La legge 31 maggio 1995, n. 218
disciplina oggi il matrimonio tra italiani e stranieri e
gli istituti ad esso connessi.
Possiamo affermare che questa
riforma è nota perché disciplina il riconoscimento di
sentenze e provvedimenti stranieri di volontaria
giurisdizione.
Prima dell’entrata in vigore della
legge 218/1995, le sentenze di scioglimento del vincolo
matrimoniale emesse da Autorità straniere trovavano
efficacia nel territorio italiano solamente a seguito di
una sentenza della Corte d’Appello, che le riconosceva
come valide con apposita deliberazione.
Alla stregua dell’art.32 della
legge di riforma, in materia di nullità e annullamento
del matrimonio, di separazione personale e di
scioglimento del matrimonio, la giurisdizione italiana
sussiste, oltre che nei casi previsti dall’art.3 della
stessa legge, anche qualora uno dei coniugi sia
cittadino italiano o il matrimonio sia stato celebrato
in Italia. Anche la cittadinanza dell’attore, perciò, è
sufficiente a fondare la giurisdizione dello Stato
italiano.
In tema di legge applicabile alla
separazione ed al divorzio, la legge di riforma prevede
alcune norme specifiche.
L’art.31 prevede due differenti
criteri di collegamento, gerarchicamente coordinati: la
legge nazionale comune dei coniugi al momento della
separazione o del divorzio o, in alternativa, mancando
la prima, quello dello Stato nel quale la vita
matrimoniale risulti prevalentemente localizzata.
Il criterio di collegamento della
nazionalità è stato opportunamente contemperato con
l’esigenza di dare una regola a tutti i casi i quali
abbiamo soggetti di differente cittadinanza.
All’occorrenza ci viene incontro il criterio sussidiario
flessibile della prevalente localizzazione della vita
matrimoniale, il quale applica il principio della
prossimità della fattispecie con il Giudice adito.
Nel caso in cui i coniugi risiedano
separatamente o abbiano più residenze comuni, si dovrà
procedere ad una valutazione comparativa della natura e
della durata delle connessioni con i vari Stati di
residenza. Dovranno, dunque, essere comparate
circostanze quali l’eventuale domicilio comune dei
coniugi, il luogo di abituale residenza dei figli, la
dislocazione della casa di abitazione e delle altre
proprietà dei coniugi e tutti gli altri elementi che
possano condurre ad individuare la legge più prossima al
rapporto.
Particolare rilievo presenta il
criterio sussidiario previsto dall’art. 31 c.2, secondo
cui la separazione ed li divorzio, ove non siano
contemplati dalla legge straniera, sono disciplinati
dalla legge italiana.
Qualora ricorra un’istanza di
separazione o di divorzio che, per la legge straniera
non potrebbero essere pronunciati, in quanto da essa non
contemplati, va applicata la lex fori, prescindendo da
qualsiasi collegamento specifico della fattispecie con
il nostro ordinamento.
La ratio della disposizione in
esame è il fine di assicurare a tutti i cittadini la
possibilità di sciogliere il matrimonio, a prescindere
dalle previsioni della lex causae. Secondo alcuni
autori, la suddetta legge esprime direttamente un
principio di ordine pubblico internazionale.
La nuova disciplina sull’efficacia
di sentenze di atti stranieri, cui al titolo IV della
legge di riforma, ha sostituito la precedente procedura
di delibazione. Tale disciplina si applica anche al
riconoscimento ed all’esecuzione nel nostro ordinamento
di atti e provvedimenti stranieri di separazione e di
divorzio.
L’art.64 introduce il
riconoscimento automatico della sentenza straniera, in
virtù del quale il prodotto giurisprudenziale straniero
è recepito nel nostro ordinamento senza che sia
necessario il ricorso ad alcun procedimento. Ciò,
ovviamente, a condizione che sussistano i presupposti
espressamente enunciati dallo stesso articolo. Il
provvedimento straniero, dunque,può essere recepito
automaticamente in Italia quando sia stato pronunciato
da un Giudice competente secondo i titoli attributivi di
giurisdizione propri del nostro ordinamento.
L’art.65 della stessa legge dispone
che siano efficaci direttamente in Italia i
provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle
persone, nonché all’esistenza di rapporti di famiglia o
di diritti della personalità quando essi sono stati
pronunciati dalle Autorità dello Stato la cui legge è
richiamata dalle norme della presente legge, purché non
siano contrari all’ordine pubblico e siano stati
rispettati i diritti essenziali della difesa.
Questa disposizione, dunque, da un
lato consente il riconoscimento del provvedimento, quale
atto giurisdizionale straniero, e, dall’altro, consente
al provvedimento straniero di esplicare rilevanza anche
in ordine ai rapporti di famiglia ed allo status del
cittadino italiano, dal momento che la competenza in
questa materia non appartiene più alla sola legge
nazionale.
Il meccanismo del riconoscimento
automatico opera, per espressa previsione dell’art.66
della presente legge, anche con riferimento ai
provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione,
purché siano state rispettate le condizioni imposte
dall’art.65 ed i provvedimenti siano stai pronunciati
dalle autorità dello Stato, la cui legge è richiamata
dalle disposizioni della l. 218/1995.
Così, ad esempio, nel caso in cui
un cittadino italiano contragga matrimonio con una
statunitense e la coppia si trasferisca negli Stati
Uniti, la sentenza di separazione o di divorzio emessa
dall’Autorità giudiziaria statunitense, potrà ottenere
il riconoscimento diretto in Italia, anche se sia
pronunciata per cause ignote al nostro ordinamento.
La cittadinanza, infatti, è un
criterio attributivo di giurisdizione alla stregua del
nostro sistema di diritto internazionale privato; nel
caso, però, in cui non vi sia una legge nazionale comune
dei coniugi, il divorzio sarà disciplinato dalla legge
dello stato di prevalente localizzazione della vita
matrimoniale, ossia, nel caso, la legge statunitense.
In definitiva, il principale
ostacolo al riconoscimento delle sentenze straniere di
separazione e di divorzio rimane soltanto l’ordine
pubblico, contemplato sia dall’art.64 della legge di
riforma, che dal successivo art. 65 inteso non come
ordine pubblico interno, bensì come ordine pubblico
internazionale costituito dai soli principi fondamentali
e caratterizzanti l’atteggiamento etico-giuridico
dell’ordinamento in un determinato periodo storico.
Sul punto, la giurisprudenza ha
ormai ammorbidito l’originario rigore, giungendo a
riconoscere anche il divorzio straniero sulla mera
concorde volontà delle parti, a condizione che sia
pronunciato da un organo giudiziario.
L’art.67 prevede le modalità di
attuazione delle sentenze e dei provvedimenti stranieri
di volontaria giurisdizione nei casi di mancata
ottemperanza o contestazione, nei quali è necessario
procedere ad esecuzione forzata.
La norma prevede, dunque, che
chiunque vi abbia interesse possa chiedere alla Corte
d’Appello del luogo ove la pronuncia deve essere attuata
l’accertamento dei requisiti del riconoscimento, al fine
di ottenere la formula di exequatur.
Il provvedimento con il quale si
accoglie la domanda, unitamente al provvedimento
straniero,costituiranno il titolo per l’attuazione e
l’esecuzione forzata.
È sorto un dubbio, se il
procedimento in esame fosse necessario anche al fine di
procedere all’iscrizione o all’annotazione del
provvedimento straniero nei registri dello stato civile.
Infatti l’art. 125 Ord. Stato civile prevede
l’iscrizione e l’annotazione delle sentenze che rendano
esecutivi nello Strato o provvedimenti stranieri di
nullità o di scioglimento del matrimonio. È stato quindi
chiarito che l’Ufficiale di stato civile è tenuto a dare
regolamentare corso alla richiesta di trascrizione,
iscrizione o annotazione, se ritiene che sussistano i
requisiti previsti dalla legge si riforma, negli artt.
64, 65, 66.
|