(Professore ordinario di Diritto
costituzionale italiano e
comparato– “Sapienza” Università di
Roma)
Sommario: 1- Premessa; 2- Lo Stato
nazionale tra globalizzazione e localismo; 3- Le sei
tendenze della democrazia
rappresentativa; 4- Le quattro ipotesi; 5- Conclusioni.
1- Premessa
C’è un vento freddo che spira sugli
ordinamenti democratici e che inquieta fortemente. La
crisi economica internazionale e i
suoi riflessi sugli ordinamenti più deboli fanno
rinascere gli
incubi degli anni Venti e Trenta
del secolo scorso.
Per essere concisi, mentre la paura
dell’imprevisto e dell’incontrollabile attanaglia oramai
le
tradizionali società industriali
avanzate e si riduce la copertura del cosiddetto Stato
sociale,
stiamo scoprendo che gli stati sono
sempre meno sovrani e democratici e sempre più incapaci
di rispondere singolarmente ed in
gruppo alle sfide della modernità e dell’innovazione. Il
politico come distribuzione di
valori collegata alla utilizzazione tendenziale dell’uso
della
forza legittima, lungi dall’aver
perso rilievo, viene considerato indispensabile, ma chi
non è
fornito di società civili coese e
di istituzioni che siano capaci di agire in modo
efficace di
∗
Relazione tenuta al convegno “Il Parlamento
nell’evoluzione costituzionale nazionale ed europea”,
Camera dei
deputati , 6 ottobre 2011.
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dover barattare in tutto o in parte
valori, principi e organizzazione basilari del modello
liberaldemocratico.
Per evitare un simile default è
opportuno riflettere sul passato, sui paradigmi che
abbiamo
utilizzato in precedenza,
chiedendoci se gli stessi siano ancora utili ad
interpretare il presente
e a preparate il futuro.
In questo intervento affronterò in
maniera sintetica sia il tema del ruolo attuale
dell’istituzione
politica statuale, sia quello delle
istituzioni democratiche, per concludere che il politico
efficiente e la partecipazione
regolata sono indispensabili per mantenere ed
implementare i
principi ed i valori di ordinamenti
che si definiscono di democrazia pluralista e sociale.
2- Lo Stato nazionale tra
globalizzazione e localismo
Tutti sembrano da tempo d’accordo:
lo Stato nazionale è in crisi ed ha perso i caratteri
che lo
avevano reso tipico nel momento del
suo splendore ottocentesco, frutto - d’altro canto - del
percorso operato nei due secoli
precedenti (Jouvenel, 1971). I due conflitti mondiali,
la
costruzione di mercati
internazionali integrati in aree regionali forti, il
crollo degli
ordinamenti di socialismo reale,
l’emergere (o il (ri)emergere) di nuovi soggetti
economici e
politici internazionali, la
rivoluzione tecnologica, che ha reso volatili i mercati
finanziari e
difficili i controlli, sono alcuni
dei fenomeni che vengono posti alla base del mutamento.
L’indebolimento della tradizionale
struttura statuale è verificabile sul campo sia sul lato
esterno, sia su quello interno
della sovranità. Le duplici tensioni cui essa è
sottoposta sono
state da tempo ribadite proprio da
chi (Ferrajoli, 1995) tende a proporre un
“costituzionalismo
di diritto internazionale” capace
di inverare il “sistema di norme internazionali
caratterizzabili
come ius cogens”. D’altro canto c’è
anche chi ha messo in evidenza come “(l)a nozione di
sovranità si trov(i) a dover fare i
conti con una realtà nella quale diverse proprietà
tendono
ormai ad essere qualificate come
‘proprietà comune dell’umanità’“ (Rodotà). Beni
culturali e
ambiente, ad es., non potrebbero
essere più regolati da un “rapporto tra proprietà e
sovranità
chiuso nella logica nazionale”,
ponendo l’ipotesi di una fase contrattuale tra soggetti
che
sostituisca il “rapporto oggettivo
con la terra” in attesa “di un possibile governo
mondiale”.
Anche trascurando la dimensione
normativa connessa a simili posizioni, dalle stesse
risaltano
le tensioni interne ed esterne agli
ordinamenti statuali contemporanei, che in alcuni
ordinamenti “esemplari” come quelli
belga e canadese, caratterizzati da un profilo
plurietnico
e dall’inserimento in mercati
integrati (UE e NAFTA), possono mettere addirittura in
pericolo
la stessa esistenza delle singole
unità statuali.
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Ma i casi liminari valgono fino ad
un certo punto. Nell’ambito più generale due sono le
principali tesi che si
contrappongono dagli anni ‘90. Da un lato chi pensa che
Stato e
sovranità siano concetti che non
corrispondono più alla realtà della situazione;
dall’altro chi
considera che nonostante i
cambiamenti si possano utilizzare questi strumenti in
maniera
opportuna.
Ad esempio già negli anni ‘90 v’era
chi (Kenichi Ohmae) sosteneva che gli Stati nazionali
erano in crisi, non riuscendo a
controllare gli scambi e le valute né ad attivare
sviluppo e
occupazione. Essi sarebbero
soggetti ad una duplice ed opposta tensione derivante
dal sempre
maggiore peso di aree di
integrazione economica a livello più elevato (ad es. UE
e NAFTA) e
dalla presenza centrifuga di unità
statuali tese allo sviluppo, che nel corso dell’ultimo
ventennio si sono consolidate nel
BRICS e nella sintomatica trasformazione del G8 in G20.
L’altra posizione è quella
sostenuta da coloro che sostengono che (Hirst –Thompson,
1997)
“(m)entre le funzioni di gestione
dello Stato si sono modificate e, da vari punti di vista
(specialmente quello della gestione
macroeconomica nazionale), si sono considerevolmente
indebolite, lo Stato continua a
essere una istituzione di cardinale importanza,
particolarmente
in termini di creazione delle
condizioni necessarie per un’efficiente governo
internazionale”.
Essi, in sostanza, sostengono:
- che l’economia internazionale non
si è ancora veramente globalizzata;
- che gli Stati, seppur indeboliti,
rivestono ancora una funzione centrale come strumenti di
legittimazione “dei meccanismi di
gestione sovranazionali e subnazionali”;
- che gli Stati, pur limitati dai
mercati e dai nuovi mezzi di comunicazione, mantengono
il
controllo territoriale della
popolazione.
Simili tesi, in sostanza, si
collegano con il mantenimento della sovranità ,ma anche
con la sua
relativizzazione. Per un simile
indirizzo ”(g)li Stati nazionali non andrebbero più
visti come
poteri ‘che governano’ e che,
grazie all’autorità di cui sono investiti, possono
imporre risultati
che riguardano ogni aspetto della
politica nell’ambito di un dato territorio, ma piuttosto
come
luoghi dai quali possono essere
proposte, legittimate e controllate eventuali forme di
gestione”. Ne viene fuori una
struttura dei rapporti di potere ed istituzionali, in
cui lo Stato
nazionale non perde alcune delle
sue caratteristiche essenziali, ma - nel mutamento di
funzioni – mantiene un ruolo di
snodo sia come “fonte primaria di norme vincolanti - la
legge- nell’ambito di un dato
territorio”, sia come snodo di rapporti internazionali e
subnazionali. Si tratta in sostanza
di una tesi che può essere ben rappresentata dalla
metafora
della rete che si sostituisce alla
piramide.
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3- Le sei tendenze della democrazia
rappresentativa
Se questo è oramai il contesto
stabilizzato, è necessario affrontare ora il secondo
corno del
problema, ovvero il tema della
forma di regime democratica, cercando di privilegiare i
caratteri comuni alle democrazie
pluraliste (di antica e più recente formazione).
All’interno
delle stesse esistono, a mio
avviso, perlomeno sei tendenze che debbono essere poste
in primo
piano e che evidenzio qui di
seguito.
In primo luogo viene confermata la
perdita anche formale di centralità delle tradizionali
istituzioni rappresentative
collegiali con la conseguente affermazione della
personalizzazione
della contesa nelle società di
massa per la conquista di posizioni monocratiche.
In secondo luogo si evidenzia una
crisi di rappresentatività del personale politico
parlamentare a causa della
complessità delle società civili e politiche, della
trasformazione
delle tradizionali fratture e della
apparizione di nuove domande .
In terzo luogo, se i parlamenti
sono stati superati –sulla base del processo di
democratizzazione- dai partiti,
anche questi hanno oramai da tempo perso capacità di
articolare e ridurre la domanda
politica in favore di individui e gruppi. Si verifica
così una
riqualificazione delle funzioni
della rappresentanza parlamentare. Negli ordinamenti
caratterizzati dalla applicazione
della teoria funzionale della rappresentanza (con la
formazione di esecutivi stabili
sulla base di partiti e/o di leader) spesso vi è,
addirittura, la
certificazione che il personale
politico parlamentare della maggioranza si è trasformato
in
lobbista nei confronti del proprio
esecutivo. D’altro canto la teoria del libero mandato su
cui
poggia l’ideologia della
rappresentanza politica come rapporto fiduciario tra
rappresentante e
rappresentato è sostanzialmente
vanificata da normative elettorali che attribuiscono
anche
formalmente la responsabilità di
nomina dei parlamentari agli organi che presentano le
liste
(in Italia ai segretari nazionali
dei partiti o al Capo della coalizione per la Camera dei
deputati).
In quarta istanza gli esecutivi
assumono un ruolo privilegiato di rappresentanza delle
domande provenienti dalla società
civile e di collazione degli interessi. Sono gli
esecutivi,
dunque, che rappresentano
direttamente il corpo elettorale e divengono il punto di
riferimento
degli interessi che devono essere
rappresentati, esercitando la funzione principale
nell’allocazione autoritativa delle
risorse sul piano nazionale.
In quinto luogo altri soggetti non
legittimati dal consenso elettorale esprimono una
funzione
di rappresentanza e di contrappeso.
Ad organi tecnici, dotati di rappresentanza
istituzionale,
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viene attribuita una funzione di
espressione di esigenze peculiari della società civile e
di
controllo, precedentemente
attribuite a organi costituzionali prodotti della
volontà popolare.
In sesto luogo il relativo
svuotamento di competenze delle istituzioni statuali
centrali causato
da processi di devoluzione verso
l’alto e verso il basso moltiplica i fenomeni prima
citati,
rafforzando il ruolo degli
esecutivi, che hanno la possibilità di partecipare a
decisioni da cui
sono sostanzialmente esclusi gli
organi legislativi, nonostante le recenti previsioni di
compartecipazione .
Da questo quadro derivano evidenti
pericoli per gli ordinamenti che si definiscono
democratici. Essi si concentrano
sostanzialmente in quattro punti principali :
a) nella diminuzione dell’incidenza
del piano nazionale senza che vi sia una
individuazione sicura di una
alternativa dove i singoli cittadini come demos possano
esprimere in maniera costante ed
attiva la propria volontà elettiva e deliberativa;
b) nel crescente peso crematistico
in politica, per cui l’attività nel settore
dell’allocazione autoritativa delle
risorse corrisponde sempre più ai rapporti di potere di
fatto,
con la conseguente delegittimazione
dei fondamenti ideali del sistema;
c) nella mancanza di
partecipazione, con la riduzione delle formazioni
partitiche a
mere macchine di potere ed
elettorali e nella attribuzione di strumenti della
domanda e del
controllo popolare ad organi
tecnici privi di legittimazione diretta;
d) nell’influenza dei mezzi di
comunicazione di massa di tipo individualistico, con la
conseguenza che il processo di
decisione del demos viene fortemente influenzato dagli
stessi e
distorto da un’eventuale
concentrazione in mano di operatori singoli o
collettivi.
4- Le quattro ipotesi
Di fronte ad una simile situazione
e all’illusione che l’applicazione della teoria
funzionale
della democrazia possa essere
adottata in tutti i contesti e senza gli opportuni
contrappesi,
sono state presentate quattro
differenti ipotesi come soluzioni alternative e/o
concorrenti alla
rappresentanza in campo politico
basata sul metodo elettivo: la democrazia deliberativa,
la
democrazia elettronica, la
democrazia di villaggio, la rappresentanza
istituzionale.
Tutte queste strade presentano
parzialità ed insufficienze. Inizio da quella più
esterna ai
principi della volontà popolare. Da
parecchio tempo la sfiducia nella rappresentanza
partitica
e –ancor più quella fondata
sull’investitura del singolo- hanno fatto propendere
alcuni per il
recupero di forme di rappresentanza
istituzionale, considerate neutrali rispetto agli
interessi
particolari. Burocrazia,
magistratura e autorità amministrative indipendenti
costituirebbero un
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contropotere (un elemento
antagonistico direbbe il Romagnosi, teorico della
competenza)
necessario per riequilibrare le
forme della personalizzazione del potere. E tuttavia
l’utilizzazione di simili forme di
rappresentanza pone evidenti problemi di compatibilità
con i
principi della forma di Stato e di
regime degli ordinamenti di democrazia pluralista. Il
rischio
dello Stato amministrativo e
dell’irresponsabilità si sposa con il pericolo della
riscoperta di
forme di dipendenza dei tecnici
dall’autorità politica ancor più forte che nel passato.
La
democrazia deliberativa (un mélange
tra Rawls e Habermas) costituisce un mero palliativo
perché costituisce al massimo una
forma di scrutinio approfondito delle decisioni da
prendere,
mentre la cosiddetta democrazia
elettronica appare in realtà il tentativo di
reintroduzione di un
nuovo regime oligarchico con - da
un lato - il miraggio della democrazia di villaggio ed
un
rifugio nel campus universitario.
D’altro canto la sensazione che la regolarità del
procedimento di votazione sia messa
continuamente in gioco viene confermata da recenti e
noti episodi a livello comparato.
I quattro aspetti or ora
considerati confermano l’importanza fondamentale che
negli
ordinamenti democratici ha il tema
delle votazioni e della loro correttezza e la necessità
di
mantenere alti standard in questo
campo, anche per evitare i sempre presenti ed attuali
pericoli
del plebiscitarismo e del populismo
sottolineati da Aron sulla base della riflessione
classica .
A questo si aggiungono i temi della
democrazia multilivello e quello della democrazia
infrapartitica. Il primo argomento
costituisce il primo corno della crisi della
rappresentanza in
campo politico. In effetti, lo
spostamento del centro di gravità della politicità dal
piano
nazionale a quello sovranazionale
dell’integrazione fino a quello locale comporta la
riqualificazione degli strumenti
della democrazia. La democrazia parlamentare degli
ordinamenti nazionali, sfidata
dalle spinte plebiscitarie e populiste, vede ridotto il
ruolo dei
parlamenti, verso il basso, dalla
devoluzione subnazionale e, verso l’alto, da quella
dell’integrazione .
La soluzione prospettata della
democrazia multilivello sul piano europeo ricorda la
costruzione althusiana e
costituisce il tentativo di emarginare Hobbes, ma
evidenzia anche la
grande difficoltà di gestire il
politico attraverso le molteplici rappresentanze dei
collegi ed i
pericoli della personalizzazione.
Il problema della rapidità di
decisione e della sua legittimazione attraverso la
garanzia
procedimentale si ripresenta
nuovamente. I filosofi del ‘700 direbbero la molla
dell’esecutivo
deve essere limitata e legittimata
dai contropoteri che, sia a livello verticale che
orizzontale,
trovano nel demos e nell’opinione
pubblica il punto di riferimento normativo principale.
Anche in questa dimensione si pone,
dunque, il tema irrisolto e sottovalutato della continua
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verifica correttezza formale del
procedimento di scelta e quello della selezione dei
candidati a
tutti i livelli anche attraverso
gli strumenti della democrazia infrapartitica, campo cui
si
rivolge di nuovo la fatica di
Sisifo della democrazia.
5- Conclusioni
A questo punto ritengo di poter
pervenire ad alcune provvisorie osservazioni conclusive.
5.1- L’indebolimento della
sovranità statuale nella sua supposta assolutezza
esterna ed
interna, derivante dai paradigmi
ottocenteschi che identificavano lo Stato con la
politica e con
il diritto, è dovuta da un lato ai
fenomeni di internazionalizzazione dell’economia e allo
sviluppo tecnologico, dall’altro
all’esigenza etica di un controllo attraverso il diritto
dei
comportamenti degli Stati nel
rispetto dei diritti umani. La conseguenza di una simile
situazione è che la sovranità degli
ordinamenti statuali appare sotto tiro sia sotto il
profilo
oggettivo che sotto quello della
legittimità, ma persiste nell’ambito di interdipendenze
sempre
più complesse.
5.2- La costruzione di aree
regionali integrate (per lo più concentrate nell’ambito
degli Stati
industrializzati) non risolve il
problema classico dell’anarchia internazionale che per
alcuni
(penso a Huntington) assume aspetti
di contrapposizione tra culture, mentre organizzazioni
internazionali come l’ONU
evidenziano tutte le difficoltà che si parano innanzi a
progetti
kantiani di costituzione di un
governo mondiale attraverso il diritto.
5.3- Il fenomeno di integrazione
regionale nell’area europea ha assunto, invece, una
profondità ed una estensione che
ricorda il processo di costruzione di assetti statuali
federali,
ma risulta insufficiente per quanto
attiene efficacia, controlli e legittimazione. In un
simile
contesto le stesse interpretazioni
sulle istituzioni comunitarie risultano oramai obsolete.
Le
analisi basate sulla natura di
organizzazione internazionale dell’Unione europea non
reggono
più, mentre risulta sempre più
evidente come esista un pericoloso deficit di efficacia
e
democraticità dell’Unione europea,
cui corrispondono a livello nazionale istituzioni
incapaci
di decidere e controllare.
Se è vero ciò che si è osservato in
precedenza, ne discende, per l’ambito europeo, la
necessità
di un vero e proprio salto di
qualità istituzionale. In primo luogo si pone l’esigenza
di istituire
organi costituzionali chiaramente
responsabili nei confronti della rappresentanza
parlamentare
al fine di porre rimedio al deficit
di legittimità; in secondo luogo si deve operare una
seria
riarticolazione istituzionale
interna alle singole unità nazionali al fine di
adeguarle alla nuova
situazione.
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In questa prospettiva è un urgente
un rilancio della prospettiva europea con l’assunzione
di
responsabilità da parte di coloro
che ne formano attualmente l’asse. Le recenti e
convergenti
dichiarazioni di Wolfgang Schäuble
e di Alain Jauppé sulla necessità di rafforzare le
istituzioni europee confermano la
consapevolezza degli stakeholders sui difetti che
attanagliano il processo
decisionale dell’Unione e che ne mettono in pericolo la
costruzione.
Le parole del ministro delle
finanze tedesco mettono in evidenza anche le remore
interne di
tipo costituzionale e politico che
finora hanno impedito di fare il necessario salto di
qualità.
Gli incubi evocati in precedenza di
una implosione regionale da anni Trenta sulla base del
fallimento del pilastro principale
dell’Unione rappresentato dall’economia forse convincerà
i
soggetti responsabili della
necessità di fare uno sforzo ulteriore. Altrimenti una
crisi fatale
percorrerà la costruzione europea
dalla corona meridionale ed orientale fino al suo
centro.
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