L’art. 1102, primo comma, c.c.
recita:
“ Ciascun partecipante può servirsi
della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione
e non impedisca agli altri partecipanti di farne
parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può
apportare a proprie spese le modificazioni necessarie
per il migliore godimento della cosa”.
L’articolo è dettato in materia di
comunione ma in virtù del richiamo contenuto a queste
norme nell’art. 1139 c.c. e per costante giurisprudenza
è applicabile anche in materia di condominio negli
edifici. L’uso da parte di ognuno deve avvenire in modo
tale che, senza alternarne la destinazione, resti
comunque impregiudicata la possibilità degli altri
condomini di fare il loro uso. Com’è possibile tutto
ciò? La Cassazione, intervenendo in più occasioni sulla
materia, ha specificato che ” il pari uso della cosa
comune non postula necessariamente il contemporaneo uso
della cosa da parte di tutti i partecipanti alla
comunione, che resta affidata alla concreta
regolamentazione per ragioni di coesistenza; che la
nozione di pari uso del bene comune non è da intendersi
nel senso di uso necessariamente identico e
contemporaneo, fruito cioè da tutti i condomini
nell’unità di tempo e di spazio, perché se si
richiedesse il concorso simultaneo di tali circostanze
si avrebbe la conseguenza della impossibilità per ogni
condomino di usare la cosa comune tutte le volte che
questa fosse insufficiente a tal fine” (Cass. 16 giugno
2005 n. 12873).
Ciò detto vale la pena concentrare
l’attenzione su quella parte dell’edificio chiamata
intercapedine. Nel gergo comune con tale sostantivo come
si definisce lo “ spazio, vuoto compreso tra due
superfici vicine; in partic. in edilizia, spazio vuoto
che isola le parti interrate di un edificio dal terreno
circostante, per impedire infiltrazioni d'acqua”
(Dizionario della lingua italiana Il Sabatini Coletti).
Le intercapedini non sono menzionate nell’art. 1117 c.c.
Come ha avuto modo di precisare la Cassazione “
l'intercapedine esistente tra il piano di posa delle
fondazioni - che costituisce il suolo dell'edificio - e
la superficie, raffigurata dalla prima soletta del piano
terra, se non risulta diversamente dai titoli,
appartiene in comune a tutti i condomini in quanto
destinata alla aerazione o coibentazione del fabbricato
(Cass., Sez. 2^. 17 marzo 1999, n. 2395) e la pronunzia
di illegittimità dei lavori di scavo compiuti” (così
Cass. 15 febbraio 2008 n. 3854). Lo stesso deve dirsi
per le eventuali intercapedini presenti sui muri
perimetrali. Molto spesso siamo abituati a vedere le
intercapedini dei piani interrati tramite le inferriate
poste sui marciapiedi delle strade. Chiarito che cosa
debba intendersi per intercapedine e perché questa parte
dell’edificio debba considerarsi di proprietà comune è
lecito domandarsi quali siano i limiti al suo uso.
Sicuramente l’utilizzazione, salvo il caso di consenso
di tutti gli interessati, potrà essere fatta solamente
dai condomini. Quanto ai modi – in osservanza a quanto
detto in linea generale sull’uso delle cose comuni –
saranno leciti tutti quelli che, nel rispetto della
destinazione di quella parte comune non la danneggino o
mutino la destinazione della cosa né limitino il pari
diritto degli altri.
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Avv. Alessandro Gallucci |