Sommario:1.Premessa.
2.Lo
stato dell’arte
della giurisprudenza
anteriore al codice.
Caducazione
automatica,
inefficacia,
annullabilità,
nullità del
contratto. Cenni.
3. La problematica della spettanza della
giurisdizione sulla
sorte del contratto.
4. L’inefficacia del
contratto in caso di
gravi violazioni; 5.
L’inefficacia del
contratto negli
altri casi; 6.
La tutela in forma
specifica e per
equivalente.
1.Premessa.
Il presente scritto non ambisce al rango di
trattazione completa
del tema
dell’inefficacia del
contratto d’appalto
a seguito di
annullamento
dell’aggiudicazione
ma vuol essere da
un lato una piccola
sintesi degli
orientamenti
giurisprudenziali
previgenti al varo
del codice del
processo
amministrativo e
dall’altro un
commento a prima
lettura delle
disposizioni che la
novella processuale
dedica
all’argomento.
Il tutto senza alcuna pretesa di esaustività ma con
la consapevolezza di
dare atto solo degli
interventi
giurisprudenziali
più importanti e di
fornire spunti
interpretativi delle
nuove norme.
Le note ed i richiami sono pertanto ridotti
all’essenziale.
2. Lo stato
dell’arte della
giurisprudenza
anteriore al codice.
Caducazione
automatica,
inefficacia,
annullabilità,
nullità del
contratto. Cenni.
1. Il fenomeno che si produce in esito
all’annullamento
degli atti di una
gara d’appalto ad
opera del giudice
amministrativo ed,
in particolare in
esito
all’annullamento del
provvedimento
terminale
dell’aggiudicazione
definitiva ha da
sempre posto il
problema della sorte
del contratto
d’appalto medio
tempore stipulato
tra Amministrazione
aggiudicatrice e
appaltatore.
Non è chi non veda, infatti, come l’esigenza di
tutelare il
ricorrente
vittorioso ha posto
l’interprete di
fronte al dilemma
delle conseguenze
che potevano
predicarsi
discendere dalla
pronuncia giudiziale
cassatoria
dell’aggiudicazione
sul vincolo
negoziale.
In breve e senza alcuna pretesa di completezza,
giova forse, oggi
che la materia è
stata disciplinata
con disposizioni
minuziose dal d.lgs.
n. 104/2010 recante
il testo del nuovo
codice del processo
amministrativo,
rammentare le tesi
che si erano venute
elaborando in
giurisprudenza sulla
tematica dei
riverberi della
sentenza di
annullamento della
gara sul vincolo
negoziale convenuto
con l’appaltatore.
2. Non va in tale ottica trascurata la posizione
meno garantista
assunta dalla
Cassazione, la quale
per molti anni ha
sostenuto che il
contratto d’appalto
sorto sulle ceneri
di un’aggiudicazione
viziata e annullata
dal giudice
amministrativo non
risentiva in via
automatica degli
effetti della
pronuncia
giurisdizionale e
necessitava di
essere annullato dal
giudice ordinario,
cui il ricorrente
vittorioso nel
giudizio
amministrativo era
costretto a
rivolgersi per
vedere integralmente
reintegrata la sua
posizione giuridica
soggettiva.
Questa opzione frustrava le istanze di celerità e
di effettività della
tutela
giurisdizionale
perché oltre a
comportare la
necessità di
intraprendere una
nuova azione civile
scontava anche il
meccanismo di
rilievo
dell’annullamento
intessuto nel codice
civile ed in forza
del quale l’azione
compete a colui che
vi abbia interesse,
con l’ulteriore
precisazione che si
riteneva che le
norme di evidenza
pubblica infrante
dall’Amministrazione
che aveva posto in
essere una procedura
e susseguente
aggiudicazione
viziata, sono
predisposte
nell’interesse
pubblico che si
faceva coincidere
con quello
dell’Amministrazione
alla individuazione
della migliore
proposta
contrattuale.
Ne conseguiva che unico soggetto legittimato
all’azione di
annullamento era la
stessa P.A. che
aveva dato causa
all’aggiudicazione
illegittima; con il
che la situazione
soggettiva del
ricorrente
vittorioso risultava
grandemente
compromessa.
3.1. Per reagire a tale iniquo costrutto si fecero
strada in
giurisprudenza due
opposte opzioni
ermeneutiche che, al
contrario,
valorizzavano lo
stretto legame,
definito in termini
di presupposizione
ovvero di
consequenzialità
necessaria, tra
provvedimento di
aggiudicazione e
contratto, per
giungere a predicare
come approdo
terminale
l’automatica
caducazione del
contratto d’appalto
ovvero, secondo una
variante di tale
esegesi, la sua
inefficacia
sopravvenuta.
Ebbene, a stare a simili eleganti elaborazioni, che
trovarono
accoglimento anche
in talune pronunce
della Cassazione, il
contratto d’appalto
stipulato a valle
dell’aggiudicazione,
in generale non ha
vita autonoma ma
sostanzia un mero
atto formale
riproduttivo
dell’accordo già
concluso. Siffatta
sua natura meramente
compilativa
comportava che il
negozio era
destinato a subire
gli effetti del
vizio che inficiava
il provvedimento che
ne costituiva il
presupposto e a cui
era inscindibilmente
collegato e,
praticamente, a
restare
automaticamente
caducato,
addirittura senza la
necessità di
pronunce costitutive
del suo cessato
effetto da parte del
giudice
amministrativo che
aveva annullato
l’aggiudicazione
della gara, o di
atti di ritiro
dell’amministrazione.
La vicenda offriva un significativo esempio della
c.d. invalidità ad
effetto caducante
e la caducazione del
negozio a valle
doveva affermarsi
per effetto della
stretta
presupposizione tra
l’annullamento degli
atti della procedura
di evidenza pubblica
e il contratto
d’appalto.
3.2. Non va sottaciuto che la delineata teorica
prestò il fianco,
nella stessa
giurisprudenza che
pure la sposava, ad
una acuta
autocritica, là dove
si faceva osservare
come apparisse arduo
predicare la
sussistenza di un
nesso di stretta
presupposizione tra
due atti avanti
natura del tutto
diversa, quali il
provvedimento
amministrativo di
aggiudicazione,
promanante
dall’apparato
amministrativo, e il
contratto,
scaturente invece
dall’incontro della
volontà delle parti
ed avente comune
natura consensuale.
Immediatamente si controdeduceva, peraltro, in
proposito, che
l’ordinamento
fornisce
significativi esempi
dell’esistenza di un
similare nesso di
presupposizione tra
atti aventi natura
diversa e promananti
da fonti diverse,
facendosi l’esempio
del legame
predicabile tra
regolamento, avente
natura di fonte del
diritto, e
provvedimento, atto
a risentire in via
derivata dei vizi
che affliggono il
primo.
Ragion per cui non si intravedevano seri ostacoli
teorici alla tesi
del nesso di stretta
presupposizione o
consequenzialità
necessaria tra
provvedimento di
aggiudicazione e
contratto d’appalto
e al corollario per
il quale i vizi
della prima si
riverberassero in
via automatica sul
secondo, anche in
omaggio al broccardo
simul stabunt simul
cadent.
4. Secondo altra raffinata teorica, che a ben
vedere costituisce,
come più sopra
avvertito, una
variante della tesi
della caducazione
automatica, la
sentenza di
annullamento della
gara emessa dal
giudice
amministrativo
importa il
sopravvenire di una
ragione nuova di
inefficacia
sopravvenuta del
contratto a causa
della sua successiva
inidoneità
funzionale a
regolare l’assetto
di interessi tra le
parti, in virtù
dell’ingerenza ab
externo di interessi
giuridici superiori
incompatibili con il
permanere in via
definitiva
dell’assetto
determinato dal
contratto.
Secondo la decisione
n. 6666/2003 del
Consiglio di Stato
l’annullamento
dell’aggiudicazione
priva ex tunc
l’organo pubblico
che ha stipulato il
contratto della
necessaria
legittimazione
formale ad esprimere
il consenso
dell’Amministrazione,
per cui il negozio
diviene inefficace
ma sono salvi gli
effetti prodottisi
sui terzi di buona
fede al pari di
quanto avviene in
materia di
invalidità delle
delibere delle
associazioni non
riconosciute ai
sensi dell’art. 23,
comma 2, c.c.
Si precisava in chiave teorica in tutte le citate
pronunce che il
contratto era
affetto non da un
vizio genetico, per
cui, in sé, restava
valido, ma da un
vizio operante sul
piano e al diverso
livello degli
effetti.
Gli interessi superiori incompatibili con l’assetto
recato dal negozio
consistevano
nell’acclarata
illegittimità
dell’aggiudicazione
e nell’esigenza di
ripristino della
legalità violata con
il provvedimento di
aggiudicazione
annullato dal
giudice
amministrativo.
Non è chi non veda come la teoria della caducazione
automatica e quella
dell’inefficacia
sopravvenuta
producessero i
medesimi effetti
giuridici ultimi,
ovverosia la perdita
di efficacia del
contratto d’appalto
senza la necessità
dell’esperimento di
un’ulteriore azione
giurisdizionale e
senza che fosse
necessario statuire
in merito da parte
dello stesso giudice
dell’annullamento.
Invalsa era peraltro la prassi di domandare al
giudice,
contestualmente
all’annullamento,
anche la
declaratoria di
automatica
caducazione o di
inefficacia del
negozio e
conseguentemente il
giudice pronunciava
in proposito; di tal
che il dispositivo
recava in sé oltre
alla pronuncia
demolitoria anche la
declaratoria di
inefficacia o di
caducazione del
contatto.
5. A margine delle due descritte tesi era pure da registrare
quella, per il vero
più cristallina, che
predicava non
l’inefficacia o la
caducazione o
perdita di effetti
del contratto, bensì
la sua radicale
nullità per
contrarietà a norme
imperative di legge,
ai sensi dell’art.
1418, comma 2 del
codice civile,
secondo il modello
della c.d. nullità
virtuale od
extratestuale.
Si sosteneva, cioè, che il contratto d’appalto
sorto da
un’aggiudicazione
viziata ed annullata
ex tunc si ponesse
in contrasto con
nome di natura
imperativa, quali
erano interpretate
le norme che
regolano il
procedimento di
evidenza pubblica e
che, pertanto, a
seguito della
sentenza
amministrativa di
annullamento, il
contratto fosse
radicalmente nullo,
senza anche qui, la
doverosità di una
pronuncia
giurisdizionale.
E parallelamente, ove la parte ricorrente lo
domandasse, il
giudice accertava
anche la nullità del
contratto in uno con
la pronuncia di
annullamento del
provvedimento di
aggiudicazione.
3. La problematica
della spettanza
della giurisdizione
sulla sorte del
contratto.
1. Consustanziale a tutte le ricostruite tesi della
nullità, inefficacia
o automatica
caducazione del
contratto era
l’affermazione della
spettanza della
giurisdizione sulle
sorti del contratto
d’appalto al Giudice
amministrativo
investito della
domanda di
annullamento
dell’aggiudicazione.
Appariva naturale e conseguenziale, dunque,
ritenere che il
giudice chiamato
pronunciarsi sulla
procedura ad
evidenza pubblica
detenesse anche la
giurisdizione e la
potestas decidendi
circa le
conseguenze della
pronuncia di
annullamento sul
negozio stipulato a
valle del
provvedimento di
aggiudicazione
riconosciuto
viziato.
Senonché la questione di giurisdizione fu portata
all’attenzione della
Corte regolatrice
che con la nota
sentenza delle
Sezioni Unite del
28.12.2007, n. 27169
ebbe a statuire che
il perimetro e i
confini invalicabili
della giurisdizione
del Giudice
amministrativo
iscritti negli artt.
6 e 7 della L.
22.7.2000, n. 205 di
modifica della L. n.
1034/1971, fossero
costituiti dalla
procedura di
aggiudicazione, che
termina con il
provvedimento di
aggiudicazione
definitiva, restando
escluse dall’ambito
di tale
giurisdizione tute
le questioni
inerenti la validità
e l’efficacia del
contratto d’appalto,
ivi compresa la
domanda volta ad
accertare gli
effetti che su di
esso produce
l’eventuale sentenza
di annullamento,
ancorché ex tunc,
del provvedimento di
aggiudicazione.
Coerentemente la Corte precisava che rispetto a
tale successivo
segmento della
vicenda sostanziale,
la posizione
giuridica soggettiva
vantata dalle parti
stipulanti assume la
consistenza di
diritto soggettivo.
Il tutto era da
predicare tanto in
caso di totale
radicale mancanza di
una procedura ad
evidenza pubblica,
tanto in caso di
legale mancanza
della stessa a
seguito del suo
annullamento.
La delineata posizione è stata poi ribadita da
Cass. SS.UU. Civ.,
18.7.2008, n. 19805.
La questione com’è noto è approdata anche
al’Adunanza Plenaria
del Consiglio di
Stato che da un lato
non si è discostata
dall’opzione
espressa dalle
Sezioni Unite,
precisando che il
limite della
giurisdizione del
giudice
amministrativo è
rappresentato dal
provvedimento di
aggiudicazione che
segna la fine della
procedura ad
evidenza pubblica,
ma dall’altro ha
recuperato
significativi
margini al sindacato
e al ruolo del
giudice
amministrativo
facendolo traslare
dal giudizio di
cognizione a quello
di ottemperanza.
La Plenaria ha cioè chiarito che dal giudicato di
annullamento del
provvedimento di
aggiudicazione
discende l’obbligo
per
l’amministrazione di
assumere atti di
ritiro del consenso
a suo tempo prestato
alla stipula del
contratto d’appalto,
procedendo quindi in
via di autotutela
alla sua risoluzione
o all’annullamento;
da ciò discendendo
che in difetto di
tale doveroso
comportamento il
ricorrente
vittorioso potrà
adire nuovamente il
giudice che ha
pronunciato la
demolizione della
gara, domandando al
medesimo l’emissione
di un ordine di
esecuzione dalla
sentenza di
annullamento,
compresa in caso di
ulteriore inerzia
dell’amministrazione
inadempiente, la
nomina di un
commissario ad acta,
il quale adotterà
l’atto di autotutela
sul contratto non
assunto dalla p.a..
Ne risulta dunque rafforzato e ripristinato il
potere del giudice
dell’annullamento di
intervenire sulla
vicenda negoziale,
quantunque mediato
dall’attività del
commissario ad acta,
ausiliario
dell’organo
giurisdizionale.
2. La delineata riconduzione della potestà di
pronunciare sulla
sorte del contratto
all’alveo del
giudizio di
ottemperanza privava
il giudice
amministrativo della
possibilità di
statuire in sentenza
in ordine al destino
del contratto
d’appalto.
Purtuttavia non mancava qualche pronuncia che pur
non statuendo in
dispositivo alcunché
sulla sorte del
contrato d’appalto,
tuttavia in
motivazione ne
affermava
l’inefficacia o la
caducazione
(categorie
coincidenti negli
effetti ultimi)
sopravvenute a causa
dell’annullamento
dell’aggiudicazione,
contestualmente
chiarendo da un lato
che siffatto vizio
consegue
automaticamente ed
ex lege alla
pronuncia
demolitoria del
giudice e senza,
quindi, la necessità
che venga sancito
nel dispositivo e
dal’altro predicava
l’obbligo
dell’amministrazione
di adottare atti di
ritiro del consenso
del contratto, in
virtù dell’effetto
conformativo della
sentenza di
annullamento,
in difetto dei quali
atti viene data la
stura al giudizio di
ottemperanza.
3. Frattanto i tempi erano maturi per un’evoluzione
dell’ordinamento in
senso sostanzialista
e garantista per il
privato che aveva
subito gli effetti
un’illegittima
aggiudicazione ad
altri.
Come spesso accade, le istanze di concentrazione
dei giudizi e di
pienezza della
tutela trovavano
accoglimento nel
diritto comunitario
che aveva già
partorito la
Direttiva CEE
11.12.2007, n. 66
sul miglioramento
dell’efficacia delle
procedure di ricorso
in materia di
aggiudicazione di
appalti, la quale,
dopo aver proclamato
in un considerando i
predetti principi,
disponeva poi
all’art. 2-
quinquies che il
giudice adito con la
domanda di
annullamento
dell’affidamento ha
anche il potere di
dichiarare privo di
effetti il contratto
concluso.
Ed è stata la vis expansiva di tali proclamazioni
che ha determinato
nelle Sezioni Unite
un révirement
rispetto alle
sentenze n.
27169/2007 e
19805/2008 con la
correlativa
affermazione della
spettanza al giudice
amministrativo della
potestà di
dichiarare
inefficace il
contratto d’appalto
anche in una
fattispecie
antecedente
all’attuazione della
citata Direttiva in
norma nazionale.
La Corte regolatrice ha con forza sostenuto
che per effetto
della Direttiva n.
2007/66, si
imponeva, fin dalla
sua entrata in
vigore,
un’interpretazione
costituzionalmente e
comunitariamente
orientata, onde far
luogo ad un esame
congiunto della
domanda di
annullamento
dell’aggiudicazione
e di quella di
privazione degli
effetti del
contratto, in
ragione degli stessi
principi di
concentrazione,
effettività,
ragionevole durata e
del giusto processo
di matrice
costituzionale.
Principi che pur
essendo di origine
nazionale e avendo
le radici nella
carta
costituzionale,
informano anche il
predetto articolato
normativo
comunitario, posto
che, in particolare,
il 13° considerando
della Direttiva in
parola sancisce che
“un contratto
risultante da
un’aggiudicazione
mediante affidamenti
diretti illegittimi
dovrebbe essere
considerato in linea
di principio di
effetti”.
Proclamazione che
poi trova risconto
nel disposto
dell’art. 2 –
quinquies della
Direttiva, il quale,
come sopra
ricordato,
stabilisce che il
giudice
dell’annullamento ha
anche il potere di
dichiarare privo di
effetti il negozio
stipulato.
4. La successiva attuazione della Direttiva n.
2007/66 mediante il
d.lgs.20.3.2010, n.
53 ha poi sancito in
via definitiva,
mediante la modifica
della Parte IV del
Titolo II del Codice
dei contratti
recante la
disciplina del
contenzioso e in
particolare degli
artt. 240 e ss. la
devoluzione al
giudice
dell’annullamento
della cognizione
sulle sorti del
contratto d’appalto.
Successivamente il codice del processo
amministrativo ha
recato numerose
disposizioni di
coordinamento che
nella materia che
occupa sono
intervenute anche a
modificare o
sostituire le norme
del codice dei
contratti dedicate
al contenzioso.
Più in precisamente l’articolo 3, comma 19
dell'Allegato 4 al
D.Lgs.2 luglio 2010,
n. 104
ha sostituito in
tronco gli artt.
244, 245, 245 – bis,
245 – ter, 245 –
quater e 245 –
quinquies del d.lgs.
n. 163/2006 che
disciplinavano la
giurisdizione del
g.a. e l’inefficacia
del contratto,
stabilendo che la
giurisdizione
esclusiva del
giudice
amministrativo in
materia di contratti
pubblici è
disciplinata dal
codice del processo
amministrativo al
pari dell’intera
materia
dell’inefficacia e
delle sanzioni
alternative alla
stessa.
La sedes materiae della regolazione della sorte del
contratto in esito
all’annullamento del
provvedimento di
aggiudicazione è,
dunque, da ricercare
oggi unicamente ed
omnicomprensivamente
negli art. 121 – 124
( e per certi
aspetti anche
nell’art. 125 sulle
controversie
relative alle
infrastrutture
strategiche ) del
cod. proc. Amm.,
norme sul cui
sommario esame
vertono i numeri che
seguono.
4. L’inefficacia del
contratto nel Codice
del processo
amministrativo.
L’inefficacia in
caso di gravi
violazioni.
1.1. Il nuovo Codice disciplina l’inefficacia in
due norme,
sostanzialmente
contemplando due
classi di
inefficacia; quella
obbligatoria, che
consegue alla
consumazione di
gravi violazioni,
regolamentata
all’art. 121 e
l’inefficacia che
potremmo definire
facoltativa, ossia
quella che si
apprezza in tutti
gli altri casi in
cui non sia stata
commessa una grave
violazione, ipotesi
cui è dedicato
l’art. 122.
Ebbene, la declaratoria di inefficacia è
obbligatoria e,
salvo il caso che
ricorra una
condizione ostativa
alla sua pronuncia,
contemplata dal
comma 2 dell’art.
121, il giudice che
annulla
l’aggiudicazione
definitiva deve
dichiarare
l’inefficacia del
contrato, in
presenza di ognuna
delle violazioni di
seguito descritte,
precisando anche, in
funzione delle
deduzioni delle
parti e della
gravità della
condotta della
stazione appaltante
nonché della
situazione di fatto,
se la declaratoria
di inefficacia è
limitata alle
prestazioni ancora
da eseguire o se,
invece, opera
retroattivamente.
I casi contemplati concernono l’omissione della
pubblicità
obbligatoria del
bando e la
violazione della
clausola stand still
in forza della quale
il contratto non può
essere stipulato se
non è ancora decorso
il termine dilatorio
di trenta giorni
dalla comunicazione
dell’aggiudicazione
o se in pendenza di
tale termine è stato
presentato un
ricorso.
In particolare, la lett. a) dell’art. 121 comma 1
stabilisce che il
giudice che annulla
l’aggiudicazione
dichiara
l’inefficacia del
contratto se
l’aggiudicazione
definitiva è
avvenuta senza
previa pubblicazione
del bando o avviso
nella gazzetta
ufficiale
dell’Unione europea
o nella Gazzetta
ufficiale della
Repubblica italiana
quando tale
pubblicità sia
prescritta dal
d.lgs. 16.4.2006, n.
163.
1.2. Qui occorre fare riferimento alle norme del
Codice dei contratti
che dispongono che
ove l’importo a base
di gara superi le
soglie di rilevanza
comunitaria il bando
o avviso deve essere
inviato per la
pubblicazione
all’Ufficio
pubblicazioni
ufficiali
dell’Unione europea,
oltre che essere
pubblicato sul
foglio inserzioni
della Gazzetta
Ufficiale della
Repubblica italiana.
La lett. B) prevede l’ipotesi in cui
l’aggiudicazione
definitiva sia
avvenuta con
procedura negoziata
senza bando o con
affidamento in
economia fuori dei
casi consentiti e
ciò abbia
determinato
l’omissione della
pubblicità sulla
Gazzetta ufficiale
dell’Unione europea
o della Repubblica
italiana quando
questa è prescritta
dal codice dei
contrati.
Come può notarsi la violazione ruota comunque
intorno
all’omissione della
pubblicità del bando
o dell’avviso,
veicolata
dall’adozione della
trattativa privata
senza bando o
dell’affidamento in
economia fuori dei
casi consentiti.
2. Le lettere c) e d) contemplano l’ipotesi di
infrazione della
clausola stand
still, a sua volta
distinta in due
ipotesi. La prima è
la violazione secca
del termine
dilatorio stabilito
dal d.lgs. n.
163/2006 per la
stipula del
contratto, ma a
condizione che tale
mancato rispetto del
termine minimo
decorrente
dall’aggiudicazione
definitiva abbia
privato il
ricorrente della
possibilità di
avvalersi dei rimedi
di ricorso prima
della stipulazione
del contratto.
E’ oltretutto prescritta l’ulteriore condizione che
la violazione del
termine dilatorio in
questione,
unitamente ai vizi
propri
dell’aggiudicazione
definitiva abbia
influito sulle
possibilità del
ricorrente di
conseguire
l’affidamento.
La precisazione è importante poiché sancisce una
evidente
dequotazione ed
irrilevanza della
violazione meramente
formale del termine
dilatorio,
occorrendo, dunque,
da un lato la
precondizione che
detta violazione
abbia privato il
ricorrente della
possibilità di
adeguata reazione
giurisdizionale
prima della
stipulazione del
contratto e,
dall’altro, la
condizione
sostanziale che la
violazione in parola
non sia l’unica che
affligge
l’aggiudicazione.
Necessita dunque che essa violazione si aggiunga ad
altri vizi propri
dell’aggiudicazione
definitiva in guisa
da influire sulle
possibilità del
ricorrente di
conseguire
l’affidamento della
commessa.
Ne discende che la mera e sola violazione della
clausola stand still
non ha efficacia
invalidante
dell’aggiudicazione,
ma occorre che ad
essa si accompagnino
vizi sostanziali o
procedimentali
ulteriori che
concorrano a
influire sulle
possibilità del
ricorrente di
ottenere
l’affidamento.
La lett. d) contempla il caso del contratto
stipulato senza
rispettare il
termine dilatorio
per la stipulazione,
scaturente
dall’avvenuta
presentazione di un
ricorso
giurisdizionale
avverso
l’aggiudicazione
definitiva, ma,
anche qui, nella
ricorrenza delle due
condizioni appena
esaminate
3.1. Come più sopra accennato, è disciplinata
un’eccezione alla
regola
dell’inefficacia
obbligatoria in
presenza di una
delle violazioni più
sopra illustrate.
Il codice dispone infatti che il contrato rimane
inefficace anche in
caso di accertamento
giudiziale di una
delle violazioni in
questione, qualora
venga accertata la
sussistenza di
esigenze imperative
connesse ad un
interesse generale.
La norma si sforza poi di individuare dei concreti
esempi di esigenze
imperative,
contemplando
anzitutto quelle
derivanti da
necessità tecniche o
di altro tipo tali
da rendere evidente
che i residui
obblighi
contrattuali possono
essere rispettati
solo dall’esecutore
che ha stipulato il
contratto d’appalto.
E’ difficile in concreto delineare fattispecie in
cui si verifichino
siffatte evenienze.
Probabilmente la
norma fa riferimento
a evenienze di
carattere tecnico
verosimilmente
connesse al possesso
in capo
all’esecutore di
diritti di privativa
industriale o di
know – how che
facciano ritenere
che il contratto
possa essere portato
ad ulteriore
esecuzione solo dal
medesimo.
In tal caso l’ipotesi lumeggiata sembra coincidere
con quella
caratterizzata dalla
sussistenza di
ragioni di natura
tecnica, artistica o
attinenti alla
tutela di diritti di
esclusiva, in forza
dei quali il
contratto può essere
affidato unicamente
ad un imprenditore
determinato a mente
dell’art. 57, comma
2, lett. b) del
d.lgs. n. 163/2006.
E’ pure ipotizzabile il caso in cui l’appaltatore
goda di particolari
contratti di
fornitura con
clausola di
esclusiva per
effetto dei quali le
provviste per
l’esecuzione del
contratto non
possono essere
fornite ad altri
esecutori. Sarà
l’esperienza pratica
a delineare le
concrete
fattispecie.
Importante precisazione fornita dalla norma è però
quella secondo cui
gli interessi
economici possono
integrare esigenze
imperative
impedienti la
declaratoria di
inefficacia solo in
casi eccezionali,
nei quali
l’inefficacia del
contratto può
condurre a
conseguenze
sproporzionate.
Il che, si può ad esempio verificare, precisa il
codice, allorché il
ricorrente non abbia
articolato una
domanda di subentro
nel contratto
qualora il vizio
dedotto non sia
idoneo a travolgere
la gara.
L’accenno alla necessità che la domanda di subentro
è onere del
ricorrente induce
l’interprete a
ritenere che il
giudice non possa
d’ufficio dichiarare
il subentro nel
contratto,
quand’anche ne
statuisca
l’inefficacia.
3.2. Ulteriore importante precisazione è contenuta
nell’ultimo periodo
del comma 2
dell’art. 121 in
esame, secondo il
quale non
costituiscono
esigenze imperative
gli interessi
economici legati
direttamente al
contratto, tra i
quali i costi
derivanti dal
ritardo
nell’esecuzione del
medesimo o dalla
necessità di
espletare una nuova
gara o dal cambio
dell’appaltatore e
dagli obblighi di
legge risultanti
dalla dichiarazione
di inefficacia.
Il Codice ha avuto, cioè, cura di chiarire che non
può essere frapposta
alla dichiarazione
di inefficacia, la
maggiore onerosità
per
l’amministrazione di
indire una nuova
procedura di gara o
di cambiare la
figura
dell’appaltatore.
Trattasi di ostacoli
di natura economica
o di opportunità che
per statuizione
legislativa non
possono assurgere ad
esigenze imperative
impedienti la
declaratoria di
inefficacia del
contratto.
4. Questione di non poco momento attiene al regime
processuale della
declaratoria di
inefficacia,
ovverosia alla
natura officiosa
ovvero a domanda di
parte della relativa
pronuncia.
Può il giudice dichiarare d’ufficio l’inefficacia
una volta annullata
l’aggiudicazione o è
necessaria apposita
domanda di parte
ricorrente?
Per il vero nella normalità dei casi alla domanda
demolitoria accede
quasi sempre anche
la domanda tesa ad
ottenere la
dichiarazione di
inefficacia o di
caducazione o di
nullità del
contratto ma
nondimeno potrebbe
porsi il problema in
argomento laddove il
ricorrente, per
errore o
disattenzione, non
articoli anche
apposita domanda di
inefficacia del
contratto.
Quanto alla domanda di subentro nel medesimo, si è
già visto come dalla
notazione contenuta
nel penultimo
periodo del comma 2,
a stare alla quale
gli interessi
economici possono
escludere la
dichiarazione di
inefficacia solo in
circostanze
eccezionali nelle
quali l’inefficacia
stessa potrebbe
condurre a
conseguenze
sproporzionate,
avuto anche riguardo
alla mancata
presentazione della
domanda di subentro
nel contratto, la
stessa è necessaria
e il giudice non può
pronunciare il
subentro nel
contrato d’ufficio.
Ma relativamente alla dichiarazione di inefficacia
tout court, non si
ravvisano nel
dettato normativo
elementi testuali
tali da far
propendere per la
tesi che escluda che
il giudice possa
dichiarare d’ufficio
l’inefficacia del
contratto.
Che anzi vi è una spia testuale nel senso opposto,
ove si consideri che
la norma dell’art.
121, comma 1 si apre
precisando che “il
giudice che annulla
l’aggiudicazione
definitiva dichiara
l’inefficacia del
contratto” locuzione
che abilita
l’interprete ad
opinare che la
declaratoria di
inefficacia possa
essere pronunciata
anche a prescindere
da specifica domanda
di parte.
Può anche sostenersi, in tale ottica argomentativa,
che tale domanda sia
implicita nella
domanda che la parte
svolga di
risarcimento del
danno in forma
specifica, mediante
il subentro nel
contratto stesso.
Del resto giova anche segnalare che la
giurisprudenza che
ha avuto occasione
di confrontarsi con
le problematiche del
subentro e
dell’inefficacia
successivamente
all’entrata in
vigore del codice ha
precisato che
l’avvenuta
esecuzione del
contratto, stante
l’impossibilità del
subentro, è ostativa
alla dichiarazione
di inefficacia ed è
riconducibile
all’art. 121, coma 2
del d.lgs. n.
104/2010.
E’ evidente che il subentro previa dichiarazione di
inefficacia
costituisce una
forma piena di
risarcimento del
danno, essendosi,
infatti, affermato
che ove ex art. 122
sia possibile la
dichiarazione di
inefficacia e il
subentro, è da
risarcire per
equivalente solo il
danno relativo alla
parte di lavori già
eseguita. Tale voce
di danno è
accordabile peraltro
solo sub specie di
danno emergente
(mancato guadagno) e
di danno
curricolare, mentre
non sono risarcibili
le spese di
partecipazione alla
gara, poiché esse
non sarebbero state
recuperate dal
ricorrente in caso
di aggiudicazione.
La decisione
annotata ha
quantificato il
risarcimento
riconosciuto per la
parte di lavori già
eseguita
dall’aggiudicatario,
nella misura del 10%
dell’importo di
contratto,
proporzionalmente
diminuita in ragione
della predetta quota
di lavori già
eseguita,
ricomprendendo nella
percentuale del 10%
anche un 1% a titolo
di danno
curricolare.
5. In tema di inefficacia per violazione della clausola
stand still è stato
di recente
puntualizzato che va
dichiarato
inefficace il
contratto stipulato
in violazione
dell’art. 11, comma
10 del d.lgs. n.
163/2006, ossia
prima dei trenta
giorni dalla
comunicazione ai
controinteressati
del provvedimento di
aggiudicazione
definitiva, poiché
il contratto non
gode di autonomia
propria, ma è atto
formale riproduttivo
dei contenuti
dell’accordo a
monte, costituito
dal bando di gara e
dalla domanda di
partecipazione ed ha
quindi effetti
esecutivi e di
dettaglio rispetto
ad atti presupposti.
A questa pronuncia fa eco una più recente del
Consiglio di Stato
che ha riproposto la
teorica della
caducazione
automatica chiarendo
che l’annullamento
giurisdizionale o in
autotutela degli
atti della procedura
di gara “comporta la
caducazione
automatica degli
effetti negoziali,
stante la
preordinazione
funzionale tra tali
atti, poiché il
contratto non ha
autonomia propria ed
è destinato a subire
gli effetti del
vizio che affligge
il provvedimento cui
è inscindibilmente
collegato”.
6. Il comma 5 dell’art. 121 contempla dei possibili
rimedi alla
dichiarazione di
inefficacia, ad
iniziativa della
stessa
amministrazione
appaltante. Per il
vero trattasi di
ipotesi
assolutamente
marginali, ma che
tuttavia potrebbero
rinvenire uno spazio
di ragionevole
applicazione,
configurando una
sorta di motivazione
postuma della scelta
di affidare il
contratto senza
osservare le forme
di pubblicità
stabilite dal codice
dei contratti, ma
motivando la
decisione in tal
senso.
Ebbene, la dichiarazione di inefficacia contemplata
per le ipotesi di
mancata adozione
delle forme
pubblicitarie per il
bando o per l’avviso
di gara, non trova
applicazione quanto
la stazione
appaltante abbia
posto in essere la
procedura appresso
descritta. Quando
abbia fatto
precedere l’avvio
della procedura di
affidamento
dall’emanazione di
un atto motivato con
il quale dichiari,
spiegandone le
ragioni, che la
procedura priva di
pubblicazione del
bando o avviso nella
G.U.C.E. o nella
G.U.R.I sia
consentita dal
codice dei
contratti. Quando
abbia pubblicato per
i contratti di
rilievo comunitario
nella G.U.C.E. e per
quelli sotto soglia
comunitaria nella
G.U.R.I., un “avviso
volontario per la
trasparenza
preventiva” ai sensi
dell’art. 79 – bis
del d.lgs. n.
163/2006, con il
quale manifesta
l’intenzione di
concludere il
contratto.
Il legislatore ha cioè ritenuto che siffatto avviso
preventivo possa
esaurire i contenuti
tipici della
pubblicità del bando
e surrogarne le
relative debite
forme.
In tal caso, però, ha cura di precisare la lett. c)
del comma 5 in
analisi, il
contratto non deve
essere concluso
prima dello scadere
di un termine di
almeno dieci giorni
decorrenti dal
giorno successivo
alla pubblicazione
dell’avviso di
trasparenza
preventiva.
7. Disposizione ispirata ad un’esigenza di
monitoraggio ed
informazione è
quella di cui al
comma 3, a termini
della quale le
sentenze che
dichiarano
l’inefficacia del
contratto ai sensi
del comma 2, ossia
per inosservanza
delle forme di
pubblicità
obbligatoria ovvero
della clausola stand
still, sono
trasmesse a cura
della segreteria
della Sezione alla
Presidenza del
Consiglio,
Dipartimento per le
politiche
comunitarie.
6. Altra disposizione di natura imperativa è recata
dal comma 4, secondo
il quale qualora il
contratto non venga
dichiarato
inefficace malgrado
il provvedimento di
aggiudicazione sia
affetto da una delle
violazioni che ne
comportano
l’inefficacia
obbligatoria – salva
la ricorrenza delle
esigenze imperative
connesse ad un
interesse generale
di cui si è sopra
detto – il giudice
applica le sanzioni
alternative di cui
all’art. 123,
costituenti una
sorta di multa che
va a colpire il
comportamento
illegittimo della
stazione appaltante.
5. L’inefficacia del
contratto negli
altri casi
In una pronuncia immediatamente successiva
all’entrata in
vigore del codice si
è annullata
l’aggiudicazione
definitiva e, in un
contratto di durata
pluriennale, si è
dichiarata
l’inefficacia del
medesimo per la
durata residua e si
è disposto, quale
risarcimento in
forma specifica, il
subentro della
ricorrente nella
posizione della
controinteressata
aggiudicataria.
Per la parte di
servizio già
eseguita alla data
di pubblicazione
della sentenza
invece il Collegio
ha statuito che “Il
risarcimento dei
danni per la parte
del servizio finora
eseguita non può
essere riconosciuto,
ex art. 1227 c.c.
stante il concorso
colposo della
ricorrente, la quale
non ha coltivato
l’istanza cautelare,
il cui accoglimento
avrebbe consentito
di evitare che il
servizio venisse
illegittimamente
affidato alla
controinteressata”.
La sentenza, quanto
alla negazione del
risarcimento per
omessa coltivazione
della domanda
cautelare, fa
applicazione
dell’art. 30, coma 3
del Codice del
processo
amministrativo, che
esclude “il
risarcimento dei
danni che si
sarebbero potuti
evitare usando
l’ordinaria
diligenza, anche
attraverso
l’esperimento degli
strumenti di tutela
previsti”.
Inoltre giova
evidenziare che la
pronuncia in analisi
è in linea con
l’applicazione, che
di recente sta
facendo il Consiglio
di Stato, della
regola del concorso
colposo del fatto
del creditore nelle
fattispecie di
responsabilità
aquiliana da
provvedimento
illegittimo. Il
Consiglio ha infatti
da poco chiarito,
qualche giorno dopo
la decisione
dell’Adunanza
Plenaria
(la quale riconduce
all’alveo del merito
in termini di
rigetto della
domanda di
risarcimento
l’omessa
impugnazione
dell’atto, la quale
non assurge più a
pregiudiziale nel
giudizio
risarcitorio), che “L’art.
1227, cpv., cod.
civ. (secondo
cui "Il
risarcimento non è
dovuto per i danni
che il creditore
avrebbe potuto
evitare usando
l'ordinaria
diligenza") è
applicabile anche ai
giudizi proposti
innanzi al G.A.
prima dell’entrata
in vigore del codice
del processo
amministrativo.
L’onere
nell’ordinaria
diligenza cui è
tenuto l’avente
diritto al
risarcimento,
previsto da tale
norma, comporta
l’esclusione della
responsabilità
dell’Amministrazione
se emerge che il
danno avrebbe potuto
essere contenuto o
evitato attraverso
la diligente cura,
anche giudiziale,
delle posizioni di
costui. La regola si
fonda sul canone
generale di
correttezza e di
buona fede
oggettiva, che
riguarda non solo le
relazioni tra
consociati, ma
anche, seppur in
modo particolare, le
loro relazioni con
la P.A”.
La sentenza del
T.A.R. Piemonte di
cui è menzione
parifica, secondo
una linea
argomentativa
affine, l’omessa
coltivazione della
domanda cautelare
all’omessa
proposizione del
ricorso,
valorizzando gli
effetti ultimi e
l’analogia del
comportamento
omissivo della
parte, atteso che, a
ben guardare, il non
aver consentito al
Giudice di
pronunciarsi sul
provvedimento
impugnato, mediante
l’abbandono della
domanda cautelare,
equivale nella
sostanza a non
averlo impugnato. Le
ricadute sul piano
risarcitorio non
possono che essere
le medesime.
Orbene,
l’inefficacia del
contratto negli
altri casi è
disciplinata
dall’art. 121 del
codice, il quale
stabilisce: “1.
Fuori dei casi
indicati
dall'articolo 121,
comma 1, e
dall'articolo 123,
comma 3, il giudice
che annulla
l'aggiudicazione
definitiva
stabilisce se
dichiarare
inefficace il
contratto,
fissandone la
decorrenza, tenendo
conto, in
particolare, degli
interessi delle
parti,
dell'effettiva
possibilità per il
ricorrente di
conseguire
l'aggiudicazione
alla luce dei vizi
riscontrati, dello
stato di esecuzione
del contratto e
della possibilità di
subentrare nel
contratto, nei casi
in cui il vizio
dell'aggiudicazione
non comporti
l'obbligo di
rinnovare la gara e
la domanda di
subentrare sia stata
proposta”.
Trattasi in buona sostanza di inefficacia non ancorata a
fattispecie di
violazioni
previamente sancite,
ma discendente, in
genere, da ogni
annullamento
dell’aggiudicazione.
In tali casi il Giudice deve tener conto degli interessi
delle parti e deve
considerare: a)
l’effettiva
possibilità per il
ricorrente
vittorioso, di
conseguire
l’aggiudicazione; b)
lo stato di
esecuzione del
medesimo e la
possibilità di
subentro sempre che
la domanda di
subentro sia stata
proposta e i vizi
lamentati non
comportino
travolgimento
dell’intera gara.
Quanto ala condizione sub a) è agevole rimarcare come
l’effettiva
possibilità per il
ricorrente di
conseguire
l’aggiudicazione no
può che discendere
dal congiunto
operare della
tipologia dei vizi
dedotti e ravvisati
dal Giudice e della
posizione in
graduatoria di gara
rivestita dal
ricorrente.
In generale può dirsi che la possibilità effettiva per il
ricorrente di
conseguire
l’aggiudicazione può
apprezzarsi tutte le
volte in cui egli
deduca unicamente
vizi afferenti al
provvedimento di
aggiudicazione alla
controinteressata ed
egli sia secondo in
graduatoria, ovvero
terzo qualora
vengano gravati sia
l’aggiudicazione che
la posizione del
secondo graduato,
del quale venga
contestata o
l’ammissione o
l’attribuzione di
quel determinato
punteggio.
Quanto alla condizione sub b) è ovvio che la possibilità di
decretare il
subentro nel
contratto oltre a
presupporre che la
domanda di subentro
sia stata
debitamente
articolata in uno
con quella
demolitoria
dell’aggiudicazione,
postula altresì che
il contratto sia
ancora da eseguire
per una parte
significativa. È
palese che non può
parlarsi di subentro
nei casi in cui
nelle more del
giudizio il
contratto sia stato
completamente
eseguito, caso nel
quale residua
unicamente la tutela
risarcitoria per
equivalente
monetario.
V’è da domandarsi cosa potrebbe essere statuito dal giudice
nell’ipotesi in cui
pur essendo stata
formulata domanda di
declaratoria di
inefficacia non sia
stato domandato il
subentro.
In tali evenienze il giudice che annulla l’aggiudicazione
deve limitarsi a
pronunciare
l’inefficacia del
vincolo negoziale,
non potendo statuire
alcunché sul
subentro, posto che
come si è visto,
quest’ultimo è
soggetto alla regola
della domanda di
parte.
In tali ipotesi il contratto verrà dichiarato inefficace e
il subentro dovrà
essere disposto
dall’Amministrazione
in esecuzione della
sentenza di
annullamento e di
declaratoria di
inefficacia e in
virtù dell’obbligo
conformativo che ne
scaturisce.
Tuttavia come più sopra avvertito, il Codice precisa che
tra le esigenze
imperative di
interesse generale
ostative alla
pronuncia di
inefficacia a motivo
che essa condurrebbe
a conseguenze
sproporzionate, vi
può essere il caso
in cui il contratto
non può che essere
eseguito che dal
primo contraente,
avuto anche riguardo
alla mancata
presentazione della
domanda di subentro.
In altri termini in tal caso il giudice può considerare che
l’omessa
presentazione della
domanda di subentro
comporta che il
contratto non può
che essere eseguito
dall’illegittimo
contraente e non
pronunciare
l’inefficacia,
qualificando la
omessa formulazione
della domanda di
subentro alla
stregua di
un’esigenza
imperativa di
interesse generale
nel senso che la
declaratoria di
inefficacia
condurrebbe a
conseguenze
sproporzionate.
Non potrà correlativamente farsi luogo ad alcuna pronuncia
di inefficacia
qualora i vizi
denunciati siano
tali da comportare
l’annullamento
dell’intera gara. In
questi casi non è
solo il
provvedimento di
aggiudicazione ad
essere travolto
dalla pronuncia
cassatoria ma la
stessa
determinazione
conclusiva della
gara e le operazioni
presupposte, quali i
verbali di gara e le
decisioni della
commissione di gara.
Ne consegue che il ricorrente che possa vantare sostanziali
vizi da articolare
avverso il
provvedimento di
aggiudicazione dovrà
essere ben accorto a
non dedurre vizi
radicali contro la
stessa gara, poiché
può rischiare che il
Giudice accolga
questi ultimi
assorbendo i primi
conseguendone che
egli vedrà
soddisfatto non il
suo interesse
sostanziale al
conseguimento del
bene della vita dato
dall’aggiudicazione,
bensì quello
strumentale alla
riedizione della
procedura
concorsuale.
Va considerato che l’inefficacia in argomento è
probabilmente quella
di più frequente
applicazione, posto
che quella in caso
di gravi violazioni
appare di non
frequente
verificazione posto
che è difficile
ipotizzare
un’aggiudicazione
viziata in maniera
così radicale e
salvo il caso più
ricorrente della
violazione della
clausola stand
still.
Probabilmente l’innovatività e l’impatto della novella
sconta proprio il
coraggio del Giudice
di sindacare
l’efficacia del
contratto in ogni
caso in cui annulli
un’aggiudicazione.
6. La tutela in
forma specifica e
per equivalente.
1. L’art. 124 regolamenta i rapporti tra la tutela in forma
specifica e quella
per equivalente nei
seguenti termini:
“1. L'accoglimento
della domanda di
conseguire
l'aggiudicazione e
il contratto è
comunque
condizionato alla
dichiarazione di
inefficacia del
contratto ai sensi
degli articoli 121,
comma 1, e 122. Se
il giudice non
dichiara
l'inefficacia del
contratto dispone il
risarcimento del
danno per
equivalente, subito
e provato.
2. La condotta
processuale della
parte che, senza
giustificato motivo,
non ha proposto la
domanda di cui al
comma 1, o non si è
resa disponibile a
subentrare nel
contratto, è
valutata dal giudice
ai sensi
dell'articolo 1227
del codice civile”.
La regola cardine che se ne desume è che il prius della
tutela è costituito
dalla declaratoria
di inefficacia del
contratto, la quale
condiziona la
possibilità di
conseguire
l’aggiudicazione e
il subentro nel
contratto.
La seconda è quella per la quale ai fini del conseguimento
dell’aggiudicazione
necessita che il
ricorrente articoli
domanda di
conseguimento
dell’aggiudicazione
e di subentro nel
contratto, senza le
quali il Giudice non
può pronunciare il
risarcimento in
forma specifica.
Che, anzi, è stabilito che il comportamento della parte che
non abbia formulato
domanda di
conseguimento
dell’aggiudicazione
o che non si sia
resa disponibile a
subentrare nel
contratto è valutato
dal Giudice alla
stregua del canone
del concorso colposo
del creditore nella
fattispecie di
responsabilità
contrattuale.
Ovverosia il Giudice potrà limitare il risarcimento
richiesto,
disponendolo solo
per equivalente
monetario.
Forma di risarcimento che in generale ha luogo in tutti i
casi in cui il
giudice non dichiari
l’inefficacia.
Il che potrà avvenire o perché i vizi riscontrati e la
possibilità per il
ricorrente di
conseguire
l’aggiudicazione non
consentano la
formulazione di un
giudizio positivo in
tal senso, quando,
ad esempio,
l’aggiudicazione
alla seconda impresa
in graduatoria non
costituisca un fatto
automaticamente
discendente
dall’annullamento
dell’aggiudicazione.
Parimenti l’inefficacia non potrà essere pronunciata
laddove lo stadio di
esecuzione del
contratto sia
talmente avanzato da
non lasciar
configurare alcun
subentro del
ricorrente.
In tali casi l’unica forma di risarcimento consentita è
quella per
equivalente,
peraltro limitata al
solo danno subito e
provato.
2. Siffatta precisazione manda probabilmente in soffitta i
sistemi di
quantificazione del
danno, di
elaborazione
giurisprudenziale,
ancorati a parametri
presuntivi, quali il
noto 10% scaturente
dall’applicazione
estensiva della
regola sulle
conseguenze del
recesso dal
contratto d’appalto
sancita dal vecchio
art. 345 della L. n.
2248/1865.
La novella impone dunque che il ricorrente provi di aver
subito un danno per
l’illegittima
aggiudicazione ad
altri del contratto
d’appalto.
Naturalmente l’obbligo di comprova non può significare
totale eliminazione
di tutti i
meccanismi
agevolativi di prova
del danno. Invero il
ricorrente potrà
sempre provare che
dall’esecuzione del
contratto avrebbe
ricavato un utile
economico.
E ciò potrà fare allegando la percentuale di utile di
impresa esposta
nelle analisi
giustificative del
prezzo offerto
allegate ai fini
della valutazione di
eventuale anomalia
della sua offerta.
Potrà anche provare che ha tenuto impegnate le maestranze,
non utilizzandole
per altri appalti.
Ma in ogni caso quel che è importante e evidenziare è
l’impossibilità per
il giudice di
pronunciare il
risarcimento per
equivalente sulla
mera base di
allegazioni
difensive del tutto
sguarnite di
principio di prova,
o, quel che è
peggio, anche in
assenza di
allegazioni
difensive, e sulla
base di mere
asserzioni
dell’emergenza di un
danno.
Alfonso Graziano
Magistrato I Sezione T.A.R. Piemonte
|