento.
Media studies e par condicio
Dal punto di vista degli studiosi
di comunicazione, il modo in cui la par condicio stressa
alcune regole di funzionamento
della produzione delle notizie e del trattamento dei
soggetti da
parte dell’informazione non può
essere sottovalutato. In altri sistemi sociali e
culturali, la par
condicio è un tratto
sostanzialmente scontato del comportamento degli addetti
all’informazione e dei mediamen.
Solo noi siamo costretti ad una situazione in cui le
norme
non mancano, ma anzi “diluviano”
(eppure, come le grida manzoniane, mancano
costantemente di essere osservate).
In un contesto poco maturo e
scarsamente socializzato in termini di garanzie
informative ad
un dibattito politico paritario, si
può serenamente ammettere che la par condicio è il male
minore.
Potere e discrezionalità dei
mediamen
Assunto questo principio generale,
occorre dire che tutti i sistemi regolatori e
soprattutto
autoregolatori finiscono per avere,
nel tempo, una discreta funzione di socializzazione
cultura
degli addetti. Come è efficacemente
successo soprattutto per la Carta di Treviso, il
funzionamento di tali norme finisce
per esercitare una moral suasion degli operatori,
correggendo le situazioni descritte
come “sostegno privilegiato”. Ma occorre precisare che
un
ulteriore elemento di ambiguità
della situazione italiana è l’incredibile potere che
hanno
accumulato nel tempo i conduttori
televisivi di programmi di attualità, che esercitano un
impatto documentabile sulla di
costruzione dei soggetti, sul loro oblio, e sul clima
d’opinione.
È naturale che i current affairs
siano decisivi sul dibattito pubblico e sull’agenda
dello spazio
pubblico, ma per il resto il potere
dei conduttori rappresenta un caso evidente di impar
condicio.
Ruolo e responsabilità di
Università e Centri di ricerca
Un ulteriore elemento di
complicazione del caso italiano è la scarsa indipendenza
culturale dei
centri di ricerca che documentano
le performances dell’informazione. Al di là della
sapienza o
correttezza dei ricercatori, la
struttura delle domande e delle interrogazioni è quasi
sempre
ispirata o cogestita da chi
finanzia e sostiene economicamente la ricerca; in questi
casi, è
quasi impossibile che i risultati
siano convincenti, ma soprattutto che appaiano tali.
Per chiarezza, è bene anche
precisare che, a sua volta, l’Università raramente
riesce a superare
quella sorta di pregiudizio
intellettuale che le impedisce di condividere onori ed
oneri della
ricerca, risultati di visibilità e
di risorse e cogestione degli step operativi, dalla
definizione
degli obiettivi alla scelta delle
metodologie d’indagine fino alle strategie di lettura
dei dati,
con soggetti privati.
Quattro nodi tecnici e di ricerca
posti dagli ultimi appuntamenti elettorali
1. Se cambiano i consumi culturali
di adulti e giovani, e non solo nella direzione della
Rete,
cambia anche la teoria
dell’influenza?
Ogni risultato elettorale impone
qualche novità, anche se, a ben vedere, gli elementi di
continuità, agli occhi di una
comunità scientifica autorevole e non improvvisata,
dovrebbero
essere quelli più forti e densi di
conseguenze.
Sono esattamente quelli che
definiamo trend. Essi, per definizione, o sono di lungo
periodo o
non sono. E in questo secondo caso,
significa che i ricercatori (quorum ego) non hanno
saputo
coglierli. I periodi elettorali, in
quanto momenti intensi della vita democratica (come se
fossero i suoi riti di
iniziazione), anche per questo finiscono per oscurare i
trend, che finiscono
sempre per essere drogati dai
dettagli del nuovismo. Al contrario, una tendenza
profonda di
cambiamento deriva, soprattutto a
chi studia storicamente e sistematicamente i cambiamenti
culturali degli italiani, dalla
correlazione ravvisabile tra i modelli di adesione ai
consumi
mediali e tecnologici, soprattutto
nella direzione della multimedialità e della Rete, ma
senza
trascurare l’incidenza di quei
comportamenti più colti che in passato definivamo
d’élite.
Assumo anche l’ipotesi, che sarà
ripresa in un passaggio successivo, che tale dimensione
di
cambiamento è particolarmente
evidente sui referendum, in generale, e sulle specifiche
interrogazioni di questo
appuntamento, in particolare.
2. Ci sono nuovi elementi, o almeno
indizi consistenti, per aggiornare la riflessione
sull’impatto politico dei media?
Una “legge” comincia a delinearsi
con una certa autorevolezza e forza probatoria:
l’impatto
politico dei media è essenzialmente
culturale. Ciò significa che una riflessione capace di
descrivere non genericamente il
concetto di clima d’opinione, anche raccordandolo a
nuove
parole che emergono nell’arena
pubblica, sarebbe in grado di aggiornare e approfondire
la
descrizione del processo di
influenza dei media sulle persone. Ma anche di aprire
squarci sui
meccanismi di propagazione delle
notizie in un contesto che sembra premiare nuove parole
e
nuovi universi valoriali. Si tratta
di un brusco cambiamento rispetto al ciclo storico che,
a
partire da queste elezioni, si
avvia a lasciare il centro della scena degli italiani.
Inutile però
aggiungere che tutte le frasi
finora assunte trovano una conferma all’incrocio di
quanto
ipotizzato a proposito dei consumi
culturali, oltre che delle argomentazioni che
seguiranno.
3. Ci sono elementi di specificità
e di differenza tra elezioni politiche/amministrative e
referendum che debbono portare a
specifiche tematizzazioni?
Per la prima volta in modo così
chiaro nel nostro paese, emerge una fisiologia di
costruzione
diversa dei temi e dei climi
d’opinione tra appuntamenti elettorali e ballottaggi da
un lato, e
scadenze referendarie dall’altro. È
importante segnalare questa differenza soprattutto
perché
una qualche coerenza di risultati
rischia di sopravvalutare le analogie facendo fatalmente
smarrire la specificità. Senza
trascurare le analogie, occorre assumere un punto di
chiarezza:
le tematiche del referendum, le
parole chiave attorno a cui si sono imperniate, e il
modo con
cui si è giocata la partita della
discussione pubblica indicano con estrema chiarezza che
il
referendum schiera culturalmente il
paese, esibendo per di più una qualche indifferenza
rispetto alla configurazione
politica dei risultati. Basti pensare a quanto i media
generalisti
abbiano negli ultimi giorni
schierato in campo il promemoria che negli ultimi sedici
anni i
referendum erano risultati
inefficaci per il raggiungimento del quorum. Nonostante
l’astuzia
di usare quest’argomento soltanto
nell’ultima settimana, e dunque in coincidenza con il
maggior momento di incertezza
nell’assunzione di decisioni e comportamenti (votare o
no,
andare al mare o esercitare
cittadinanza, etc), è chiaro retrospettivamente che il
generalismo
comunicativo è stato assolutamente
inadeguato a dare copertura simbolica ai pubblici e agli
elettori. Si può dire con grande
tranquillità che il mainstream televisivo non è stato
mainstream. Si può dire anche
qualcosa di più: quando i media non fanno il loro
mestiere,
provocano alterazioni di mercato,
funzionando quasi da turbativa contro sé stessi (valli
poi a
recuperare i pubblici perduti in
appuntamenti percepiti come decisivi e “sensibili”).
Solo nel
nostro paese può succedere che i
media finiscano per essere pericolosamente autoimmuni:
lottano contro sé stessi, e
costruiscono le condizioni di prestigio e di autonomia
culturale dei
mezzi decretati come nuovi. Con
buona pace della dottrina del servizio pubblico: con
quale
faccia potremo utilizzare
bellamente questa formula a partire da domani?
4. Quale è stato, nel complesso, il
ruolo della Rete, al di là della retorica giornalistica
che
certamente l’ha sopravvalutato in
questi giorni? Ma questa domanda ha senso soltanto se
noi
la contestualizziamo in una più
generale: come ha funzionato, anche comparativamente, il
sistema dei media “tradizionali”
(Tv, radio, stampa)?
Chi studia scientificamente la
dinamica media-tecnologie sa che non è una competizione
binaria. I cambiamenti e le
infedeltà transitano attraverso un’esplorazione
culturale
sorprendente e ricca dei consumi
più colti e intriganti (teatro, cinema, musica classica,
lettura,
fruizione culturale outdoor,
spettacolo dal vivo).
Solo così si capisce che il
latifondo televisivo e generalista rischia di sfaldarsi
come l’Impero
Austroungarico. Succede quando un
sistema mediale non ce la fa ad essere il conduttore del
clima culturale di contesto e a
costruire la visibilità e centralità dei soggetti
pubblicamente
rilevanti, ma soprattutto quando è
in affanno, nella capacità di alimentare le parole
chiave,
perdendo chiaramente empatia con
gli aloni comunicativi del momento. Significa che il
generalismo è davvero alle corde. A
questo si aggiunge la strutturale debolezza culturale
dei
politici in Tv, che finisce per
farli apparire in bianco e nero. Pressappoco la stessa
magra
figura che fa la Tv contro la Rete
e i social network. Ma è in questione da tempo, e non ho
mancato di segnalarlo nel dibattito
pubblico, la capacità della Tv di essere oggettivamente
contro la comunicazione politica.
Aumentando più l’opacità dei temi che la trasparenza
degli
schieramenti e dei progetti,
acutizzando lo scontro e i toni gridati, esasperando uno
spettacolo
politico ormai consunto nelle
culture del pubblico e nei loro nuovi sistemi di attesa.
Certo, è
successo tutto bruscamente, ma il
giacimento di frustrazione nei confronti della vecchia e
immobile Tv era abbastanza chiaro
ai ricercatori. Questo significa che dobbiamo procedere
velocemente ad un aggiornamento
della teoria dell’impatto dei media. Non tutti i media
sembrano più adatti a tutti i temi
e a tutte le stagioni. La televisione si è presentata in
abito
grigio, mentre gli addensamenti di
opinione marcavano una forte destrutturazione, e forse
una
spinta, più che all’antipolitica
come in passato, all’anti-istituzione. Certo, questo non
significa
che la Rete o i social network
siano il nuovo mainstream della politica. Gli elementi
che ci
ricordano quanto reversibili siano
i climi, instabili le forme di generalizzazione, e
comunque
rischiosa la perdita di mediazione,
stanno lì a ricordarci che nessuna facile euforia è
garantita.
Solo lo studio. Solo un
approfondimento delle analisi e dei profili, solo il
coraggio di guardare
in faccia alle generazioni e forse
anche un adeguato ricorso all’analisi sociologica delle
aspettative di cambiamento rispetto
a un tempo che una parte consistente del paese desidera,
più o meno chiaramente, licenziare
come passato.
Alessandro Pace
La discutibile insindacabilità
delle delibere della Commissione parlamentare di
indirizzo e
di vigilanza sul servizio pubblico
1. Mi limiterò ad esprimere le mie
perplessità, confermate dalle recenti vicende
referendarie,
sull’attuale possibilità di
sindacare la legittimità delle delibere della
Commissione
parlamentare d’indirizzo e di
vigilanza dei servizi radiotelevisivi (di seguito:
Commissione
parlamentare d’indirizzo), relative
all’accesso, soltanto in sede di conflitto di
attribuzioni tra
poteri dello Stato.
E’ noto che a tale soluzione si è
giunti “quasi” per esclusione, dopo che era stata negata
agli
stessi esponenti del medesimo
movimento politico - il Partito Radicale - la tutela
delle loro
ragioni sia in sede di
giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo
sia in sede di
giurisdizione ordinaria, essendosi
di volta in volta sostenuto: a) che, a fronte delle
delibere
della Commissione parlamentare
d’indirizzo relative alla disciplina dell’accesso, non
sarebbe
configurabile una situazione di
interesse legittimo, trattandosi di un’autorità
soggettivamente
non amministrativa (Tar Lazio, sez.
I, 11 aprile 1979, n. 377); b) che, sempre con
riferimento
all’accesso, entrerebbero in gioco
interessi superindividuali connessi all’obiettività
dell’informazione che precludono
l’esistenza di «istanze individualistiche» (Cass. sez.
un., 25
novembre 1983, n. 7072, in Giur.
cost., 1984, parte I, pp. 175 ss., spec. 196 s. con nota
critica
di M. Manetti); c) che non è
comunque prospettabile una situazione di diritto
soggettivo in
capo all’accedente, non esistendo
costituzionalmente un “diritto al mezzo”, sia esso
privato o
pubblico (Corte cost. sentenze nn.
59 del 1960, 105 del 1972, 225 del 1974, 202 del 1976,
94
del 1977).
Di qui, “quasi” per esclusione, la
competenza della Corte costituzionale a giudicare delle
delibere della Commissione
parlamentare d’indirizzo comunque regolative
dell’accesso, ma
non già sotto il profilo dei vizi
di legittimità (anche costituzionale) che le inficino,
bensì - a
partire da Corte cost., ord. n. 171
del 1997 - sotto il profilo della menomazione delle
attribuzioni costituzionali del
soggetto ricorrente. Il che in tanto si è reso
possibile, in quanto
nel frattempo la Corte
costituzionale aveva riconosciuto, con le famose
sentenze nn. 68 e 69
del 1978, a taluni esponenti dello
stesso Partito Radicale la legittimazione a ricorrere in
Corte
costituzionale, in quanto promotori
referendari.
2. Pur dovendo sottolinearsi,
ancora una volta, che una cosa è il giudizio di
legittimità
dell’atto e altra cosa è il
giudizio su un conflitto tra poteri - nel quale si
discute della
spettanza delle rispettive
attribuzioni costituzionali e, se del caso, si procede
all’annullamento
dell’atto che abbia “menomato” le
attribuzioni del ricorrente -, deve comunque aggiungersi
che analoga legittimazione come
potere dello Stato non è configurabile, in forza
dell’art. 2
comma 5 della l. 22 febbraio 2000
n. 28, in capo agli altri «soggetti politici» menzionati
dall’art. 2 comma 1 della delibera
della Commissione parlamentare d’indirizzo del 21 giugno
2000.
Alludo ai partiti politici -
genericamente identificati come «forze politiche» che
costituiscano
gruppo in un ramo del Parlamento
nazionale o abbiano degli eletti con un proprio simbolo
nel
Parlamento nazionale o europeo - e
i gruppi parlamentari. Infatti, la Corte costituzionale,
con
l’ord. n. 49 del 2006, ha negato
che i partiti politici possano qualificarsi come poteri
dello
Stato (il che va ovviamente
ripetuto per i gruppi parlamentari che ne costituiscono
l’espressione a livello
parlamentare). Per la Corte, infatti, i partiti
costituirebbero soltanto «il
modo in cui il legislatore
ordinario ha ritenuto di raccordare il diritto,
costituzionalmente
riconosciuto ai cittadini, di
associarsi in una pluralità di partiti con la
rappresentanza
politica, necessaria per concorrere
nell'ambito del procedimento elettorale».
E’ bensì vero che i partiti
presenti nella Commissione parlamentare d’indirizzo non
rischiano
certo di vedersi esclusi dalle
trasmissioni (così M. Manetti, cit., p. 191), è però
altrettanto vero
che essi possono comunque essere
pregiudicati, quanto ai tempi e agli spazi di
trasmissione,
qualora non facciano parte della
maggioranza parlamentare, come è appunto avvenuto nella
campagna referendaria del 2011 (v.
i ricorsi per conflitto promossi da esponenti di IDV,
poi
rinunciati, come da ordd. nn. 196,
197 e 198 del 2011).
Ma se così è, mentre deve rilevarsi
l’incostituzionalità sia della identificazione dei
«soggetti
politici» rimessa ad una semplice
delibera della Commissione parlamentare, sia delle
norme,
assolutamente vaghe, previste in
proposito dalla l. n. 28 del 2000, deve comunque
concludersi
nel senso dell’insufficienza del
rimedio del conflitto tra poteri come succedaneo del
sindacato
di legittimità delle delibere della
Commissione parlamentare. La via del conflitto davanti
alla
Corte costituzionale è infatti
difficilmente percorribile in un contesto nel quale - in
considerazione dei ristretti spazi
temporali di decisione giurisdizionale nelle campagne
elettorali e referendarie -
l’utilità del ricorso è soprattutto data dalla
tempestività della tutela
conseguibile.
E ciò per due ragioni: in primo
luogo perché la fase dell’ammissibilità del ricorso ne
ritarda la
trattazione (ad esempio, la
discussione sull’ammissibilità dei citati due ricorsi
per conflitto di
attribuzione presentati dai
promotori dei referendum sul nucleare e sul legittimo
impedimento,
depositati il 10 maggio 2011, venne
fissata dal Presidente f.f. della Corte costituzionale
per la
camera di consiglio del successivo
7 giugno, e cioè appena cinque giorni della data indetta
per
i referendum: un’udienza pertanto
assolutamente inutile per una qualsivoglia decisione
d’un
certo rilievo.
In secondo luogo, il rimedio in
questione è difficilmente utilizzabile essendo
discutibile, se
non l’esistenza dei poteri
cautelari della Corte costituzionale in sede di
conflitto, la
consistenza dei provvedimenti
d’urgenza adottabili dalla Consulta contro la
Commissione
parlamentare. Provvedimenti che, se
del caso, dovrebbero poter imporre, a favore del
ricorrente, misure “compensative”
tanto delle manchevolezze quanto dei ritardi
nell’adozione
delle delibere contenenti la
regolamentazione della comunicazione politica, dei
messaggi
autogestiti e dell’informazione
della concessionaria pubblica relativamente a quella
data
campagna elettorale politica,
amministrativa o referendaria. Facendo riferimento,
ancora una
volta, ai referendum del 2011, il
ritardo nell’adozione della delibera contenente la
regolamentazione della
comunicazione politica e dei messaggi autogestiti è
stato tale per cui
il periodo utile è stato
consapevolmente ridotto, mercé un deliberato
«ostruzionismo della
maggioranza», a poco più di due
settimane (v. i resoconti delle riunioni della Comm.
parl.
d’ind. nei giorni 13, 19 e 20
aprile 2011, nel Boll. Giunte e Comm., XVI leg, nn. 467,
470 e
471).
In altre parole, perché il rimedio
possa essere fruttuoso, sarebbero necessari poteri
analoghi a
quelli, assai duttili, attribuiti
al giudice amministrativo dal nuovo codice del processo
amministrativo in sede di
giurisdizione esclusiva.
3. La conclusione di questo mio
intervento è quindi nel senso che, a questo punto, solo
un
legislatore responsabile potrebbe
porre rimedio ad una così eclatante mancanza di tutela
giurisdizionale in uno dei momenti
più importanti della vita di una comunità politica; e
potrebbe farlo - a mio sommesso
avviso - attribuendo al Tribunale amministrativo
regionale
per il Lazio, con sede in Roma, la
giurisdizione esclusiva - trattandosi di questioni
attinenti a
diritti soggettivi - su tutte le
delibere della Commissione parlamentare d’indirizzo.
Altrimenti,
anche in futuro si assisterà a
decisioni incomprensibili per il comune cittadino come
quelle
che conclusero, dal punto
giudiziario, la vicenda del talk-shows durante la
campagna
elettorale delle elezioni regionali
del 28 e 29 marzo 2010. In tale occasione, il Tar del
Lazio,
sezione III-ter, mentre sospese
l’efficacia della delibera dell’AgCom 24/10/CSP del 19
febbraio 2010, che aveva ritenuto
di estendere alle «trasmissioni di informazione» delle
televisioni private le «regole
proprie della comunicazione politica» quali erano state
disposte
per la RAI dalla Commissione
parlamentare d’indirizzo nel regolamento adottato il 9
febbraio
2010 (ord. 12 marzo 2010 n. 1180),
ritenne invece inammissibili, in altra decisione, le
stesse
censure prospettate da
un’associazione di consumatori contro la stessa delibera
della
Commissione parlamentare
d’indirizzo fatta propria dall’AgCom (ord. 12 marzo 2010
n.
1176).
Si obietterà dai sostenitori
dell’insindacabilità delle delibere in questione: a) che
non vi è
spazio per una tutela di istanze
individualistiche, venendo in gioco interessi
superindividuali
connessi all’obiettività
dell’informazione, argomento già sostenuto dalle Sezioni
unite nella
sentenza citata all’inizio; b) che
attribuire al Tar Lazio il sindacato su un atto
promanante da
un organo parlamentare pregiudica
la sovranità del Parlamento; c) che, comunque, a tutto
concedere, la giurisdizione non
potrebbe non spettare alla Corte costituzionale.
Procedendo in ordine inverso si
potrebbe replicare, quanto al rilievo sub c), che così
argomentando si dimentica che le
competenze della Corte costituzionale hanno fondamento
nella Costituzione e in leggi
costituzionali, dalle quali non è affatto desumibile una
competenza della Consulta a
giudicare della legittimità di delibere parlamentari se
non nel
contesto di un conflitto di
attribuzioni.
In critica al rilievo sub b),
potrebbe rilevarsi: b1) che, a parte ogni discorso sulla
improponibilità del concetto di
sovranità nei tempi in cui viviamo, la sovranità
«parlamentare» costituisce a
fortiori un concetto ormai privo di sostanza in un
ordinamento,
come il nostro, caratterizzato da
una pluralità di poteri dello Stato giuridicamente
equiparati
tra loro in sede di conflitto, tra
i quali, per quel che qui interessa, anche il c.d.
potere
referendario; b2) che perciò non a
caso la Corte di cassazione, nella citata fondamentale
sentenza del 1983, evitò di fondare
sulla «sovranità parlamentare» l’insindacabilità delle
delibere della Commissione
parlamentare; b3) che è radicalmente contestabile che
esistano
attività di organi costituzionali
«libere nel fine», perché ciò è radicalmente escluso
dall’art. 1
comma 2 Cost., secondo il quale -
non mi stanco mai di ricordarlo - la sovranità popolare,
e a
fortiori, quella degli organi da
questa investiti, si «esercita nelle forme e nei limiti
della
Costituzione»; b4) che è vero che,
nel nostro ordinamento costituzionale, vi sono atti
insindacabili, ma ciò consegue non
dal fatto di essere «liberi nel fine», ma di essere
«atti di
governo». Il che è tanto più vero
nel caso di specie, dato il tenore, per un verso,
dell’art. 2
comma 1 della l. n. 28 del 2000 e,
per altro verso, degli artt. 4 e 6 della l. 14 aprile
1975, n.
103, dai quali sono desumibili i
fini che la Commissione parlamentare d’indirizzo deve
perseguire (così M. Manetti, cit.,
p. 198).
Quanto infine al rilievo sub a),
deve evidenziarsi l’attuale improponibilità
dell’argomento
centrale su cui la Corte di
cassazione, nella sent. n. 7072 del 1983, fondò la tesi
dell’insindacabilità delle delibere
relative all’accesso e, a monte, di quelle che lo
disciplinano.
Vale a dire: la valorizzazione del
«momento sociale dell’interesse della comunità a
un’informazione completa» che
pertanto assorbiva - rendendola irrilevante - ogni
istanza
individuale.
Argomento che certamente
presupponeva l’esistenza di un monopolio radiotelevisivo
statale
delle trasmissioni via etere a
livello nazionale - formalmente allora vigente - ed
implicava un
concetto forte di «pluralismo
interno» come formula di sintesi implicante peculiari
obblighi
modali sia per la concessionaria
del servizio pubblico sia per i suoi programmisti e
giornalisti,
come da me ripetutamente sostenuto.
Un concetto, teoricamente tuttora valido anche in un
sistema misto pubblico/privato, che
però non trova più riscontri nella prassi, in quanto il
pluralismo interno sembrerebbe
piuttosto realizzabile con la compresenza di voci
discordanti
anche smodatamente partigiane.
Con il che, l’«istanza
individualistica» nel servizio pubblico, ritenuta non
meritevole di tutela
nel 1983, avrebbe oggigiorno, dalla
sua, valide ragioni sia storiche che giuridiche per il
pieno
riconoscimento legislativo della
sindacabilità delle delibere della Commissione
parlamentare
d’indirizzo.
Francesco Pardi
Par condicio: rimedio necessario e
non sufficiente
La legge sulla par condicio è
rimedio insufficiente ma necessario ai danni provocati
dall’anomalia italiana: la presenza
al vertice del potere politico da parte del massimo
possessore di mezzi di
comunicazione privati. Si pensa spesso solo alla
televisione ma il
soggetto predomina anche nella
stampa, dai rotocalchi più popolari alle case editrici
più
prestigiose.
Alcuni degli interventi hanno già
menzionato il conflitto d’interessi. Ritengo necessario
aggiungere una nota di
precisazione. Perché il suo carattere è duplice.
Il primo è quello già messo in
evidenza, ed è unico al mondo: solo a noi è toccata
questa
disgrazia, inammissibile in
qualsiasi altro paese democratico. Che la legge vi si
opponga non
ha importanza prevalente: anche
dove essa manca, un elementare principio di diritto
consuetudinario o un senso comune
diffuso lo hanno impedito e lo impediscono negli altri
paesi.
Il secondo dipende dalla vastità e
incisività degli interessi privati del soggetto: non c’è
quasi
materia in cui possa legiferare
senza danneggiarli o favorirli.
Il doppio carattere di quel
conflitto d’interessi ha di fronte a sé nel primo caso
l’inadempienza
e nel secondo la carenza
legislativa. Nei confronti del primo, la famosa legge
del ’57, che pur
impediva l’eleggibilità dei
titolari di concessioni d’interesse pubblico, non è
stata applicata.
Verso il secondo carattere manca
un’efficace legge che impedisca ai titolari di cariche
d’interesse pubblico la facoltà di
favorire i propri interessi privati o di esserne
favoriti. La
legge Frattini non può essere
considerata una legge contro il conflitto d’interessi
perché è in
sostanza un espediente per
favorirlo.
Ritengo che non ci si possa
accontentare della eventuale evanescenza politica del
soggetto in
questione. L’Italia ha tollerato
colpevolmente un’anomalia mostruosa e deve fare ammenda
di
fronte a sé stessa e all’Europa.
Perciò resta necessaria una legge che stabilisca
l’incandidabilità assoluta dei
possessori di mezzi di comunicazione: ho presentato un
disegno
di legge in questo senso. E una
vera legge erga omnes sul conflitto d’interessi è dovere
essenziale della prossima
legislatura.
Torno alla par condicio. Che sia
una legge insufficiente è dimostrato: la par condicio
non
esiste. Il presidente del consiglio
travalica abitualmente tutti i limiti soprattutto in
campagna
elettorale. E le rare e prudenti
sanzioni comminate non lo intimoriscono affatto. Al
contrario,
la maggioranza spesso riesce a
imporre un uso distorto della legge per impedire la
manifestazione di opinioni opposte.
Basta far mancare uno dei soggetti del contraddittorio
per
tappare la bocca agli altri. La
parzialità dell’informazione è ormai normalità
fisiologica e il
direttore Minzolini ne è solo
l’esempio più grottesco, ma non l’unico.
In questa distorta situazione, gli
organismi preposti al controllo sono del tutto
insufficienti e le
loro competenze rivelano
un’evidente asimmetria.
La Commissione parlamentare di
indirizzo e vigilanza dei sistemi radiotelevisivi nega
il suo
stesso titolo e si occupa solo
della Rai. Il motivo sarebbe che solo la Rai è tenuta a
garantire
un servizio pubblico. Ma anche le
reti private, grandi e piccole, quando fanno
informazione
svolgono un servizio pubblico. La
Commissione poi risente necessariamente della volontà
della maggioranza: il suo ostinato
ostruzionismo ha impedito ad esempio per più di un mese
la
redazione della delibera sul
regolamento per la campagna referendaria, confinata così
negli
ultimi quindici giorni utili. Ciò
rende ancora più straordinario il successo del Sì.
L’Autorità di garanzia per le
comunicazioni dovrebbe occuparsi delle reti private.
Condizionata dalla sua
composizione, che la sottopone all’influenza del
governo, lo fa con
abituale prudenza, talvolta ai
limiti della distrazione. Ma contribuisce alla stesura
del contratto
di servizio della Rai e commina
sanzioni per infrazioni compiute da autori Rai. Dunque,
mentre la Commissione parlamentare
non può spingersi sul terreno dell’Autorità di garanzia,
questa può fare il contrario.
Il predominio della maggioranza
parlamentare è poi tradizionalmente istituito nel
Consiglio di
amministrazione Rai. E’ ragionevole
pensare che, una volta finito il regime di spoil system
imposto dall’anomalia italiana, si
torni alla lottizzazione classica, ripartizione
ponderata tra
partiti di maggioranza e minoranza.
Per evitare la ripetizione di un
sistema tanto logoro quanto ingiusto, penso che la via
maestra
sia stabilire che i membri di
nomina parlamentare in Consiglio di amministrazione
siano in
rigorosa minoranza. Si discuta sui
criteri di scelta degli altri membri ma si tenga fermo
questo
principio.
E anche l’Autorità di garanzia, per
essere davvero tale, deve essere sottratta alla volontà
parlamentare e governativa. Se è
impossibile eliminare l’asimmetria tra Commissione e
Autorità è essenziale che
quest’ultima sia composta in modo da garantire
l’indipendenza
dall’esecutivo. La Commissione
parlamentare deve restare l’unico soggetto in cui si
rispecchino i rapporti di forza
fissati dalle elezioni.
Considero una via del tutto
sbagliata la proposta di privatizzare la Rai, che pure
non manca di
sostenitori nell’attuale
opposizione. E’ insostenibile la rinuncia al servizio
pubblico. Quanto
alla vendita, non si vedono
all’orizzonte acquirenti. Secondo: è più facile
immaginare una
vendita rete per rete. Terzo:
questa soluzione implica l’alienazione complementare di
parte
delle reti Mediaset. Perché in ogni
caso, privatizzazione o no, si deve garantire la parità
di
condizioni nella concorrenza. Per
essere espliciti: poiché è inimmaginabile che un solo
proprietario privato abbia tre reti
mentre gli altri ne hanno una sola è necessario comunque
che i soggetti concorrenti abbiano
un numero pari di reti in loro possesso, siano queste
una,
due o tre. Assicurato questo
risultato ci si può chiedere quale sia la soluzione
migliore per la
salvaguardia e il rafforzamento
della Rai come servizio pubblico.
La conclusione positiva
dell’avventura referendaria mostra una minore capacità
delle reti
generaliste, oggi in mano
all’anomalia italiana, di influire sull’opinione
pubblica. Ne
potrebbero derivare conclusioni
assai interessate, tutte da rifiutare. La prima: dato
che la Tv
classica non conta più come prima,
inutile preoccuparsi del conflitto d’interessi. Le
seconda:
dato che ormai la Rete è strumento
sempre più efficace per l’organizzazione autonoma di
iniziative della cittadinanza
attiva, è giunto il momento di regolamentare
l’espressione delle
libertà in rete. Scuse capziose non
mancano, come i filmati pedopornografici. Ma non è sotto
il tallone di un monopolio anomalo
che si può discutere la regolazione dell’unico strumento
indipendente offerto alla più vasta
varietà di opinioni. Allora diciamolo chiaro: giù le
mani
dalla Rete.
Michele Prospero
Legge anacronistica ma necessaria
in un contesto politico ambiguo
In un bilancio equilibrato della
sua capacità di garantire una copertura mediatica non
apertamente distorcente alla
contesa delle forze politiche in vista del voto, la
legge sulla par
condicio appare per certi versi
anacronistica, ma continua ad essere necessaria.
Anacronistica
quella normativa è perché, con il
voto di Milano e con la prova referendaria sui beni
comuni,
sembra essersi aperto un ciclo
politico discontinuo che, a dispetto della palese
differenziazione delle possibilità
di accesso ai media riscontrabile tra i soggetti
politici e a
contrasto anche della cappa di
piombo caduta sull’informazione pubblica, si è
realizzata
quella condizione, che auspicava
anche Cuperlo, di una soluzione politica all’anomalia
italiana nel cuore del potere
berlusconiano. Però malgrado la controtendenza
rappresentata dal
voto di Milano la legge sulla par
condicio è necessaria perché sulla delicata questione
del
pluralismo delle fonti di
informazione non bisogna mai giudicare a partire da una
situazione
favorevole di sfaldamento del
sistema politico. E’ evidente che nella consultazione
referendaria, così come nelle
precedenti tornate amministrative che hanno visto un
crollo della
destra in tutto il nord, i media
reclutati in maniera militare in una battaglia campale
non sono
stati decisivi per la conservazione
del consenso. Le invasioni prolungate dei media da parte
del presidente del consiglio e
della sua maggioranza non hanno assicurato la vittoria
elettorale. Ma questa sfasatura tra
occupaione sistematica dei media e responso delle urne
si è
registrata perché il voto si
svolgeva in momenti del tutto eccezionali. Quando
infatti un
sistema politico è in una crisi
organica è evidente che non basta neppure il monopolio
dei
mezzi di comunicazione per arginare
il declino. Nelle fasi di destrutturazione di un sistema
c’è una oggettiva rivincita del
“principio di realtà”, ossia di reviviscenza di quella
condizione
che Max Weber indicava con il suo
famoso esempio “Tutti sanno quando le scarpe fanno loro
male”. Quindi, dinanzi ad un
governo associato ormai al fallimento economico, sociale
e
politico, l’impatto dei media è
stato sicuramente marginale nell’accaparramento di un
consenso maggioritario.
C’e da chiedersi se le condizioni
storiche che richiesero il varo della legge sul par
condicio
siano ancora operanti e se quindi
un intervento coercitivo sui media per costringerli ad
assicurare una copertura
pluralistica della comunicazione continui ad essere
ancora
indispensabile. Si tratta di una
legge che, dopo la terribile giungla mediatica che nel
1994
condusse ad ogni forma di sopruso e
di arroganza proprietaria, è stata concepita per mettere
un parziale freno alla libertà
selvaggia dei mezzi di comunicazione. L’impossibilità di
una
regolamentazione maior sul
conflitto di interessi esploso nel 1994, e anche la
difficoltà ad
approdare ad una efficace
legislazione antitrust, ha costretto i governi
dell’Ulivo a disporre
misure minor con clausole
quantitative e vincoli escogitati per scongiurare la
decadenza degli
indici di pluralismo e mantenere
almeno la parvenza di una parità tra i contendenti. Con
ciò il
sistema politico ha concentrato
delle aspettative crescenti su una legge minor, quella
della par
condicio, che ha finito per avere
addosso un sovraccarico di aspettative in un contesto
politico-istituzionale anomalo in
cui la disposizione di media e denaro era profondamente
asimmetrica.
Il sovraccarico di aspettative
storicamente addensato sulla par condicio ha accentuato
il
profilo iper-descrittivo delle
regole, stimolando una minuziosa classificazione
temporale. Con
una griglia persino rigida, ed
anche assumendo un volto iper-repressivo, le norme
trovano una
capacità coattiva spesso solo
apparente. Nell’impianto sanzionatorio prevale il
momento della
inefficacia, perché l’intervento
coercitivo, essendo per forza di cose solo ex post, non
può mai
ricostruire la condizione di
partenza che è stata alterata da invasioni illecite. La
sanzione per
la sua natura temporalmente
susseguente all’illecito è inefficace come riparazione
di un
abnorme impiego dei media. Essendo
poi di natura prevalentemente economica la sanzione
sprigiona una debole efficacia
quale deterrente. Il politico alla testa di un partito
azienda ha i
soldi e può tranquillamente pagare
le multe. Nel campo della comunicazione politica la pena
comminata in denaro è del tutto
inefficace quale antidoto a comportamenti sleali. Così
come
risulta una pistola scarica anche
la sanzione di chi evoca un intervento dissuasivo - non
si sa
bene in quale forma e da parte di
quali organi - che lambisce il problema della
ineleggibilità.
Da questo punto di vista, la par
condicio si configura come una legge che accentua il
profilo
sanzionatorio per debolezza, perché
è nata in un contesto dove altri sono i problemi di
natura
economica, politica, che alterano
alla base ogni pluralismo tra i partiti quali soggetti
della
sfera pubblica mediatica. La
cultura che ha ispirato la legge sulla par condicio può
anche
essere discutibile nel suo
impianto, ma sua necessità contingente pare accertata.
Alla base
della legge sulla par condicio vi è
il principio, di dubbia attendibilità analitica, secondo
cui
esisterebbe una gerarchia
qualitativa dei mezzi tra i comunicazione. La normativa
nasce
all’insegna della credenza riposta
in una maggiore efficacia della televisione rispetto ai
nuovi
media. Per quanto dubbio sia questo
sistema di graduazione gerarchica dell’impatto dei
media, è evidente che in Italia più
di ogni altro veicolo di informazione ancora conti in
maniera preponderante la
televisione. E’ piuttosto scontato postulare che nelle
fasi politiche
normali, la quantità di presenza
nella televisione esercita una considerevole influenza
nella
determinazione degli orientamenti
di voto.
Malgrado la retorica sul “2.0”, sui
nuovi media che avrebbero ribaltato i modi di formazione
del consenso e quindi spianato la
strada al raggiungimento del quorum nel referendum, è
evidente che la televisione
continua ad essere il veicolo principale di costruzione
di senso e di
distributore dell’informazione
politica. I nuovi media hanno giocato un ruolo inedito
però
anche le vecchie trasmissioni, come
quella di Santoro, ha registrato un record di ascolti.
Quindi, non c’è stata un’operazione
di sorpasso dei nuovi media rispetto ai vecchi mezzi di
comunicazione.
La velleità – molti interventi
hanno già fatto riferimento a questo proposito in un
senso critico
– di introdurre dei parametri
normativi restrittivi sui nuovi media, si scontra con la
felice
condizione “hobbesiana” dei nuovi
media. Rispetto a invocazioni di misure disciplinari è
preferibile una condizione della
rete che sfugge ad ogni pretesa di regolamentazione in
un’ottica restrittiva. La
proliferazione dei nuovi media, l’attivismo di soggetti
informati che
navigano non attenua la crucialità
della questione dei vecchi media come base di potere
economico e politico.
La par condicio, con il desiderio
di risolvere per via giuridica, amministrativa, il tema
della
libertà di informazione, il nodo
del pluralismo, nasconde sicuramente il problema vero,
che
anche Chiappetti ha sollevato
quando ha parlato della cultura del servizio pubblico
che è un
bene assente. Anche Morcellini ha
ricondotto il suo intervento alla grande rilevanza della
figura del conduttore in un’ottica
di servizio pubblico attento a stimolare attenzione
critica e
non conformismo.
Il conduttore, soprattutto nelle
sue espressioni più carismatiche, cerca un nesso
immediato con
il pubblico e manca di operare con
i mezzi espressivi tipici di una cultura del pubblico.
Non vi
è conduttore che eserciti una
spiccata funzione pubblica attenta a esaltare la
capacità di
giudizio, la oggettività di un
nucleo di informazione. C’è, per quanto riguarda la
figura del
conduttore, una sorta di
multiculturalismo. Ognuno si crea una zona di protezione
riservata, e
il sistema prevede così una
integrazione per parzialità che si sommano caoticamente.
Questo
assemblaggio di eterogenei a
spiccata parzialità però è necessario in una condizione
di
emergenza e di anomalia, ma è anche
la spia di una mancanza profonda di spirito pubblico e
di carenza di operatori
dell’informazione televisiva capaci di sintonizzarsi con
lo spirito più
autentico del servizio pubblico.
Sono state indicate nel corso di
questo incontro seminariale anche le opportunità di
riforma di
una legge che ha più di dieci anni
e necessita di una qualche manutenzione. Si tratta di
una
legge che è nata all’insegna di una
sorta di ibridismo culturale, mescolando modello inglese
(divieto di spot), modello
americano, modello tedesco (pari opportunità di
accesso). C’è però
da chiedersi che tipo di riforme
siano auspicabili in una fase politica dinamica ma anche
incerta nelle prospettive. Cheli
auspicava una riforma impregnata al bisogno di
ipersemplificazione,
al fine di rendere più snelli i
passaggi. Betto invitava a mettere insieme il
vecchio cronometro, che Gentiloni
un po’ criticava, con elementi di qualità, con un
riferimento più puntuale anche
all’audience, cioè al numero effettivo di soggetti che
assistono
ad una trasmissione. Non soltanto
il minutaggio, ma riferimenti coerenti ad altri criteri
di
valutazione sono indispensabili per
un miglioramento del quadro legislativo disponibile.
Per concludere, occorre insistere
su un aspetto che Messa ha giustamente ha rimarcato: il
consenso non è un atto immediato
che si realizza nel mese iper-sorvegliato dalla par
condicio.
Il consenso è un processo lungo e
conta nel diffondere credenze e immaginari più il
tronista
che altri sistemi di informazione.
Il consenso più profondo e impermeabile si produce più
nei
reality, nelle trasmissione della
cosiddetta vita in diretta etc., che nella presenza nei
dibattiti
politico-culturali.
Roberto Rao
La par condicio "un'anomalia
indispensabile"
La par condicio, per quanto
obsoleta e anacronistica, resta ancora l’unico baluardo
contro il
grave conflitto di interessi che
c’è in Italia. Un conflitto di interessi grande come una
casa e
che esiste per colpa di tutti noi,
della destra, della sinistra e del centro che abbiamo
tollerato
una situazione intollerabile e oggi
ci troviamo a dover difendere una legge superata, la cui
unica valenza è fermare il
candidato e l’uomo più famoso d’Italia, Silvio
Berlusconi. Allora,
però, bisogna chiedersi che senso
abbia l’applicazione della par condicio – e se non sia
addirittura controproducente – se a
violarla per primo e più clamorosamente è proprio
Berlusconi, anche nell’intervista a
reti sostanzialmente unificate rilasciata tra il primo e
il
secondo turno delle amministrative,
con domande precostituite o comunque con risposte
preconfezionate.
In questo quadro, sottrarsi al
confronto su un tema come questo – come purtroppo fanno
spesso molti esponenti politici –
significa non voler riconoscere che c’è bisogno di un
atteggiamento paritario
nell’informazione e che le norme sulla par condicio sono
probabilmente le più violate
d’Italia.
Da tempo, e nella campagna
elettorale per le amministrative e per i referendum in
modo
particolare, si è diffusa la
convinzione che si possano infrangere le regole
tranquillamente,
palesemente ed impunemente. Grazie
all’iniziativa di Roberto Zaccaria e del suo centro di
ascolto siamo riusciti a frenare
questa deriva presentando ricorsi all’Agcom con un ritmo
quasi quotidiano.
L’azione dell’Autorità – i cui
componenti in un Paese anglosassone diversamente che da
noi
vivrebbero sotto una teca di vetro
– è poi indebolita da un serie di circostanze che ne
riducono
drasticamente l’efficacia. In primo
luogo, di tutti i provvedimenti che essa ha assunto in
materia di par condicio durante
l’ultima campagna elettorale neanche uno è scaturito da
un’iniziativa d’ufficio, ma sono
stati tutti frutto di sollecitazioni di parte. Una
circostanza che
la dice lunga su quello che
dovrebbe essere il massimo organo di garanzia sulle
comunicazioni e che invece si è
dovuto soltanto adeguare a delle sollecitazioni
politiche, che
in realtà non avrebbero dovuto
neanche esistere. La politica in questi casi dovrebbe
limitarsi a
sorvegliare, intervenendo in casi
rarissimi ed eccezionali. Un’Autorità che interviene
d’ufficio, infatti, oltre a non
contare su un ruolo di supplenza della politica che in
molti casi
potrebbe anche venire a mancare, è
un’Autorità che si impone e gode di un maggiore
prestigio
nei confronti dei soggetti
controllati. Criticare un intervento operato su istanza
di una forza
politica, infatti, è ovviamente
molto più facile che ribellarsi a un provvedimento
adottato
d’ufficio.
Le sanzioni, poi, sono quasi sempre
inadeguate. Per quelle pecuniarie le ragioni sono
evidenti:
quando a essere condannata è la
Rai, infatti, a pagare sono gli stessi cittadini, sia
che le risorse
siano sottratte a quelle recuperate
dal canone sia che si tratti comunque di denaro
dell’azienda.
E le cose non vanno meglio per
Mediaset: a Berlusconi, infatti, potrebbe convenire una
sanzione per quanto salata che
costosi spot, anche perché è stato ampiamente dimostrato
che
di fronte ai telegiornali lo
spettatore abbassa le difese immunitarie ed è
maggiormente
influenzabile. Qualche violazione
della par condicio, nonostante le multe, potrebbe quindi
essere ben più efficace ed
economica della migliore campagna pubblicitaria.
Le cose non vanno meglio quando
l’Agcom ordina un riequilibrio. Da un lato, infatti, la
tempestività di azione
dell’Autorità può ben essere definita drammatica. Nel
corso di
un’audizione in Commissione di
Vigilanza Rai, il Presidente Calabrò ha allargato le
braccia,
chiarendo che il tempo minimo di
intervento è di 48 ore. Ancorché questa tempistica fosse
sempre rispettata, molto spesso
sarebbe comunque troppo tardi. Infatti, per fare solo un
esempio, se un’intervista a reti
unificate come quella di Berlusconi cui facevo
riferimento
prima fosse andata in onda l’ultimo
venerdì della campagna elettorale, o anche il giovedì
precedente, non ci sarebbe stata la
possibilità di realizzare nessun riequilibrio. Tuttavia,
a
destare non poche perplessità è lo
stesso rimedio del riequilibrio, che quasi sempre si
traduce
in una doppia, tripla o quadrupla
faziosità, cioè in un pericoloso cumulo di errori. E
quindi in
un ripetuto danno per i
telespettatori, costretti a subire il ripetersi di
eccessi un giorno dopo
l’altro, senza neanche la
possibilità di metterli a confronto con una messa in
onda
consequenziale.
Se quelle della par condicio sono
le norme più violate d’Italia, il canone Rai è la tassa
più
evasa. E questo la dice lunga sul
concetto di occupazione della televisione pubblica e sul
fatto
che si voglia svuotarne il peso
quando non si riesce a controllarne l’orientamento.
L’evasione
ha ormai raggiunto livelli
intollerabili, prossimi al 30 per cento, e impedisce
all’azienda di
investire in programmi innovativi e
di qualità, costringendola oltretutto a inseguire
l’audience
più di quanto non dovrebbe fare. E
il Governo che fa? Invece di riformare una legislazione
che risale al 1938 per facilitare
la lotta all’evasione, aumenta l’importo del canone,
andando a
colpire quelli che ancora lo
pagano. Si tratta, in buona sostanza, di un’applicazione
riveduta e
corretta del concetto dei tagli
lineari. Mentre da tempo giace in Parlamento una mia
proposta
di legge che ha già ricevuto un
sostegno trasversale e che consentirebbe di risolvere il
problema alla base agganciando il
canone alla bolletta energetica. I pochi che non
possiedono
un televisore dovrebbero limitarsi
a una semplice dichiarazione che li libererebbe da ogni
obbligo.
Anche l’azione della Commissione di
Vigilanza è fortemente limitata dall’atteggiamento della
maggioranza che ne condiziona (e
spesso ne impedisce) l’attività, paralizzandola per
lunghi
periodi. Come è avvenuto, ad
esempio, per il regolamento sui referendum che è stato
approvato in ritardo, bloccando per
circa un mese l’inizio della campagna referendaria.
Tutti i
poteri della Commissione sono, in
buona sostanza, nella mani della maggioranza, che tra le
altre cose ha presentato un atto di
indirizzo sul pluralismo, che se venisse approvato
consacrerebbe ed incentiverebbe la
politicizzazione dei giornalisti e dei conduttori della
Rai e
l’accumulo di faziosità.
Al di là della necessaria e
improcrastinabile risoluzione del conflitto di
interessi, basterebbe
che in Rai, così come nelle
televisioni private, ci fossero dei direttori, dei
giornalisti e dei
conduttori seri che rispettano
delle regole serie scritte non per colpire qualcuno, ma
nell’interesse generale. Del resto,
già oggi ci sono professionisti che riescono a fornire
prodotti di qualità che registrano
ottimi dati d’ascolto senza violare norme e regolamenti.
Non si può parlare di par condicio
e di televisione, ormai, senza parlare di internet e di
nuova
tv. Fino a qualche tempo fa,
infatti, tutti noi avevamo un solo strumento per
scegliere, il
telecomando, che ci forniva una
pluralità di offerte. Col passare degli anni, e col
debutto del
digitale terrestre e della
piattaforma satellitare, la stessa offerta televisiva è
aumentata in
modo esponenziale, passando da
poche decine a centinaia di canali, generalisti e non.
Da
qualche tempo, poi, il ruolo di
internet, che ha moltiplicato le possibilità di scelta a
disposizione degli utenti, è molto
cresciuto, tanto che il Presidente Calabrò ha aperto la
sua
relazione annuale parlando dei
social network e del loro ruolo importantissimo,
trainante, se
non determinante nelle più recenti
battaglie politiche. Come, ad esempio, quella per i
referendum.
La presenza dilagante di internet,
e la varietà immensa di scelta che garantisce, pone due
sfide
fondamentali. La televisione, se
vuole sopravvivere all’ondata del web, deve sapersi
innovare
e produrre sempre più contenuti di
qualità. La cattiva televisione era sopportata in
assenza di
scelta: con un’offerta sempre più
variegata è destinata immancabilmente a soccombere,
mentre l’esperienza insegna che la
buona televisione, innovativa e di qualità, continua a
essere
vista. Allo stesso tempo, senza
pensare ovviamente ad alcun tipo di censura, la
normativa
della par condicio non può agire
sulla televisione fingendo di ignorare l’esistenza di
internet e
il ruolo fondamentale che svolge,
ormai, nella formazione della coscienza politica tanto
in
Italia, quanto all’estero (basti
pensare, ad esempio, alle recenti rivolte in nord Africa
e al
tentativo di tutti i Governi di
bloccare la rete).
In questo senso, sono da respingere
e condannare tutti i segnali di intolleranza nei
confronti
del web, come quello del Ministro
Brunetta che si è recentemente lamentato di quello che a
suo dire era un uso distorto della
rete, o quello del parlamentare del Pdl che ha affermato
che
chi usa i social network non ha
nulla da fare. Si tratta di piccoli segnali di
intolleranza spesso
prodromici di una censura operata
con la scusa della regolamentazione.
Concludendo, un auspicio. Le
regole, per essere rispettate, devono essere certe ed
inequivocabili, così come gli
strumenti che servono a valutare eventuali violazioni.
Ebbene,
non tutti sanno che la Rai e
l’Agcom – la controllata e la controllante – si servono
di due
diversi istituti per valutare la
presenza dei politici in televisione: Viale Mazzini si
rivolge
all’Osservatorio di Pavia,
l’Autorità all’Isimm. I parametri utilizzati per alcuni
aspetti
fondamentali non sono coincidenti e
anzi fanno registrare profonde differenze ad esempio
sulla classificazione degli
interventi dei membri del Governo, compreso Berlusconi.
Un
conto, infatti, è considerarli
sempre come figure istituzionali, ben altra cosa è
distinguere le
ragioni che li portano ad essere
oggetto dell’attenzione dei telegiornali. Così, quando
l’Agcom
richiama ad esempio il Tg1, il
direttore Minzolini può tranquillamente affermare in
buona
fede che i dati in suo possesso non
fanno registrare alcuna violazione della par condicio.
Se
non si comincerà ad intervenire
mutando le basi di partenza sarà molto difficile
ottenere il
rispetto delle regole.
Piero Alberto Capotosti
La regola della par condicio è
ancora valida
Concordo con quello che è stato
detto prima di me: la legge sulla par condicio sarà un
po’
vecchiotta, però i suoi principi
ispiratori valgono ancora, in quanto i modelli di
regolazione
degli spazi radiotelevisivi in
materia di comunicazione politica dei principali Paesi
continuano
ad ispirarsi, pur con le
inevitabili differenziazioni, alla regola della parità
di chances.
La normativa della par condicio non
è affatto superata; forse sarebbe opportuno introdurre
alcune innovazioni e modifiche, ma
i principi contenuti sono fondamentalmente validi anche
oggi, seppure in una situazione
notevolmente diversa da quella del 2000. Periodo in cui
non
c'erano, o non erano così
sviluppati i cosiddetti “nuovi mezzi di massa” che
naturalmente
sfuggono ad una disciplina
legislativa tendenzialmente limitativa.
In realtà però, ancora oggi, molte
persone ancora restano affascinate dal mito del
telegiornale,
generalmente il Tg1, ciò vale
ancora in larghi strati della popolazione. Non possiamo
pretendere che tutti abbiano lo
stesso grado di acculturazione e conoscenza dei mezzi di
comunicazione di massa, di seconda,
terza o quarta generazione. Il mito del telegiornale,
che
“è quello che dice la verità”,
resiste ancora per molti, ed è proprio per questo che
valgono
ancora quei principi accolti nella
legge n. 28 e che sono diretti a garantire ai cittadini
una
completa ed obiettiva informazione.
Proprio questa garanzia, del resto, è considerata una
“precondizione”
di un autentico sistema
democratico.
E’ fondamentale quindi, che nel
momento della competizione elettorale, vengano garantite
parità di chances, prerequisito
essenziale per una corretta informazione e conseguente
formazione politica dell'opinione
pubblica. Per fare ciò non possiamo fare a meno di una
legge sulla par condicio
nell'attuale situazione, anche a prescindere dal
conflitto d'interessi
macroscopico che sussiste in
materia di pluralismo informativo, essendocene comunque
altri,
meno microscopici, che pullulano
nel mondo dell’informazione e forse anche nell’ambito
degli stessi membri delle Autorità
di vigilanza.
Ecco perché serve una legge i cui
principi fondamentali siano quelli che hanno ispirato la
legge 28 e che debbono continuare
ad esistere.
Certo, oggi esistono, con
riferimento ai programmi di approfondimento
politico-elettorale,
delle trasmissioni, il cui format è
assai diverso da quel periodo. Allora, in tema di
comunicazione politica, si trattava
essenzialmente di una sola tipologia di programmi,
quella
delle tribune politiche
precisamente regolata, mentre sfuggivano a
regolamentazioni le
trasmissioni di diffusioni di
notizie. Il problema consisteva dunque nella distinzione
tra questi
due tipi di programmi, ai fini
dell’applicabilità delle predette regole. Secondo il
legislatore del
2000, riprendendo la sentenza della
Corte costituzionale n. 155 del 2002, il carattere
distintivo
era costituito dalla presenza di
una struttura descrittivo-narrativa: quando c'è una
struttura
descrittivo-narrativa che prevale
nella trasmissione di notizie vengono meno tutta una
serie di
regole condizioni, poiché non si è
in una tribuna politica. Oggi tutto questo è cambiato,
soprattutto per quanto concerne le
cosiddette trasmissioni di approfondimento politico.
Ma, oltre a questa difficoltà, va
detto che una nuova regolamentazione arriva in ritardo
perché
sia nell'Autorità bicamerale di
vigilanza sia nell'Agcom risentiamo gli effetti di
quello che
Giuliano Amato definì il governo
“spartitorio”. E così, ad esempio, la maggioranza
blocca,
cioè non mette all'ordine del
giorno il regolamento, e la disciplina regolamentare per
il
referendum arriva all'ultimo giorno
utile e nessuno sa nulla del referendum. E non basta
fare
appello agli strumenti alternativi
di informazione, come surrogati di tale stato di cose,
poiché
questi strumenti alternativi
rimangono naturalmente fuori dalla possibilità di essere
regolati e
quindi fuori dalla possibilità che
sia assicurata la regola fondamentale della par
condicio.
Quello che si può regolamentare
deve esserlo fatto secondo lo strumento e la regola
della par
condicio, che va peraltro adeguata
a seconda delle nuove esigenze indotte anche dalle nuove
forme della comunicazione politica
radiotelevisiva, perché l'incidenza del mezzo
radiotelevisivo sulla formazione
della pubblica opinione è ancora notevolissimo.
È inutile sostenere che ciò non è
vero e che ci sono strumenti alternativi in grado di
potere
bilanciare la forza del mezzo
radiotelevisivo: tra questi non c’è certo la stampa, che
ha un
impatto minore, meno pervasivo,
meno incisivo. Un diverso, notevolissimo impatto, anche
se
tendenzialmente limitato a certe
fasce generazionali e sociali, lo hanno invece le nuove
tecnologie di social network, le
quali, però non appaiono facilmente assoggettabili a
regole
limitative.
Occorrerebbe invece estendere
l’applicazione della par condicio, nel senso di
prevedere e di
ampliare il suo ambito, quanto meno
alle nuove forme di trasmissione della comunicazione
politica, le quali oggi non
sappiamo come inserire nella legislazione vigente. In
altri termini, è
necessario estendere i criteri
fondo della legge n. 28/2000 ai nuovi format oggi
esistenti,
anche per ridurre il protagonismo
veramente eccessivo dei conduttori di questi programmi.
Un altro tema da affrontare
riguarda le sanzioni. Queste devono essere inflitte
necessariamente in un momento
successivo alla trasmissione “incriminata”, perché una
sanzione preventiva non è
possibile, dato che sarebbe configurabile come una
inammissibile
forma di censura. Rimane tuttavia
il rischio che la sanzione, avendo un contenuto
pecuniario e
non personale venga, per così dire,
aggirata, nel senso che la sanzione stessa finisca con
l’incidere sull’azienda e venga
pagata dall'azienda o, nel caso della Rai,
sostanzialmente da
tutti noi.
Un’alternativa a questo meccanismo
sanzionatorio potrebbe essere costituito da un tipo d
sanzione che incida direttamente
sul giornalista autore del servizio incriminato. Si
potrebbe
cioè ipotizzare, come avviene nel
mondo della stampa, che la sanzione delle Autorità di
vigilanza vincolali automaticamente
l’Ordine giornalistico ad infliggere al giornalista
medesimo la misura della
sospensione per un determinato periodo di tempo. Questo
ipotizzato
meccanismo sanzionatorio avrebbe
sui giornalisti un effetto di deterrenza assai maggiore
dell’attuale, il quale, in
definitiva, è pressoché inesistente, poiché la sanzione
non li colpisce
direttamente.
Tutto questo, in fondo, incide sul
“governo” del sistema radiotelevisivo pubblico e
privato. A
proposito di questo profilo, c’è da
ricordare una decisione della Corte costituzionale
risalente
al 1974, che, tra i suoi
“comandamenti”, stabiliva che la Rai dovesse essere
assolutamente
indipendente dal Potere Esecutivo.
Quella sentenza naturalmente, nonostante il decorso del
tempo, è rimasta in vigore, ma la
Rai via via è diventata un qualcosa che rientra sempre
più
nell'ambito del circuito di
governo. Occorrerebbe quindi riscoprire l’attualità di
quella
sentenza, per riaprire un discorso
in quella direzione. E tutto ciò potrebbe costituire
un’utile
innovazione al testo della legge n.
28 del 2000.
Sempre nell’ambito del governo del
sistema radiotelevisivo, un altro aspetto da
sottolineare
riguarda la duplicazione delle
Autorità di vigilanza, quella che ha ad oggetto
l’attività della
Rai e quella che si deve occupare
delle emittenti private. Forse sarebbe opportuno
unificarle,
ma comunque per entrambe sussiste
un problema di composizione. E’ evidente che la prima è
una commissione parlamentare che
non può che avere alla base i criteri di composizione e
di
funzionamento propri degli organi
del parlamento. Invece potrebbe benissimo essere
modificata la struttura dell’Agcom,
che risulta formata sulla base di un rapporto paritario
di
quattro elementi eletti dalla
maggioranza parlamentare e quattro dalla minoranza,
oltre al
presidente.
Una volta unificate, queste due
commissioni di vigilanza dovrebbero essere sottratte
all’area
delle dirette scelte
politico-parlamentari, e quindi all’influenza della
maggioranza di governo
e ricondotte nell’ambito della
rappresentanza della società civile, al fine di
assicurare una loro
effettiva indipendenza ed
imparzialità, sfuggendo alle varie forme di pressione
politica. Mi
rendo conto che ritratta di un
problema di difficile soluzione, ma che deve
necessariamente
essere affrontato, possibilmente
nell’ambito delle modifiche da apportare alla legge 28.
In conclusione la legge sulla par
condicio deve essere aggiornata ed integrata in alcuni
suoi
aspetti, ma, a mio avviso restano
tuttora validi i principi ispiratori che debbono essere
sostanzialmente mantenuti.
Giuseppe Sangiorgi
La riforma della par condicio ed il
ruolo ambiguo dei partiti
Ero venuto qui per ascoltare, non
per intervenire. Nel prendere la parola, “trascino”
quindi nel
dibattito questa mia collocazione
iniziale di spettatore. E come spettatore, come
cittadino ho
davanti ai miei occhi una
fotografia deprimente della attuale democrazia
televisiva nel nostro
Paese. Occorre ricordare che quando
si parla di democrazia televisiva, e in particolare di
democrazia televisiva elettorale –
perché di questo tratta sopratutto la legge sulla “par
condicio” 28/2000 oggetto del
nostro incontro - c’è una data importante che in qualche
modo
segna l’inizio di questa storia. Mi
riferisco al 26 settembre del 1960, il giorno del primo
confronto televisivo in diretta tra
i candidati alla presidenza degli Stati Uniti d’America,
John
Kennedy e Richard Nixon.
Da allora questi appuntamenti sono
diventati un rito in tutti i Paesi democratici. In
Italia,
mezzo secolo dopo, ancora no. Nel
2008 c’è stata la nostra ultima campagna elettorale per
il
rinnovo del Parlamento e non si è
riusciti in questa occasione ad avere un confronto
televisivo
diretto tra i due candidati alla
premiership, Walter Veltroni e Silvio Berlusconi. Il
sistema
televisivo italiano non è stato in
grado di mostrarsi arbitro dello scontro elettorale,
piegato
invece ai calcoli di parte dei
contendenti. Non ha avuto la forza di essere un potere
terzo
rispetto a quello politico; di
servire l’interesse dei cittadini-spettatori invece di
quello dei
politici.
La circostanza è amaramente
emblematica anche in rapporto a quanto nello stesso
periodo
avveniva negli Stati Uniti, in
Spagna e in Inghilterra, gli altri tre Paesi coinvolti
in elezioni
politiche generali tra il 2008 e il
2009. In Inghilterra si è votato nella primavera 2009. A
dicembre del 2008 la BBC aveva già
stabilito il calendario e rese note le date dei
confronti
televisivi diretti di novanta
minuti ciascuno che sei mesi dopo avrebbero coinvolto i
leader
dei partiti laburista, conservatore
e liberale. In Spagna si è svolto regolarmente il
confronto tra
Josè Luis Zapatero e Josè Maria
Aznar. Negli Stati Uniti si sono svolti prima i
confronti
televisivi tra gli aspiranti
candidati repubblicani e repubblicani, poi quelli finali
tra Barack
Obama e John Mac Cain.
Tutto questo è motivo di
straordinaria preoccupazione per il futuro politico
davanti a noi. Alle
prossime elezioni la legge sulla
par condicio televisiva, e come essa sarà concretamente
attuata dai regolamenti della
Commissione parlamentare di vigilanza per la Rai e
dall’Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni
per le tv private nazionali, assumerà un’importanza pari
a
quella della stessa legge
elettorale. Fra l’altro i regolamenti attuativi della
legge 28 sono decisi
da due soggetti diversi ma sono
fatti osservare da uno solo dei due soggetti, l’Autorità
delle
comunicazioni, che è come un vigile
che regola il traffico avendo in mano due diversi codici
della strada.
In veste di commissario dell’Agcom,
sono stato relatore di quasi tutte le delibere di par
condicio nel periodo che va dal
2000 al 2005. Ricordo bene come emerse subito, fin dal
primo
regolamento attuativo della legge
28 per le elezioni regionali della primavera 2000, la
vera
caratteristica di questa legge :
tutto si giocava sul potere dissuasivo e sul potere di
riequilibrio
della legge stessa e del
regolamento attuativo.
Nell’applicare la legge 28 non sono
tanto importanti le sanzioni economiche che l’Autorità
può infliggere se un’emittente
televisiva reitera un comportamento scorretto. Quando la
posta
in gioco è il governo di un Paese,
e dunque si tratta di una posta in gioco enorme, può
valere
ben la spesa pagare una multa anche
di qualche centinaia di migliaia di euro. È il potere
dissuasivo quello realmente
efficace: impedire che la scorrettezza venga compiuta. E
se viene
compiuta, procedere con estrema
immediatezza nell’arco di 24-48 ore al riequilibrio
dell’informazione televisiva a
favore dei soggetti che sono stati svantaggiati da una
certa
politica editoriale.
Dal TG uno a Porta a Porta, dal TG4
a tante altre trasmissioni di Michele Santoro e altri
ancora, dopo una serie rigorosa di
riequilibri informativi imposti da Agcom, nei primi anni
di
applicazione della legge 28 si era
formato un “clima” intorno alla par condicio, per cui
bisognava rispettarla. Il partito
radicale in particolare si fece subito paladino di
questa
battaglia di correttezza
democratica. Ricordo le telefonate che facevano
all’Autorità direttori
di tg, di reti televisive e dei
maggiori giornali per chiedere se certe trasmissioni o
la diffusione
di certe notizie e immagini fossero
compatibili con quanto previsto dalla par condicio. E si
adeguavano alle nostre indicazioni.
Negli ultimi tempi, fino alle
elezioni comunali di marzo 2011, abbiamo assistito
spesso
esattamente all’opposto: alla
deliberata scelta da parte di conduttori televisivi di
non applicare
le regole della par condicio
sostituendole con una propria, personale valutazione sui
politici
da invitare e quelli da escludere.
Così è avvenuto anche per l’uso dei sondaggi. Con una
spregiudicatezza sempre maggiore,
la tecnica dei sondaggi viene impiegata non per
registrare
gli orientamenti dei cittadini ma
per indurre i loro comportamenti.
La Corte Costituzionale è
intervenuta ripetutamente sull’articolo 21 e sui diversi
aspetti
dell’informazione televisiva, dando
vita negli anni a un corpo di giurisprudenza consolidata
della quale si dovrebbe fare
tesoro, eliminando in tal modo gran parte dei rischi
legati a un
uso strumentale dei mass media.
Penso per tutte alla sentenza 155 del 7 maggio 2002,
della
quale fu relatore Piero Capotosti,
una sentenza che ha il pregio di rappresentare una sorta
di
compendio delle pluridecennali
decisioni della Corte su questi problemi.
Non vi è dubbio che non si possa
intervenire sul merito delle trasmissioni televisive ma
la
sentenza di Capotosti ha teorizzato
come, senza toccare la libertà di espressione, debba
essere
il rispetto di alcune condizioni
modali a garantire una corretta qualità informativa:
trasmissioni imperniate sul
contraddittorio e comportamento dei conduttori che
salvaguardi e
non alteri lo spirito di equilibrio
dato dal confronto delle posizioni. Basterebbe già
questo a
realizzare un universo di
partecipazione televisiva molto più rispettoso del
pluralismo.
La Rai dovrebbe essere in questo
senso la casa delle regole: il servizio pubblico
dovrebbe fare
sua senza riserve la giurisprudenza
della Corte Costituzionale. La qualità dell’informazione
televisiva consiste nel pluralismo.
Se c’è contraddittorio, se ci sono opinioni a confronto,
se ci
sono più voci e più sensibilità
culturali e sociali a discutere un dato argomento,
quella è
un’informazione qualitativamente
corretta.
Per un paradosso, ma a suo tempo lo
riconobbe anche il presidente di Mediaset Felice
Confalonieri, l’unico modo per
abolire la legge 28 sarebbe quello di applicarla sempre,
tutto
l’anno, e non solo durante le
campagne elettorali. Il principio della par condicio è
assolutamente da salvaguardare;
esso non è limitativo della libertà di informazione,
semmai
ne è rafforzativo.
La legge 28 risale al 2000. Sono
passati undici anni, è cambiato da allora il meccanismo
elettorale, sulla scena della
comunicazione sono apparsi internet e i nuovi media, la
situazione
attuale dunque è molto diversa da
quella del 2000. Però un serio tentativo di attualizzare
la
legge sulla par condicio, anche
rivedendo certi suoi aspetti troppo prescrittivi, finora
non è
stato compiuto.
Nel corso della XVI legislatura
sono state depositate in Parlamento sei proposte di
modifica
della legge 28. Sono state
assegnate alle competenti commissioni ma tutte risultano
“in
giacenza”, senza che sia mai
iniziato l’iter che porta alla loro approvazione. Sono
le
cosiddette proposte
“testimonianza”: la loro funzione di propaganda si
esaurisce nell’essere
state presentate. In ogni
legislatura se ne contano circa mille cinquecento sugli
argomenti più
diversi.
In Parlamento abbiamo assistito
anche a un altro avvenimento sconcertante. Nel novembre
del
2010 è iniziato un dibattito sul
pluralismo della Rai, che si sarebbe dovuto concludere
con la
votazione su una mozione di censura
proposta dall’opposizione riguardo l’informazione
diffusa dal servizio pubblico. Il
dibattito è iniziato in aula, poi è stato rinviato una
prima volta,
una seconda, e infine non se ne è
fatto più nulla.
Su questa questione tutte le forze
politiche devono un chiarimento delle proprie posizioni.
Rispetto all’informazione
televisiva c’è un conflitto di interessi che riguarda
anche loro. La
netta sensazione è che dietro la
facciata delle polemiche, ai partiti la situazione in
qualche
modo stia bene come sta. Ogni
partito ha i suoi collegamenti con alcune trasmissioni
d’informazione e alcuni conduttori,
e il gruppo dirigente compare in quelle trasmissioni con
sistematicità.
E’ quanto basta. Apparire in tv è
un elemento costitutivo dell’odierna antropologia del
potere,
e la credibilità è a sua volta una
variante della visibilità. Una volta si diventava
visibili perché
si era credibili. Oggi si diventa
credibili perché si è visibili. La credibilità risiede
dunque nella
visibilità. L’escalation della
presenza in televisione ha finito col determinare un
legame
perverso tra credibilità e
comunicazione.
I partiti sono profondamente
coinvolti in questa storia ed è ora che su di essi si
apra una
questione generale che muove dal
rapporto tra politica e informazione ma porta molto più
lontano: porta al centro della
nostra democrazia e all’articolo 49 della Costituzione.
La
politica e i partiti sono il cuore
del sistema democratico. Ma se questo cuore è malato
esso
provoca una sofferenza del sistema
democratico. Nel Paese si è creata da troppo tempo una
Città proibita le cui mura vanno
abbattute per rigenerare lo sfondo sul quale prendono
vita i
comportamenti dei soggetti
istituzionali e civili.
La domanda è se gli attuali
partiti, per come sono organizzati al loro interno, per
il modo in
cui selezionano la classe
dirigente, per come elaborano le proposte, per la legge
elettorale che
sponsorizzano, per la quantità di
finanziamenti pubblici e di privilegi scandalosi dei
quali
godono, siano un pezzo della
democrazia italiana o, al contrario, siano oggi un lato
oscuro
della democrazia italiana.
Io credo che il punto nevralgico
della nostra crisi sia questo, ed è da qui che è
necessario
partire per dare vita nel Paese a
una nuova e più trasparente stagione democratica della
politica, non solo
dell’informazione.
Giovanni Valentini
La par condicio e il sostegno
privilegiato: due “pannicelli caldi”
Quando si parla di “par condicio”,
spesso si tende a trascurare o a rimuovere un punto
fondamentale da cui invece occorre
necessariamente partire. E cioè, la doppia anomalia
italiana in campo televisivo: da
una parte, una concentrazione pubblica e privata che fa
capo a
Rai e a Mediaset, un duopolio che
detiene ancora oltre il 73% di share medio giornaliero e
rastrella quasi il 60% delle
risorse complessive del comparto; dall’altra, il più
macroscopico
conflitto d’interessi al mondo che
consegna di fatto al presidente del Consiglio, Silvio
Berlusconi, in quanto capo del
governo e proprietario di tre reti generaliste su sei,
il controllo
diretto o indiretto di una gran
parte del settore.
Fino a quando non si risolverà alla
radice questo vizio di sistema, la “par condicio” è
destinata
perciò a rimanere un “pannicello
caldo”, un rimedio sintomatico, con l’efficacia di
un’aspirina
contro una metastasi. Ciò non
significa, naturalmente, che nel frattempo non possa
essere utile
per contenere e alleviare le
distorsioni prodotte da una tale anomalia, soprattutto
in termini di
pluralismo dell’informazione e di
pluralismo politico: questa rappresenta, anzi, la
condizione
necessaria (ma non sufficiente) per
assicurare un minimo di regolarità alla competizione
elettorale.
Se alle forze politiche e ai loro
rispettivi leader o esponenti non è consentito
confrontarsi alla
pari nella “piazza televisiva”,
dove tuttora si forma il consenso e quindi
l’orientamento di voto
per la grande maggioranza degli
italiani, lo stesso responso delle urne rischia di
risultare
falsato. L’esito delle elezioni,
allora, è condizionato dall’inquinamento della tv, dalla
sua
formidabile capacità di imbonimento
e persuasione occulta, magari all’insaputa degli stessi
cittadini che subiscono questa
influenza come spettatori più meno passivi. Si tratta,
insomma,
di una regola basilare per
garantire la vita democratica: tanto più che la
televisione generalista
funziona in regime di concessione,
sfruttando un bene pubblico come l’etere e in
particolare
una risorsa limitata come le
frequenze tv.
Sebbene il meccanismo della “par
condicio” possa apparire talvolta macchinoso,
ragionieristico o burocratico, in
una situazione di duopolio televisivo e di fronte al
conflitto
d’interessi incarnato da Berlusconi
s’impone comunque la necessità di disciplinare
rigorosamente i tempi e i modi
delle presenze politiche in tv, nella maniera più
equilibrata
possibile. È un antidoto, un
contrappeso, a cui non si può e non si deve rinunciare,
almeno
fino a quando resisterà la doppia
anomalia della televisione in Italia. E in ogni caso,
anche al
di là di questo orizzonte,
corrisponde a un principio-cardine del pluralismo che va
sempre
rispettato e tutelato.
Quanto all’applicazione concreta
della “par condicio”, è senz’altro opportuno distinguere
tra i
telegiornali e le trasmissioni di
approfondimento. Nei primi, naturalmente, le
informazioni
devono essere presentate con
imparzialità e obiettività, attribuendo un’equivalente
visibilità
alla maggioranza e all’opposizione,
in modo da comprendere nei tempi della maggioranza
anche quelli assegnati ai
rappresentanti del governo, e ancor più quando questi
sono candidati
alle elezioni, a parte gli
interventi svolti nel legittimo esercizio delle loro
funzioni
istituzionali. Nei talk-show,
invece, occorre riconoscere al conduttore una maggiore
elasticità
e libertà professionale, in
rapporto al tema e agli ospiti prescelti: a condizione
di garantire
comunque un equilibrio complessivo
della singola trasmissione e un equilibrio più generale
nella programmazione di questo
genere televisivo nel palinsesto di ciascuna rete.
Una regolamentazione ancor più
rigorosa della “par condicio” dev’essere adottata poi
nei
periodi pre-elettorali,
distinguendo i programmi propriamente politici da quelli
d’informazione, di approfondimento
e intrattenimento. Questo non può avvenire a scapito dei
talk-show, o addirittura attraverso
la loro sospensione - per così dire - “cautelativa”,
come ha
preteso in passato la direzione
generale della Rai nei confronti delle trasmissioni
considerate
“scomode” per il governo. È
evidente, tuttavia, che - soprattutto in campagna
elettorale –
bisogna evitare la sovraesposizione
mediatica degli esponenti di una parte politica a danno
degli altri, evitando di ospitarli
anche in programmi sportivi o di varietà.
Si tratta, piuttosto, di prevedere
spazi “ad hoc” sul modello delle “Tribune elettorali” a
più
voci, dei “duelli televisivi” o dei
“Faccia a faccia” fra i candidati, in modo da assicurare
la più
ampia rappresentanza dell’intero
schieramento politico che si sottopone al giudizio degli
elettori, con riguardo anche a
quelle componenti che non sono presenti in Parlamento. E
al di
fuori di questi programmi,
assicurare comunque il pluralismo complessivo in un arco
temporale ragionevole, rispettando
il criterio del contraddittorio contestuale fra le
parti.
Gli organi di sorveglianza, a
cominciare dalla Commissione parlamentare di Vigilanza e
dall’Autorità per le Comunicazioni,
devono essere in grado perciò di controllare ed
eventualmente intervenire in modo
tempestivo, per ripristinare la “par condicio” o
comminare
sanzioni adeguate. La prima, in
virtù della propria estrazione politica, è chiamata a
sorvegliare
in particolare sul servizio
pubblico radiotelevisivo, a cui competono maggiori
responsabilità
sul piano dell’equilibrio e
dell’imparzialità. La seconda, in forza della legge
istitutiva, ha il
compito di vigilare sull’intero
settore in modo da reprimere abusi o violazioni. In
questa
ottica, si potrebbe ipotizzare un
meccanismo di “sanzioni incrociate”, sul modello del
concorso di colpa, a carico cioè
sia dell’emittente che commette l’infrazione sia del
soggetto
politico che ne può trarre un
beneficio elettorale.
Ma, a differenza della Commissione
di Vigilanza, l’Authority è un organismo di garanzia che
– per quanto espresso dal
Parlamento – dovrebbe essere assolutamente libero nella
sua
funzione istituzionale. Sappiamo,
invece, che in realtà non sempre è così. Molto spesso,
nei
comportamenti dei singoli
commissari, il senso di appartenenza e la logica
maggioranzaopposizione
finiscono per prevalere sulla
neutralità di giudizio. Sarebbe bene, perciò, che il
meccanismo di nomina corrispondesse
a requisiti più oggettivi di competenza, indipendenza e
autonomia. O quantomeno, che le
forze politiche assumessero l’impegno pubblico e formale
di scegliere i membri dell’Agcom –
come quelli di altri analoghi collegi - al di fuori
della
propria cerchia, escludendo
parlamentari o ex parlamentari, amministratori o ex
amministratori locali, dirigenti o
ex dirigenti di partito.
Alla stessa Autorità per le
Garanzie nelle comunicazioni, com’è noto, spetta infine
l’obbligo
di accertare e punire – a norma
della legge Frattini sul conflitto d’interessi (n.215 –
articolo 7,
comma 1) i casi di “sostegno
privilegiato”. Vale a dire qualsiasi forma di vantaggio,
diretto o
indiretto, messo in atto da imprese
televisive che fanno capo a esponenti di governo, al
coniuge o a parenti entro il
secondo grado, a favore dei medesimi. Ed è,
evidentemente, un
altro aspetto distorsivo di
quell’anomalia italiana di cui si parlava all’inizio.
L’Autorità può intervenire
d’ufficio o su denuncia, come pure ha fatto durante la
campagna
per le elezioni amministrative
della primavera 2011, comminando sanzioni pecuniarie a
carico
delle reti Mediaset che avevano
trasmesso i cosiddetti “videomessaggi” del presidente
del
Consiglio, leader del Partito della
Libertà e capolista al Comune di Milano. Ma è chiaro che
in
una situazione del genere le multe
non bastano: sia perché la loro entità è inferiore -
anche in
termini puramente economici - al
beneficio prodotto dall’infrazione; sia perché arrivano
purtroppo quando il danno, ai terzi
e agli elettori, è stato già arrecato. Di fronte a
comportamenti recidivi, occorre
adottare perciò misure più drastiche: quali la
sospensione
temporanea della concessione
televisiva o addirittura la revoca.
Qui torniamo, però, al punto
fondamentale da cui siamo partiti. Non esiste Paese al
mondo,
almeno in quello civile e
democratico, in cui il capo di un governo (e della
maggioranza
parlamentare che lo sostiene)
controlli direttamente tre reti televisive. E per la
verità, neppure
una sola.
Il fatto è che lo “status” di
concessionario pubblico, si tratti di televisioni, di
ferrovie o di ogni
altro bene pubblico, è
incompatibile con qualsiasi funzione di governo o carica
elettiva. Da
qui discende l’ineleggibilità di
questo soggetto, in quanto controparte di se stesso, a
prescindere dall’uso che può fare
in concreto del titolo a termine rilasciato a lui o alla
sua
azienda dallo Stato.
Se non si scioglie o si taglia
preliminarmente un nodo di tali proporzioni, la “par
condicio” e
il “sostegno privilegiato”
resteranno strumenti senz’altro utili per limitare i
danni, ma
purtroppo insufficienti per
risolvere la questione. Due “pannicelli caldi”, appunto.
Vincenzo Vita
Elogio alla "par condicio"
La legge sulla "par condicio" - l.
22 febbraio 2000, n. 28 - è ancora utile, valida,
necessaria.
L’eterno dibattito sul superamento
di quelle norme è viziato dallo stesso conflitto di
interessi
e dalle medesime concentrazioni
mediatiche contro cui nacque il dispositivo. Ai primi di
agosto del 1999. Quando il governo
- Presidente del consiglio D’Alema - sollecitò un
qualche
cosa del genere.
Insieme al fine giurista Nicola
D’Angelo (ora brillantissimo commissario dell’Autorità
per le
garanzie nelle comunicazioni),
scrivemmo in due giorni la bozza di un testo che a breve
sarebbe diventata la proposta
dell'esecutivo. A settembre iniziò un faticosissimo iter
parlamentare, con un ostruzionismo
duro e persino sguaiato delle destre che tenne la scena
per
un semestre. Conclusione positiva,
con un articolato di quattordici articoli assai più
semplice e
lineare di quanto abbia voluto dire
una malevola cattiva letteratura. Spesso è venuto il
dubbio
che diversi tra i critici non
avessero mai letto seriamente la l.28. O che si fossero,
al più,
fermati agli svariati regolamenti
attuativi della Commissione parlamentare di vigilanza
sui
servizi radiotelevisivi o
dell’Agcom. Lì si rintracciano tentazioni burocratiche o
persino
dirigistiche, che nel testo non si
colgono. Ma facciamo un flashback.
La "par condicio" – definizione
coniata dall’ex Presidente Scalfaro - fu un progetto
difensivo
con evidenti limiti "strutturali".
Non aveva l’ambizione di una riforma del sistema,
essendo
piuttosto un farmaco teso a lenire
gli effetti della malattia in corso. E la malattia era
grave da
un pezzo. Dopo un dibattito
mostruosamente lungo e complicato, era stata approvata
nel 1997
la legge n.249, che liberalizzava
sì le telecomunicazioni, istituiva utilmente
l’Authority, ma
introduceva una griglia antitrust
debole e persino grottesca (la rete "eccedente" sarebbe
stata
diffusa via satellite solo dopo il
raggiungimento di un "congruo" numero di parabole…). La
riforma della Rai e la
delimitazione della pubblicità erano ben contenuti in un
disegno di
legge – n. 1138 - fermo presso
l’ottava commissione del Senato a causa della battaglia
contraria delle destre e delle
divisioni colpevoli del centrosinistra, incerto sul
futuro pubblico
o privato della Rai. Per non dire
del conflitto di interessi, approvato alla Camera e
rapidamente entrato in un cono
d’ombra a causa della sempiterna incapacità dei gruppi
dirigenti di comprendere il peso e
gli effetti dei media. Vecchia orribile deficienza che
accompagnerà molti dei protagonisti
fino alle porte dell’inferno. Eppoi, eppoi: non ci
furono
né movimenti, né "girotondi", né
campagne di opinione. Anzi. Il tema dell’informazione
era
complessivamente snobbato e persino
la "sinistra-sinistra", pur di difendere la Rai, non si
mobilitò granché per frenare il
potere mediatico berlusconiano. E il clima politico
generale
privilegiava altro. Bicamerali a
parte. Del resto, il referendum sulle tv del 1995 non
era stato
preso sul serio da leadership un
po’ compromissorie, un po’ inconsapevoli. Come sarebbe
cambiata la vicenda italiana se si
fosse colto l’attimo… Tant’è. Le "Disposizioni per la
parità
di accesso ai mezzi di informazione
durante le campagne elettorali e referendarie e per la
comunicazione politica" nacquero
proprio in quella temperie. Ovviamente, sarebbe stato
meglio indossare l’abito di marca
di una rigorosa legislazione moderna, capace di frenare
le
concentrazioni e di aprirsi
all’incipiente universo della rete. Il surrogato è
un’altra cosa, ma
meglio del nulla. Ecco, così pare
corretto interpretare la genesi della l. 28, per evitare
letture e
riletture strumentali. Non solo. Il
quadro europeo, con l’eccezione all’epoca della
Finlandia e
del Lussemburgo, era univoco nella
regolamentazione della propaganda elettorale. Non c’era
alcun eccesso nell’iniziativa del
governo italiano. Se mai la struttura normativa era
"media",
certo meno rigida di quella della
Gran Bretagna, dove un antico decreto reale del 1927 e
il
"Television act" del 1954
introducevano criteri di equa ripartizione tra i vari
partiti, resi ancor
più particolareggiati dalla "Carta"
della Bbc. Ricorda Ernesto Bettinelli, nel suo prezioso
volume "Par condicio" (1995), che
l’allora premier John Major fu "oscurato" dal giudice
per
aver superato i limiti di tempo in
occasione di un turno elettorale amministrativo in
Scozia.
Mutatis mutandis, non dissimile lo
scenario degli Stati Uniti sotto la sorveglianza severa
della
Federal Communications Commission
(Fcc).
I nodi essenziali, tuttora
validissimi, erano - e sono - il divieto assoluto di
trasmettere spot di
propaganda politica a pagamento, la
suddivisione tra comunicazione politica e informazione,
il diniego di trasmettere, nei
quindici giorni che precedono il voto, i sondaggi
elettorali,
l’introduzione dei messaggi
politici autogestiti a costi calmierati e con parità di
condizioni tra
i competitori. Naturalmente, il
tempo è "un grande scultore" e la velocità dell’era
digitale ha
fatto ingiallire diversi spunti. In
particolare, la differenza tra comunicazione politica e
informazione è più difficile da
decifrare oggi, di fronte all’irruzione dei e tra i
generi, o
all’emergere di format
multimediali. Così, la parte delle news rischia di
essere incatenata in
una logica di conteggio dei secondi
attribuiti a questo o a quello, mentre lo spirito della
legge
era piuttosto il contrario. E’
avvenuto che la "maturità" della televisione generalista
ha messo
in cantina le tradizionali tribune
elettorali, spostando il baricentro verso i contenitori
di
informazione: i cosiddetti talk
show. Surreale fu nel 2009, in vista delle elezioni
regionali, la
decisione della commissione di
vigilanza che, con un voto di maggioranza, pretese di
estendere ai contenitori come
"Annozero" o "Ballaro’’ le regole della comunicazione
politica.
Come surreale e grave è l’atto di
indirizzo sul pluralismo a firma Butti in discussione,
ora,
nella commissione medesima. Per non
dire dei regolamenti che si sono succeduti, figli più
del
timore degli apparati di assumersi
delle responsabilità che di una serena applicazione
della
normativa. Il punto maggiormente
"chiacchierato" - quello della parità assoluta di tempo
concesso alle forze in competizione
- è stato a sua volta (volutamente) equivocato, mentre
riguarda solo il periodo caldo
della fase che intercorre tra la presentazione delle
liste e il voto,
e solo la comunicazione politica.
Berlusconi ha costantemente attaccato la legge,
maramaldeggiando su tale argomento,
naturalmente manipolandone i contenuti effettivi.
Purtroppo, non è stato l'unico. Un
certo alone autoritario impresso alla "par condicio" è
dovuto a qualche interpretazione
causidica delle autorità competenti, l’Autorità
nazionale e i
Comitati regionali per le
comunicazioni. Tra l’altro, nel 2003 la legge fu
novellata, allargando
le griglie per l’emittenza locale.
Discutibilmente, perché il cittadino -utente è sempre lo
stesso. Il vero aspetto debole del
testo riguarda i meccanismi sanzionatori. Nel dibattito
parlamentare che portò alla l. 28
si rintracciano qua e là spunti in materia. Non si
decise di
arrivare sic et simpliciter alla
sospensione della concessione (così si chiamava ancora),
per
evitare il rischio di scadere in
atteggiamenti censori. Tuttavia, la multa non basta. Può
essere
considerata come una prevedibile
spesa del budget di una campagna elettorale, fatta ormai
soprattutto nei media. Inoltre, la
relativa lentezza del procedimento rende l’altra
sanzione - il
"riequilibrio" - spesso
intempestiva. Comunque tardiva. Che fare? E’ argomento
da
approfondire seriamente, al di
fuori di banalità polemiche. Nel 2001, alla vigilia del
voto
politico, sulle reti Mediaset
(allora Fininvest) vi fu una illegittima dichiarazione
di voto dei
volti noti, a cominciare dal
compianto Mike Bongiorno. La multa di un miliardo e
duecento
milioni di vecchie lire non fu mai
pagata, grazie ai ricorsi al Tar. Ad esempio, una misura
utile potrebbe essere la scritta
permanente in video della sanzione, insieme al
"riequilibrio",
ma immediato. In che sede si avrà
l’opportunità di dibattere di tutto questo? In quale
parlamento? In presenza del governo
naturaliter ostile a qualsivoglia regola, con l’esibito
conflitto di interessi? Non ora,
dunque, ma il voto è ormai vicino e nel programma del
centrosinistra non deve mancare il
tema della comunicazione politica. Senza toccare la
rete,
che non c’entra con simile
disciplina. A scanso di equivoci, vista la voglia
censoria che
alberga nelle culture della destra.
La legge del 2000 va storicizzata.
In fondo altro non fu che un aggiornamento di una legge
precedente, la n. 515 del 1993 e
dei decreti dell’allora ministro Gambino (governo Dini)
a
cavallo tra il 1994 e il 1995. Non
ci furono all’epoca grida di dolore. Se vi furono invece
attorno alla l. 28 è perché, nel
frattempo, la televisione era diventata direttamente la
politica,
sotto l’egida del fenomeno
berlusconiano, che andava ben al di là del "Berlusconi
politico".
Insomma, nel bene e nel male quella
piccola legge toccava un nervo scoperto delle
postdemocrazie
dell’età informazionale: provava a
regolare ciò che gli "spiriti animali" del tempo
non permettono che venga illuminato
dall’eguaglianza dei soggetti di fronte alla legge a
allo
Stato di diritto. Quindi, come ha
stabilito anche la Corte Costituzionale, siamo in
presenza di
una necessità. Regolare la
comunicazione della politica, significa regolare gli
eccessi sia
dell’uno sia dell’altro campo.
Oggi, poi, come prima, più di prima, visto che la
comunicazione
è la politica e la politica è la
comunicazione. Chi salva la società civile
dall’occupazione
brutale dell’immaginario? Come si
forma l’opinione pubblica? Non è un banco di prova anche
per i "creativi", cui si chiede di
reinventare le tribune politiche utilizzando le
potenzialità dei
canali digitali, in grado di
reggere alla bidirezionalità tra emittente e ricevente?
Infine, un
limite della legge fu non aver
catalogato tra i soggetti il mondo associativo politico
e non
partitico. E’ il momento di aprire
il cervello giuridico ad un nuovo senso comune. La legge
n.
28 si supera andando avanti, non
bloccandone gli aspetti innovativi. Chimere? No. E’ il
realismo di una storia in
Movimento, che ha dato - ad esempio - risultati
imprevisti nelle
recenti consultazioni referendarie.
C’è voglia di politica, di altra politica. E come si
rappresenta e si racconta il
cambiamento? Riformatori di tutto il mondo, unitevi.
Accademici
di buona volontà date una mano alla
parte sensibile del ceto politico. Società civile,
continua a
battere i tuoi colpi che, come si
vede, pesano e come.
Roberto Zaccaria
Par condicio e AGCOM: un richiamo
ad una maggiore fruibilità dei dati dei monitoraggi e
ad un controllo vero sul sostegno
privilegiato
Trovo che sia particolarmente utile
ed interessante discutere della legge sulla par condicio
all'indomani delle tornate
elettorali e referendaria. Quello della parità di
accesso al mezzo
radiotelevisivo in campagna
elettorale è, in effetti, un tema che si apprezza nella
sua interezza
solo se ne tratta “a caldo”, perché
unicamente in questo modo se ne capisce l'effettiva
importanza e portata e si dà
“colore ai sentimenti” attraverso una valutazione
consapevole
della qualità e quantità
dell'informazione diffusa dai mezzi di comunicazione di
massa.
Per questo voglio dedicare questo
incontro a Jader Jacobelli, che potremmo definire un
antesignano della par condicio il
quale, all'indomani delle consultazioni elettorali
organizzava
dei seminari in quel di Saint
Vincent per una sorta di analisi ex post sulle campagne
elettorali:
a questi seminari seguiva poi una
pubblicazione. In questa occasione vogliamo seguire
questo
suo lungimirante metodo.
Ed è proprio perché ritengo che la
tempestività sia importante quando si discute di parità
di
accesso al mezzo televisivo e che
sia essenziale quando si deve intervenire per
correggerne le
violazioni, che valuto
positivamente il fatto che in queste ultime campagne
elettorali
l'AGCOM abbia lavorato più
intensamente del solito e sia intervenuta per
correggere,
ammonire, indirizzare gli operatori
dell'informazione per un uso inappropriato della
comunicazione elettorale.
Anche se l'AGCOM ha agito più
velocemente che nel passato, tuttavia ancora alcune
perplessità rimangono su due
questioni relative alle sue competenze ed attività: in
primo
luogo quella legata alla
disponibilità dei dati dei monitoraggi dei tempi
attribuiti ai politici sia
in campagna elettorale che nei
periodi non elettorali; in secondo luogo il tema dell'
applicazione dell’art. 7 della
legge n. 215 del 2004 la c.d. Legge Frattini sul
conflitto di
interessi, relativamente al
“sostegno privilegiato”.
Sul primo fronte, quello della
disponibilità dei dati, occorre chiedersi se, così come
impostato
dall'AGCOM, il monitoraggio del
pluralismo politico nei telegiornali sia soddisfacente.
I dati
che vengono pubblicati sul sito
dell'Autorità sono quelli delle rilevazioni dell'ISIMM
(per la
Commissione parlamentare per
l'indirizzo e la vigilanza sui servizi radiotelevisivi,
i dati
invece sono quelli
dell'Osservatorio di Pavia), ma peccano, appunto, di
poca tempestività.
Non è utile avere dati troppo
risalenti, perché, alla distanza, non è possibile
apprezzare la
“qualità” di semplici dati numerici
e capire se una certa notizia avesse o meno
effettivamente
bisogno di un certo spazio. Inoltre
tali dati non sono rielaborabili: sono infatti
presentati in
formato .pdf: può sembrare una
banalità ed un dettaglio, ma è evidente che un formato
del
genere non permette al cittadino,
attrezzato con i più comuni programmi per computer, di
poter estrarre e riaggregare i
dati, se non a costo di faticose riscritture. Posto che
questi dati
sono pagati con soldi pubblici e
che quindi devono essere fruibili e riutilizzabili
liberamente
da tutti, posto che la
distribuzione in altri formati è estremamente agevole
per chi produce i
dati stessi, l'AGCOM si deve
adoprare, nella migliore attuazione delle sue
competenze,
affinché i risultati dei
monitoraggi possano essere pubblicati in formati
rielaborabili ed
effettivamente trasparenti.
A mio avviso, infine, l'AGCOM
dovrebbe valutare l'opportunità di monitorare non tempo
di
parola e di notizia dei partiti e
dei soggetti istituzionali, quanto i tempi tributati ai
leader dei
partiti. Molto spesso accade, ed è
spessissimo accaduto anche in queste ultime elezioni,
che i
tempi dei telegiornali siano
distribuiti tra soggetti non equivalenti dal punto di
vista
politico/comunicativo: questo
capita spesso nel TG4 di Fede, che tende a compensare,
ad
esempio, un' intervista fiume a
Berlusconi con una della stessa lunghezza ad un politico
non
particolarmente conosciuto
dell'Opposizione.
I miei collaboratori ed io ci siamo
imbattuti in questo ed in altri “trucchi”
dell'informazione
(alcuni dei quali, come le
interviste-fotocopia mandate in onda come una sorta di
messaggio a
reti unificate sono stati
sanzionati dall'AGCOM) monitorando per tutta la campagna
elettorale
e referendaria i telegiornali delle
reti televisive nazionali negli orari di maggior ascolto
(giorno e prime time). Con i miei
collaboratori, infatti, e con un gruppo di volontari
studiosi
della comunicazione abbiamo
costituito un piccolo “osservatorio sul pluralismo”, sia
per
verificare l'utilità di un
controllo “in tempo reale” dell'informazione dei
telegiornali, sia per
sperimentare un monitoraggio basato
su “tempo di parola” e “tempo di notizia” attribuito ai
leader di partito e non ai partiti.
I risultati dei monitoraggi sono
stati poi oggetto di ricorsi-esposti che abbiamo inviato
all'AGCOM, che hanno in qualche
modo “costretto” la stessa Autorità ad un lavoro più
serrato, tempestivo ed efficace,
conclusosi con le sanzioni per alcuni TG ricordate negli
interventi di questo seminario.
Il tema delle sanzioni ai
telegiornali conduce, poi, a considerare il secondo
versante della mia
riflessione, quello
dell'applicazione della normativa sul conflitto di
interessi. La l. n. 215 del
2004 attribuisce competenza
all'Autorità per le comunicazioni a sanzionare quelle
imprese
che operano nel settore dei mezzi
di comunicazione di massa e fanno capo direttamente o
indirettamente al titolare di
cariche di governo qualora concretino un “sostegno
privilegiato” a
favore del lo stesso titolare di
cariche di governo violando, tra le varie ipotesi, la
legge n. 28
del 2000 sulla par condicio.
La norma ha una ratio facilmente
intuibile ed è parimenti facile ipotizzare quali possano
essere le fattispecie concrete che
la integrino. Come è stato accennato anche da Gentiloni,
le
ripetute sanzioni al Tg 4 e al Tg5
sono in re ipsa una fattispecie di sostegno
privilegiato:
difficile pensare diversamente dal
punto di vista del diritto, ma è parimenti difficile
pensare
che l'AGCOM possa trovare il
coraggio “politico” per sanzionare le emittenti sulla
base della
legge Frattini, che continuerà ad
essere una norma inattuata ed inattuabile.
Il Presidente Calabrò ha difeso con
forza in Parlamento l'indipendenza dell'Autorità. Di
fatto
l'AGCOM però non tratta mai di
conflitto di interessi e sostegno privilegiato nelle sue
relazioni annuali e dall’inizio
della legislatura non risultano pervenute alla Camera
dei
Deputati le relazioni semestrali in
materia di conflitto di interessi che l’Agcom deve
presentare, con cadenza semestrale
come previsto dall’art.8 della legge n.215 del 2004.
Occorre sollecitare l' Agcom ad
adempiere. Occorre chiedere con forza che le istituzioni
svolgano il loro lavoro rispettando
la legge, soprattutto se sono istituzioni “indipendenti”
e
non politicamente responsabili in
modo diretto rispetto agli elettori.
Non sono d'accordo, infine, con chi
in questo seminario ha sottolineato come la legge n. 28
del 2000 sia ormai obsoleta e da
riformare, anche solo attraverso interventi mirati a
migliorarla. La par condicio è
sicuramente perfettibile come lo è qualsiasi legge, ma
sottolineo, come hanno fatto
Cuperlo, Gentiloni, Grandinetti, Mele, Valentini, Vita
la
necessità di difenderla per come è
in quanto nell'attuale situazione politica qualsiasi
apertura
per una sua riforma significherebbe
mettere a repentaglio un principio chiaro e sacrosanto,
quello delle pari opportunità in
campagna elettorale. Tale principio è stato difeso più
volte
dalla stessa Corte costituzionale,
ma è evidente che è messo nei fatti in discussione da
quando
in politica è entrato il
proprietario delle maggiori emittenti televisive
nazionali commerciali.
Basta ricordarsi degli ostacoli
frapposti ai vari governi all'approvazione di norme
sulla par
condicio e della necessità di un
“governo ad hoc”, quello Dini, per la definitiva
promulgazione della legge, per
scoraggiare qualsiasi tentativo, seppur anche
migliorativo, di
riforma della l.n. 28 del 2000.
Forse la legge è troppo
dettagliata, come qualcuno (Cheli, Donati) ha rilevato:
sta di fatto che
gran parte delle sua efficacia è
dipesa, nel tempo, da come è stata attuata dai
regolamenti di
Commissione parlamentare ed
Autorità e da come si è tentato di aggirarla attraverso
le più
diverse tecniche comunicative.
Appendice
In conclusione del lavoro
presentato, si forniscono al lettore alcuni preziosi
strumenti in tema
di par condicio particolarmente
utili per chi volesse approfondire le tematica trattata.
In particolare la base su cui si
fonda la par condicio è rappresentata dalla legge del 22
febbraio
2000 n. 28. In tale legge vengono
dettate le regole per la parità di accesso ai mezzi di
informazione durante le campagne
elettorali e referendarie e per la comunicazione
politica
(Appendice 1).
La Corte Costituzionale, chiamata a
pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della
citata
legge, ha sancito con la sentenza
del 7 maggio 2002, n. 155 che la legge sulla par
condicio è
preordinata a disciplinare
unicamente l'organizzazione delle emittenti, non già a
limitare la
loro libertà di espressione (la
quale, peraltro, non può essere esercitata per
influenzare
surrettiziamente l'elettore),
ritenendo pertanto non fondata la questione di
legittimità
costituzionale. Inoltre la Corte
puntualizza che il c.d. pluralismo "esterno", non trova
attuazione solo per il fatto che vi
sia un concorso fra un polo pubblico e un polo privato,
poiché in tal modo non viene
garantito il principio in base al quale deve essere
garantito
l’accesso al sistema
radiotelevisivo del "massimo numero possibile di voci
diverse"
(Appendice 2).
Chiamate ad applicare la legge
sulla par condicio sono, per la RAI, la Commissione
parlamentare di vigilanza e, per le
televisioni e le radio private, l'Autorità per le
garanzie nelle
comunicazioni.
In particolare l’Agcom inoltre ha
il compito vigilare l’operato delle emittenti pubbliche
e
private mediante l’adozione di
regolamenti sia per i periodi elettorali (Appendice 3)
che non
(Appendice 4).
Per comprendere gli attuali
parametri valutativi dell’Agcom sono stati riportati
criteri che
l’Autorità adotta per la vigilanza
sul rispetto del pluralismo politico e istituzionale nei
telegiornali diffusi dalle reti
televisive nazionali. Si tratta di dati meramente
quantitativi
riguardanti i soggetti politici ed
istituzionali suddivisi in base al tempo di antenna,
tempo di
parola e tempo di notizia
(Appendice 5).
A titolo meramente esemplificativo
sono state inoltre riportate le principali delibere
dell’Autorità (il cui testo
integrale è disponibile sul sito internet www.agcom.it)
mediante le
quali sono state irrogate, nel
corso della scorsa tornata elettorale, sanzioni
amministrative per
un totale di 1.000.000,00 euro
(Appendice 5).
Infine si è ritenuto utile
riportare la base di discussione del seminario, ossia 10
domande sulle
quali i partecipanti al seminario
hanno espresso le proprie considerazioni sul tema della
par
condicio (Appendice 7).
1) L. 22 febbraio 2000, n. 28 –
Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di
informazione durante le campagne
elettorali e referendarie e per la comunicazione
politica
2) Sent. Corte cost. 7 maggio 2002,
n. 155
3) Delibera Agcom n. 22/06/CSP,
Disposizioni applicative delle norme e dei
principi vigenti in materia di
comunicazione politica e parità di accesso ai mezzi
di informazione nei periodi non
elettorali
4) Delibera Agcom n. 80/11/CSP,
Disposizioni di attuazione della disciplina in
materia di comunicazione politica e
di parità di accesso ai mezzi di informazione
relative alle campagne per le
elezioni provinciali e comunali fissate per i giorni 15
e 16 maggio 2011
5) Criteri per la vigilanza sul
rispetto del pluralismo politico e istituzionale nei
telegiornali diffusi dalle reti
televisive nazionali
6) Elenco delibere Agcom in materia
per la campagna elettorale per le elezioni
provinciali e comunali (15-16
maggio 2011)
7) La base di discussione del
seminario
1) L. 22 febbraio 2000, n. 28 –
Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di
informazione
durante le campagne elettorali e
referendarie e per la comunicazione politica
Scheda
La legge 28/2000 disciplina
l’accesso dei soggetti politici ai mezzi di informazione
e alla comunicazione politica sia
nei periodi elettorali che nei periodi non elettorali
(art. 2, comma 1, :“Le emittenti
radiotelevisive devono assicurare a tutti i soggetti
politici con imparzialità ed equità
l’accesso all’informazione e alla comunicazione
politica”).
Chiamate ad applicare la normativa
sono, per la RAI, la Commissione parlamentare
di vigilanza e, per le televisioni
e le radio private, l'Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni, che si avvale dei
Comitati regionali per le Comunicazioni / Comitati
regionali per i servizi
radiotelevisivi, per quanto riguarda l’emittenza
radiotelevisiva
locale.
In periodo non elettorale
Commissione e Agcom, previa consultazione, emanano
due distinti regolamenti In
occasione di ogni singola consultazione elettorale, i
due
organismi provvedono ad emanare
specifici regolamenti.
La legge 28/2000 distingue tre
differenti tipologie di programmazione
radiotelevisiva: 1. La
comunicazione politica; 2. I messaggi autogestiti; 3.
L’informazione:
In particolare l’articolo 5
individua i principi generali dell’informazione
radiotelevisiva che devono essere
assicurati dalle emittenti private e dalla
concessionaria pubblica. Ossia: a.
la parità di trattamento; b. l'obiettività; c. la
completezza ; d. l'imparzialità
Inoltre, durante il periodo
elettorale è assolutamente vietato fornire, anche
indirettamente, indicazioni di voto
Testo di legge
Articolo 1
Finalità e ambito di applicazione.
1. La presente legge promuove e
disciplina, al fine di garantire la parità di
trattamento e
l'imparzialità rispetto a tutti i
soggetti politici, l'accesso ai mezzi di informazione
per la
comunicazione politica.
2. La presente legge promuove e
disciplina altresì, allo stesso fine, l'accesso ai mezzi
di
informazione durante le campagne
per l'elezione al Parlamento europeo, per le elezioni
politiche, regionali e
amministrative e per ogni referendum.
Articolo 2
Comunicazione politica
radiotelevisiva.
1. Le emittenti radiotelevisive
devono assicurare a tutti i soggetti politici con
imparzialità ed
equità l'accesso all'informazione e
alla comunicazione politica.
2. S'intende per comunicazione
politica radiotelevisiva ai fini della presente legge la
diffusione sui mezzi
radiotelevisivi di programmi contenenti opinioni e
valutazioni politiche.
Alla comunicazione politica si
applicano le disposizioni dei commi successivi. Esse non
si
applicano alla diffusione di
notizie nei programmi di informazione.
3. E’ assicurata parità di
condizioni nell'esposizione di opinioni e posizioni
politiche nelle
tribune politiche, nei dibattiti,
nelle tavole rotonde, nelle presentazioni in
contraddittorio di
programmi politici, nei confronti,
nelle interviste e in ogni altra trasmissione nella
quale
assuma carattere rilevante
l'esposizione di opinioni e valutazioni politiche.
4. L'offerta di programmi di
comunicazione politica radiotelevisiva è obbligatoria
per le
concessionarie radiofoniche
nazionali e per le concessionarie televisive nazionali
con obbligo
di informazione che trasmettono in
chiaro. La partecipazione ai programmi medesimi è in
ogni caso gratuita.
5. La Commissione parlamentare per
l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi, di seguito
denominata "Commissione", e l'Autorità per le garanzie
nelle
comunicazioni, di seguito
denominata "Autorità", previa consultazione tra loro e
ciascuna
nell'ambito della propria
competenza, stabiliscono le regole per l'applicazione
della disciplina
prevista dal presente articolo.
Articolo 3
Messaggi politici autogestiti.
1. Le emittenti radiofoniche e
televisive che offrono spazi di comunicazione politica
gratuita
ai sensi dell'art. 2, comma 3,
possono trasmettere messaggi politici autogestiti,
gratuiti di
seguito denominati "messaggi".
2. La trasmissione di messaggi è
facoltativa per le emittenti private e obbligatoria per
la
concessionaria pubblica, che
provvede a mettere a disposizione dei richiedenti le
strutture
tecniche necessarie per la
realizzazione dei predetti messaggi.
3. I messaggi recano la motivata
esposizione di un programma o di un'opinione politica e
hanno una durata compresa tra uno e
tre minuti per le emittenti televisive e da trenta a
novanta
secondi per le emittenti
radiofoniche, a scelta del richiedente. I messaggi non
possono
interrompere altri programmi, hanno
un'autonoma collocazione nella programmazione e sono
trasmessi in appositi contenitori,
di cui ogni emittente comunica alla Commissione o
all'Autorità, con almeno quindici
giorni di anticipo, la collocazione nel palinsesto. I
messaggi
non sono computati nel calcolo dei
limiti di affollamento pubblicitario previsti dalla
legge.
4. Per ciascuna emittente
radiofonica e televisiva nazionale gli spazi per i
messaggi non
possono superare il 25 per cento
della effettiva durata totale dei programmi di
comunicazione
politica trasmessi ai sensi
dell'art. 2, comma 3, dalla medesima emittente o sulla
medesima
rete nell'ambito della stessa
settimana e nelle stesse fasce orarie. Possono essere
previsti fino a
un massimo di due contenitori per
ogni giornata di programmazione.
5. (Abrogato).
6. Gli spazi per i messaggi sono
offerti in condizioni di parità di trattamento ai
soggetti
politici rappresentati negli organi
la cui elezione è richiamata all'art. 1, comma 2.
L'assegnazione degli spazi in
ciascun contenitore è effettuata mediante sorteggio. Gli
spazi
spettanti a un soggetto politico e
non utilizzati non possono essere offerti ad altro
soggetto
politico. Ciascun messaggio può
essere trasmesso una sola volta in ciascun contenitore.
Nessuno può diffondere più di un
messaggio nel medesimo contenitore. Ogni messaggio reca
l'indicazione del soggetto
committente.
7. Le emittenti nazionali possono
trasmettere esclusivamente messaggi politici autogestiti
gratuiti.
8. L'Autorità e la Commissione,
ciascuna nell'ambito delle rispettive competenze,
fissano i
criteri di rotazione per
l'utilizzo, nel corso di ogni periodo mensile, degli
spazi per i messaggi
autogestiti di cui ai commi
precedenti e adottano le eventuali ulteriori
disposizioni necessarie
per l'applicazione della disciplina
prevista dal presente articolo.
Articolo 4
Comunicazione politica
radiotelevisiva e messaggi radiotelevisivi autogestiti
in campagna
elettorale.
1. Dalla data di convocazione dei
comizi elettorali la comunicazione politica
radio-televisiva
si svolge nelle seguenti forme:
tribune politiche, dibattiti, tavole rotonde,
presentazione in
contraddittorio di candidati e di
programmi politici, interviste e ogni altra forma che
consenta
il confronto tra le posizioni
politiche e i candidati in competizione.
2. La Commissione e l'Autorità,
previa consultazione tra loro, e ciascuna nell'ambito
della
propria competenza, regolano il
riparto degli spazi tra i soggetti politici secondo i
seguenti
criteri:
a) per il tempo intercorrente tra
la data di convocazione dei comizi elettorali e la data
di
presentazione delle candidature,
gli spazi sono ripartiti tra i soggetti politici
presenti nelle
assemblee da rinnovare, nonchè tra
quelli in esse non rappresentati purchè presenti nel
Parlamento europeo o in uno dei due
rami del Parlamento;
b) per il tempo intercorrente tra
la data di presentazione delle candidature e la data di
chiusura
della campagna elettorale, gli
spazi sono ripartiti secondo il principio della pari
opportunità
tra le coalizioni e tra le liste in
competizione che abbiano presentato candidature in
collegi o
circoscrizioni che interessino
almeno un quarto degli elettori chiamati alla
consultazione, fatta
salva l'eventuale presenza di
soggetti politici rappresentativi di minoranze
linguistiche
riconosciute, tenendo conto del
sistema elettorale da applicare e dell'ambito
territoriale di
riferimento;
c) per il tempo intercorrente tra
la prima e la seconda votazione nel caso di
ballottaggio, gli
spazi sono ripartiti in modo uguale
tra i due candidati ammessi;
d) per il referendum , gli spazi
sono ripartiti in misura uguale fra i favorevoli e i
contrari al
quesito referendario.
3. Dalla data di presentazione
delle candidature per le elezioni di cui all'art. 1,
comma 2, le
emittenti radiofoniche e televisive
nazionali possono trasmettere messaggi autogestiti per
la
presentazione non in
contraddittorio di liste e programmi, secondo le
modalità stabilite dalla
Commissione e dall'Autorità, sulla
base dei seguenti criteri:
a) gli spazi per i messaggi sono
ripartiti tra i diversi soggetti politici, a parità di
condizioni,
anche con riferimento alle fasce
orarie di trasmissione;
b) i messaggi sono organizzati in
modo autogestito, sono trasmessi gratuitamente e devono
avere una durata sufficiente alla
motivata esposizione di un programma o di un'opinione
politica, e comunque compresa, a
scelta del richiedente, tra uno e tre minuti per le
emittenti
televisive e tra trenta e novanta
secondi per le emittenti radiofoniche;
c) i messaggi non possono
interrompere altri programmi, né essere interrotti,
hanno
un'autonoma collocazione nella
programmazione e sono trasmessi in appositi contenitori,
prevedendo fino a un massimo di
quattro contenitori per ogni giornata di programmazione;
d) i messaggi non sono computati
nel calcolo dei limiti di affollamento pubblicitario
previsti
dalla legge;
e) ciascun messaggio può essere
trasmesso una sola volta in ciascun contenitore;
f) nessun soggetto politico può
diffondere più di due messaggi in ciascuna giornata di
programmazione;
g) ogni messaggio reca
l'indicazione "messaggio autogestito" e l'indicazione
del soggetto
committente.
4. La trasmissione dei messaggi
autogestiti di cui al comma 3 è obbligatoria per la
concessionaria pubblica, che
provvede a mettere a disposizione dei richiedenti le
strutture
tecniche necessarie per la
realizzazione dei predetti messaggi.
5. Alle emittenti radiofoniche e
televisive locali che accettano di trasmettere messaggi
autogestiti a titolo gratuito, nei
termini e con le modalità di cui al comma 3, è
riconosciuto un
rimborso da parte dello Stato nella
misura definita entro il 31 gennaio di ogni anno con
decreto del Ministro delle
comunicazioni di concerto con il Ministro del tesoro,
del bilancio e
della programmazione economica.
Alle emittenti radiofoniche è riservato almeno un terzo
della somma complessiva annualmente
stanziata. In sede di prima attuazione il rimborso per
ciascun messaggio autogestito è
determinato per le emittenti radiofoniche in lire 12.000
e per
le emittenti televisive in lire
40.000, indipendentemente dalla durata del messaggio. La
somma annualmente stanziata è
ripartita tra le regioni e le province autonome di
Trento e di
Bolzano in proporzione al numero
dei cittadini iscritti nelle liste elettorali di
ciascuna regione
e provincia autonoma. Il rimborso è
erogato, entro i novanta giorni successivi alla
conclusione
delle operazioni elettorali, per
gli spazi effettivamente utilizzati e congiuntamente
attestati
dalla emittente e dal soggetto
politico, nei limiti delle risorse disponibili, dalla
regione che si
avvale, per l'attività istruttoria
e la gestione degli spazi offerti dalle emittenti, del
comitato
regionale per le comunicazioni o,
ove tale organo non sia ancora costituito, del comitato
regionale per i servizi
radiotelevisivi. Nella Regione Trentino-Alto Adige il
rimborso è
erogato dalle province autonome,
che si avvalgono, per l'attività istruttoria, dei
comitati
provinciali per i servizi
radiotelevisivi sino alla istituzione dei nuovi organi
previsti dal
comma 13 dell'art. 1 della legge 31
luglio 1997, n. 249.
6. (Abrogato).
7. (Abrogato).
8. Le emittenti radiofoniche e
televisive nazionali comunicano all'Autorità, entro il
quinto
giorno successivo alla data di cui
al comma 1, la collocazione nel palinsesto dei
contenitori.
Fino al completamento delle
operazioni elettorali, ogni successiva modificazione
deve essere
comunicata alla medesima Autorità
con almeno cinque giorni di anticipo.
9. A partire dalla data di
convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura
della
campagna elettorale, la
trasmissione sui mezzi radiotelevisivi di messaggi di
propaganda,
pubblicità o comunicazione
politica, comunque denominati, è ammessa esclusivamente
secondo la disciplina del presente
articolo.
10. Per le consultazioni
referendarie la disciplina relativa alla diffusione
della comunicazione
politica e dei messaggi autogestiti
di cui ai commi precedenti si applica dalla data di
indizione
dei referendum.
11. La Commissione e l'Autorità,
previa consultazione tra loro, e ciascuna nell'ambito
della
propria competenza, stabiliscono
l'ambito territoriale di diffusione di cui ai commi
precedenti
anche tenuto conto della rilevanza
della consultazione sul territorio nazionale.
Articolo 5
Programmi d'informazione nei mezzi
radiotelevisivi.
1. La Commissione e l'Autorità,
previa consultazione tra loro e ciascuna nell'ambito
della
propria competenza, definiscono,
non oltre il quinto giorno successivo all'indizione dei
comizi
elettorali, i criteri specifici ai
quali, fino alla chiusura delle operazioni di voto,
debbono
conformarsi la concessionaria
pubblica e le emittenti radiotelevisive private nei
programmi di
informazione, al fine di garantire
la parità di trattamento, l'obiettività, la completezza
e
l'imparzialità dell'informazione.
2. Dalla data di convocazione dei
comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni
di voto
in qualunque trasmissione
radiotelevisiva è vietato fornire, anche in forma
indiretta,
indicazioni di voto o manifestare
le proprie preferenze di voto.
3. I registi ed i conduttori sono
altresì tenuti ad un comportamento corretto ed
imparziale nella
gestione del programma, così da non
esercitare, anche in forma surrettizia, influenza sulle
libere scelte degli elettori.
4. (Abrogato).
Articolo 6
Imprese radiofoniche di partiti
politici.
1. Le disposizioni degli articoli
da 1 a 5 non si applicano alle imprese di
radiodiffusione
sonora di cui all'art. 11, comma 2,
della legge 25 febbraio 1987, n. 67 e successive
modificazioni. Per tali imprese è
comunque vietata la cessione, a titolo sia oneroso sia
gratuito, di spazi per messaggi
autogestiti.
Articolo 7
Messaggi politici elettorali su
quotidiani e periodici.
1. Dalla data di convocazione dei
comizi elettorali e fino a tutto il penultimo giorno
prima
della data delle elezioni, gli
editori di quotidiani e periodici, qualora intendano
diffondere a
qualsiasi titolo messaggi politici
elettorali, devono darne tempestiva comunicazione sulle
testate edite, per consentire ai
candidati e alle forze politiche l'accesso ai relativi
spazi in
condizioni di parità fra loro. La
comunicazione deve essere effettuata secondo le modalità
e
con i contenuti stabiliti
dall'Autorità.
2. Sono ammesse soltanto le
seguenti forme di messaggio politico elettorale:
a) annunci di dibattiti, tavole
rotonde, conferenze, discorsi;
b) pubblicazioni destinate alla
presentazione dei programmi delle liste, dei gruppi di
candidati
e dei candidati;
c) pubblicazioni di confronto tra
più candidati.
3. Le disposizioni di cui ai commi
1 e 2 non si applicano agli organi ufficiali di stampa
dei
partiti e dei movimenti politici e
alle stampe elettorali di liste, gruppi di candidati e
candidati.
Non si applicano, altresì, agli
altri quotidiani e periodici al di fuori del periodo di
cui al
comma 1.
Articolo 8
Sondaggi politici ed elettorali.
1. Nei quindici giorni precedenti
la data delle votazioni è vietato rendere pubblici o,
comunque, diffondere i risultati di
sondaggi demoscopici sull'esito delle elezioni e sugli
orientamenti politici e di voto
degli elettori, anche se tali sondaggi sono stati
effettuati in un
periodo precedente a quello del
divieto.
2. L'Autorità determina i criteri
obbligatori in conformità dei quali devono essere
realizzati i
sondaggi di cui al comma 1.
3. I risultati dei sondaggi
realizzati al di fuori del periodo di cui al comma 1
possono essere
diffusi soltanto se accompagnati
dalle seguenti indicazioni, delle quali è responsabile
il
soggetto che ha realizzato il
sondaggio, e se contestualmente resi disponibili, nella
loro
integralità e con le medesime
indicazioni, su apposito sito informatico, istituito e
tenuto a cura
del Dipartimento per l'informazione
e l'editoria presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri:
a ) soggetto che ha realizzato il
sondaggio;
b) committente e acquirente;
c) criteri seguiti per la
formazione del campione;
d) metodo di raccolta delle
informazioni e di elaborazione dei dati;
e) numero delle persone
interpellate e universo di riferimento;
f) domande rivolte;
g) percentuale delle persone che
hanno risposto a ciascuna domanda;
h) data in cui è stato realizzato
il sondaggio.
Articolo 9
Disciplina della comunicazione
istituzionale e obblighi di informazione.
1. Dalla data di convocazione dei
comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni
di voto
è fatto divieto a tutte le
amministrazioni pubbliche di svolgere attività di
comunicazione ad
eccezione di quelle effettuate in
forma impersonale ed indispensabili per l'efficace
assolvimento delle proprie
funzioni.
2. Le emittenti radiotelevisive
pubbliche e private, su indicazione delle istituzioni
competenti,
informano i cittadini delle
modalità di voto e degli orari di apertura e di chiusura
dei seggi
elettorali.
Articolo 10
Provvedimenti e sanzioni.
1. Le violazioni delle disposizioni
di cui alla presente legge, nonchè di quelle emanate
dalla
Commissione e dall'Autorità sono
perseguite d'ufficio da quest'ultima secondo le
disposizioni
del presente articolo. Ciascun
soggetto politico interessato può, comunque, denunciare
tali
violazioni entro dieci giorni dal
fatto. La denuncia è comunicata, anche a mezzo telefax:
a) all'Autorità;
b) all'emittente privata o
all'editore presso cui è avvenuta la violazione;
c) al competente comitato regionale
per le comunicazioni ovvero, ove il predetto organo non
sia ancora costituito, al comitato
regionale per i servizi radiotelevisivi;
d) al gruppo della Guardia di
finanza nella cui competenza territoriale rientra il
domicilio
dell'emittente o dell'editore. Il
predetto gruppo della Guardia di finanza provvede al
ritiro
delle registrazioni interessate
dalla comunicazione dell'Autorità o dalla denuncia entro
le
successive dodici ore.
2. L'Autorità, avvalendosi anche
del competente comitato regionale per le comunicazioni
ovvero, ove il predetto organo non
sia ancora costituito, del comitato regionale per i
servizi
radiotelevisivi, nonchè del
competente ispettorato territoriale del Ministero delle
comunicazioni e della Guardia di
finanza, procede ad una istruttoria sommaria e,
contestati i
fatti, anche a mezzo telefax,
sentiti gli interessati ed acquisite eventuali
controdeduzioni, da
trasmettere entro ventiquattro ore
dalla contestazione, provvede senza indugio, e comunque
entro le quarantotto ore successive
all'accertamento della violazione o alla denuncia, in
deroga
ai termini e alle modalità
procedimentali previste dalla legge 24 novembre 1981, n.
689.
3. In caso di violazione degli
articoli 2, 4, commi 1 e 2, e 6, l'Autorità ordina alle
emittenti
radiotelevisive la trasmissione di
programmi di comunicazione politica con prevalente
partecipazione dei soggetti
politici che siano stati direttamente danneggiati dalle
violazioni.
4. In caso di violazione degli
articoli 3 e 4, commi 3 e 4, l'Autorità ordina
all'emittente
interessata, oltre all'immediata
sospensione delle trasmissioni programmate in violazione
della
presente legge:
a) la messa a disposizione di
spazi, a titolo gratuito , per la trasmissione di
messaggi politici
autogestiti in favore dei soggetti
danneggiati o illegittimamente esclusi, in modo da
ripristinare l'equilibrio tra le
forze politiche;
b) se del caso, il ripristino
dell'equilibrio tra gli spazi destinati ai messaggi e
quelli destinati
alla comunicazione politica
gratuita.
5. In caso di violazione dell'art.
5, l'Autorità ordina all'emittente interessata la
trasmissione di
servizi di informazione elettorale
con prevalente partecipazione dei soggetti politici che
siano
stati direttamente danneggiati
dalla violazione.
6. In caso di violazione dell'art.
7, l'Autorità ordina all'editore interessato la messa a
disposizione di spazi di pubblicità
elettorale compensativa in favore dei soggetti politici
che
ne siano stati illegittimamente
esclusi.
7. In caso di violazione dell'art.
8, l'Autorità ordina all'emittente o all'editore
interessato di
dichiarare tale circostanza sul
mezzo di comunicazione che ha diffuso il sondaggio con
il
medesimo rilievo, per fascia
oraria, collocazione e caratteristiche editoriali, con
cui i sondaggi
stessi sono stati pubblicizzati.
8. Oltre a quanto previsto nei
commi 3, 4, 5, 6 e 7, l'Autorità ordina:
a) la trasmissione o la
pubblicazione, anche ripetuta a seconda della gravità,
di messaggi
recanti l'indicazione della
violazione commessa;
b) ove necessario, la trasmissione
o la pubblicazione, anche ripetuta a seconda della
gravità, di
rettifiche, alle quali è dato un
risalto non inferiore per fascia oraria, collocazione e
caratteristiche editoriali, della
comunicazione da rettificare.
9. L'Autorità può, inoltre,
adottare anche ulteriori provvedimenti d'urgenza al fine
di
ripristinare l'equilibrio
nell'accesso alla comunicazione politica.
10. I provvedimenti dell'Autorità
di cui al presente articolo possono essere impugnati
dinanzi
al Tribunale amministrativo
regionale (TAR) del Lazio entro trenta giorni dalla
comunicazione dei provvedimenti
stessi. In caso di inerzia dell'Autorità, entro lo
stesso
termine i soggetti interessati
possono chiedere al TAR del Lazio, anche in sede
cautelare, la
condanna dell'Autorità stessa a
provvedere entro tre giorni dalla pronunzia. In caso di
richiesta cautelare, i soggetti
interessati possono trasmettere o depositare memorie
entro
cinque giorni dalla notifica. Il
TAR del Lazio, indipendentemente dalla suddivisione del
tribunale in sezioni, si pronunzia
sulla domanda di sospensione nella prima camera di
consiglio dopo la scadenza del
termine di cui al precedente periodo, e comunque non
oltre il
settimo giorno da questo. Le stesse
regole si applicano per l'appello dinanzi al Consiglio
di
Stato.
Articolo 11
Obblighi di comunicazione.
1. Entro trenta giorni dalla
consultazione elettorale per l'elezione della Camera dei
deputati e
del Senato della Repubblica ed
anche nel caso di elezioni suppletive, i titolari di
emittenti
radiotelevisive, nazionali e
locali, e gli editori di quotidiani e periodici
comunicano ai
Presidenti delle Camere nonchè al
Collegio regionale di garanzia elettorale di cui
all'art. 13
della legge 10 dicembre 1993, n.
515, i servizi di comunicazione politica ed i messaggi
politici effettuati ai sensi dei
precedenti articoli, i nominativi di coloro che vi hanno
partecipato, gli spazi concessi a
titolo gratuito o a tariffa ridotta, gli introiti
realizzati ed i
nominativi dei soggetti che hanno
provveduto ai relativi pagamenti.
2. In caso di inosservanza degli
obblighi stabiliti dal comma 1, si applica la sanzione
amministrativa pecuniaria da lire
dieci milioni a lire cento milioni.
Articolo 11 Bis
(Ambito di applicazione)
1. Le disposizioni del presente
Capo si applicano alle emittenti radiofoniche e
televisive
locali.
2. Le disposizioni del presente
Capo non si applicano alla programmazione regionale o
comunque locale della
concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo e
dei soggetti
privati titolari di concessione o
di autorizzazione o comunque aventi altro titolo di
legittimazione per trasmettere in
ambito nazionale.
Articolo 11 Ter
(Definizioni)
1. Ai fini del presente Capo si
intende:
a) per "emittente radiofonica e
televisiva locale", ogni soggetto destinatario di
autorizzazione
o concessione o comunque di altro
titolo di legittimazione all'esercizio della
radiodiffusione
sonora o televisiva in ambito
locale;
b) per "programma di informazione",
il telegiornale, il giornale radio e comunque il
notiziario
o altro programma di contenuto
informativo, a rilevante presentazione giornalistica,
caratterizzato dalla correlazione
ai temi dell'attualità e della cronaca;
c) per "programma di comunicazione
politica", ogni programma in cui assuma carattere
rilevante l'esposizione di opinioni
e valutazioni politiche manifestate attraverso tipologie
di
programmazione che comunque
consentano un confronto dialettico tra più opinioni,
anche se
conseguito nel corso di più
trasmissioni.
Articolo 11 Quater
(Tutela del pluralismo).
1. Le emittenti radiofoniche e
televisive locali devono garantire il pluralismo,
attraverso la
parità di trattamento,
l'obiettività, l'imparzialità e l'equità nella
trasmissione sia di programmi
di informazione, nel rispetto della
libertà di informazione, sia di programmi di
comunicazione
politica.
2. Al fine di garantire la parità
di trattamento e l'imparzialità a tutti i soggetti
politici, entro
centoventi giorni dalla data di
entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente
Capo le
organizzazioni che rappresentino
almeno il cinque per cento del numero totale delle
emittenti
radiofoniche o televisive locali o
dell'ascolto globale televisivo o radiofonico di queste
presentano al Ministro delle
comunicazioni uno schema di codice di
autoregolamentazione sul
quale devono essere acquisiti i
pareri della Federazione nazionale della stampa
italiana,
dell'Ordine nazionale dei
giornalisti, della Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato,
le regioni e le province autonome
di Trento e di Bolzano e delle competenti Commissioni
della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica. Decorso tale termine senza che
le
organizzazioni abbiano provveduto a
presentare uno schema di codice di
autoregolamentazione, il Ministro
delle comunicazioni propone comunque uno schema di
codice sul quale devono essere
acquisiti i pareri della Federazione nazionale della
stampa
italiana, dell'Ordine nazionale dei
giornalisti, della Conferenza permanente per i rapporti
tra lo
Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano e delle competenti
Commissioni della Camera dei
deputati e del Senato della Repubblica.
3. Il codice di
autoregolamentazione di cui al presente articolo deve
comunque contenere
disposizioni che, dalla data di
convocazione dei comizi elettorali, consentano la
comunicazione politica secondo una
effettiva parità di condizioni tra i soggetti
competitori,
anche con riferimento alle fasce
orarie e al tempo di trasmissione. Alle emittenti
radiofoniche
e televisive locali che accettano
di trasmettere messaggi politici autogestiti a titolo
gratuito
continuano ad applicarsi le
disposizioni di cui all'articolo 4, commi 3 e 5. Il
codice di
autoregolamentazione disciplina le
condizioni economiche di accesso ai messaggi politici
autogestiti a pagamento, stabilendo
criteri di determinazione dei prezzi da parte di ogni
emittente che tengano conto della
normativa in materia di spese elettorali ammesse per
ciascun candidato e secondo un
principio di comprovata parità di costo tra gli stessi
candidati.
4. La Federazione nazionale della
stampa italiana, l'Ordine nazionale dei giornalisti, la
Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome
di Trento
e di Bolzano e le Commissioni
parlamentari esprimono il loro parere entro trenta
giorni dalla
ricezione dello schema di cui al
comma 2. Lo schema, con i relativi pareri, è
immediatamente
trasmesso all'Autorità, che
delibera entro il termine di quindici giorni dalla sua
ricezione
tenuto conto dei pareri espressi.
5. Entro i successivi trenta giorni
le organizzazioni di cui al comma 2 sottoscrivono il
codice
di autoregolamentazione, che è
emanato con decreto del Ministro delle comunicazioni,
come
deliberato dall'Autorità. Decorso
tale termine senza che le organizzazioni di cui al comma
2
abbiano provveduto a sottoscrivere
il codice di autoregolamentazione, il Ministro delle
comunicazioni emana comunque con
proprio decreto il codice di autoregolamentazione. Il
codice di autoregolamentazione
acquista efficacia nei confronti di tutte le emittenti
radiofoniche e televisive locali il
giorno successivo a quello di pubblicazione nella
Gazzetta
Ufficiale del decreto del Ministro
delle comunicazioni.
Articolo 11 Quinquies
(Vigilanza e poteri dell'Autorita)
1. L'Autorità vigila sul rispetto
dei principi contenuti nel presente Capo e di quanto
disposto
nel codice di autoregolamentazione
di cui all'articolo 11-quater, nonché delle disposizioni
regolamentari e attuative emanate
dall'Autorità medesima.
2. In caso di accertamento,
d'ufficio o su denuncia da parte di soggetti politici
interessati
ovvero del Consiglio nazionale
degli utenti istituito presso l'Autorità, di
comportamenti in
violazione del presente Capo o del
codice di autoregolamentazione di cui all'articolo 11-
quater e delle disposizioni
regolamentari e attuative di cui al comma 1, l'Autorità
adotta nei
confronti dell'emittente ogni
provvedimento, anche in via d'urgenza, idoneo ad
eliminare gli
effetti di tali comportamenti e può
ordinare, se del caso, la programmazione di trasmissioni
a
carattere compensativo. Qualora non
sia possibile ordinare trasmissioni a carattere
compensativo, l'Autorità può
disporre la sospensione delle trasmissioni
dell'emittente per un
periodo massimo di trenta giorni.
3. L'Autorità verifica il rispetto
dei propri provvedimenti adottati in applicazione delle
disposizioni del presente Capo e,
in caso di inottemperanza, irroga nei confronti
dell'emittente
la sanzione amministrativa
pecuniaria da 1.000 euro a 20.000 euro.
4. I provvedimenti dell'Autorità di
cui al presente articolo possono essere impugnati
dinanzi
agli organi di giustizia
amministrativa in sede di giurisdizione esclusiva, ai
sensi dell' articolo
23-bis della legge 6 dicembre 1971,
n. 1034 . La competenza di primo grado è attribuita in
via
esclusiva ed inderogabile al
tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede
in Roma.
Articolo 11 Sexies
(Norme regolamentari e attuative
dell'Autorita)
1. L'Autorità adegua le proprie
disposizioni regolamentari e attuative alle disposizioni
del
presente Capo.
Articolo 11 Septies
(Efficacia delle disposizioni di
cui al Capo I per le emittenti locali)
1. A decorrere dal giorno
successivo a quello di pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale del
decreto del Ministro delle
comunicazioni di cui al comma 5 dell'articolo 11-quater,
cessano di
applicarsi alle emittenti
radiofoniche e televisive locali le disposizioni di cui
al Capo I della
presente legge, ad eccezione degli
articoli 4, commi 3 e 5, e8 .
Articolo 12
Copertura finanziaria.
1. Agli oneri derivanti
dall'attuazione della presente legge, valutati in lire
20 miliardi a
decorrere dall'anno 2000, si
provvede mediante corrispondente riduzione dello
stanziamento
iscritto, ai fini del bilancio
triennale 2000-2002, nell'ambito dell'unità previsionale
di base di
parte corrente "Fondo speciale"
dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del
bilancio
e della programmazione economica
per l'anno 2000, parzialmente utilizzando per gli anni
2000 e 2002 l'accantonamento
relativo al medesimo Ministero e per l'anno 2001
l'accantonamento relativo al
Ministero delle finanze.
2. Il Ministro del tesoro, del
bilancio e della programmazione economica è autorizzato
ad
apportare, con propri decreti, le
occorrenti variazioni di bilancio.
Articolo 13
Abrogazione di norme.
1. (Abrogato).
Articolo 14
Entrata in vigore.
1. La presente legge entra in
vigore il giorno successivo a quello della sua
pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale .
2) Sent. Corte cost. 7 maggio 2002,
n. 155
Scheda
La Corte Costituzionale è stata
chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale
della legge che disciplina la
parità di accesso ai mezzi di informazione durante le
campagne elettorali (n. 28/00) ed
in particolare sugli articoli da 1 a 7 in riferimento
agli articoli 3, 21 e 42 della
Costituzione.
La Corte con la sentenza 155/02 ha
sancito che la citata legge è preordinata a
disciplinare unicamente
l'organizzazione delle emittenti, non già a limitare la
loro
libertà di espressione (la quale,
peraltro, non può essere esercitata per influenzare
surrettiziamente l'elettore),
ritenendo pertanto non fondata la questione di
legittimità
costituzionale.
Nella sentenza la Corte sottolinea
che l'art. 1 della legge 6 agosto 1990, n. 223
(Disciplina del sistema
radiotelevisivo pubblico e privato), dopo aver ribadito
che "la
diffusione di programmi radiofonici
e televisivi, realizzata con qualsiasi mezzo
tecnico, ha carattere di preminente
interesse generale", espressamente dispone che il
pluralismo, l'obiettività, la
completezza e l'imparzialità della informazione,
l'apertura
alle diverse opinioni, tendenze
politiche, sociali, culturali e religiose "rappresentano
i
principi fondamentali del sistema
radiotelevisivo, che si realizza con il concorso di
soggetti pubblici e privati". La
Corte continua affermando che sono tenuti al rispetto
di tali principi anche gli
imprenditori privati operanti nel settore (e quindi
tutte le
emittenti radiotelevisive private)
in quanto "soggetti in grado di concorrere insieme
al servizio pubblico nella
realizzazione dei valori costituzionali posti a presidio
dell'informazione radiotelevisiva
Ne discende pertanto che, a detta
del giudice Costituzionale, è del tutto legittima la
limitazione prevista dalla legge
28/00 (sia come comunicazione politica che come
informazione) che limita
l’autonomia organizzativa imprenditoriale proprio per
garantire il pluralismo degli
orientamenti dell’elettorato la cui eventuale mancanza
influisce sulla formazione
democratica del libero convincimento di ciascuna
persona.
Inoltre la Corte puntualizza che il
c.d. pluralismo "esterno", non trova attuazione solo
per il fatto che vi sia un concorso
fra un polo pubblico e un polo privato, poiché in tal
modo non viene garantito il
principio in base al quale deve essere garantito
l’accesso
al sistema radiotelevisivo del
"massimo numero possibile di voci diverse".
La Corte si spinge ancora più in là
affermando che il pluralismo esterno può anche
risultare insufficiente
(specialmente in una paese che soffre la scarsa presenza
delle
emittenti) a garantire la
possibilità di espressione delle opinioni politiche
attraverso il
mezzo televisivo mediante quindi il
principio del cd “pluralismo interno”.
Testo della sentenza
(….)
Considerato in diritto
1. Le questioni di legittimità
costituzionale, sollevate dal Tribunale amministrativo
regionale
del Lazio con l'ordinanza indicata
in epigrafe, riguardano gli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 7
della legge
22 febbraio 2000, n. 28
(Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di
informazione durante
le campagne elettorali e
referendarie e per la comunicazione politica), in
riferimento agli artt.
3, 21 e 42 della Costituzione.
Il giudice a quo dubita in
particolare della legittimità costituzionale degli artt.
1, 2, 3 e 5 della
predetta legge nelle parti in cui,
imponendo alle emittenti radiotelevisive di assicurare
la
"parità" tra le varie forze
politiche nei programmi di "comunicazione politica"
durante le
campagne elettorali e nei periodi
non elettorali, impedirebbero alle emittenti stesse, in
violazione degli artt. 3 e 21 della
Costituzione, di qualificarsi attraverso l'affermazione
di
propri orientamenti, "espropriando"
così il loro diritto a manifestare una propria identità
politica.
Inoltre l'art. 7 della stessa legge
si porrebbe in contrasto, secondo il giudice a quo, con
l'art. 3
della Costituzione, sotto il
profilo che stabilendo limitazioni alla propaganda
elettorale, le
quali invece non sono previste per
la stampa periodica, introdurrebbe un'irragionevole
discriminazione in danno delle
imprese radiotelevisive.
Infine, il Tar censura l'art. 4,
commi 3 lettera b) e 5, della medesima legge nella parte
in cui,
prevedendo che durante la campagna
elettorale i messaggi politici autogestiti debbono
essere
trasmessi gratuitamente dalle
emittenti nazionali, mentre alle emittenti locali é
riconosciuto un
rimborso da parte dello Stato,
violerebbe l'art. 42 della Costituzione.
2. Le questioni prospettate non
sono fondate.
Il nucleo argomentativo
dell'ordinanza di rimessione é che la disciplina della
comunicazione
politica radiotelevisiva, delineata
dagli artt. 2 e 4 della legge 22 febbraio 2000, n. 28,
implica
la "piena funzionalizzazione" del
mezzo radiotelevisivo, dal momento che all'emittente
privata
é negata, in ragione della
necessaria parità tra le varie forze politiche, la
possibilità di
manifestare una propria identità
politica, in contrasto con il riconoscimento della
libertà dei
mezzi di diffusione garantita
dall'art. 21 della Costituzione.
Tale ordine argomentativo non
appare però condivisibile. In proposito va innanzi tutto
rilevato che l'art. 1 della legge 6
agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema
radiotelevisivo
pubblico e privato), ispirandosi
peraltro alla precedente legge 14 aprile 1975, n. 103
(Nuove
norme in materia di diffusione
radiofonica e televisiva), dopo aver ribadito che "la
diffusione
di programmi radiofonici e
televisivi, realizzata con qualsiasi mezzo tecnico, ha
carattere di
preminente interesse generale",
espressamente dispone che il pluralismo, l'obiettività,
la
completezza e l'imparzialità della
informazione, l'apertura alle diverse opinioni, tendenze
politiche, sociali, culturali e
religiose "rappresentano i principi fondamentali del
sistema
radiotelevisivo, che si realizza
con il concorso di soggetti pubblici e privati".
Principi alla cui
osservanza sono dunque tenuti, alla
luce delle pronunce di questa Corte, anche gli
imprenditori privati, che operano
nel settore, proprio in quanto "soggetti in grado di
concorrere insieme al servizio
pubblico nella realizzazione dei valori costituzionali
posti a
presidio dell'informazione
radiotelevisiva (v. artt. 1 e 2 della legge n. 223 del
1990)"
(sentenza n. 112 del 1993).
Fin dalle prime decisioni di questa
Corte emerge che é giustificato l'intervento del
legislatore
diretto a regolare, durante la
campagna elettorale, la concomitante e più intensa
partecipazione di partiti e
cittadini alla propaganda politica (cfr. sentenza n. 48
del 1964). E
nella successiva giurisprudenza
costituzionale si é ripetutamente affermato che, fermo
restando che i mezzi di
informazione di massa sono tenuti alla parità di
trattamento nei
confronti dei soggetti politici
(sentenza n. 161 del 1995), i principi fondanti del
nostro Stato
"esigono che la nostra democrazia
sia basata su una libera opinione pubblica e sia in
grado di
svilupparsi attraverso la pari
concorrenza di tutti alla formazione della volontà
generale"
(sentenza n. 112 del 1993). Proprio
da qui deriva "l'imperativo costituzionale" che "il
diritto
all'informazione", garantito
dall'art. 21 della Costituzione, venga qualificato e
caratterizzato,
tra l'altro, sia dal pluralismo
delle fonti cui attingere conoscenze e notizie -così da
porre il
cittadino in condizione di compiere
le proprie valutazioni avendo presenti punti di vista e
orientamenti culturali e politici
differenti- sia dall'obiettività e dall'imparzialità dei
dati forniti,
sia infine dalla completezza, dalla
correttezza e dalla continuità dell'attività di
informazione
erogata (sentenza n. 112 del 1993).
Il diritto alla completa ed
obiettiva informazione del cittadino appare dunque, alla
luce delle
ricordate pronunce, tutelato in via
prioritaria soprattutto in riferimento a valori
costituzionali
primari, che non sono tanto quelli
-come sostiene la difesa delle parti private- alla "pari
visibilità dei partiti", quanto
piuttosto quelli connessi al corretto svolgimento del
confronto
politico su cui in permanenza si
fonda, indipendentemente dai periodi di competizione
elettorale, il sistema democratico.
E' in questa prospettiva di necessaria democraticità del
processo continuo di informazione e
formazione dell'opinione pubblica, che occorre dunque
valutare la congruità del
bilanciamento tra principi ed interessi diversi attuato
dalla disciplina
censurata mediante la previsione di
modalità e forme della "comunicazione politica".
Attraverso di esse infatti, proprio
al fine specifico di consentire -in ogni tempo e non
solo nei
periodi elettorali- la più ampia
informazione del cittadino per formare la sua
consapevolezza
politica, si esplica la libertà di
espressione delle singole emittenti private.
Ed é in questa stessa prospettiva
che deve essere valutato se il c.d. pluralismo "esterno"
dell'emittenza privata sia
sufficiente a garantire, in ogni caso, la completezza e
l'obiettività
della comunicazione politica, o se
invece debbano concorrere ulteriori misure
sostanzialmente
ispirate al principio della parità
di accesso delle forze politiche e dei rispettivi
candidati,
tenendo presente che nei principali
Paesi europei la disciplina della comunicazione
politica, in
questi ultimi anni, si é orientata,
pur nell'inevitabile diversità dei criteri ispiratori,
su modelli
di regolazione degli spazi
radiotelevisivi caratterizzati in generale dalla regola
della parità di
chances.
2.1. In questo quadro, il primo
dubbio di costituzionalità che l'ordinanza di rimessione
solleva
riguarda l'obbligo imposto
dall'art. 2, comma 2, della legge censurata alle singole
emittenti di
predisporre appositi programmi di
"opinioni e valutazioni politiche", da organizzare in
forma
particolare, e nei quali deve
essere appunto assicurata la parità di accesso tra i
diversi soggetti
partecipanti.
A questo proposito va tenuto
presente che l'attuale sistema radiotelevisivo misto
pubblicoprivato
é governato dal cosiddetto
"principio della concessione" (sentenza n. 112 del
1993),
dal quale derivano, tra l'altro,
obblighi incidenti sull'esercizio dell'attività
radiotelevisiva,
come quelli, ad esempio, che
impongono alle emittenti private in ambito locale di
dedicare un
certo numero di ore settimanali
all'informazione su problematiche sociali (art. 5 della
legge 27
agosto 1993, n. 323), oppure quelli
che impongono alle emittenti private nazionali di
trasmettere quotidianamente i
telegiornali e di mandare in onda programmi per non meno
di
dodici ore giornaliere (art. 20
della legge n. 223 del 1990). Si tratta di obblighi di
facere, che
gravano sugli imprenditori privati
del settore, in quanto la concessione, per ciò che
riguarda
gli aspetti relativi ai controlli
sull'attività erogata e sull'organizzazione
dell'impresa,
"costituisce uno strumento di
ordinazione nei confronti di facoltà e di doveri
connessi alla
garanzia costituzionale della
libertà di manifestazione del pensiero e della libertà
di iniziativa
economica privata, nonchè ai
correlativi limiti posti a tutela di beni d'interesse
generale"
(sentenza n. 112 del 1993).
In questa ottica, quindi,
l'effettuazione di quelli che il giudice a quo definisce
«programmi
politici "paritari"» si concretizza
essenzialmente in un'attività che deve rispettare
precisi limiti
"modali", cioé inerenti alle
modalità di svolgimento di queste trasmissioni; limiti i
quali
attengono specificamente ai profili
organizzativo-imprenditoriali dell'iniziativa economica,
anzichè a quelli contenutistici
dell'attività di manifestazione del pensiero. Ed invero,
le norme
censurate prevedono l'obbligo di
predisporre nel quadro della programmazione -in
attuazione
del dovere di assicurare, in
condizioni di parità, a tutti i soggetti politici
l'"accesso"
all'informazione ed alla
comunicazione politica- specifiche e assai limitate nel
tempo
tipologie di trasmissioni ("tribune
politiche, dibattiti, tavole rotonde, presentazione in
contraddittorio di candidati e di
programmi politici, confronti, interviste e ogni altra
forma
nella quale assuma carattere
rilevante l'esposizione di opinioni e valutazioni
politiche"), nel
cui ambito deve essere
rigorosamente osservato il criterio della partecipazione
in
contraddittorio e del confronto
dialettico tra i soggetti intervenienti, secondo il
canone della
pari opportunità. Ma é un obbligo
che incide su modalità organizzative, che non toccano la
libertà di espressione, se non
sotto il profilo del dovere di osservanza di un
comportamento
neutrale ed imparziale.
Si tratta peraltro di doveri che
discendono dal prospettato regime di concessione,
ordinato
appunto alla regolazione di facoltà
e doveri a tutela di un interesse costituzionale
generale –
quale é appunto quello della
informazione e formazione consapevole della volontà del
cittadino-utente – in favore del
quale il legislatore ha risolto non irragionevolmente il
bilanciamento con la contrapposta
libertà di opinione delle singole emittenti private.
2.2. In ogni caso non é esatto
ritenere che in questo modo si pervenga -come sostiene
l'ordinanza di rimessione- ad
«espropriare in toto di ogni manifestazione "politica"
le
emittenti private». Ed infatti
l'art. 2, comma 2, della legge censurata, stabilendo
espressamente che le disposizioni
che regolano la comunicazione politica radiotelevisiva
"non
si applicano alla diffusione di
notizie nei programmi di informazione", preclude che in
questi
programmi, che certamente
costituiscono un momento ordinario, anche se tra i più
caratterizzanti dell'attività
radiotelevisiva, all'emittente possano essere imposti
limiti, che
derivino da motivi connessi alla
comunicazione politica. L'espressione "diffusione di
notizie"
va pertanto intesa, del resto
secondo un dato di comune esperienza, nella sua portata
più
ampia, comprensiva quindi della
possibilità di trasmettere notizie in un contesto
narrativoargomentativo
ovviamente risalente alla esclusiva
responsabilità della testata.
Tanto é sufficiente, quindi, ad
escludere ogni paventata forma di "funzionalizzazione"
del
mezzo radiotelevisivo o di
"espropriazione" della identità politica delle singole
emittenti
private ed a consentire invece ad
ognuna di esse di fare emergere, anche attraverso le
proprie
analisi e considerazioni di ordine
politico, l'immagine propria di un'impresa di tendenza.
Vero
é, a questo proposito, che durante
le campagne elettorali sono previsti, negli artt. 4 e 5,
criteri
limitativi sia in ordine alla
comunicazione politica radiotelevisiva, sia in ordine ai
programmi
di informazione: si tratta peraltro
di prescrizioni, che nella loro rigorosa previsione
appaiono
tutte ispirate dal ragionevole
intento di prevenire in ogni modo qualsiasi influenza,
anche "in
forma surrettizia", sulle libere e
consapevoli scelte degli elettori, in momenti
particolarmente
delicati della vita democratica del
Paese.
In considerazione di tutto ciò, non
é condivisibile l'affermazione del giudice a quo,
secondo
cui "l'esigenza di tutela del
processo di formazione della consapevolezza politica
dell'elettore"
sarebbe soddisfatta più
agevolmente, anzichè da una rigida disciplina di
settore, dal "libero
concorso di differenti voci
informative". Questa tesi evidentemente evoca il c.d.
pluralismo
"esterno", che certamente
costituisce uno degli "imperativi" elaborati dalla
giurisprudenza
costituzionale in materia; in
proposito, peraltro, va ricordato che esso non può dirsi
realizzato
per il solo fatto che vi sia
concorso fra un polo pubblico e un polo privato, il
quale detenga
una posizione dominante nel settore
dell’emittenza privata (sentenza n. 826 del 1988),
giacchè
in questo modo non si verifica
l’accesso al sistema radiotelevisivo del "massimo numero
possibile di voci diverse"
(sentenza n. 112 del 1993). Ma in ogni caso il
pluralismo esterno
può risultare insufficiente – in
una situazione in cui perdura la sostanziale limitazione
delle
emittenti – a garantire la
possibilità di espressione delle opinioni politiche
attraverso il mezzo
televisivo. Proprio a questo fine
le norme censurate, imponendo un ragionevole
bilanciamento
dei contrapposti interessi,
richiedono, nel caso di trasmissioni di comunicazione
politica,
modalità che assicurino il
pluralismo sostanziale mediante la garanzia della parità
di chances
offerta ai soggetti intervenienti.
3. Un'ulteriore censura riguarda
l'art. 7 della stessa legge, sotto il profilo della
disparità di
trattamento in danno del settore
radiotelevisivo, poichè per la stampa periodica non sono
previste limitazioni così incisive
in ordine alla propaganda elettorale.
La prospettata violazione dell'art.
3 della Costituzione però non sussiste, in quanto
emittenza
radiotelevisiva e stampa periodica
hanno regimi giuridici nettamente diversi -così da
impedire
l'individuazione di un tertium
comparationis adeguato- in relazione alle loro
differenti
caratteristiche: "nel settore della
stampa non c'é alcuna barriera all'accesso, mentre nel
settore
televisivo la non illimitatezza
delle frequenze, insieme alla considerazione della
particolare
forza penetrativa di tale specifico
strumento di comunicazione impone il ricorso al regime
concessorio" (sentenza n. 420 del
1994). In ogni caso la disomogeneità dei mezzi in
comparazione é tale da escludere
qualsiasi disparità di trattamento, poichè é noto e
costante,
nella giurisprudenza di questa
Corte, il riconoscimento della peculiare diffusività e
pervasività
del messaggio televisivo (sentenze
n. 225 del 1974, n. 148 del 1981, n. 826 del 1988), così
da
giustificare l'adozione, soltanto
nei confronti della emittenza radiotelevisiva, di una
rigorosa
disciplina capace di impedire
qualsiasi improprio condizionamento nella formazione
della
volontà degli elettori.
4. L'ultima censura, infine,
riguarda il diverso regime cui sono soggetti i "messaggi
politici
autogestiti", la cui trasmissione
durante le campagne elettorali, mentre per le emittenti
locali
prevede un rimborso da parte dello
Stato (cfr. art. 4, comma 5, della legge n. 28 del
2000),
deve invece essere gratuita per le
emittenti nazionali (cfr. art. 4, comma 3, lettera b
della
medesima legge), in violazione,
secondo l'ordinanza di rimessione, dell'art. 42 della
Costituzione, sotto il profilo che
"gli atti ablatori della proprietà privata postulino la
corresponsione di un indennizzo, il
quale non potrebbe non interessare anche l'ipotesi
dell'esproprio di spazi
radiotelevisivi privati".
Al riguardo va osservato che é del
tutto inesatto, in questo caso, il riferimento
all'"esproprio"
di spazi radiotelevisivi privati,
giacchè per le emittenti nazionali, esclusa la
concessionaria del
pubblico servizio, la trasmissione
dei predetti messaggi non rappresenta certo un obbligo,
ma
solo una scelta evidentemente
dipendente da complessive valutazioni di carattere
imprenditoriale intorno all'offerta
dei programmi. D'altra parte, stante la rilevante
differenza
di ordine fattuale e giuridico tra
emittenti ad ambito nazionale ed emittenti ad ambito
locale
ed in considerazione della
limitatezza delle risorse finanziarie disponibili per
queste ultime,
appare del tutto giustificata la
previsione di un rimborso da parte dello Stato delle
loro spese
per la trasmissione di messaggi
autogestiti.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni
di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5
e 7 della
legge 22 febbraio 2000, n. 28
(Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di
informazione
durante le campagne elettorali e
referendarie e per la comunicazione politica),
sollevate, in
riferimento agli artt. 3, 21 e 42
della Costituzione, dal Tribunale amministrativo
regionale del
Lazio con l'ordinanza indicata in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il
24 aprile
2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 7
maggio 2002.
3) Delibera Agcom n. 22/06/CSP,
Disposizioni applicative delle norme e dei principi
vigenti
in materia di comunicazione
politica e parità di accesso ai mezzi di informazione
nei periodi
non elettorali
Scheda
L’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni ha il compito di emanare le
disposizioni applicative delle
norme e dei principi vigenti in materia di
comunicazione politica e parità di
accesso ai mezzi di informazione nei periodi
non elettorali.
In particolare l’Agcom con la
delibera 22/06/CONS ha stabilito:
1. Trasmissioni di informazione e
approfondimento
Tutte le trasmissioni di
informazione, compresi i telegiornali, le rubriche e le
trasmissioni di approfondimento
devono rispettare i principi di completezza e
correttezza dell’informazione,
obiettività, equità, lealtà, imparzialità, pluralità dei
punti di vista e parità di
trattamento. Nei programmi di informazione e di
approfondimento l’equilibrio delle
presenze deve essere assicurato durante il ciclo
della trasmissione, dando, ove
possibile, preventiva notizia degli interventi
programmati.
2. Trasmissioni di intrattenimento
In tali trasmissioni va evitata la
presenza di esponenti politici, salvo che la
medesima sia dovuta alla
trattazione di argomenti per i quali è richiesta una
loro
particolare competenza e
responsabilità, ferma restando la libertà di
espressione, la
comunicazione e la satira non
devono assumere forme lesive della dignità della
persona.
Testo della delibera
L’AUTORITA’
NELLA riunione della Commissione
per i servizi e i prodotti del 1° febbraio 2006;
VISTO l’articolo 1, comma 6,
lettera b), nn. 1 e 9, della legge 31 luglio 1997, n.
249, recante
“Istituzione dell’Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle
telecomunicazioni e
radiotelevisivo”;
VISTA la legge 22 febbraio 2000, n.
28, recante "Disposizioni per la parità di accesso ai
mezzi di informazione durante le
campagne elettorali e referendarie per la comunicazione
politica", come modificata dalla
legge 6 novembre 2003, n. 313, ed, in particolare,
l’art. 2,
comma 1.
VISTA la delibera n.200/00/CSP
recante disposizioni di attuazione della disciplina in
materia
di comunicazione politica e di
parità di acceso ai mezzi di informazione nei periodi
non
elettorali.
VISTA la legge 6 novembre 2003, n.
313, recante "Disposizioni per l’attuazione del
principio
del pluralismo nella programmazione
delle emittenti radiofoniche e televisive locali”;
VISTO il decreto legislativo 31
luglio 2005, n. 177, recante “Testo unico della
radiotelevisione”;
CONSIDERATO che , ai sensi degli
articoli 3 e 7 del citato Testo unico, costituiscono
principi fondamentali del sistema
radiotelevisivo il pluralismo, l’obiettività, la
completezza, la
lealtà e l’imparzialità
dell’informazione , nonché l’apertura alle diverse
opinioni e tendenze
politiche e che, l’attività di
informazione radiotelevisiva, da qualunque emittente o
fornitore
di contenuti esercitata,
costituisce un servizio di interesse generale , che deve
garantire la
libera formazione delle opinioni e
l’accesso di tutti i soggetti politici alle trasmissioni
di
informazione e di propaganda
elettorale e politica in condizioni di parità di
trattamento e
imparzialità;
CONSIDERATO che l’Autorità è
chiamata dall’articolo 10, comma 1, del citato Testo
unico
ad assicurare il rispetto dei
diritti fondamentali della persona nel settore delle
comunicazioni
anche radiotelevisive;
RILEVATO, altresì, che il citato
art. 7, comma 3, del Testo unico prevede che l’Autorità
debba rendere effettiva
l’osservanza dei principi ivi stabiliti, nei programmi
di informazione
e di propaganda delle emittenti
radiotelevisive e dei fornitori di contenuti in ambito
nazionale;
VISTO l’Atto di indirizzo sulle
garanzie del pluralismo nel servizio pubblico
radiotelevisivo
approvato dalla Commissione
parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei
servizi
radiotelevisivi nella seduta
dell’11 marzo 2003, secondo il quale, in particolare:
“ 1. Tutte le trasmissioni di
informazione - dai telegiornali ai programmi di
approfondimento
- devono rispettate rigorosamente,
con la completezza dell’informazione, la pluralità dei
punti di vista e la necessità del
contraddittorio; ai direttori, ai conduttori, a tutti i
giornalisti
che operano nell’azienda
concessionaria del servizio pubblico, si chiede di
orientare la loro
attività al rispetto
dell’imparzialità, avendo come unico criterio quello di
fornire ai cittadini
utenti il massimo, di informazioni,
verificate e fondate, con il massimo della chiarezza….
2. La presenza di esponenti
politici nei programmi di intrattenimento, quando è
frequenze e
abituale, alimenta la sensazione
che il carattere pubblico del servizio consista nella
simbiosi
con la politica, Va quindi –
normalmente evitata, e deve – comunque – trovare
motivazione
nella particolare competenza e
responsabilità degli invitati su argomenti trattati nel
programma stesso, configurando una
finestra informativa nell’ambito del programma di
intrattenimento alla quale si
applica dunque la raccomandazione precedente….”;
CONSIDERATO che i principi di
pluralismo, obiettività, completezza, lealtà e
imparzialità
devono informare le trasmissioni di
informazione , da qualsiasi emittente o fornitore di
contenuti trasmesse;
RITENUTO di fare propria la citata
raccomandazione della Commissione parlamentare per
l’indirizzo generale e la vigilanza
dei servizi radiotelevisivi dell’11 marzo 2003 e di
estenderla alle emittenti
radiotelevisive nazionali private;
CONSIDERATO che, fatte salve le
norme legislative e regolamentari applicabili in periodo
elettorale, l’informazione e
l’approfondimento politico, in qualsiasi trasmissione
collocati,
devono conformarsi ai criteri di
imparzialità, equità, completezza, correttezza,
pluralità dei
punti di vista ed equilibrio delle
presenze, che deve essere garantito durante il ciclo del
programma; che, soprattutto in
periodo pre-elettorale , occorre garantire che, in caso
di
alterazione delle presenze, il
riequilibrio avvenga con sufficiente immediatezza in un
arco
temporale ristretto, comunque prima
dell’avvio della campagna elettorale;
CONSIDERATO che nelle trasmissioni
di intrattenimento va evitata la presenza di
esponenti politici, salvo che la
medesima sia dovuta alla trattazione di argomenti per i
quali è
richiesta una loro particolare
competenza e responsabilità; che, in tal caso, si
configura una
finestra informativa nell’ambito
del programma di intrattenimento, nella quale devono
essere
assicurati la parità di
trattamento, l’obiettività, la completezza e
l’imparzialità
dell’informazione.
CONSIDERATE l’opportunità e
l’urgenza di adottare disposizioni applicative dei
principi di
legge in materia di informazione
radiotelevisiva diffusa dalle emittenti radiofoniche e
televisive nazionali private a
integrazione e modificazione di quelle adottate con la
citata
delibera n.200/00/CSP;
UDITA la relazione del Commissario
Michele Lauria , relatore ai sensi dell’articolo 32 del
regolamento concernente
l’organizzazione ed il funzionamento dell’Autorità;
DELIBERA
Articolo 1
(Finalità e ambito di applicazione)
1 Le disposizioni di cui al
presente provvedimento, in attuazione dell’art. 7, comma
3, del
decreto legislativo 31 luglio 2005,
n. 177, stabiliscono i criteri ai quali le trasmissioni
di
informazione, gli spazi di
informazione e approfondimento e le altre trasmissioni
nei casi di
cui all’articolo 3, diffusi dalle
emittenti radiofoniche e televisive nazionali private,
devono
attenersi nel periodo non
elettorale per assicurare il rispetto dei principi di
pluralismo,
obiettività, completezza, lealtà e
imparzialità dell’informazione previsti dalla legge .
Articolo 2
(Trasmissioni di informazione e
approfondimento)
1. Tutte le trasmissioni di
informazione, compresi i telegiornali , le rubriche e le
trasmissioni
di approfondimento devono
rispettare i principi di completezza e correttezza
dell’informazione, obiettività,
equità, lealtà, imparzialità, pluralità dei punti di
vista e parità
di trattamento.
2. Nei programmi di informazione e
di approfondimento l’equilibrio delle presenze deve
essere assicurato durante il ciclo
della trasmissione, dando, ove possibile, preventiva
notizia
degli interventi programmati.
3. Nel periodo pre-elettorale
l’equilibrio delle presenze deve essere osservato con
particolare
cura in modo da assicurare , con
imparzialità ed equità , l’accesso a tutti i soggetti
politici
nonché la parità di trattamento
nell’esposizione delle proprie opinioni e posizioni
politiche,
realizzando l’equilibrio tra i
diversi schieramenti. In caso di alterazione di
quest’ultimo , il
riequilibrio deve avvenire in una
trasmissione omogenea, ove possibile della stessa serie
e
nella stessa fascia oraria,
immediatamente successiva e, comunque, prima della
convocazione dei comizi elettorali.
4. Ai fini del presente
provvedimento i soggetti politici sono individuati come
segue:
a) le forze politiche che
costituiscono un autonomo gruppo in almeno un ramo del
Parlamento
nazionale;
b) le forze politiche che , pur non
costituendo un autonomo gruppo in uno dei due rami del
Parlamento nazionale, siano
rappresentate nel Parlamento europeo.
5. Ai fini del presente
provvedimento il periodo pre-elettorale va dal
trentesimo giorno
precedente la data prevista per la
convocazione dei comizi elettorali fino a quest’ultima.
6. Nelle trasmissioni di cui al
presente articolo i registi ed i conduttori sono tenuti
ad un
comportamento corretto ed
imparziale nella gestione del programma - anche in
rapporto alle
modalità di partecipazione e
selezione del pubblico – così da non influire sulla
libera
formazione delle opinioni da parte
degli ascoltatori. Nel periodo pre-elettorale non sono
consentiti interventi video o audio
in diretta, non preannunciati all’inizio della
trasmissione.
Resta salva per l’emittente la
libertà di commento e di critica che, in chiara
distinzione tra
informazione e opinione,
salvaguardi comunque il rispetto della persona.
7. I criteri di cui al presente
articolo devono essere rispettati all’interno di
ciascuna rete o
testata giornalistica.
Articolo 3
(Altre trasmissioni)
1. Negli spazi di informazione e
approfondimento politico, in qualsiasi trasmissione
collocati,
si applicano le disposizioni del
precedente articolo 2 .
2. Nelle trasmissioni di
intrattenimento va evitata la presenza di esponenti
politici, salvo che
la medesima sia dovuta alla
trattazione di argomenti per i quali è richiesta una
loro particolare
competenza e responsabilità. In tal
caso si configura uno spazio informativo nell’ambito del
programma , per il quale valgono le
disposizioni del precedente articolo 2.
3. Nelle trasmissioni di
intrattenimento, ferma restando la libertà di
espressione, la
comunicazione e la satira non
devono assumere forme lesive della dignità della
persona.
Articolo 4
(Adeguamento)
1. Le emittenti radiotelevisive
nazionali sono tenute al rispetto delle disposizioni
dettate dal
presente provvedimento, attraverso
l’immediato adeguamento della propria programmazione
ai principi dal medesimo stabiliti
e attraverso i conseguenti comportamenti .
2. L’Autorità verifica l’osservanza
di quanto disposto dal presente provvedimento anche
attraverso il monitoraggio dei
programmi
3. Ove l’Autorità accerti
l’inosservanza di quanto prescritto dal presente
provvedimento
irroga ai soggetti responsabili, se
necessario previa diffida, le sanzioni amministrative
previste dall’art. 1, commi 31 e 32
della legge 31 luglio 1997, n. 249, e adotta le misure
ripristinatorie di cui all’articolo
10, commi 3 ed 8, della legge 22 febbraio 2000, n. 28.
Il presente provvedimento entra in
vigore nei confronti di ciascuna emittente radiofonica e
televisiva nazionale privata dalla
data della notifica.
Il presente provvedimento è
trasmesso alla Commissione parlamentare per l’indirizzo
generale e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
della
Repubblica Italiana.
Napoli, 1° febbraio 2006
IL COMMISSARIO RELATORE
Michele Lauria
IL PRESIDENTE
Corrado Calabrò
Per attestazione di conformità a
quanto
deliberato
IL SEGRETARIO GENERALE
Roberto Viola
4) Delibera Agcom n. 80/11/CSP,
Disposizioni di attuazione della disciplina in materia
di
comunicazione politica e di parità
di accesso ai mezzi di informazione relative alle
campagne
per le elezioni provinciali e
comunali fissate per i giorni 15 e 16 maggio 2011
Scheda
La legge sulla par condicio,
prevede che in occasione di ogni singola consultazione
elettorale, la Commissione e
l’Agcom provvedono ad emanare specifici regolamenti.
L’Agcom nel corso del 2011 ha
adottato la delibera n. 80/11/CSP in base alla sono
state adottate, in attuazione della
legge 22 febbraio 2000, n. 28, come modificata dalla
legge 6 novembre 2003, n. 313, in
materia di disciplina dell’accesso ai mezzi di
informazione, finalizzate a dare
concreta attuazione ai principi del pluralismo,
dell’imparzialità,
dell’indipendenza, dell’obiettività e della completezza
del sistema
radiotelevisivo, nonché ai diritti
riconosciuti ai soggetti politici dagli articoli 4 e 5
della legge 22 febbraio 2000, n.
28, le disposizioni da seguire per le elezioni
amministrative 2011.
In particolare sono state dettate
le disposizioni sul riparto degli spazi di
comunicazione politica; sulle
modalità di trasmissione dei messaggi politici
autogestiti a titolo gratuito; sui
programmi di informazione trasmessi sulle emittenti
nazionali; sui programmi di
comunicazione politica; sui sondaggi politici ed
elettorali
Testo della delibera
L’AUTORITA’
NELLA riunione della Commissione
per i servizi e i prodotti del 29 marzo 2011;
VISTO l’articolo 1, comma 6,
lettera b), n. 9, della legge 31 luglio 1997, n. 249,
recante
“Istituzione dell’Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle
telecomunicazioni e
radiotelevisivo”;
VISTA la legge 10 dicembre 1993, n.
515, recante "Disciplina delle campagne elettorali per
l’elezione alla Camera dei deputati
e al Senato della Repubblica", e successive
modificazioni;
VISTA la legge 22 febbraio 2000, n.
28, recante "Disposizioni per la parità di accesso ai
mezzi di informazione durante le
campagne elettorali e referendarie e per la
comunicazione
politica", come modificata dalla
legge 6 novembre 2003, n. 313;
VISTA la legge 6 novembre 2003, n.
313, recante "Disposizioni per l’attuazione del
principio
del pluralismo nella programmazione
delle emittenti radiofoniche e televisive locali”;
VISTO il decreto del Ministro delle
comunicazioni 8 aprile 2004, che emana il Codice di
autoregolamentazione ai sensi della
legge 6 novembre 2003, n. 313;
VISTA la legge 20 luglio 2004, n.
215, recante “Norme in materia di risoluzione dei
conflitti
di interessi”, come modificata
dalla legge 5 novembre 2004, n. 261;
VISTO il decreto legislativo 31
luglio 2005, n. 177, come modificato dal decreto
legislativo
15 marzo 2010, n. 44, recante
“Testo unico dei servizi di media audiovisivi e
radiofonici”, ed,
in particolare, l’articolo 7;
VISTA la delibera n. 256/10/CSP del
9 dicembre 2010, recante il “Regolamento in materia di
pubblicazione e diffusione dei
sondaggi sui mezzi di comunicazione di massa”;
VISTA la legislazione nazionale e
regionale che disciplina le consultazioni provinciali e
comunali programmate nel 2011, e ,
in particolare, la legge 25 marzo 1993, n. 81, relativa
all’elezione diretta del Sindaco,
del Presidente della provincia e dei consigli comunali e
provinciali, e lo statuto e le
leggi della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia 9
marzo
1995, n. 14, 21 aprile 1999, n. 10,
10 maggio 1999, n.13 e 15 marzo 2001, n. 9, relative
alle
consultazioni amministrative;
VISTI la legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 4, recante lo Statuto speciale della
Regione
Autonoma Valle d’Aosta, e
successive modificazioni, e la legge della Regione
Autonoma
Valle d’Aosta 9 febbraio 1995, n.
4, recante “Elezione diretta del Sindaco, del Vice
sindaco e
del consiglio comunale”, e
successive modificazioni;
TENUTO CONTO che per domenica 15 e
lunedì 16 maggio 2011 è previsto lo svolgimento
delle elezioni per il rinnovo di
numerose amministrazioni provinciali e comunali che
interessano oltre un quarto del
corpo elettorale, il cui elenco è reso disponibile sul
sito web
dell’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni: www.agcom.it;
EFFETTUATE le consultazioni con la
Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la
vigilanza dei servizi
radiotelevisivi, previste dalla legge 22 febbraio 2000,
n. 28;
UDITA la relazione dei Commissari
Michele Lauria e Antonio Martusciello , relatori ai
sensi
dell’articolo 29 del regolamento
concernente l’organizzazione ed il funzionamento
dell’Autorità;
DELIBERA
TITOLO I
DISPOSIZIONI GENERALI
Articolo 1
(Finalità e ambito di applicazione)
1. Le disposizioni di cui al
presente provvedimento, in attuazione della legge 22
febbraio
2000, n. 28, come modificata dalla
legge 6 novembre 2003, n. 313, in materia di disciplina
dell’accesso ai mezzi di
informazione, finalizzate a dare concreta attuazione ai
principi del
pluralismo, dell’imparzialità,
dell’indipendenza, dell’obiettività e della completezza
del
sistema radiotelevisivo, nonché ai
diritti riconosciuti ai soggetti politici dagli articoli
4 e 5
della legge 22 febbraio 2000, n.
28, si riferiscono alle consultazioni per le elezioni
dei
Presidenti delle Province e dei
consigli Provinciali e per le elezioni dei Sindaci e dei
consigli
comunali fissate per i giorni 15 e
16 maggio 2011 e si applicano nei confronti delle
emittenti
che esercitano l’attività di
radiodiffusione televisiva e sonora privata e della
stampa
quotidiana e periodica. L’elenco
delle province e dei comuni interessati dalle
consultazioni
elettorali è reso disponibile sul
sito web dell’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni:
www.agcom.it.
2. In caso di coincidenza
territoriale e temporale, anche parziale, della campagna
elettorale di
cui alla presente delibera con
altre consultazioni elettorali referendarie, saranno
applicate le
disposizioni di attuazione della
legge 22 febbraio 2000, n. 28 relative a ciascun tipo di
consultazione.
3. Le disposizioni di cui al
presente provvedimento non si applicano ai programmi e
alle
trasmissioni destinati ad essere
trasmessi esclusivamente in ambiti territoriali nei
quali non è
prevista alcuna consultazione
elettorale di cui al precedente comma 1.
TITOLO II
RADIODIFFUSIONE SONORA E TELEVISIVA
CAPO I
DISCIPLINA DELLE TRASMISSIONI
DELLE EMITTENTI NAZIONALI
Articolo 2
(Riparto degli spazi di
comunicazione politica)
1. Ai fini del presente Capo I, in
applicazione della legge 22 febbraio 2000, n. 28, nel
periodo
intercorrente tra la data di
convocazione dei comizi elettorali e la data di chiusura
delle
campagne elettorali, gli spazi che
ciascuna emittente televisiva o radiofonica nazionale
privata
dedica alla comunicazione politica
riferita alle consultazioni elettorali nelle forme
previste
dall'articolo 4, comma 1, della
legge 22 febbraio 2000, n. 28, sono garantiti:
I) nel periodo intercorrente tra la
data di convocazione dei comizi elettorali e la data di
presentazione delle candidature:
a) nei confronti delle forze
politiche che costituiscono Gruppo in almeno un ramo del
Parlamento nazionale; per i Gruppi
parlamentari composti da forze politiche distinte, o
rappresentate da sigle diverse, il
Presidente del Gruppo individua, secondo criteri che
contemperino le esigenze di
rappresentatività con quelle di pariteticità, le forze
politiche che
di volta in volta rappresenteranno
il Gruppo;
b) nei confronti del Gruppo Misto
della Camera dei deputati e del Gruppo Misto del Senato
della Repubblica, intesi come unico
soggetto, i cui Presidenti individuano, d’intesa fra
loro,
secondo criteri che contemperino le
esigenze di rappresentatività con quelle di
pariteticità, le
forze politiche diverse da quelle
di cui alle lettere c) e d), che di volta in volta
rappresenteranno i due Gruppi;
c) nei confronti delle forze
politiche, diverse da quelle di cui alla lettera a) e
b), che hanno
eletto con proprio simbolo almeno
due rappresentanti dell’Italia al Parlamento europeo.
d) nei confronti delle forze
politiche diverse da quelle di cui alle lettere a), b) e
c), che hanno
eletto con proprio simbolo almeno
un rappresentante nel Parlamento nazionale e che sono
oggettivamente riferibili ad una
delle minoranze linguistiche indicate nell’articolo 2
della
legge 15 dicembre 1999, n. 482.
Negli spazi di comunicazione
politica di cui al presente comma, il tempo disponibile
è
ripartito tra i soggetti aventi
diritto per il cinquanta per cento in proporzione alla
consistenza
dei soggetti di cui all’articolo 2,
lett. a) e per il restante cinquanta per cento
in modo paritario tra tutti i
soggetti di cui all’articolo 2.
II) Nel periodo intercorrente tra
la data di presentazione delle candidature e quella di
chiusura
delle campagne elettorali, con
criterio paritario, nei confronti dei soggetti politici
che
presentano liste di candidati per i
Consigli provinciali e per i Consigli comunali dei
comuni
capoluogo di provincia presenti in
tanti ambiti territoriali da interessare almeno un
quarto
degli elettori, su base nazionale,
chiamati alle consultazioni.
2. In rapporto al numero dei
partecipanti e agli spazi disponibili, il principio
delle pari
opportunità tra gli aventi diritto
può essere realizzato, oltre che nell’ambito della
medesima
trasmissione, anche nell’ambito di
un ciclo di più trasmissioni, purchè ciascuna di queste
abbia analoghe opportunità di
ascolto. E’ altresì possibile realizzare trasmissioni
anche
mediante la partecipazione di
giornalisti che rivolgono domande ai partecipanti. In
ogni caso
la ripartizione degli spazi nelle
trasmissioni di comunicazione politica nei confronti dei
soggetti politici aventi diritto
deve essere effettuata su base settimanale, garantendo
l’applicazione dei principi di
equità e di parità di trattamento, e procedendo comunque
entro
la settimana successiva alle
compensazioni che dovessero eccezionalmente rendersi
necessarie. Ove possibile, tali
trasmissioni sono diffuse con modalità che ne consentano
la
fruizione anche ai non udenti.
3. L’eventuale assenza di un
soggetto politico non pregiudica l’intervento nelle
trasmissioni
degli altri soggetti, anche nella
medesima trasmissione, ma non determina un aumento del
tempo ad essi spettante. Nelle
trasmissioni interessate è fatta menzione della
rinuncia.
4. Le trasmissioni di comunicazione
politica sono collocate in contenitori con cicli a
cadenza
quindicinale dalle emittenti
televisive nazionali all’interno della fascia oraria
compresa tra le
ore 7:00 e le ore 24:00 e dalle
emittenti radiofoniche nazionali all’interno della
fascia oraria
compresa tra le ore 7:00 e le ore
1:00 del giorno successivo.
5. I calendari delle trasmissioni
di cui al presente articolo sono tempestivamente
comunicati,
anche a mezzo telefax, all’Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni. Le eventuali
variazioni dei predetti calendari
sono tempestivamente comunicati all’Autorità.
6. La responsabilità delle
trasmissioni di cui al presente articolo deve essere
ricondotta a
quella di specifiche testate
giornalistiche registrate ai sensi dell’articolo 32-
quinquies, comma
1, del decreto legislativo 31
luglio 2005, n. 177.
7. Le trasmissioni di cui al
presente articolo sono sospese dalla mezzanotte
dell’ultimo giorno
precedente le votazioni.
Articolo 3
(Modalità di trasmissione dei
messaggi politici autogestiti a titolo gratuito)
1. Nel periodo intercorrente tra la
data di presentazione delle candidature e quella di
chiusura
di ciascuna campagna elettorale, le
emittenti radiofoniche e televisive nazionali private
possono trasmettere messaggi
politici autogestiti a titolo gratuito per la
presentazione non in
contraddittorio di liste e
programmi.
2. Per la trasmissione dei messaggi
politici autogestiti a titolo gratuito le emittenti di
cui
all’articolo 3, comma 1, osservano
le seguenti modalità, stabilite sulla base dei criteri
fissati
dall'articolo 4, comma 3, della
legge 22 febbraio 2000, n. 28:
a) il numero complessivo dei
messaggi è ripartito secondo quanto previsto dal
all’articolo 2,
comma 1, numero II; i messaggi sono
trasmessi a parità di condizioni tra i soggetti
politici,
anche con riferimento alle fasce
orarie;
b) i messaggi sono organizzati in
modo autogestito e devono avere una durata sufficiente
alla
motivata esposizione di un
programma o di una opinione politica, comunque compresa,
a
scelta del richiedente, fra uno e
tre minuti per le emittenti televisive e fra trenta e
novanta
secondi per le emittenti
radiofoniche;
c) i messaggi non possono
interrompere altri programmi, né essere interrotti,
hanno una
autonoma collocazione nella
programmazione e sono trasmessi in appositi contenitori,
fino a
un massimo di quattro contenitori
per ogni giornata di programmazione. I contenitori,
ciascuno comprensivo di almeno tre
messaggi, sono collocati uno per ciascuna delle seguenti
fasce orarie, progressivamente a
partire dalla prima: prima fascia 18:00 – 19:59; seconda
fascia 14:00 – 15:59; terza fascia
22:00 – 23:59; quarta fascia 9:00 – 10:59;
d) i messaggi non sono computati
nel calcolo dei limiti di affollamento pubblicitario
previsti
dalla legge;
e) ciascun messaggio può essere
trasmesso una sola volta in ciascun contenitore;
f) nessun soggetto politico può
diffondere più di due messaggi in ciascuna giornata di
programmazione sulla stessa
emittente;
g) ogni messaggio reca la dicitura
"messaggio autogestito" con l'indicazione del soggetto
politico committente.
Articolo 4
(Comunicazioni delle emittenti
nazionali e dei soggetti politici)
1. Entro il quinto giorno
successivo alla data di convocazione dei comizi
elettorali, le
emittenti che intendono trasmettere
messaggi politici autogestiti a titolo gratuito:
a) rendono pubblico il loro
intendimento mediante un comunicato da trasmettere
almeno una
volta nella fascia di maggiore
ascolto. Nel comunicato l'emittente nazionale informa i
soggetti
politici che presso la sua sede, di
cui viene indicato l’indirizzo, il numero telefonico e
la
persona da contattare, è depositato
un documento, che può essere reso disponibile anche nel
sito web dell’emittente,
concernente la trasmissione dei messaggi, il numero
massimo dei
contenitori predisposti, la
collocazione nel palinsesto, gli standard tecnici
richiesti e il termine
di consegna per la trasmissione del
materiale autoprodotto. A tale fine, le emittenti
possono
anche utilizzare il modello
MAG/1/EPC, reso disponibile nel sito web dell’Autorità
per le
garanzie nelle comunicazioni:
www.agcom.it;
b) inviano, anche a mezzo telefax,
all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il
documento di cui alla lettera a),
nonché possibilmente con almeno cinque giorni di
anticipo,
ogni variazione successiva del
documento stesso con riguardo al numero dei contenitori
e alla
loro collocazione nel palinsesto. A
quest’ultimo fine, le emittenti possono anche utilizzare
il
modello MAG/2/EPC, reso disponibile
nel predetto sito web dell’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni.
2. Fino al giorno precedente la
data di presentazione delle candidature i soggetti
politici
interessati a trasmettere messaggi
autogestiti comunicano alle emittenti e alla stessa
Autorità
per le garanzie nelle
comunicazioni, anche a mezzo telefax, le proprie
richieste, indicando il
responsabile elettorale e i
relativi recapiti, la durata dei messaggi, nonché
dichiarando di
presentare candidature in collegi o
circoscrizioni che interessino almeno il quarto degli
elettori chiamati alle
consultazioni. A tale fine, può anche essere utilizzato
il modello
MAG/3/EPC, reso disponibile nel
predetto sito web dell’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni.
Articolo 5
(Sorteggio e collocazione dei
messaggi politici autogestiti a titolo gratuito)
1. La collocazione dei messaggi
all'interno dei singoli contenitori previsti per il
primo giorno
avviene con sorteggio unico nella
sede dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni,
alla
presenza di un funzionario della
stessa.
2. La collocazione nei contenitori
dei giorni successivi viene determinata secondo un
criterio
di rotazione a scalare di un posto
all'interno di ciascun contenitore, in modo da
rispettare il
criterio di parità di presenze
all'interno delle singole fasce.
Articolo 6
(Programmi di informazione
trasmessi sulle emittenti nazionali)
1. Sono programmi di informazione i
telegiornali, i giornali radio, i notiziari e ogni altro
programma di contenuto informativo,
a rilevante presentazione giornalistica, caratterizzato
dalla correlazione ai temi
dell’attualità e della cronaca.
2. Nel periodo di vigenza della
presente delibera, tenuto conto del servizio di
interesse
generale dell’attività di
informazione radiotelevisiva, i notiziari diffusi dalle
emittenti
televisive e radiofoniche nazionali
e tutti gli altri programmi a contenuto informativo,
riconducibili alla responsabilità
di una specifica testata registrata ai sensi di legge,
si
conformano con particolare rigore
ai principi di tutela del pluralismo, dell’imparzialità,
dell’indipendenza, della
obiettività e dell’apertura alle diverse forze
politiche.
3. I direttori responsabili dei
programmi di cui al presente articolo, nonché i loro
conduttori e
registi devono assicurare in
maniera particolarmente rigorosa condizioni oggettive di
parità di
trattamento , fondate sui dati del
monitoraggio del pluralismo, al fine di consentire
l’esposizione di opinioni e
posizioni politiche, e devono assicurare ogni cautela
atta ad evitare
che si determinino situazioni di
vantaggio per determinate forze politiche o determinati
competitori elettorali. A tal fine
i direttori responsabili dei notiziari sono tenuti
settimanalmente ad acquisire i dati
del monitoraggio del pluralismo relativi alla testata
diretta
e a correggere eventuali disparità
di trattamento verificatesi nella settimana precedente.
Essi,
inoltre, curano gli utenti non
siano oggettivamente nella condizione di poter
attribuire, in base
alla conduzione del programma,
specifici orientamenti politici ai conduttori o alla
testata e
che nei notiziari propriamente
detti, non si determini un uso ingiustificato di riprese
con
presenza diretta di membri del
Governo, o di esponenti politici.
4. I telegiornali devono
rispettare, con la completezza dell’informazione, la
pluralità dei punti
di vista. I direttori, i
conduttori, i giornalisti devono orientare la loro
attività al rispetto
dell’imparzialità, avendo come
unico criterio quello di fornire ai cittadini il massimo
di
informazioni, verificate e fondate,
con il massimo della chiarezza.
5. Il rispetto delle condizioni di
cui al presente articolo e il ripristino di eventuali
squilibri
accertati, è assicurato anche
d’ufficio dall’Autorità che persegue le relative
violazioni secondo
quanto previsto dalle norme
vigenti.
6. In tutte le trasmissioni
radiotelevisive diverse da quelle di comunicazione
politica, dai
messaggi politici autogestiti e dai
programmi di informazione ricondotti sotto la
responsabilità
di specifiche testate
giornalistiche registrate ai sensi di legge, non è
ammessa, ad alcun titolo,
la presenza di candidati o di
esponenti politici e non possono essere trattati temi di
evidente
rilevanza politica ed elettorale né
che riguardino vicende o fatti personali di personaggi
politici.
7. In qualunque trasmissione
radiotelevisiva, diversa da quelle di comunicazione
politica e dai
messaggi politici autogestiti, è
vietato fornire, anche in forma indiretta, indicazioni
di voto o
manifestare le proprie preferenze
di voto.
Articolo 7
(Illustrazione delle modalità di
voto)
1. Nei trenta giorni precedenti il
voto le emittenti radiotelevisive nazionali private
illustrano le
principali caratteristiche delle
elezioni provinciali e comunali di cui al presente
provvedimento, con particolare
riferimento al sistema elettorale e alle modalità di
espressione
del voto, ivi comprese le speciali
modalità di voto previste per gli elettori diversamente
abili e
per quelli intrasportabili.
CAPO II
DISCIPLINA DELLE TRASMISSIONI
DELLE EMITTENTI LOCALI
Articolo 8
(Programmi di comunicazione
politica)
1. I programmi di comunicazione
politica, come definiti all'articolo 2, comma 1, lettera
c), del
codice di autoregolamentazione di
cui al decreto del Ministro delle comunicazioni 8 aprile
2004, che le emittenti televisive e
radiofoniche locali intendono trasmettere tra l’entrata
in
vigore della presente delibera e la
chiusura delle campagne elettorali devono consentire una
effettiva parità di condizioni tra
i soggetti politici competitori, anche con riferimento
alle
fasce orarie e al tempo di
trasmissione.
2. La parità di condizioni di cui
al comma 1 deve essere garantita nei due distinti
periodi in
cui si articola la campagna
elettorale tra i seguenti soggetti politici: I) nel
periodo
intercorrente tra la data di
convocazione dei comizi elettorali e la data di
presentazione delle
candidature:
a) nei confronti delle forze
politiche che costituiscono un autonomo gruppo nei
Consigli
provinciali o nei Consigli comunali
da rinnovare;
b) nei confronti delle forze
politiche diverse da quelle della lettera a), presenti
in uno dei due
rami del Parlamento nazionale o che
hanno eletto, con proprio simbolo, almeno due
rappresentanti italiani al
Parlamento europeo.
II) Nel periodo intercorrente tra
la data di presentazione delle candidature e quella di
chiusura
della campagna elettorale:
a) nei confronti delle liste o
delle coalizioni di liste collegate alla carica di
Presidente della
Provincia o di Sindaco nei comuni
da rinnovare;
b) nei confronti delle forze
politiche che presentano liste di candidati per
l’elezione dei
Consigli provinciali e per i
Consigli comunali in comuni capoluogo di provincia.
3. L’eventuale assenza di un
soggetto politico non pregiudica l’intervento nelle
trasmissioni
degli altri soggetti, ma non
determina un aumento del tempo ad essi spettante. In
tali casi, nel
corso della trasmissione è fatta
esplicita menzione delle predette assenze.
4. Le trasmissioni di comunicazione
politica sono collocate in contenitori con cicli a
cadenza
quindicinale dalle emittenti
televisive locali all’interno della fascia oraria
compresa tra le ore
7:00 e le ore 24:00 e dalle
emittenti radiofoniche locali all’interno della fascia
oraria
compresa tra le ore 7:00 e le ore
1:00 del giorno successivo, in modo a garantire
l’applicazione dei princìpi di
equità e di parità di trattamento tra i soggetti
politici anche
attraverso analoghe opportunità di
ascolto. I calendari delle predette trasmissioni sono
comunicati almeno sette giorni
prima, anche a mezzo telefax, al competente Comitato
regionale per le comunicazioni o,
ove non costituito, al Comitato regionale per i servizi
radiotelevisivi, che ne informa
l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Le
eventuali
variazioni dei predetti calendari
sono tempestivamente comunicate al predetto organo, che
ne
informa l’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni. Ove possibile, tali trasmissioni
sono
diffuse con modalità che ne
consentano la fruizione anche ai non udenti.
5. E’ possibile realizzare
trasmissioni di comunicazione politica anche mediante la
partecipazione di giornalisti che
rivolgono domande ai partecipanti, assicurando,
comunque,
imparzialità e pari opportunità nel
confronto tra i soggetti politici.
6. Le trasmissioni di cui al
presente articolo sono sospese dalla mezzanotte del
secondo giorno
precedente le votazioni.
Articolo 9
(Messaggi politici autogestiti a
titolo gratuito)
1. Nel periodo intercorrente tra la
data di presentazione delle candidature e quella di
chiusura
delle campagne elettorali, le
emittenti radiofoniche e televisive locali possono
trasmettere
messaggi politici autogestiti a
titolo gratuito per la presentazione non in
contraddittorio di liste
e programmi.
2. Per la trasmissione dei messaggi
politici di cui al comma 1 le emittenti radiofoniche e
televisive locali osservano le
seguenti modalità, stabilite sulla base dei criteri
fissati
dall'articolo 4, comma 3, della
legge 22 febbraio 2000, n. 28:
a) il numero complessivo dei
messaggi è ripartito secondo quanto previsto
all’articolo 8,
comma 2, numero II; i messaggi sono
trasmessi a parità di condizioni tra i soggetti
politici,
anche con riferimento alle fasce
orarie;
b) i messaggi sono organizzati in
modo autogestito e devono avere una durata sufficiente
alla
motivata esposizione di un
programma o di una opinione politica, comunque compresa,
a
scelta del richiedente, fra uno e
tre minuti per le emittenti televisive e fra trenta e
novanta
secondi per le emittenti
radiofoniche;
c) i messaggi non possono
interrompere altri programmi, né essere interrotti,
hanno una
autonoma collocazione nella
programmazione e sono trasmessi in appositi contenitori,
fino a
un massimo di quattro contenitori
per ogni giornata di programmazione. I contenitori,
ciascuno comprensivo di almeno tre
messaggi, sono collocati uno per ciascuna delle seguenti
fasce orarie, progressivamente a
partire dalla prima: prima fascia 18:00 – 19:59; seconda
fascia 12:00 – 14:59; terza fascia
21:00 – 23:59; quarta fascia 7:00 – 8:59;
d) i messaggi non sono computati
nel calcolo dei limiti di affollamento pubblicitario
previsti
dalla legge;
e) nessun soggetto politico può
diffondere più di due messaggi in ciascuna giornata di
programmazione sulla stessa
emittente;
f) ogni messaggio per tutta la sua
durata reca la dicitura "messaggio elettorale gratuito"
con
l'indicazione del soggetto politico
committente.
Articolo 10
(Comunicazioni delle emittenti
locali e dei soggetti politici
relative ai messaggi politici
autogestiti a titolo gratuito)
1. Entro il quinto giorno
successivo alla data di convocazione dei comizi
elettorali, le
emittenti radiofoniche e televisive
locali che trasmettono messaggi politici autogestiti a
titolo
gratuito:
a) rendono pubblico il loro
intendimento mediante un comunicato da trasmettere
almeno una
volta nella fascia di maggiore
ascolto. Nel comunicato l'emittente locale informa i
soggetti
politici che presso la sua sede, di
cui viene indicato l’indirizzo, il numero telefonico e
la
persona da contattare, è depositato
un documento, che può essere reso disponibile anche sul
sito web dell’emittente,
concernente la trasmissione dei messaggi, il numero
massimo dei
contenitori predisposti, la
collocazione nel palinsesto, gli standard tecnici
richiesti e il termine
di consegna per la trasmissione del
materiale autoprodotto. A tale fine, le emittenti
possono
anche utilizzare i modelli
MAG/1/EPC resi disponibili nel sito web dell’Autorità
per le
garanzie nelle comunicazioni:
www.agcom.it;
b) inviano, anche a mezzo telefax,
al competente Comitato regionale per le comunicazioni o,
ove non costituito, al Comitato
regionale per i servizi radiotelevisivi, che ne informa
l’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni, il documento di cui alla lettera a),
nonché,
possibilmente con almeno cinque
giorni di anticipo, ogni variazione apportata
successivamente al documento stesso
con riguardo al numero dei contenitori e alla loro
collocazione nel palinsesto. A
quest’ultimo fine, le emittenti possono anche utilizzare
i
modelli MAG/2/EPC resi disponibili
nel predetto sito web dell’Autorità per le garanzie
nelle
comunicazioni.
2. Fino al giorno di presentazione
delle candidature, i soggetti politici interessati a
trasmettere
i suddetti messaggi autogestiti
comunicano, anche a mezzo telefax, alle emittenti e ai
competenti Comitati regionali per
le comunicazioni o, ove non costituiti, ai Comitati
regionali
per i servizi radiotelevisivi, che
ne informano l’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni,
le proprie richieste, indicando il
responsabile elettorale e i relativi recapiti, la durata
dei
messaggi, nonché dichiarando di
presentare candidature in collegi o circoscrizioni che
interessino almeno un quarto degli
elettori chiamati alle consultazioni. A tale fine,
possono
anche essere utilizzati i modelli
MAG/3/EPC resi disponibili nel predetto sito web
dell’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni.
Articolo 11
(Numero complessivo dei messaggi
politici autogestiti a titolo gratuito)
1. L'Autorità, ove non diversamente
regolamentato, approva la proposta del competente
Comitato regionale per le
comunicazioni o, ove non costituito, del Comitato
regionale per i
servizi radiotelevisivi, ai fini
della fissazione del numero complessivo dei messaggi
autogestiti gratuiti da ripartire
tra i soggetti politici richiedenti, in relazione alle
risorse
disponibili previste dal decreto
del Ministro delle comunicazioni adottato di concerto
con il
Ministro dell’economia e delle
finanze e concernente la ripartizione tra le regioni e
le
province autonome di Trento e
Bolzano della somma stanziata per l’anno 2011.
Articolo 12
(Sorteggi e collocazione dei
messaggi politici autogestiti a titolo gratuito)
1. La collocazione dei messaggi
all'interno dei singoli contenitori previsti per il
primo giorno
avviene con sorteggio unico nella
sede del Comitato regionale per le comunicazioni o, ove
non costituito, del Comitato
regionale per i servizi radiotelevisivi, nella cui area
di
competenza ha sede o domicilio
eletto l’emittente che trasmetterà i messaggi, alla
presenza di
un funzionario dello stesso.
2. La collocazione nei contenitori
dei giorni successivi viene determinata, sempre alla
presenza di un funzionario del
Comitato di cui al comma 1, secondo un criterio di
rotazione a
scalare di un posto all'interno di
ciascun contenitore, in modo da rispettare il criterio
di parità
di presenze all'interno delle
singole fasce.
Articolo 13
(Messaggi politici autogestiti a
pagamento)
1. Nel periodo intercorrente tra la
data di convocazione dei comizi elettorali e quella di
chiusura di ciascuna campagna
elettorale, le emittenti radiofoniche e televisive
locali possono
trasmettere messaggi politici
autogestiti a pagamento, come definiti all'articolo 2,
comma 1,
lettera d), del codice di
autoregolamentazione di cui al decreto del Ministro
delle comunicazioni 8 aprile 2004.
2. Per l’accesso agli spazi
relativi ai messaggi politici di cui al comma 1 le
emittenti
radiofoniche e televisive locali
devono assicurare condizioni economiche uniformi a tutti
i
soggetti politici.
3. Le emittenti radiofoniche e
televisive locali che intendono diffondere i messaggi
politici di
cui al comma 1 sono tenute a dare
notizia dell’offerta dei relativi spazi mediante un
avviso da
trasmettere, almeno una volta al
giorno, nella fascia oraria di maggiore ascolto, per tre
giorni
consecutivi.
4. Nell’avviso di cui al comma 3 le
emittenti radiofoniche e televisive locali informano i
soggetti politici che presso la
propria sede, della quale viene indicato l’indirizzo, il
numero
telefonico e di fax, è depositato
un documento, consultabile su richiesta da chiunque ne
abbia
interesse, concernente:
a) le condizioni temporali di
prenotazione degli spazi con l’indicazione del termine
ultimo
entro il quale gli spazi medesimi
possono essere prenotati;
b) le modalità di prenotazione
degli spazi;
c) le tariffe per l’accesso a tali
spazi quali autonomamente determinate da ogni singola
emittente radiofonica e televisiva
locale;
d) ogni eventuale ulteriore
circostanza od elemento tecnico rilevante per la
fruizione degli
spazi.
5. Ciascuna emittente radiofonica e
televisiva locale deve tenere conto delle prenotazioni
degli spazi da parte dei soggetti
politici in base alla loro progressione temporale.
6. Ai soggetti politici richiedenti
gli spazi per i messaggi di cui al comma 1 devono essere
riconosciute le condizioni di
miglior favore praticate ad uno di essi per gli spazi
acquistati.
7. Ciascuna emittente radiofonica e
televisiva locale è tenuta a praticare, per i messaggi
di cui
al comma 1, una tariffa massima non
superiore al 70% del listino di pubblicità tabellare. I
soggetti politici interessati
possono richiedere di verificare in modo documentale i
listini
tabellari in relazione ai quali
sono state determinate le condizioni praticate per
l’accesso agli
spazi per i messaggi di cui al
comma 1.
8. Nel caso di diffusione di spazi
per i messaggi di cui al comma 1 differenziati per
diverse
aree territoriali dovranno essere
indicate anche le tariffe praticate per ogni area
territoriale.
9. La prima messa in onda
dell’avviso di cui ai commi 3 e 4 costituisce condizione
essenziale
per la diffusione dei messaggi
politici autogestiti a pagamento in periodo elettorale.
10. Per le emittenti radiofoniche
locali i messaggi di cui al comma 1 devono essere
preceduti
e seguiti da un annuncio in audio
del seguente contenuto: "Messaggio elettorale a
pagamento", con l’indicazione del
soggetto politico committente.
11. Per le emittenti televisive
locali i messaggi di cui al comma 1 devono recare in
sovrimpressione per tutta la loro
durata la seguente dicitura: "Messaggio elettorale a
pagamento", con l’indicazione del
soggetto politico committente.
12. Le emittenti radiofoniche e
televisive locali non possono stipulare contratti per la
cessione
di spazi relativi ai messaggi
politici autogestiti a pagamento in periodo elettorale
in favore di
singoli candidati per importi
superiori al 75% di quelli previsti dalla normativa in
materia di
spese elettorali ammesse per
ciascun candidato.
Articolo 14
(Trasmissioni in contemporanea)
1. Le emittenti radiofoniche e
televisive locali che effettuano trasmissioni in
contemporanea
con una copertura complessiva
coincidente con quella legislativamente prevista per
un’emittente nazionale sono
disciplinate dal codice di autoregolamentazione di cui
al decreto
del Ministro delle comunicazioni 8
aprile 2004 e al presente Capo II esclusivamente per le
ore
di trasmissione non in
contemporanea.
Articolo 15
(Programmi di informazione
trasmessi sulle emittenti locali)
1. Nei programmi di informazione,
come definiti all'articolo 2, comma 1, lettera b), del
codice
di autoregolamentazione di cui al
decreto del Ministro delle comunicazioni 8 aprile 2004,
le
emittenti radiofoniche e televisive
locali devono garantire il pluralismo, attraverso la
parità di
trattamento, l’obiettività, la
correttezza, la completezza, la lealtà, l’imparzialità,
l’equità e la
pluralità dei punti di vista; a tal
fine, quando vengono trattate questioni relative alle
consultazioni elettorali, deve
essere assicurato l’equilibrio tra i soggetti politici
secondo
quanto previsto dal citato codice
di autoregolamentazione.
2. Resta comunque salva per
l’emittente la libertà di commento e di critica, che, in
chiara
distinzione tra informazione e
opinione, salvaguardi comunque il rispetto delle
persone. Le
emittenti locali a carattere
comunitario di cui all’articolo 16, comma 5, della
legge 6 agosto 1990 n. 223 e
all’articolo 1, comma 1, lettera f), della deliberazione
1°
dicembre 1998, n. 78 dell’Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni, come definite
all’articolo 2, comma 1, lettera
q), n. 3, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n.
177, possono
esprimere i principi di cui sono
portatrici, tra quelli indicati da dette norme.
3. In qualunque trasmissione
radiotelevisiva diversa da quelle di comunicazione
politica e dai
messaggi politici autogestiti, è
vietato fornire, anche in forma indiretta, indicazioni o
preferenze di voto.
CAPO III
DISPOSIZIONI PARTICOLARI
Articolo 16
(Circuiti di emittenti
radiotelevisive locali)
1. Ai fini del presente
provvedimento, le trasmissioni in contemporanea da parte
di emittenti
locali che operano in circuiti
nazionali comunque denominati sono considerate come
trasmissioni in ambito nazionale;
il consorzio costituito per la gestione del circuito o,
in
difetto, le singole emittenti che
fanno parte del circuito, sono tenuti al rispetto delle
disposizioni previste per le
emittenti nazionali dal Capo I del presente titolo, che
si applicano
altresì alle emittenti autorizzate
alla ripetizione dei programmi esteri ai sensi
dell'articolo 38
della legge 14 aprile 1975, n. 103.
2. Ai fini del presente
provvedimento, il circuito nazionale si determina con
riferimento
all’articolo 2, comma 1, lettera
u), del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177.
3. Rimangono ferme per ogni
emittente del circuito, per il tempo di trasmissione
autonoma, le
disposizioni previste per le
emittenti locali dal Capo II del presente titolo.
4. Ogni emittente risponde
direttamente delle violazioni realizzatesi nell’ambito
delle
trasmissioni in contemporanea.
Articolo 17
(Imprese radiofoniche di partiti
politici)
1. In conformità a quanto disposto
dall’articolo 6 della legge 22 febbraio 2000, n. 28, le
disposizioni di cui ai Capi I e II
del presente titolo non si applicano alle imprese di
radiodiffusione sonora che
risultino essere organo ufficiale di un partito politico
rappresentato
in almeno un ramo del Parlamento ai
sensi dell’articolo 11, comma 2, della legge 25 febbraio
1987, n. 67. Per tali imprese è
comunque vietata la cessione, a titolo sia oneroso sia
gratuito,
di spazi per messaggi autogestiti.
2. I partiti sono tenuti a fornire
con tempestività all’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni ogni indicazione
necessaria a qualificare l’impresa di radiodiffusione
come
organo ufficiale del partito.
Articolo 18
(Conservazione delle registrazioni)
1. Le emittenti radiotelevisive
sono tenute a conservare le registrazioni della totalità
dei
programmi trasmessi nel periodo
della campagna elettorale e per i tre mesi successivi
alla
conclusione della stessa e,
comunque, a conservare, sino alla conclusione
dell’eventuale
procedimento, le registrazioni dei
programmi in ordine ai quali sia stata notificata
contestazione di violazione di
disposizioni della legge 10 dicembre 1993, n. 515, della
legge
22 febbraio 2000, n. 28, del codice
di autoregolamentazione di cui al decreto del Ministro
delle comunicazioni 8 aprile 2004,
della legge 20 luglio 2004, n. 215, nonché di quelle
emanate dalla Commissione
parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei
servizi
radiotelevisivi o del presente
provvedimento.
TITOLO III
STAMPA QUOTIDIANA E PERIODICA
Articolo 19
(Comunicato preventivo per la
diffusione di messaggi politici elettorali
su quotidiani e periodici)
1. Entro il quinto giorno
successivo alla data di convocazione dei comizi
elettorali, gli editori
di quotidiani e periodici che
intendano diffondere a qualsiasi titolo fino a tutto il
penultimo
giorno prima delle elezioni nelle
forme ammesse dall'articolo 7, comma 2, della legge 22
febbraio 2000, n. 28, messaggi
politici elettorali sono tenuti a dare notizia
dell’offerta dei
relativi spazi attraverso un
apposito comunicato pubblicato sulla stessa testata
interessata alla
diffusione di messaggi politici
elettorali. Per la stampa periodica si tiene conto della
data di
effettiva distribuzione al
pubblico. Ove in ragione della periodicità della testata
non sia stato
possibile pubblicare sulla stessa
nel termine
predetto il comunicato preventivo,
la diffusione dei messaggi non potrà avere inizio che
dal
numero successivo a quello recante
la pubblicazione del comunicato sulla testata, salvo che
il
comunicato sia stato pubblicato,
nel termine prescritto e nei modi di cui al comma 2, su
altra
testata, quotidiana o periodica, di
analoga diffusione.
2. Il comunicato preventivo deve
essere pubblicato con adeguato rilievo, sia per
collocazione,
sia per modalità grafiche, e deve
precisare le condizioni generali dell’accesso, nonché
l’indirizzo ed il numero di
telefono della redazione della testata presso cui è
depositato un
documento analitico, consultabile
su richiesta, concernente:
a) le condizioni temporali di
prenotazione degli spazi con puntuale indicazione del
termine
ultimo, rapportato ad ogni singolo
giorno di pubblicazione entro il quale gli spazi
medesimi
possono essere prenotati;
b) le tariffe per l’accesso a tali
spazi, quali autonomamente determinate per ogni singola
testata, nonché le eventuali
condizioni di gratuità;
c) ogni eventuale ulteriore
circostanza od elemento tecnico rilevante per la
fruizione degli
spazi medesimi, in particolare la
definizione del criterio di accettazione delle
prenotazioni in
base alla loro progressione
temporale.
3. Devono essere riconosciute ai
soggetti politici richiedenti gli spazi per messaggi
politici
elettorali le condizioni di
migliore favore praticate ad uno di essi per il modulo
acquistato.
4. Ogni editore è tenuto a fare
verificare in modo documentale, su richiesta dei
soggetti
politici interessati, le condizioni
praticate per l'accesso agli spazi in questione, nonché
i listini
in relazione ai quali ha
determinato le tariffe per gli spazi medesimi.
5. Nel caso di edizioni locali o
comunque di pagine locali di testate a diffusione
nazionale, tali
intendendosi ai fini del presente
provvedimento le testate con diffusione pluriregionale,
dovranno indicarsi distintamente le
tariffe praticate per le pagine locali e le pagine
nazionali,
nonché, ove diverse, le altre
modalità di cui al comma 2.
6. La pubblicazione del comunicato
preventivo di cui al comma 1 costituisce condizione per
la diffusione dei messaggi politici
elettorali durante la consultazione elettorale. In caso
di
mancato rispetto del termine
stabilito nel comma 1 e salvo quanto previsto nello
stesso
comma per le testate periodiche, la
diffusione dei messaggi può avere inizio dal secondo
giorno successivo alla data di
pubblicazione del comunicato preventivo.
Articolo 20
(Pubblicazione di messaggi politici
elettorali su quotidiani e periodici)
1. I messaggi politici elettorali
di cui all'articolo 7 della legge 22 febbraio 2000, n.
28, devono
essere riconoscibili, anche
mediante specifica impaginazione in spazi chiaramente
evidenziati,
secondo modalità uniformi per
ciascuna testata, e devono recare la dicitura "messaggio
elettorale" con l’indicazione del
soggetto politico committente.
2. Sono vietate forme di messaggio
politico elettorale diverse da quelle elencate al comma
2
dell’articolo 7 della legge 22
febbraio 2000, n. 28.
Articolo 21
(Organi ufficiali di stampa dei
partiti)
1. Le disposizioni sulla
diffusione, a qualsiasi titolo, di messaggi politici
elettorali su
quotidiani e periodici e
sull'accesso in condizioni di parità ai relativi spazi
non si applicano
agli organi ufficiali di stampa dei
partiti e movimenti politici e alle stampe elettorali di
coalizioni, liste, gruppi di
candidati e candidati.
2. Si considera organo ufficiale di
partito o movimento politico il giornale quotidiano o
periodico che risulta registrato
come tale ai sensi dell’articolo 5 della legge 8
febbraio 1948,
n. 47, ovvero che rechi indicazione
in tale senso nella testata, ovvero che risulti indicato
come
tale nello statuto o altro atto
ufficiale del partito o del movimento politico.
3. I partiti, i movimenti politici,
le coalizioni e le liste sono tenuti a fornire con
tempestività
all’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni ogni indicazione necessaria a qualificare
gli
organi ufficiali di stampa dei
partiti e dei movimenti politici, nonché le stampe
elettorali di
coalizioni, liste, gruppi di
candidati e candidati.
TITOLO IV
SONDAGGI POLITICI ED ELETTORALI
Articolo 22
(Sondaggi politici ed elettorali )
1. Nel periodo disciplinato dalla
presente delibera, fermo restando quanto previsto dagli
articoli 8 e 10 della legge 22
febbraio 2000, n. 28, ai sondaggi politici ed elettorali
si
applicano gli articoli da 6 a 12
del Regolamento in materia di pubblicazione e diffusione
di
sondaggi sui mezzi di comunicazione
di massa di cui alla delibera n. 256/10/CSP del 9
dicembre 2010.
TITOLO V
VIGILANZA E SANZIONI
Articolo 23
(Compiti dei Comitati regionali per
le comunicazioni)
1. I Comitati regionali per le
comunicazioni o, ove questi non siano stati ancora
costituiti, i
Comitati regionali per i servizi
radiotelevisivi, assolvono, nell'ambito territoriale di
rispettiva
competenza, oltre a quelli previsti
agli articoli 11, 12 e 13, i seguenti compiti:
a) di vigilanza sulla corretta e
uniforme applicazione della legislazione vigente, del
codice di
autoregolamentazione di cui al
decreto del Ministro delle comunicazioni 8 aprile 2004 e
del
presente provvedimento da parte
delle emittenti locali, nonché delle disposizioni
dettate per la
concessionaria del servizio
pubblico generale radiotelevisivo dalla Commissione
parlamentare
per l’indirizzo generale e la
vigilanza dei servizi radiotelevisivi per quanto
concerne le
trasmissioni a carattere regionale;
b) di accertamento delle eventuali
violazioni, ivi comprese quelle relative all’articolo 9
della
legge n. 28 del 2000 in materia di
comunicazione istituzionale e obblighi di informazione,
trasmettendo i relativi atti e gli
eventuali supporti e formulando le conseguenti proposte
all'Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni per l’adozione dei provvedimenti di sua
competenza.
Articolo 24
(Procedimenti sanzionatori)
1. Le violazioni delle disposizioni
della legge 22 febbraio 2000, n. 28 e del codice di
autoregolamentazione di cui al
decreto del Ministro delle comunicazioni 8 aprile 2004,
nonché di quelle emanate dalla
Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la
vigilanza dei servizi
radiotelevisivi o dettate con il presente atto, sono
perseguite d'ufficio
dall'Autorità, al fine
dell'adozione dei provvedimenti previsti dall’articolo
10 e 11-quinquies
della medesima legge. Ciascun
soggetto politico interessato può comunque denunciare
tali
violazioni entro il termine
perentorio di dieci giorni dal fatto.
2. Il Consiglio nazionale degli
utenti presso l’Autorità può denunciare comportamenti in
violazione delle disposizioni di
cui al Capo II della 22 febbraio 2000, n. 28, del codice
di
autoregolamentazione di cui al
decreto del Ministro delle comunicazioni 8 aprile 2004 e
delle
disposizioni del presente atto.
3. La denuncia delle violazioni
deve essere inviata, anche a mezzo telefax,
all’Autorità,
all’emittente privata o all’editore
presso cui è avvenuta la violazione, al competente
Comitato
regionale per le comunicazioni
ovvero, ove il predetto organo non sia ancora
costituito, al
Comitato regionale per i servizi
radiotelevisivi, al gruppo della Guardia di Finanza
nella cui
competenza territoriale rientra il
domicilio dell'emittente o dell'editore. Il predetto
Gruppo
della Guardia di Finanza provvede
al ritiro delle registrazioni interessate dalla
comunicazione
dell'Autorità o dalla denuncia
entro le successive dodici ore.
4. La denuncia indirizzata
all'Autorità è procedibile solo se sottoscritta in
maniera leggibile e
va accompagnata dalla
documentazione comprovante l'avvenuto invio della
denuncia
medesima anche agli altri
destinatari indicati dal precedente comma.
5. La denuncia contiene, a pena di
inammissibilità, l'indicazione dell'emittente e della
trasmissione, ovvero dell’editore e
del giornale o periodico, cui sono riferibili le
presunte
violazioni segnalate, completa,
rispettivamente, di data e orario della trasmissione,
ovvero di
data ed edizione, nonché di una
motivata argomentazione.
6. Qualora la denuncia non contenga
gli elementi previsti dai precedenti commi 4 e 5,
l’Autorità, nell’esercizio dei suoi
poteri d’ufficio avvia l’istruttoria, dando, comunque,
precedenza nella trattazione a
quelle immediatamente procedibili.
7. L’Autorità provvede direttamente
alle istruttorie sommarie di cui al comma 1 riguardanti
emittenti radiotelevisive nazionali
ed editori di giornali e periodici, mediante le proprie
strutture, che si avvalgono, a tale
fine, del Nucleo Speciale della Guardia di Finanza
istituito
presso l'Autorità stessa. Adotta i
propri provvedimenti entro le quarantotto ore successive
all’accertamento della violazione o
alla denuncia, fatta salva l’ipotesi dell’adeguamento
spontaneo agli obblighi di legge da
parte delle emittenti televisive e degli editori, con
contestuale informativa
all’Autorità.
8. I procedimenti riguardanti le
emittenti radiofoniche e televisive locali sono istruiti
sommariamente dai competenti
Comitati regionali per le comunicazioni, ovvero, ove
questi
non si siano ancora costituiti, dai
Comitati regionali per i servizi radiotelevisivi, che
formulano le relative proposte
all'Autorità secondo quanto previsto al comma 10.
9. Il Gruppo della Guardia di
Finanza competente per territorio, ricevuta la denuncia
della
violazione, da parte di emittenti
radiotelevisive locali, delle disposizioni di cui al
comma 1,
provvede entro le dodici ore
successive all’acquisizione delle registrazioni e alla
trasmissione
delle stesse agli uffici del
competente Comitato di cui al comma 8, dandone immediato
avviso, anche a mezzo telefax,
all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
10. Il Comitato di cui al comma 8
procede ad una istruttoria sommaria, se del caso
contesta i
fatti, anche a mezzo telefax, sente
gli interessati ed acquisisce le eventuali
controdeduzioni
nelle ventiquattro ore successive
alla contestazione. Qualora, allo scadere dello stesso
termine, non si sia pervenuti ad un
adeguamento, anche in via compositiva, agli obblighi di
legge lo stesso Comitato trasmette
atti e supporti acquisiti, ivi incluso uno specifico
verbale di
accertamento, redatto, ove
necessario, in cooperazione con il competente Gruppo
della
Guardia di Finanza, all'Autorità,
che provvede, in deroga ai termini e alle modalità
procedimentali previste dalla legge
24 novembre 1981, n. 689, entro le quarantotto ore
successive all’accertamento della
violazione o alla denuncia, decorrenti dal deposito
degli
stessi atti e supporti presso gli
uffici del Servizio Comunicazione politica e Risoluzione
di
conflitti di interesse
dell’Autorità medesima.
11. In ogni caso, il Comitato di
cui al comma 8 segnala tempestivamente all’Autorità le
attività svolte e la sussistenza di
episodi rilevanti o ripetuti di mancata attuazione della
vigente
normativa.
12. Gli Ispettorati Territoriali
del Ministero delle comunicazioni collaborano, a
richiesta, con i
Comitati regionali per le
comunicazioni, o, ove non costituiti, con i Comitati
regionali per i
servizi radiotelevisivi.
13. Le emittenti radiotelevisive
private e gli editori di stampa sono tenuti al rispetto
delle
disposizioni dettate dal presente
provvedimento, adeguando la propria attività di
programmazione e pubblicazione,
nonché i conseguenti comportamenti.
14. L’Autorità verifica il rispetto
dei propri provvedimenti ai fini previsti dall'articolo
1,
commi 31 e 32, della legge 31
luglio 1997, n. 249 e a norma dell’articolo
11-quinquies,
comma 3, della legge 22 febbraio
2000, n. 28, come introdotto dalla legge 6 novembre
2003,
n. 313. Accerta, altresì,
l’attuazione delle disposizioni emanate dalla
Commissione
parlamentare per l’indirizzo
generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi
anche per le
finalità di cui all’articolo 1,
comma 6, lettera c), n. 10, della legge 31 luglio 1997,
n. 249.
15. Nell’ipotesi in cui il
provvedimento dell’Autorità contenga una misura
ripristinatoria della
parità di accesso ai mezzi di
informazione, come individuata dall’articolo 10 della
legge 22
febbraio 2000, n. 28, le emittenti
radiotelevisive o gli editori di stampa sono tenuti ad
adempiere nel termine di 48 ore
dalla notifica del provvedimento medesimo e, comunque,
nella prima trasmissione o
pubblicazione utile.
16. Le sanzioni amministrative
pecuniarie stabilite dall'articolo 15 della legge 10
dicembre
1993, n. 515 per le violazioni
delle disposizioni della legge medesima, non abrogate
dall'articolo 13 della legge 22
febbraio 2000, n. 28, ovvero delle relative disposizioni
dettate
dalla Commissione parlamentare per
l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi o delle relative
disposizioni di attuazione dettate con il presente
provvedimento, non sono evitabili
con il pagamento in misura ridotta previsto
dall'articolo 16
della legge 24 ottobre 1981, n.
689. Esse si applicano anche a carico dei soggetti a
favore dei
quali sono state commesse le
violazioni, qualora ne venga accertata la
responsabilità.
17. L’Autorità, nell’ipotesi di
accertamento delle violazioni delle disposizioni recate
dalla
legge 22 febbraio 2000, n. 28 e
dalla legge 31 luglio 1997, n. 249, relative allo
svolgimento
delle campagne elettorali
disciplinate dal presente provvedimento, da parte di
imprese che
agiscono nei settori del sistema
integrato delle comunicazioni di cui all'articolo 2,
comma 1,
lettera 1) del decreto legislativo
31 luglio 2005, n. 177 e che fanno capo al titolare di
cariche
di governo e ai soggetti di cui
all'articolo 7, comma 1, della legge 20 luglio 2004, n.
215,
ovvero sottoposte al controllo dei
medesimi, procede all’esercizio della competenza
attribuitale dalla legge 20 luglio
2004, n. 215 in materia di risoluzione dei conflitti di
interesse.
TITOLO VI
DISPOSIZIONI FINALI
Articolo 25
(Turno elettorale di ballottaggio)
1. In caso di secondo turno
elettorale per i candidati ammessi al ballottaggio, nel
periodo
intercorrente tra la prima e la
seconda votazione, gli spazi di comunicazione politica e
quelli
relativi ai messaggi politici
autogestiti a titolo gratuito sono ripartiti in modo
eguale tra gli
stessi candidati. Per quanto non
diversamente disposto si applicano, in caso di eventuali
turni
di ballottaggio, le disposizioni
dettate dal presente provvedimento.
Il presente provvedimento ha
efficacia dalla data di convocazione dei comizi
elettorali e trova
applicazione per tutte le
competizioni elettorali comunali e provinciali il cui
svolgimento è
previsto nel corso dell’anno 2011.
La presente delibera è pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ed è
resa
disponibile nel sito web della
stessa Autorità: www.agcom.it.
Roma, 29 marzo 2011
IL PRESIDENTE
Corrado Calabrò
IL COMMISSARIO RELATORE
Michele Lauria
IL COMMISSARIO RELATORE
Antonio Martusciello
Per attestazione di conformità a
quanto
deliberato
IL SEGRETARIO GENERALE
Roberto Viola
5) Criteri per la vigilanza sul
rispetto del pluralismo politico e istituzionale nei
telegiornali
diffusi dalle reti televisive
nazionali
L’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni effettua la vigilanza sul rispetto del
pluralismo politico e istituzionale
nei telegiornali diffusi sulle reti televisive nazionali
attraverso il monitoraggio delle
edizioni andate in onda nell’intero arco di ciascuna
giornata di programmazione. I dati
dei telegiornali monitorati sono resi pubblici sul sito
internet dell’Autorità unitamente
alla metodologia di rilevazione utilizzata.
Nel corso dei periodi non
interessati da campagne elettorali o referendarie
l’Autorità
effettua d’ufficio la valutazione
del rispetto del pluralismo politico e istituzionale di
ciascun telegiornale sottoposto a
monitoraggio nell’arco di ciascun trimestre.
Nel corso nelle campagne elettorali
o referendarie, la valutazione del rispetto del
pluralismo politico e istituzionale
dei telegiornali avviene secondo i criteri specifici che
la Commissione parlamentare per
l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi e l’Autorità,
previa consultazione tra loro e ciascuna nell’ambito
della
propria competenza.
Per quanto riguarda la rilevazione
vera e propria dei dati l’Autorità affidata a centri
esterni specializzati, individuati
attraverso gare d’appalto europee.
Dette società inviano con cadenza
mensile, in generale, delle tabelle contenenti tutti i
dati
ossia i tempi in cui i soggetti
politici, raggruppati per partito e i soggetti
istituzionale
sono presenti nei telegiornali.
I parametri sui quali si fonda la
rilevazione sono costituiti dal tempo di notizia, dal
tempo
di parola e dal tempo di antenna,
così come definiti nella metodologia di rilevazione
pubblicata nel sito internet
dell’Autorità:
- Tempo di notizia: indica il tempo
dedicato dal giornalista all’illustrazione di un
argomento/evento in relazione ad un
soggetto politico/istituzionale, intendendo
per soggetto politico/istituzionale
il singolo esponente o il
partito/raggruppamento/istituzione.
- Tempo di parola: indica il tempo
in cui il soggetto politico/istituzionale parla
direttamente in voce. Per
“soggetto” si intende in questo caso ogni singolo
esponente politico/istituzionale.
La somma dei tempi di parola dei singoli soggetti
va a costituire il tempo di parola
complessivo di ciascun partito/raggruppamento e
delle istituzioni; nei casi in cui
l’istituzione è rappresentata da una singola
persona, e cioè Presidente della
Repubblica, Presidente del Consiglio, Presidente
del Senato, Presidente della
Camera, il tempo di parola dell’istituzione
corrisponde a quello della singola
persona.
- Tempo di antenna: indica il tempo
complessivamente dedicato al soggetto
politico/istituzionale ed è dato
dalla somma del “tempo di notizia” e del “tempo
di parola” del soggetto.
Nella valutazione del rispetto del
pluralismo politico e istituzionale riveste peso
prevalente il tempo di parola
attribuito a ciascun soggetto politico o istituzionale.
Le citate tabelle, suddivise per
mese, sono disponibili sul sito internet www.agcom.it
6) Elenco delibere Agcom in materia
per la campagna elettorale per le elezioni provinciali e
comunali (15-16 maggio 2011)
In occasione delle recenti elezioni
amministrative l’Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni ha adottato una serie
di ordinanze di ingiunzione per una somma pari a
1000.000. di euro.
Destinati delle diverse ordinanze
sono state le emittenti per la radiodiffusione
televisiva in
ambito nazione della concessionaria
del servizio pubblico Rai (in particolare Rai 1, Rai2,
Rai3) nonché le emittenti per la
radiodiffusione televisiva in ambito nazione private del
gruppo Mediaset (Studio Aperto, TG4
e TG5).
Nella tabella seguente sono
riporate le principali pronunce dell’Autorità
consultabili per intero
sul sito internet www.agcom.it .
Delibera n. Oggetto
133/11/CSP
del 23 maggio
2011
Sanzione alla società
Rai-Radiotelevisione Italiana SpA per la
violazione dei principi in materia
di par condicio e delle
disposizioni di attuazione relative
alla campagna elettorale per le
elezioni provinciali e comunali dei
giorni 15 e 16 maggio 2011 con
turni di ballottaggio dei giorni 29
e 30 maggio (TG 2)
132/11/CSP
del 23 maggio
2011
Sanzione alla società
Rai-Radiotelevisione Italiana SpA per la
violazione dei principi in materia
di par condicio e delle
disposizioni di attuazione relative
alla campagna elettorale per le
elezioni provinciali e comunali dei
giorni 15 e 16 maggio 2011 con
turni di ballottaggio dei giorni 29
e 30 maggio (TG1)
134/11/CSP
del 23 maggio
2011
Sanzione alla società R.T.I. –Reti
Televisive Italiane SpA per la
violazione dei principi in materia
di par condicio e delle
disposizioni di attuazione relative
alla campagna elettorale per le
elezioni provinciali e comunali dei
giorni 15 e 16 maggio 2011 con
turni di ballottaggio dei giorni 29
e 30 maggio (TG4)
135/11/CSP
del 23 maggio
2011
Sanzione alla società R.T.I. –Reti
Televisive Italiane SpA per la
violazione dei principi in materia
di par condicio e delle
disposizioni di attuazione relative
alla campagna elettorale per le
elezioni provinciali e comunali dei
giorni 15 e 16 maggio 2011 con
turni di ballottaggio dei giorni 29
e 30 maggio (TG5)
136/11/CSP
del 23 maggio
2011
Sanzione alla società R.T.I. –Reti
Televisive Italiane SpA per la
violazione dei principi in materia
di par condicio e delle
disposizioni di attuazione relative
alla campagna elettorale per le
elezioni provinciali e comunali dei
giorni 15 e 16 maggio 2011 con
turni di ballottaggio dei giorni 29
e 30 maggio (Studio Aperto)
137/11/CSP
del 26 maggio
2011
Richiamo alla società
Rai-Radiotelevisione Italiana SpA al
riequilibrio dell’informazione
durante la campagna elettorale per le
elezioni provinciali e comunali dei
giorni 15 e 16 maggio 2011 con
turni di ballottaggio dei giorni 29
e 30 maggio (TG3)
Invito alla società Rti – Reti
Televisive Italiane SpA al rispetto del
138/11/CSP
del 26 maggio
2011
rigoroso equilibrio
dell’informazione durante la campagna
elettorale per le elezioni
provinciali e comunali dei giorni 15 e 16
maggio 2011 con turni di
ballottaggio dei giorni 29 e 30 maggio
(Studio Aperto)
143/11/CSP
del 30 maggio
2011
Archiviazione del procedimento nei
confronti della società Rai-
Radiotelevisione Italiana Spa per
il presunto squilibrio informativo
durante la campagna elettorale per
le elezioni provinciali e
comunali dei giorni 15 e 16 maggio
2011 con turni di ballottaggio
dei giorni 29 e 30 maggio (TG3)
144/11/CSP
del 30 maggio
2011
Provvedimento nei confronti della
Società RAI Radiotelevisione
Italiana S.p.A. per la violazione
dell'articolo 5, comma 2 della
legge 22 febbraio 2000, n.28
durante la campagna elettorale per le
elezioni provinciali e comunali dei
giorni 15 e 16 maggio 2011 con
turni di ballottaggio dei giorni 29
e 30 maggio (Anno Zero)
7) La base di discussione del
seminario
1) Le regole contenute nella legge
e nelle disposizioni di attuazione sono sufficienti o
richiedono aggiornamenti?
Distinguere tra periodo elettorale e altri periodi
dell’anno.
2) Le norme di attuazione di natura
regolamentare devono necessariamente essere
riprodotte o attualizzate in ogni
competizione elettorale o referendaria?
3) La distinzione tra comunicazione
politica e informazione richiede degli
approfondimenti? I programmi di
approfondimento politico devono essere
ulteriormente distinti?
4) Le regole relative ai TG e
all’informazione in genere devono essere accentuate o
precisate?
5) Il monitoraggio sul pluralismo
politico nei TG è soddisfacente? Criteri, attualità e
significatività dei dati. E’
possibile avere dati pubblici più tempestivi e comunque
rielaborabili dagli utenti?
6) E’ opportuno distinguere in
maniera più significativa la presenza (parola, notizia e
antenna) dei leader politici e
degli altri soggetti politici.
7) L’intervento d’ufficio o su
istanza dei cittadini. La frequenza del monitoraggio e
dell’intervento in campagna
elettorale.
8) La struttura organizzativa del
servizio audiovisivo è adeguata rispetto alle quantità e
alla rilevanza dei compiti previsti
per legge?
9) Le sanzioni previste dalla legge
e le procedure da seguire rendono difficile garantire
l’effettività delle regole? Il
sistema delle impugnazioni è appropriato?
10) Le regole sul sostegno
privilegiato: perché sono così difficilmente
applicabili? In che
misura dovrebbero essere corrette
per essere più incisive? |