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L'ATTACCO SUICIDA A SCHENGEN  di Tito Boeri-La Voce.info

 

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Berlusconi sotto dettatura di Sarkozy sottoscrive una lettera in cui si chiede alla Commissione europea di sospendere gli accordi di Schengen di fronte a casi come quello degli sbarchi su Lampedusa. È una scelta sbagliata per l'Europa e suicida per il nostro paese. È infatti una breccia che mina il processo di integrazione europea e riduce ulteriormente la mobilità del lavoro nel Vecchio Continente. Non servirà affatto a gestire crisi come quella di Lampedusa. Anzi, le renderà ancora più gravi perché impedisce che gli immigrati vadano là dove c'è più lavoro per loro.

 

 

 

 

 

QUELLO STRANO SILENZIO SU SCHENGEN

 

Nei commenti al vertice italo-francese è passata in secondo piano la lettera scritta da Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy ai presidenti del Consiglio europeo e della Commissione Ue per auspicare una riforma “ambiziosa” del Trattato di Schengen sulla libera circolazione. È un grave cedimento alle richieste del presidente francese, in forte crisi di popolarità. Ci siamo tirati una pesantissima zappa sui piedi. Apre una prima breccia nel regime di Schengen, una breccia che rischia di venire progressivamente allargata, minando il processo di integrazione europea e riducendo ulteriormente la mobilità del lavoro nel Vecchio Continente. Non servirà affatto a gestire crisi come quella di Lampedusa. Al contrario, le renderà ancora più gravi impedendo che gli immigrati vadano là dove c’è più lavoro per loro.

Gli accordi di Schengen permettono la libera circolazione dei cittadini fra 28 stati europei senza controlli alle frontiere. La revisione di questi accordi auspicata da Berlusconi e Sarkozy in vista del Consiglio europeo di giugno rischia di diventare la premessa per uno smantellamento dello spazio comune europeo. Si contempla, infatti, la “possibilità di ristabilire temporaneamente controlli alle frontiere interne in caso di difficoltà eccezionali”. Sappiamo per esperienza diretta quanto sia breve il passo fra l’eccezionalità e la prassi ordinaria. La normativa italiana è lastricata di leggi straordinarie rimaste in vigore per decenni. Si tratta, dunque, di un primo passo verso lo smantellamento del regime di libera circolazione, che non può che ridurre quella mobilità del lavoro che è fondamentale per la crescita in Europa, e ostacolare la costruzione di una identità europea, premessa indispensabile per rafforzare la cooperazione fra paesi nella gestione di risorse comuni. È un passo indietro tanto più grave, quanto del tutto inutile nel gestire crisi umanitarie come quella apertasi a Lampedusa.

 

SCHENGEN, LA MOBILITÀ E L’IDENTITÀ EUROPEA

 

L’Unione Europea non ha ancora un mercato unico del lavoro. Barriere linguistiche, culturali, ostacoli alla concorrenza basati sul mancato riconoscimento di competenze e titoli di studio acquisiti altrove riducono la mobilità dei lavoratori all’interno dell’Unione. Questo permette che permangano divari molto forti fra paesi nei tassi di disoccupazione e nelle opportunità di impiego. Se i disoccupati si spostassero dove c’è lavoro, il reddito pro-capite dei paesi dell’Unione aumenterebbe fortemente. Ma oggi solo un cittadino Ue su duecento cambia ogni anno paese di residenza per lavoro. La percentuale si alza a 7 su 100 nel caso di lavoratori immigrati, che ovviano in parte all’immobilità degli europei. Se dovessimo ora richiudere le frontiere all’interno dell’Unione, la già scarsa mobilità verrebbe ulteriormente compromessa. È un errore gravissimo nel momento in cui l’Unione ha bisogno di crescere di più per affrontare la crisi del debito pubblico. Inoltre, il superamento dei controlli alle frontiere comuni è stato in tutti questi anni un fatto molto importante nel creare un’identità europea, un senso di appartenenza a una comunità, complementare alle diverse identità nazionali. Il senso di appartenenza è fondamentale per permettere un maggiore coordinamento fra paesi nel gestire risorse comuni, come l’ambiente e la sicurezza, e per far contare di più l’Europa su scala globale. Il passo indietro su Schengen è perciò molto grave anche perché rischia di erodere ulteriormente il sostegno a politiche condivise fra i paesi dell’Unione.

 

LA SOLUZIONE È IN EUROPA, NON CONTRO L’EUROPA

 

L’Europa ha già oggi gli strumenti normativi per gestire crisi umanitarie che si aprono ai confini dell’Unione. Non c’è nessun bisogno di sospendere gli accordi di Schengen per affrontare casi come quello di Lampedusa. Al contrario, il ripristino dei controlli alle frontiere dell’Italia con gli altri paesi europei, che la lettera firmata ieri sembra prefigurare, renderà molto più onerosa la gestione dei flussi dal Nord Africa. Perché oggi il nostro paese – un’economia stagnante dopo una pesante recessione e con un tasso di disoccupazione a due cifre, quando si tenga conto dei molti lavoratori in cassa integrazione a zero ore – fatica a fornire opportunità di impiego e di integrazione ai nuovi arrivati. Non a caso, questi sono orientati ad andare in Germania (dove la disoccupazione è ai minimi storici e ci sono carenze di lavoratori in molti settori) o in Francia (dove i tunisini hanno famigliari e conoscenti, dunque fonti di reddito attraverso canali informali). I numeri dei flussi clandestini (sin qui sarebbero circa 28mila le persone sbarcate a Lampedusa) sono molto piccoli quando rapportati al mercato del lavoro dell’Unione. Non sono poi così piccoli, soprattutto se gli sbarchi dovessero proseguire a lungo, quando gli immigrati illegali dovessero concentrarsi in un solo paese, soprattutto se questo è un paese come l’Italia, il cui mercato del lavoro non riesce a uscire dalla recessione.

 

Un'analoga versione dell'articolo appare su Vox e Telos

 

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