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IL RIMBORSO DELLE CURE ALL’ESTERO TRA GIUDICE ORDINARIO E GIUDICE AMMINISTRATIVO" - Stefano ROSSI

 

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In uno scenario, profondamente e radicalmente mutato rispetto al passato, dove la logica economica di efficienza del sistema sanitario non solo presiede alle scelte di politica economica e di organizzazione aziendale, ma è anche penetrata nello stesso paradigma del diritto alla salute -contribuendo a quella che in dottrina (R. Ferrara, P. M. Vipiana, Principi di diritto sanitario, Torino, 1999, 19 ss; D. Morana, La salute nella costituzione italiana. Profili sistematici. , Milano, 2002, 20ss. ; N. Dirindin, P. Vineis, Elementi di economia sanitaria, Bologna, 2004) è stata descritta come “parabola discendente del cd. diritto alla salute”messa in moto dalla “subordinazione di fatto dei diritti sociali ai vincoli condizionanti e stringenti della finanza pubblica” - è necessario ritornare ad interrogarsi sull’assistenza sanitaria indiretta (sulle sue forme di erogazione e di rimborso) quale paradigma per verificare se il diritto alla salute sia ancora un diritto “pieno” – in quanto tale indegradabile ed assoluto – ovvero sia soggetto alla potestà autoritativa dell’Amministrazione, che ne determina limiti e sostanza.

LA DISCIPLINA IN MATERIA DI RIMBORSO DI CURE ALL’ESTERO

 

Poiché il servizio sanitario nazionale non è sempre in grado di assicurare cure mediche adeguate in tempi brevi, il nostro ordinamento consente ai soggetti affetti da gravi malattie di farsi curare presso strutture sanitarie non convenzionate con il servizio nazionale, ovvero all’estero.

In tali casi l’interessato deve ottenere un’apposita autorizzazione, rilasciata previa attestazione del fatto che le strutture appartenenti al (o convenzionate con il) servizio sanitario nazionale non sono in grado di garantire adeguata e tempestiva assistenza al malato.

L’art. 3 (Prestazioni erogabili in forma indiretta e prestazioni aggiuntive di assistenza sanitaria) della legge 23 ottobre 1985, n. 595, stabilisce che le prestazioni sanitarie sono erogate, di norma, in forma diretta attraverso le strutture pubbliche o convenzionate, precisando, tuttavia, che le leggi regionali e provinciali stabiliscono quali fra dette prestazioni possono essere erogate anche in forma indiretta, nel caso in cui le strutture pubbliche o convenzionate siano nella impossibilità di erogarle tempestivamente in forma diretta.

Relativamente alle prestazioni assistenziali presso centri di altissima specializzazione all'estero in favore di cittadini italiani residenti in Italia, per prestazioni che non siano ottenibili nel nostro Paese tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico, il comma 5 del citato art. 3, l. n. 595/1985, prevede che i criteri di fruizione, in forma indiretta, di tali prestazioni sono stabiliti con decreto del Ministro della sanità.

In esecuzione dell’articolo 3, quinto comma, della legge 595/85, è stato emanato il decreto ministeriale 3 novembre 1989 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 22 novembre 1989 n. 273), contenente i criteri per l'autorizzazione di cittadini italiani residenti in Italia ad ottenere, in forma indiretta, prestazioni assistenziali presso centri di altissima specializzazione all'estero.

Dopo aver individuato i soggetti aventi diritto a tale forma dell'assistenza (art. 1: cittadini italiani residenti in Italia e iscritti negli elenchi delle unità sanitarie locali), il decreto individua le prestazioni erogabili (art. 2: in particolare, le prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione, che richiedono specifiche professionalità del personale, non comuni procedure tecniche o curative o attrezzature ad avanzata tecnologia e che non sono ottenibili tempestivamente o adeguatamente presso i presidi e i servizi di alta specialità italiani di cui all'’art. 5 della legge 23 ottobre 1985, n. 595, nonché, limitatamente alle prestazioni che non rientrano fra quelle di competenza dei predetti presidi e servizi di alta specialità, presso gli altri presidi e servizi pubblici o convenzionati con il Servizio sanitario nazionale).

Le norme regolamentari contenute nel decreto ministeriale stabiliscono che: 1) è considerata "prestazione non ottenibile tempestivamente in Italia" la prestazione per la cui erogazione le strutture pubbliche o convenzionate con il Servizio sanitario nazionale richiedono un periodo di attesa incompatibile con l’esigenza di assicurare con immediatezza la prestazione stessa, ossia quando il periodo di attesa comprometterebbe gravemente lo stato di salute dell’assistito ovvero precluderebbe la possibilità dell’intervento o delle cure; 2) è considerata "prestazione non ottenibile in forma adeguata alla particolarità del caso clinico" la prestazione che richiede specifiche professionalità ovvero procedure tecniche o curative non praticate ovvero attrezzature non presenti nelle strutture italiane pubbliche o convenzionate con il Servizio sanitario nazionale.

Per quanto concerne, in particolare, l’autorizzazione da rilasciare all’interessato, l’art. 4 del D.M. 3 novembre 1989, stabilisce che: a) il concorso nella spesa é concesso solo per le prestazioni autorizzate; b) a tali fini l'assistito deve presentare domanda alla unità sanitaria locale di appartenenza corredata dalla proposta motivata di un medico specialista nonché dall'ulteriore documentazione prescritta dalle disposizioni regionali; c) l’istanza deve contenere l’indicazione del centro estero prescelto per la prestazione; d) l’unità sanitaria locale provvede, secondo modalità stabilite dalla regione, alla trasmissione della domanda e della documentazione al centro regionale di riferimento territorialmente competente ad autorizzare le prestazioni all'estero; e) il centro di riferimento, valutata la sussistenza dei presupposti sanitari per usufruire delle prestazioni richieste (impossibilità di fruirle tempestivamente ovvero in forma adeguata alla particolarità del caso clinico), autorizza o meno le prestazioni presso il centro estero di altissima specializzazione prescelto, dandone comunicazione all'unità sanitaria locale competente; f) il centro di riferimento, qualora non fosse possibile autorizzare le prestazioni presso il centro estero prescelto, può autorizzare, se richiesto, le prestazioni stesse presso un diverso centro estero, fornendone adeguata motivazione; g) il centro di riferimento autorizza, inoltre, in relazione alla gravità del caso clinico, il trasporto dell'assistito con il mezzo ritenuto più idoneo nonché, nel caso di minori anni 18 o di pazienti maggiorenni non autosufficienti, l’accompagnatore, fornendone adeguata motivazione; h) il centro di riferimento autorizza, altresì, ove ritenuto necessario, il viaggio con il mezzo aereo per l'assistito e per l’eventuale accompagnatore.

L’art. 5 del decreto ministeriale citato indica i criteri utili per individuare i Centri di altissima specializzazione all'estero, mentre l’art. 6 descrive dettagliatamente il concorso della pubblica amministrazione nelle spese sostenute dal malato.

Per particolari casi di gravità ed urgenza, nonché qualora le spese che restano a carico dell'assistito siano particolarmente elevate in relazione anche al reddito complessivo del nucleo familiare dell'assistito stesso, l’art. 7 del decreto ministeriale prevede delle deroghe alla disciplina generale.

 

LA QUESTIONE GIURISDIZIONALE

 

La questione dell’attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario ovvero a quello amministrativo sui procedimenti connessi alla domanda o al diniego di concessione del rimborso delle spese mediche affrontate dal cittadino italiano all’estero è stata (ed è tutt’ora) oggetto di dibattito nell’ambito della giurisprudenza.

Va detto che un compromesso era stato raggiunto prevedendosi che, da un canto, nell’ipotesi in cui a fondamento della domanda fossero state dedotte ragioni di urgenza - tali cioè da comportare, per l’assistito, pericolo di vita, di aggravamento della malattia o di non adeguata guarigione, il tutto evitabile soltanto per effetto di cure tempestive non ottenibili dalla struttura pubblica -, l’interesse vantato dal privato sarebbe stato qualificabile come diritto soggettivo perfetto (il diritto, cioè, alla salute, costituzionalmente garantito), tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attesa l’assenza di qualsivoglia potere autorizzatorio discrezionale della pubblica Amministrazione, ed a prescindere dall’eventuale discrezionalità tecnica riconosciuta alla stessa in punto di apprezzamento dei motivi di urgenza (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 11 gennaio 2006 n. 35, e Sez. IV, 14 aprile 2003 n. 1931; Cass. civ., Sez. un., ord. 30 maggio 2005 n. 11334); al contrario, in ipotesi di impugnazione del diniego di autorizzazione conseguente ad una generica domanda dell’assistito volta ad ottenere il rimborso di spese ospedaliere da sostenere o sostenute all’estero, la situazione soggettiva fatta valere avrebbe integrato un’ipotesi di mero interesse legittimo, attesa la discrezionalità riconosciuta all’Autorità amministrativa, titolare del potere di autorizzazione, sul piano della valutazione della propria capacità di soddisfare, tempestivamente ed in forma adeguata, anche sotto il profilo della disponibilità finanziaria, le esigenze del richiedente.

Tale tregua nella “guerra tra le Corti” era stata preceduta da un forte periodo di incertezza e di conflittualità aggravato dalla devoluzione (art. 33, comma 2, lett. e), del d.lgs. n. 80 del 1998, come sostituito dall'art. 7, comma 1, lett. a), della legge n. 205 del 2000) alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di tutte le controversie in materia di pubblici servizi e, segnatamente, delle liti riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle ascrivibili al Servizio sanitario nazionale.

Sulla base di tale previsione normativa si era ritenuto superato ope legis il richiamo al criterio discretivo della natura della posizione giuridica fatta valere in giudizio (diritto soggettivo o interesse legittimo), tanto da considerare sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo anche per le controversie relative alla spettanza o meno di un rimborso di spese mediche sostenute all’estero con riguardo ai casi dell’estrema gravità ed urgenza (Consiglio di Stato, Sez. V , 28 maggio 2004 n. 3464).

Sennonché, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della suindicata normativa (v. Corte cost. 6 luglio 2004 n. 204), determinando il ripristino in parte qua della situazione anteriore, con la necessità di assumere nuovamente a riferimento - ai fini del riparto della giurisdizione - il criterio della natura della posizione giuridica azionata (Cass. civ., Sez. un., ord. n. 11334/2005 cit.; TAR Lombardia, Brescia, 18 luglio 2005 n. 769).

In particolare, la sentenza 204/2004 perviene alla riformulazione del dettato normativo, decretandone l’illegittimità entro limiti precisi e sintetizzabili nei seguenti passaggi:

- muovendo dall’esame dei lavori della costituente, al fine di rettamente intendere il disposto dell’art. 103 Cost., si afferma che il potere di indicare le “particolari materie” in cui il giudice amministrativo può conoscere anche di diritti soggettivi “non è assoluto né incondizionato”, ma deve pur considerare la natura delle posizioni giuridiche coinvolte;

- la particolarità concerne il rapporto di tali questioni rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità, nel senso che esse devono fondamentalmente partecipare della medesima natura, costituita dall’agire la pubblica amministrazione come autorità nei confronti della quale al cittadino sia dato di agire davanti al giudice amministrativo, non essendo sufficiente la mera partecipazione al giudizio del soggetto munito di pubblici poteri, o il mero coinvolgimento di un interesse pubblico nella controversia.

La Corte Costituzionale, in breve, anche con le sentenze successive (n. 190/2006; n. 77/2007; 140/2007) ha inteso continuare quell’indirizzo giurisprudenziale che era stato inaugurato dalla sentenza n. 500 del 1999, basato su due principi: quello, per il quale l’ordinamento deve garantire la tutela piena delle posizioni giuridiche fatte valere dal cittadino nei confronti dell’amministrazione, qualunque sia il giudice innanzi al quale la controversia deve essere incardinata, e quello per il quale la predetta tutela può essere garantita sia dal giudice ordinario che da quello amministrativo, avendo essi pari dignità di organi giurisdizionali. Nella sentenza n. 140/2007 della Consulta si è anzi espressamente sancito che il giudice ha piena dignità di organo giurisdizionale, al pari del giudice ordinario, e può ampiamente garantire il soddisfacimento dell’esigenza “di concentrare davanti ad un unico giudice l’intera protezione del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica”. In questi casi, per di più, il giudizio amministrativo assicura la tutela di ogni diritto non soltanto per effetto dell’esigenza, coerente con i principi di cui agli artt. 24 e 111 Cost., di concentrare davanti ad un unico giudice l’intera protezione del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica, ma anche perché quel giudice è idoneo ad offrire piena tutela ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti, coinvolti nell'esercizio della funzione amministrativa.

Appare quindi molto controverso il più recente arresto sul punto della Corte di Cassazione (sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2867) per cui: “In materia di richiesta di rimborso delle spese sanitarie sostenute dai cittadini residenti in Italia presso centri di altissima specializzazione all'estero per prestazioni che non siano ottenibili in Italia tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico (art. 5, L. 23 ottobre 1985, n. 595 e relativo decreto del Ministro della sanità del 3 novembre 1989, come successivamente modificato), la giurisdizione spetta al Giudice ordinario, sia nel caso che siano addotte situazioni di eccezionale gravità ed urgenza, prospettate come ostative alla possibilità di preventiva richiesta di autorizzazione, sia nel caso che l’autorizzazione sia stata chiesta e che si assuma illegittimamente negata, giacché viene comunque in considerazione il fondamentale diritto alla salute, non suscettibile di essere affievolito dalla discrezionalità meramente tecnica dell'amministrazione in ordine all'apprezzamento dei presupposti per l’erogazione delle prestazioni”.

La Corte ritiene infatti che da una attenta analisi delle disposizioni previste in materia, sia giusto ritenere che, per il tipo di valutazioni da compiere (sussistenza dei presupposti sanitari) e per la qualifica di chi è chiamato a realizzarle (medici), l’apprezzamento della P.A. sia esclusivamente tecnico e non discrezionale in senso stretto.

L’Amministrazione sanitaria disimpegna, nel caso di specie, non un potere di supremazia ma una mera discrezionalità tecnica, la quale non può determinare un affievolimento del diritto soggettivo alla salute (e quello connesso del rimborso alle spese mediche sostenute all'estero) in interesse legittimo. In tal senso si è notato come sarebbe singolare del resto se venisse attribuita la giurisdizione al giudice amministrativo nel caso di richiesta ex ante della prestazione ed al giudice ordinario nel caso di richiesta ex post , dal momento che in ogni caso il ricovero in centri di alta specializzazione in territorio estero costituisce un vero e proprio diritto soggettivo dell'utente, sempre che ne sussistano i presupposti di legge alla cui osservanza l'amministrazione è vincolata (Tar Brescia, sez. I, 3 marzo 2006; Tar Piemonte, sez. II, 10 giugno 2010, n. 2742).

A tale sentenza è seguita una netta reazione da parte dei giudici amministrativi, che in modo esattamente speculare, hanno richiamato a sé la giurisdizione sul rimborso delle cure all’estero, anche nei casi giustificati da urgenza (ex multis Tar Aosta, 19 gennaio 2011, n. 4; Tar Sicilia-Palermo, sez. II, 25 settembre 2009, n. 1526; Cons. giust. amm. Sicilia, 15 ottobre 2009, 968)

In tali sentenze ad essere posto sotto attacco è il decennale indirizzo giurisprudenziale secondo cui esisterebbero posizioni di diritto soggettivo “non affievolibili”, tra cui il diritto alla salute, e, pertanto, in base alla originaria regola del riparto tra le giurisdizioni, espressa dagli artt. 2 e 4 Legge 2248/1865 all. E, soggette esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario. Posizione sostenuta, in particolare, dalla Corte di Cassazione che ha da sempre sostenuto l’esistenza di diritti “primari” ed “assoluti” dell’individuo, “fondamentali per natura costituzionale”, suscettibili di una tutela “completa” in quanto “sovrastanti” rispetto all’Amministrazione, “di guisa che questa non ha alcun potere, neppure per motivi di interesse pubblico specialmente rilevante, non solo di affievolirlo ma neanche di pregiudicarlo nel fatto, indirettamente” (Cass. Civ., Sez. Un., 20 febbraio 1992, n. 2092).

Per cui – secondo tale indirizzo – in assenza di prerogative pubblicistiche, nessun potere di intervento sarebbe consentito al giudice amministrativo, mentre, per contro, al giudice ordinario resta attribuito il potere di incidere sull’azione dell’Amministrazione in modo ben più consistente rispetto a quanto stabilito dalla Legge 2248/1865 all. E, e ciò in quanto, stante l’esistenza di diritti che la Carta Costituzionale intende proteggere in modo assoluto, “non vi sono, giuridicamente, provvedimenti amministrativi da revocare o da modificare ma semplicemente si tratta di emettere condanna a un fare, di segno opposto al fatto lesivo del diritto di salute dell'individuo e tale pronuncia compete al giudice ordinario” (così Cass. n. 2092/1992; nn. 13659 e 13660/2006)

Sennonché, negli ultimi anni parte della dottrina, affiancata da autorevoli arresti giurisprudenziali, hanno mosso una serie di rilevanti obiezioni alla teoria della assoluta indegradabilità di alcuni diritti soggettivi asseritamente incomprimibili.

Partendo dal presupposto della incontestabilità dell’esistenza di un nucleo di diritti che la Costituzione considera, a ragione, “fondamentali”, in quanto collegati alla sfera personale dell’individuo (salute, libertà e integrità personali, riservatezza), è stato rilevato come la teoria di un diritto resistente a oltranza all’intervento di qualsivoglia influenza esterna (prima tra tutte quella della Pubblica Amministrazione), si basi su un duplice erroneo presupposto:

a) quello, sostanziale, dell’esistenza di una contrapposizione tra diritti fondamentali e possibilità della Pubblica Amministrazione di esercitare la propria potestà discrezionale;

b) quello, formale, della inesistenza, all’interno della Costituzione, di meccanismi di contemperamento tra i suddetti diritti asseritamente incomprimibili e altri “interessi”, pubblici o privati.

Trattasi di presupposti erronei, in quanto basati sulla mancata considerazione che anche un diritto fondamentale può e trova limitazione nella tutela, concorrente, di un altro diritto ritenuto, del pari, altrettanto fondamentale; che il carattere di assolutezza è dato anche, e soprattutto, dalla valenza che una determinata situazione assume in un preciso e contingente momento storico, sicchè se c’è l’interesse dello Stato al perseguimento di determinate finalità di interesse pubblico, non vi è diritto fondamentale che tenga; che in una società pluralistica come quella attuale è impensabile ritenere che esistano diritti inviolabili del singolo tali da rendere quest’ultimo intoccabile anche di fronte a necessari interventi dello Stato a tutela di situazioni diverse, riferibili anche ad altri individui.

I diritti fondamentali dell’individuo trovano infatti un limite nei diritti non meno fondamentali

degli altri e nei superiori interessi pubblici e che l’opera di armonizzazione del diritto fondamentale del singolo con le posizioni altrui e con i poziori interessi pubblici è un’opera che non viene svolta, in modo compiuto e definitivo, da una legge disperatamente incapace di prevedere in astratto le variabili dei conflitti concreti, ma viene demandata alla Pubblica Amministrazione, chiamata, con la sua saggezza antica, ad individuare le soluzioni capaci di coniugare, anche limitandoli ed anche comprimendoli, e in sostanza conformandoli, i diritti fondamentali dei singoli in relazione alle posizioni antagoniste di pari dignità.

Non vi sarebbe dunque alcuna differenza, se non da un punto di vista del concreto atteggiarsi del potere amministrativo, tra l’azione della Pubblica Amministrazione quando interviene in materia di salute del cittadino e quando lo fa in ambiti tradizionalmente considerati al di fuori della sfera protetta dei diritti fondamentali incomprimibili, come, ad esempio, quella dei diritti patrimoniali.

Ulteriori frecce all’arco dei ‘nemici’ della teoria della natura inviolabile di talune posizioni soggettive sono state portate della sentenza della Corte Costituzionale 27 aprile 2007 n. 140, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 1, 552 co., L. n. 311/2004, attributivo al Giudice Amministrativo della giurisdizione esclusiva sul contenzioso in materia di impianti di generazione elettrica, come tali aventi ricadute immediate sul diritto alla salute dei cittadini.

La Corte ha ritenuto la norma costituzionalmente legittima in conformità ai propri arresti in materia di giurisdizione esclusiva (sentenze nn. 204/2004 e 191/2006), in quanto ha ritenuto l’inesistenza di alcun principio o norma nel nostro ordinamento “che riservi esclusivamente al giudice ordinario - escludendone il giudice amministrativo - la tutela dei diritti costituzionalmente protetti”, sottolineando che “l’orientamento, espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, circa la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario in presenza di alcuni diritti assolutamente prioritari (tra cui quello alla salute) risulta enunciato in ipotesi in cui venivano in considerazione meri comportamenti della pubblica amministrazione, e pertanto esso è coerente con la sentenza n. 191 del 2006, con la quale questa Corte ha escluso dalla giurisdizione esclusiva la cognizione del risarcimento del danno conseguente a meri comportamenti della pubblica amministrazione.”

La Corte, pertanto, conferma la correttezza di un criterio di riparto dipendente non tanto dalla natura inviolabile della situazione soggettiva dedotta in giudizio, quanto dall’esistenza di una disposizione legislativa che stabilisca i limiti e le condizioni dell’interposizione della Pubblica Amministrazione.

Vi è poi da considerare la centralità che assume il problema della discrezionalità esercitata dall’Amministrazione nell’autorizzare la prestazione di cure all’estero e il conseguente rimborso. Secondo l’orientamento della Cassazione tale valutazione è espressione di mera discrezionalità tecnica, il cui esercizio è “insuscettibile di determinare l’affievolimento delle posizioni di diritto soggettivo”, sussistendo solo un “potere di apprezzamento dell'urgenza della prestazione sanitaria ottenuta dal paziente”; l’esercizio di tale discrezionalità “non essendo espressione di un potere di supremazia dell’Amministrazione., è sempre inidoneo a determinare l’affievolimento del diritto soggettivo, tanto più se primario e fondante quale quello alla salute” (Tar Abruzzo – L’Aquila, sez. I, 12 gennaio 2009, n. 7; Tar Campania - Napoli, sez. I, 09 aprile 2009, n. 1883; Tar Veneto, sez. III, 28 luglio 2008, n. 2132; Tar Campania - Napoli, sez. I, 03 luglio 2008, n. 6815; Cass. civ., sez. un., ord. n. 14848 del 28 giugno 2006 e n.11334 del 30 maggio 2005).

Diversa è la posizione assunta dalla recente giurisprudenza amministrativa che ha ritenuto, da un lato, “il diniego di autorizzazione a fruire di cure sanitarie urgenti presso un centro di alta specializzazione all'estero per prestazioni particolari non è atto automatico e dovuto, correlato ad un diritto soggettivo, bensì consiste in un provvedimento correlabile ad un interesse legittimo, essendo espressione di discrezionalità decisionale, poiché consegue a due apprezzamenti diversi, uno tecnico e l'altro amministrativo, concernenti la valutazione dei presupposti (indispensabilità di strutture adeguate in Italia in tempi adeguati, urgenza e gravità del caso, cure prestate a cittadini che già si trovano all'estero e quant’altro) per la concessione dell’autorizzazione” e, dall’altro, “il giudizio sulla gravità delle patologie, sull’urgenza e sull’adeguatezza delle cure comporta l’esercizio di discrezionalità tecnica che può essere sottoposta al controllo intrinseco del giudice amministrativo, costituendo la valutazione tecnica operata dall’Amministrazione non una scelta in senso stretto, ma la qualificazione di un soggetto o di un bene, avvalendosi di una scienza non giuridica” (C.g.a., sez. giur., 15 ottobre 2009, n. 968).

Sotto quest’utimo profilo, la giurisprudenza amministrativa ha desunto, in particolare dall’esame dell’art. 7, 2 co, D.M. 3.11.1989, modificato dall’art. 2 del D.M. 13.5.1993, che il concorso del S.S.N., mediante parziale rimborso, nelle spese di cura, in assenza di preventiva autorizzazione, delle "prestazioni di comprovata gravità ed urgenza ivi comprese quelle usufruite dai cittadini che si trovino già all'estero", non costituisce un diritto soggettivo perfetto, essendo condizionato al positivo apprezzamento tecnico, ad opera del Centro di riferimento territorialmente competente, della sussistenza dei presupposti e delle condizioni di cui al precedente art. 2, nonché dei requisiti di eccezionale gravità ed urgenza dell’intervento sanitario. Ne deriva che – secondo tale interpretazione – la posizione del richiedente non può che essere qualificata come interesse legittimo, con conseguente cognizione della fattispecie in capo al giudice amministrativo, nell’ambito della giurisdizione ordinaria di legittimità.

Quella della giurisdizione è una partita ancora tutta da giocare e senza un ‘vincitore’ indiscusso, anche perché le modifiche legislative (in particolare il codice del processo amministrativo) potrebbero aprire nuovi scenari, in quanto se prima del 2000 il giudice amministrativo non aveva lo strumento del risarcimento del danno neanche nelle materie esclusive a causa della riserva in favore del giudice ordinario della conoscenza delle questioni consequenziali, non era dotato dei mezzi probatori tipici del processo civile, non possedeva il

bene della tutela cautelare atipica, ora tale condizione di inferiorità sembra essere stata superata sicchè sembrerebbe non sussistere più alcun ostacolo affinchè possa essere affidata al giudice amministrativo la cognizione di posizioni giuridiche a cui questi è in grado di offrire una protezione sincronizzata con le coordinate costituzionali.

 

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