In uno scenario, profondamente e
radicalmente mutato rispetto al passato, dove la logica
economica di efficienza del sistema sanitario non solo
presiede alle scelte di politica economica e di
organizzazione aziendale, ma è anche penetrata nello
stesso paradigma del diritto alla salute -contribuendo a
quella che in dottrina (R. Ferrara, P. M. Vipiana,
Principi di diritto sanitario, Torino, 1999, 19 ss; D.
Morana, La salute nella costituzione italiana. Profili
sistematici. , Milano, 2002, 20ss. ; N. Dirindin, P.
Vineis, Elementi di economia sanitaria, Bologna, 2004) è
stata descritta come “parabola discendente del cd.
diritto alla salute”messa in moto dalla “subordinazione
di fatto dei diritti sociali ai vincoli condizionanti e
stringenti della finanza pubblica” - è necessario
ritornare ad interrogarsi sull’assistenza sanitaria
indiretta (sulle sue forme di erogazione e di rimborso)
quale paradigma per verificare se il diritto alla salute
sia ancora un diritto “pieno” – in quanto tale
indegradabile ed assoluto – ovvero sia soggetto alla
potestà autoritativa dell’Amministrazione, che ne
determina limiti e sostanza.
LA
DISCIPLINA IN MATERIA DI RIMBORSO DI CURE ALL’ESTERO
Poiché il servizio sanitario nazionale non è sempre in
grado di assicurare cure mediche adeguate in tempi
brevi, il nostro ordinamento consente ai soggetti
affetti da gravi malattie di farsi curare presso
strutture sanitarie non convenzionate con il servizio
nazionale, ovvero all’estero.
In
tali casi l’interessato deve ottenere un’apposita
autorizzazione, rilasciata previa attestazione del fatto
che le strutture appartenenti al (o convenzionate con
il) servizio sanitario nazionale non sono in grado di
garantire adeguata e tempestiva assistenza al malato.
L’art. 3 (Prestazioni erogabili in forma indiretta e
prestazioni aggiuntive di assistenza sanitaria) della
legge 23 ottobre 1985, n. 595, stabilisce che le
prestazioni sanitarie sono erogate, di norma, in forma
diretta attraverso le strutture pubbliche o
convenzionate, precisando, tuttavia, che le leggi
regionali e provinciali stabiliscono quali fra dette
prestazioni possono essere erogate anche in forma
indiretta, nel caso in cui le strutture pubbliche o
convenzionate siano nella impossibilità di erogarle
tempestivamente in forma diretta.
Relativamente alle prestazioni assistenziali presso
centri di altissima specializzazione all'estero in
favore di cittadini italiani residenti in Italia, per
prestazioni che non siano ottenibili nel nostro Paese
tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità
del caso clinico, il comma 5 del citato art. 3, l. n.
595/1985, prevede che i criteri di fruizione, in forma
indiretta, di tali prestazioni sono stabiliti con
decreto del Ministro della sanità.
In
esecuzione dell’articolo 3, quinto comma, della legge
595/85, è stato emanato il decreto ministeriale 3
novembre 1989 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 22
novembre 1989 n. 273), contenente i criteri per
l'autorizzazione di cittadini italiani residenti in
Italia ad ottenere, in forma indiretta, prestazioni
assistenziali presso centri di altissima
specializzazione all'estero.
Dopo
aver individuato i soggetti aventi diritto a tale forma
dell'assistenza (art. 1: cittadini italiani residenti in
Italia e iscritti negli elenchi delle unità sanitarie
locali), il decreto individua le prestazioni erogabili
(art. 2: in particolare, le prestazioni di diagnosi,
cura e riabilitazione, che richiedono specifiche
professionalità del personale, non comuni procedure
tecniche o curative o attrezzature ad avanzata
tecnologia e che non sono ottenibili tempestivamente o
adeguatamente presso i presidi e i servizi di alta
specialità italiani di cui all'’art. 5 della legge 23
ottobre 1985, n. 595, nonché, limitatamente alle
prestazioni che non rientrano fra quelle di competenza
dei predetti presidi e servizi di alta specialità,
presso gli altri presidi e servizi pubblici o
convenzionati con il Servizio sanitario nazionale).
Le
norme regolamentari contenute nel decreto ministeriale
stabiliscono che: 1) è considerata "prestazione non
ottenibile tempestivamente in Italia" la prestazione per
la cui erogazione le strutture pubbliche o convenzionate
con il Servizio sanitario nazionale richiedono un
periodo di attesa incompatibile con l’esigenza di
assicurare con immediatezza la prestazione stessa, ossia
quando il periodo di attesa comprometterebbe gravemente
lo stato di salute dell’assistito ovvero precluderebbe
la possibilità dell’intervento o delle cure; 2) è
considerata "prestazione non ottenibile in forma
adeguata alla particolarità del caso clinico" la
prestazione che richiede specifiche professionalità
ovvero procedure tecniche o curative non praticate
ovvero attrezzature non presenti nelle strutture
italiane pubbliche o convenzionate con il Servizio
sanitario nazionale.
Per
quanto concerne, in particolare, l’autorizzazione da
rilasciare all’interessato, l’art. 4 del D.M. 3 novembre
1989, stabilisce che: a) il concorso nella spesa é
concesso solo per le prestazioni autorizzate; b) a tali
fini l'assistito deve presentare domanda alla unità
sanitaria locale di appartenenza corredata dalla
proposta motivata di un medico specialista nonché
dall'ulteriore documentazione prescritta dalle
disposizioni regionali; c) l’istanza deve contenere
l’indicazione del centro estero prescelto per la
prestazione; d) l’unità sanitaria locale provvede,
secondo modalità stabilite dalla regione, alla
trasmissione della domanda e della documentazione al
centro regionale di riferimento territorialmente
competente ad autorizzare le prestazioni all'estero; e)
il centro di riferimento, valutata la sussistenza dei
presupposti sanitari per usufruire delle prestazioni
richieste (impossibilità di fruirle tempestivamente
ovvero in forma adeguata alla particolarità del caso
clinico), autorizza o meno le prestazioni presso il
centro estero di altissima specializzazione prescelto,
dandone comunicazione all'unità sanitaria locale
competente; f) il centro di riferimento, qualora non
fosse possibile autorizzare le prestazioni presso il
centro estero prescelto, può autorizzare, se richiesto,
le prestazioni stesse presso un diverso centro estero,
fornendone adeguata motivazione; g) il centro di
riferimento autorizza, inoltre, in relazione alla
gravità del caso clinico, il trasporto dell'assistito
con il mezzo ritenuto più idoneo nonché, nel caso di
minori anni 18 o di pazienti maggiorenni non
autosufficienti, l’accompagnatore, fornendone adeguata
motivazione; h) il centro di riferimento autorizza,
altresì, ove ritenuto necessario, il viaggio con il
mezzo aereo per l'assistito e per l’eventuale
accompagnatore.
L’art. 5 del decreto ministeriale citato indica i
criteri utili per individuare i Centri di altissima
specializzazione all'estero, mentre l’art. 6 descrive
dettagliatamente il concorso della pubblica
amministrazione nelle spese sostenute dal malato.
Per
particolari casi di gravità ed urgenza, nonché qualora
le spese che restano a carico dell'assistito siano
particolarmente elevate in relazione anche al reddito
complessivo del nucleo familiare dell'assistito stesso,
l’art. 7 del decreto ministeriale prevede delle deroghe
alla disciplina generale.
LA
QUESTIONE GIURISDIZIONALE
La
questione dell’attribuzione della giurisdizione al
giudice ordinario ovvero a quello amministrativo sui
procedimenti connessi alla domanda o al diniego di
concessione del rimborso delle spese mediche affrontate
dal cittadino italiano all’estero è stata (ed è
tutt’ora) oggetto di dibattito nell’ambito della
giurisprudenza.
Va
detto che un compromesso era stato raggiunto
prevedendosi che, da un canto, nell’ipotesi in cui a
fondamento della domanda fossero state dedotte ragioni
di urgenza - tali cioè da comportare, per l’assistito,
pericolo di vita, di aggravamento della malattia o di
non adeguata guarigione, il tutto evitabile soltanto per
effetto di cure tempestive non ottenibili dalla
struttura pubblica -, l’interesse vantato dal privato
sarebbe stato qualificabile come diritto soggettivo
perfetto (il diritto, cioè, alla salute,
costituzionalmente garantito), tutelabile dinanzi al
giudice ordinario, attesa l’assenza di qualsivoglia
potere autorizzatorio discrezionale della pubblica
Amministrazione, ed a prescindere dall’eventuale
discrezionalità tecnica riconosciuta alla stessa in
punto di apprezzamento dei motivi di urgenza (v., ex
multis, Cons. Stato, Sez. V, 11 gennaio 2006 n. 35, e
Sez. IV, 14 aprile 2003 n. 1931; Cass. civ., Sez. un.,
ord. 30 maggio 2005 n. 11334); al contrario, in ipotesi
di impugnazione del diniego di autorizzazione
conseguente ad una generica domanda dell’assistito volta
ad ottenere il rimborso di spese ospedaliere da
sostenere o sostenute all’estero, la situazione
soggettiva fatta valere avrebbe integrato un’ipotesi di
mero interesse legittimo, attesa la discrezionalità
riconosciuta all’Autorità amministrativa, titolare del
potere di autorizzazione, sul piano della valutazione
della propria capacità di soddisfare, tempestivamente ed
in forma adeguata, anche sotto il profilo della
disponibilità finanziaria, le esigenze del richiedente.
Tale
tregua nella “guerra tra le Corti” era stata preceduta
da un forte periodo di incertezza e di conflittualità
aggravato dalla devoluzione (art. 33, comma 2, lett. e),
del d.lgs. n. 80 del 1998, come sostituito dall'art. 7,
comma 1, lett. a), della legge n. 205 del 2000) alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di
tutte le controversie in materia di pubblici servizi e,
segnatamente, delle liti riguardanti le attività e le
prestazioni di ogni genere, anche di natura
patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici
servizi, ivi comprese quelle ascrivibili al Servizio
sanitario nazionale.
Sulla
base di tale previsione normativa si era ritenuto
superato ope legis il richiamo al criterio discretivo
della natura della posizione giuridica fatta valere in
giudizio (diritto soggettivo o interesse legittimo),
tanto da considerare sussistente la giurisdizione del
giudice amministrativo anche per le controversie
relative alla spettanza o meno di un rimborso di spese
mediche sostenute all’estero con riguardo ai casi
dell’estrema gravità ed urgenza (Consiglio di Stato,
Sez. V , 28 maggio 2004 n. 3464).
Sennonché, la Corte Costituzionale ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale della suindicata
normativa (v. Corte cost. 6 luglio 2004 n. 204),
determinando il ripristino in parte qua della situazione
anteriore, con la necessità di assumere nuovamente a
riferimento - ai fini del riparto della giurisdizione -
il criterio della natura della posizione giuridica
azionata (Cass. civ., Sez. un., ord. n. 11334/2005 cit.;
TAR Lombardia, Brescia, 18 luglio 2005 n. 769).
In
particolare, la sentenza 204/2004 perviene alla
riformulazione del dettato normativo, decretandone
l’illegittimità entro limiti precisi e sintetizzabili
nei seguenti passaggi:
-
muovendo dall’esame dei lavori della costituente, al
fine di rettamente intendere il disposto dell’art. 103
Cost., si afferma che il potere di indicare le
“particolari materie” in cui il giudice amministrativo
può conoscere anche di diritti soggettivi “non è
assoluto né incondizionato”, ma deve pur considerare la
natura delle posizioni giuridiche coinvolte;
- la
particolarità concerne il rapporto di tali questioni
rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale
di legittimità, nel senso che esse devono
fondamentalmente partecipare della medesima natura,
costituita dall’agire la pubblica amministrazione come
autorità nei confronti della quale al cittadino sia dato
di agire davanti al giudice amministrativo, non essendo
sufficiente la mera partecipazione al giudizio del
soggetto munito di pubblici poteri, o il mero
coinvolgimento di un interesse pubblico nella
controversia.
La
Corte Costituzionale, in breve, anche con le sentenze
successive (n. 190/2006; n. 77/2007; 140/2007) ha inteso
continuare quell’indirizzo giurisprudenziale che era
stato inaugurato dalla sentenza n. 500 del 1999, basato
su due principi: quello, per il quale l’ordinamento deve
garantire la tutela piena delle posizioni giuridiche
fatte valere dal cittadino nei confronti
dell’amministrazione, qualunque sia il giudice innanzi
al quale la controversia deve essere incardinata, e
quello per il quale la predetta tutela può essere
garantita sia dal giudice ordinario che da quello
amministrativo, avendo essi pari dignità di organi
giurisdizionali. Nella sentenza n. 140/2007 della
Consulta si è anzi espressamente sancito che il giudice
ha piena dignità di organo giurisdizionale, al pari del
giudice ordinario, e può ampiamente garantire il
soddisfacimento dell’esigenza “di concentrare davanti ad
un unico giudice l’intera protezione del cittadino
avverso le modalità di esercizio della funzione
pubblica”. In questi casi, per di più, il giudizio
amministrativo assicura la tutela di ogni diritto non
soltanto per effetto dell’esigenza, coerente con i
principi di cui agli artt. 24 e 111 Cost., di
concentrare davanti ad un unico giudice l’intera
protezione del cittadino avverso le modalità di
esercizio della funzione pubblica, ma anche perché quel
giudice è idoneo ad offrire piena tutela ai diritti
soggettivi, anche costituzionalmente garantiti,
coinvolti nell'esercizio della funzione amministrativa.
Appare quindi molto controverso il più recente arresto
sul punto della Corte di Cassazione (sez. un., 6
febbraio 2009, n. 2867) per cui: “In materia di
richiesta di rimborso delle spese sanitarie sostenute
dai cittadini residenti in Italia presso centri di
altissima specializzazione all'estero per prestazioni
che non siano ottenibili in Italia tempestivamente o in
forma adeguata alla particolarità del caso clinico (art.
5, L. 23 ottobre 1985, n. 595 e relativo decreto del
Ministro della sanità del 3 novembre 1989, come
successivamente modificato), la giurisdizione spetta al
Giudice ordinario, sia nel caso che siano addotte
situazioni di eccezionale gravità ed urgenza,
prospettate come ostative alla possibilità di preventiva
richiesta di autorizzazione, sia nel caso che
l’autorizzazione sia stata chiesta e che si assuma
illegittimamente negata, giacché viene comunque in
considerazione il fondamentale diritto alla salute, non
suscettibile di essere affievolito dalla discrezionalità
meramente tecnica dell'amministrazione in ordine
all'apprezzamento dei presupposti per l’erogazione delle
prestazioni”.
La
Corte ritiene infatti che da una attenta analisi delle
disposizioni previste in materia, sia giusto ritenere
che, per il tipo di valutazioni da compiere (sussistenza
dei presupposti sanitari) e per la qualifica di chi è
chiamato a realizzarle (medici), l’apprezzamento della
P.A. sia esclusivamente tecnico e non discrezionale in
senso stretto.
L’Amministrazione sanitaria disimpegna, nel caso di
specie, non un potere di supremazia ma una mera
discrezionalità tecnica, la quale non può determinare un
affievolimento del diritto soggettivo alla salute (e
quello connesso del rimborso alle spese mediche
sostenute all'estero) in interesse legittimo. In tal
senso si è notato come sarebbe singolare del resto se
venisse attribuita la giurisdizione al giudice
amministrativo nel caso di richiesta ex ante della
prestazione ed al giudice ordinario nel caso di
richiesta ex post , dal momento che in ogni caso il
ricovero in centri di alta specializzazione in
territorio estero costituisce un vero e proprio diritto
soggettivo dell'utente, sempre che ne sussistano i
presupposti di legge alla cui osservanza
l'amministrazione è vincolata (Tar Brescia, sez. I, 3
marzo 2006; Tar Piemonte, sez. II, 10 giugno 2010, n.
2742).
A
tale sentenza è seguita una netta reazione da parte dei
giudici amministrativi, che in modo esattamente
speculare, hanno richiamato a sé la giurisdizione sul
rimborso delle cure all’estero, anche nei casi
giustificati da urgenza (ex multis Tar Aosta, 19 gennaio
2011, n. 4; Tar Sicilia-Palermo, sez. II, 25 settembre
2009, n. 1526; Cons. giust. amm. Sicilia, 15 ottobre
2009, 968)
In
tali sentenze ad essere posto sotto attacco è il
decennale indirizzo giurisprudenziale secondo cui
esisterebbero posizioni di diritto soggettivo “non
affievolibili”, tra cui il diritto alla salute, e,
pertanto, in base alla originaria regola del riparto tra
le giurisdizioni, espressa dagli artt. 2 e 4 Legge
2248/1865 all. E, soggette esclusivamente alla
giurisdizione del giudice ordinario. Posizione
sostenuta, in particolare, dalla Corte di Cassazione che
ha da sempre sostenuto l’esistenza di diritti “primari”
ed “assoluti” dell’individuo, “fondamentali per natura
costituzionale”, suscettibili di una tutela “completa”
in quanto “sovrastanti” rispetto all’Amministrazione,
“di guisa che questa non ha alcun potere, neppure per
motivi di interesse pubblico specialmente rilevante, non
solo di affievolirlo ma neanche di pregiudicarlo nel
fatto, indirettamente” (Cass. Civ., Sez. Un., 20
febbraio 1992, n. 2092).
Per
cui – secondo tale indirizzo – in assenza di prerogative
pubblicistiche, nessun potere di intervento sarebbe
consentito al giudice amministrativo, mentre, per
contro, al giudice ordinario resta attribuito il potere
di incidere sull’azione dell’Amministrazione in modo ben
più consistente rispetto a quanto stabilito dalla Legge
2248/1865 all. E, e ciò in quanto, stante l’esistenza di
diritti che la Carta Costituzionale intende proteggere
in modo assoluto, “non vi sono, giuridicamente,
provvedimenti amministrativi da revocare o da modificare
ma semplicemente si tratta di emettere condanna a un
fare, di segno opposto al fatto lesivo del diritto di
salute dell'individuo e tale pronuncia compete al
giudice ordinario” (così Cass. n. 2092/1992; nn. 13659 e
13660/2006)
Sennonché, negli ultimi anni parte della dottrina,
affiancata da autorevoli arresti giurisprudenziali,
hanno mosso una serie di rilevanti obiezioni alla teoria
della assoluta indegradabilità di alcuni diritti
soggettivi asseritamente incomprimibili.
Partendo dal presupposto della incontestabilità
dell’esistenza di un nucleo di diritti che la
Costituzione considera, a ragione, “fondamentali”, in
quanto collegati alla sfera personale dell’individuo
(salute, libertà e integrità personali, riservatezza), è
stato rilevato come la teoria di un diritto resistente a
oltranza all’intervento di qualsivoglia influenza
esterna (prima tra tutte quella della Pubblica
Amministrazione), si basi su un duplice erroneo
presupposto:
a)
quello, sostanziale, dell’esistenza di una
contrapposizione tra diritti fondamentali e possibilità
della Pubblica Amministrazione di esercitare la propria
potestà discrezionale;
b)
quello, formale, della inesistenza, all’interno della
Costituzione, di meccanismi di contemperamento tra i
suddetti diritti asseritamente incomprimibili e altri
“interessi”, pubblici o privati.
Trattasi di presupposti erronei, in quanto basati sulla
mancata considerazione che anche un diritto fondamentale
può e trova limitazione nella tutela, concorrente, di un
altro diritto ritenuto, del pari, altrettanto
fondamentale; che il carattere di assolutezza è dato
anche, e soprattutto, dalla valenza che una determinata
situazione assume in un preciso e contingente momento
storico, sicchè se c’è l’interesse dello Stato al
perseguimento di determinate finalità di interesse
pubblico, non vi è diritto fondamentale che tenga; che
in una società pluralistica come quella attuale è
impensabile ritenere che esistano diritti inviolabili
del singolo tali da rendere quest’ultimo intoccabile
anche di fronte a necessari interventi dello Stato a
tutela di situazioni diverse, riferibili anche ad altri
individui.
I
diritti fondamentali dell’individuo trovano infatti un
limite nei diritti non meno fondamentali
degli
altri e nei superiori interessi pubblici e che l’opera
di armonizzazione del diritto fondamentale del singolo
con le posizioni altrui e con i poziori interessi
pubblici è un’opera che non viene svolta, in modo
compiuto e definitivo, da una legge disperatamente
incapace di prevedere in astratto le variabili dei
conflitti concreti, ma viene demandata alla Pubblica
Amministrazione, chiamata, con la sua saggezza antica,
ad individuare le soluzioni capaci di coniugare, anche
limitandoli ed anche comprimendoli, e in sostanza
conformandoli, i diritti fondamentali dei singoli in
relazione alle posizioni antagoniste di pari dignità.
Non
vi sarebbe dunque alcuna differenza, se non da un punto
di vista del concreto atteggiarsi del potere
amministrativo, tra l’azione della Pubblica
Amministrazione quando interviene in materia di salute
del cittadino e quando lo fa in ambiti tradizionalmente
considerati al di fuori della sfera protetta dei diritti
fondamentali incomprimibili, come, ad esempio, quella
dei diritti patrimoniali.
Ulteriori frecce all’arco dei ‘nemici’ della teoria
della natura inviolabile di talune posizioni soggettive
sono state portate della sentenza della Corte
Costituzionale 27 aprile 2007 n. 140, chiamata a
pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art.
1, 552 co., L. n. 311/2004, attributivo al Giudice
Amministrativo della giurisdizione esclusiva sul
contenzioso in materia di impianti di generazione
elettrica, come tali aventi ricadute immediate sul
diritto alla salute dei cittadini.
La
Corte ha ritenuto la norma costituzionalmente legittima
in conformità ai propri arresti in materia di
giurisdizione esclusiva (sentenze nn. 204/2004 e
191/2006), in quanto ha ritenuto l’inesistenza di alcun
principio o norma nel nostro ordinamento “che riservi
esclusivamente al giudice ordinario - escludendone il
giudice amministrativo - la tutela dei diritti
costituzionalmente protetti”, sottolineando che
“l’orientamento, espresso dalle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione, circa la sussistenza della
giurisdizione del giudice ordinario in presenza di
alcuni diritti assolutamente prioritari (tra cui quello
alla salute) risulta enunciato in ipotesi in cui
venivano in considerazione meri comportamenti della
pubblica amministrazione, e pertanto esso è coerente con
la sentenza n. 191 del 2006, con la quale questa Corte
ha escluso dalla giurisdizione esclusiva la cognizione
del risarcimento del danno conseguente a meri
comportamenti della pubblica amministrazione.”
La
Corte, pertanto, conferma la correttezza di un criterio
di riparto dipendente non tanto dalla natura inviolabile
della situazione soggettiva dedotta in giudizio, quanto
dall’esistenza di una disposizione legislativa che
stabilisca i limiti e le condizioni dell’interposizione
della Pubblica Amministrazione.
Vi è
poi da considerare la centralità che assume il problema
della discrezionalità esercitata dall’Amministrazione
nell’autorizzare la prestazione di cure all’estero e il
conseguente rimborso. Secondo l’orientamento della
Cassazione tale valutazione è espressione di mera
discrezionalità tecnica, il cui esercizio è
“insuscettibile di determinare l’affievolimento delle
posizioni di diritto soggettivo”, sussistendo solo un
“potere di apprezzamento dell'urgenza della prestazione
sanitaria ottenuta dal paziente”; l’esercizio di tale
discrezionalità “non essendo espressione di un potere di
supremazia dell’Amministrazione., è sempre inidoneo a
determinare l’affievolimento del diritto soggettivo,
tanto più se primario e fondante quale quello alla
salute” (Tar Abruzzo – L’Aquila, sez. I, 12 gennaio
2009, n. 7; Tar Campania - Napoli, sez. I, 09 aprile
2009, n. 1883; Tar Veneto, sez. III, 28 luglio 2008, n.
2132; Tar Campania - Napoli, sez. I, 03 luglio 2008, n.
6815; Cass. civ., sez. un., ord. n. 14848 del 28 giugno
2006 e n.11334 del 30 maggio 2005).
Diversa è la posizione assunta dalla recente
giurisprudenza amministrativa che ha ritenuto, da un
lato, “il diniego di autorizzazione a fruire di cure
sanitarie urgenti presso un centro di alta
specializzazione all'estero per prestazioni particolari
non è atto automatico e dovuto, correlato ad un diritto
soggettivo, bensì consiste in un provvedimento
correlabile ad un interesse legittimo, essendo
espressione di discrezionalità decisionale, poiché
consegue a due apprezzamenti diversi, uno tecnico e
l'altro amministrativo, concernenti la valutazione dei
presupposti (indispensabilità di strutture adeguate in
Italia in tempi adeguati, urgenza e gravità del caso,
cure prestate a cittadini che già si trovano all'estero
e quant’altro) per la concessione dell’autorizzazione”
e, dall’altro, “il giudizio sulla gravità delle
patologie, sull’urgenza e sull’adeguatezza delle cure
comporta l’esercizio di discrezionalità tecnica che può
essere sottoposta al controllo intrinseco del giudice
amministrativo, costituendo la valutazione tecnica
operata dall’Amministrazione non una scelta in senso
stretto, ma la qualificazione di un soggetto o di un
bene, avvalendosi di una scienza non giuridica” (C.g.a.,
sez. giur., 15 ottobre 2009, n. 968).
Sotto
quest’utimo profilo, la giurisprudenza amministrativa ha
desunto, in particolare dall’esame dell’art. 7, 2 co,
D.M. 3.11.1989, modificato dall’art. 2 del D.M.
13.5.1993, che il concorso del S.S.N., mediante parziale
rimborso, nelle spese di cura, in assenza di preventiva
autorizzazione, delle "prestazioni di comprovata gravità
ed urgenza ivi comprese quelle usufruite dai cittadini
che si trovino già all'estero", non costituisce un
diritto soggettivo perfetto, essendo condizionato al
positivo apprezzamento tecnico, ad opera del Centro di
riferimento territorialmente competente, della
sussistenza dei presupposti e delle condizioni di cui al
precedente art. 2, nonché dei requisiti di eccezionale
gravità ed urgenza dell’intervento sanitario. Ne deriva
che – secondo tale interpretazione – la posizione del
richiedente non può che essere qualificata come
interesse legittimo, con conseguente cognizione della
fattispecie in capo al giudice amministrativo,
nell’ambito della giurisdizione ordinaria di
legittimità.
Quella della giurisdizione è una partita ancora tutta da
giocare e senza un ‘vincitore’ indiscusso, anche perché
le modifiche legislative (in particolare il codice del
processo amministrativo) potrebbero aprire nuovi
scenari, in quanto se prima del 2000 il giudice
amministrativo non aveva lo strumento del risarcimento
del danno neanche nelle materie esclusive a causa della
riserva in favore del giudice ordinario della conoscenza
delle questioni consequenziali, non era dotato dei mezzi
probatori tipici del processo civile, non possedeva il
bene
della tutela cautelare atipica, ora tale condizione di
inferiorità sembra essere stata superata sicchè
sembrerebbe non sussistere più alcun ostacolo affinchè
possa essere affidata al giudice amministrativo la
cognizione di posizioni giuridiche a cui questi è in
grado di offrire una protezione sincronizzata con le
coordinate costituzionali. |