(Estratto da Diritto e Processo
formazione n. 4/2011)
QUAESTIO IURIS
La sentenza in commento costituisce
un’utile occasione di riflessione su argomenti dalla
portata innovativa.
L’ambito dell’analisi che ci occupa
coincide con l’istituto della “comunicazione dei motivi
ostativi all’accoglimento dell’istanza” – con
espressione mutuata dalla rubrica dell’art. 10 bis l.
241/1990 -, meglio conosciuto come “preavviso di
rigetto”.
Si è già accennato, dunque, alla
fonte normativa, della quale tuttavia si rende opportuna
una precisazione: l’art. 10 bis è stato inserito
nell’organico della legge sul procedimento
amministrativo solo in epoca successiva, e precisamente
nel 2005 con l. n. 15, portando a compimento quel
percorso evolutivo che ha dato origine al moderno
assetto di garanzie procedimentali.
Più nello specifico, con l’istituto
in esame si è cercato di offrire ai cittadini uno
strumento che rispondesse ad una duplice finalità:
- di collaborazione tra la
p.a. e il privato, posti in contraddittorio;
- di garanzia del privato
stesso.
Non va, peraltro, sottaciuto come
il preavviso di rigetto, nella sua funzione di voler
offrire la possibilità di un contraddittorio all’interno
del procedimento, costituisca un valido ausilio per la
riduzione del contenzioso.
Il Collegio, in proposito,
testualmente afferma: “La norma in esame mira ad
«instaurare un contraddittorio a carattere necessario
tra la p.a. ed il cittadino» al fine sia di «aumentare
le possibilità del privato di ottenere ciò a cui aspira»
(Cons. Stato, sez. IV, 12 settembre 2007, n. 4828) sia
di acquisire elementi che arricchiscono il patrimonio
conoscitivo dell’amministrazione (Cons. Stato, sez. VI,
22 maggio 2008, n. 2452), consentendo una migliore
definizione dell’interesse pubblico concreto che
l’amministrazione stessa deve perseguire.
La prescritta partecipazione
svolge, pertanto, una funzione difensiva e
collaborativa. L’osservanza degli obblighi posti
dall’art. 10-bis potrebbe assolvere anche ad una
importante finalità deflattiva del contenzioso, evitando
che si sposti nel processo ciò che dovrebbe svolgersi
nel procedimento. Se, infatti, non si rende edotto il
privato di tutte le ragioni che depongono per il rigetto
della sua istanza, al fine di permettergli di esprimere,
in ambito procedimentale, il suo “punto di vista, si
costringe l’interessato a proporre ricorso
giurisdizionale per fare valere in giudizio ciò che
avrebbe potuto essere oggetto di accertamento in sede
amministrativa”.
Ciò premesso, e passando al merito
della questione posta al vaglio dei Giudici, si rileva
come oggetto del contenzioso sia l’art. 146 d.lgs.
42/2004.
Ad avviso dei Giudici, la norma ha
un contenuto che si presta a diverse soluzioni
ermeneutiche.
Se da un lato vi è chi, partendo
dalla vincolatività del parere e dalla successione
temporale che vede il preavviso di rigetto intervenire
solo in un secondo momento rispetto al primo, sostiene
che il parere non possa essere contestato nei suoi
contenuti dal privato.
La conseguenza è di rilievo se solo
si considera che la natura strettamente
endoprocedimentale del preavviso di rigetto rende lo
stesso inidoneo a ledere immediatamente la sfera
giuridica del privato, così determinando la sua non
autonoma impugnabilità. Al contrario, in una situazione
come quella in esame, “dovrebbe essere oggetto di
immediata contestazione giudiziale per la sua capacità
di determinare un arresto procedimentale”.
Tuttavia, il Collegio non manca di
rilevare l’inconveniente di una simile teoria, dal
momento che “vanificherebbe le plurime funzioni degli
obblighi di comunicazione posti dall’art. 10-bis,
riducendo la partecipazione procedimentale ad un mero
simulacro formale inidonea ad incidere sugli aspetti di
rilevanza paesaggistica del provvedimento finale”.
Diversa ricostruzione è offerta da
chi ritiene che nel momento della comunicazione dei
motivi ostativi il privato prende coscienza del parere
vincolante e può così aprirsi una fase in
contraddittorio con la p.a., utile a consentire al
privato “di indurre le amministrazioni competenti a
mutare, eventualmente, il contenuto della determinazione
che si intendeva adottare. Ciò implica che le
osservazioni fatte pervenire devono essere oggetto,
quando tendono a contestare le motivazioni di natura
paesaggistica contenute nel parere, di una autonoma
valutazione da parte del Soprintendente. In altri
termini, le amministrazioni provinciali e statali che
hanno, a diverso titolo, concorso alla definizione del
contenuto del preavviso di rigetto sono obbligate ad
aprire una parentesi procedimentale, seguendo l’iter
prefigurato dall’art. 10-bis, al fine di valutare le
eventuali osservazioni fatte pervenire e di cui occorre
tenere conto nell’adozione dell’atto finale”.
Una simile conclusione, di certo in
linea con la ratio e soprattutto con la funzione stessa
dell’art. 10 bis, porta a conseguenze opposte rispetto a
quelle già esaminate e relative alla prima ipotesi
ricostruttiva. Invero, dal momento che la comunicazione
dei motivi ostativi non produce alcun “arresto
procedimentale”, esso è inidoneo a ledere immediatamente
la sfera del privato e, di conseguenza, non potrà essere
autonomamente impugnato: oggetto dell’impugnazione sarà
solo il provvedimento conclusivo dell’intero
procedimento.
Alla stessa conclusione perviene il
Collegio, che “ritiene preferibile seguire questa
seconda opzione interpretativa, in quanto essa è la sola
in grado di assegnare una valenza utile al richiamo
operato dall’art. 146 alla norma contenuta nella legge
n. 241 del 1990, consentendo, al contempo, la piena
attuazione delle plurime funzioni perseguite mediante la
garanzia della partecipazione del privato nelle forme
indicate”.
La SOLUZIONE di T.A.R. Calabria di
Catanzaro, Sez. I, 05 marzo 2011, n. 322
Ad avviso del T.A.R. l’art. 146
d.lgs. 42/2004 “deve essere intesa nel senso che,
successivamente alla comunicazione del preavviso di
rigetto in cui è reso noto, in particolare, il contenuto
del parere vincolante, si può instaurare un
contraddittorio assicurando la partecipazione del
privato che deve essere in grado di indurre le
amministrazioni competenti a mutare, eventualmente, il
contenuto della determinazione che si intendeva
adottare. Ciò implica che le osservazioni fatte
pervenire devono essere oggetto, quando tendono a
contestare le motivazioni di natura paesaggistica
contenute nel parere, di una autonoma valutazione da
parte del Soprintendente. In altri termini, le
amministrazioni provinciali e statali che hanno, a
diverso titolo, concorso alla definizione del contenuto
del preavviso di rigetto sono obbligate ad aprire una
parentesi procedimentale, seguendo l’iter prefigurato
dall’art. 10-bis, al fine di valutare le eventuali
osservazioni fatte pervenire e di cui occorre tenere
conto nell’adozione dell’atto finale. In questa ottica,
il preavviso di rigetto non è idoneo ad determinare un
arresto procedimentale, con la conseguenza che oggetto
di impugnazione deve essere esclusivamente l’atto finale
adottato dall’amministrazione a seguito dello
svolgimento del contraddittorio endoprocedimentale”.
Il collegio giudicante ritiene che
sia “preferibile seguire questa seconda opzione
interpretativa, in quanto essa è la sola in grado di
assegnare una valenza utile al richiamo operato
dall’art. 146 alla norma contenuta nella legge n. 241
del 1990, consentendo, al contempo, la piena attuazione
delle plurime funzioni perseguite mediante la garanzia
della partecipazione del privato nelle forme indicate.
Ne consegue la declaratoria di
inammissibilità del ricorso per mancanza di interesse.
Infatti, l’amministrazione provinciale si è limitata a
comunicare il preavviso di rigetto e non ha ancora
adottato la determinazione finale che, secondo
l’interpretazione fatta propria da questo Collegio, è
l’unica che può essere oggetto di impugnazione”. |