Prof.
Avv. Luciano Maria Delfino
Sommario
1. Il
quadro paradigmatico di riferimento
2.
Gli elementi di crisi del nuovo istituto della
mediaconcliliazione obbligatoria
3. Il
ricorso al T.A.R. del Lazio contro la mediaconciliazione
obbligatoria
4.
L’intervento del Giudice Amministrativo
5. Le
considerazioni sulle ragioni di remissione
6. Il
ricorso per motivi aggiunti contro la Circolare del 4
aprile 2011 del Ministero della Giustizia su regolamento
di procedura e requisiti dei mediatori
7.
Sulla possibilità di bypassare le mediazionconciliazione
obbligatoria delineata da questo non lineare legislatore
8.
Considerazioni per il raggiungimento dell’obiettivo di
una giustizia civile efficiente
1. Il
quadro paradigmatico di riferimento
L’articolato procedimento di mediazione introdotto dal
legislatore interno in sede di riforma del processo
civile[1] si pone come unico, malcelato obiettivo quello
di operare, mutuando un’espressione dal gergo
calcistico, un intervento a piedi uniti allo scopo di
deflazionare tout-court il sistema della giustizia
civile ormai al collasso.
Quel
che colpisce dell’iniziativa legislativa è che essa
invece di agire sul processo e sulla bassissima
produttività dei magistrati pretende di imporre una
disciplina della mediazione che si pone addirittura come
condizione di procedibilità dell’azione giustiziale di
impatto molto discutibile.
Un
simile approccio sistemico non è nuovo nel nostro
ordinamento ove si consideri che non moltissimi anni fa
il legislatore interno resosi conto di non poter
cancellare lo stato patologico rappresentato dalla
pazzia ha pensato bene – sia pure con le migliori
intenzioni - di eliminare i manicomi[2].
E’ un
leit-motiv incredibilmente costante quello di agire per
via surrettizia piuttosto che per via diretta, peraltro
di sicura maggior ragionata producenza, nella
risoluzione dei problemi.
Il
risultato di queste contingenti e non sufficientemente
meditate operazioni è giustapposto rispetto alle
emergenze obiettive e reali di una giustizia civile che
non funziona, ma in compenso esse diventano ghiotta
fonte di contrapposizioni tra guelfi e ghibellini;
attività che sono rinomata specialità della ditta
Italia.
Ovviamente il problema non è la mediazione, quale
sistema libero e non processualizzato di risoluzione
stragiudiziale delle controversie civili e commerciali,
che è idea giuridica apprezzabile sul piano effettuale
e, peraltro ampiamente praticato da qualunque avvocato
che si rispetti al fine di evitare, nell’interesse del
cliente, i tempi lunghi del processo, bensì questo tipo
di media conciliazione, pesantemente processualizzata,
oggi adottato il quale si pone come un unicum nel
panorama delle legislazioni europee in cui il connotato
dell’obbligatorietà – pensato ed attuato in maniera
pittosto goffa ed indifferenziata dal legislatore
interno – resta, invece, nel resto d’Europa, confinata
per ipotesi assolutamente marginali e di nicchia
rispetto a quello che è il contenzioso ordinario nel
quale, non si dimentichi, confluiscono gli interessi ed
i diritti dei cittadini che fra l’altro, almeno per le
situazioni disponibili fatte valere, hanno una valida, e
di maggior attrazione, alternativa nell’istituto
dell’arbitrato. Istituto, quest’ultimo a cui, e non è
cosa questa di poco momento, si può fare ricorso senza
passare attraverso le forche caudine dell’attuale
mediaconcliazione con tutti i vantaggi di speditezza che
ne conseguono.
In
verità aver disposto una conciliazione obbligatoria, non
in linea con le linee direttrici dell’Europa e, quindi,
aver stabilito una condizione di procedibilità per
l’azione giustiziale, pressoché per tutti gli oggetti di
diritto, è operazione, come già evidenziato, non logica
e comunque di difficile comprensione viepiù che la
stessa, con carattere così generalizzato, non è
contemplata in alcuna delle legislazioni sopra
ricordate.
In
buona sostanza si impone al cittadino una sorta di
processo anticipato eseguito da un giudice non giudice
al solo scopo di evitare il vero processo ed il vero
giudice attraverso il ricorso ad un meccanismo
preordinato a recar nocumento a chi di tale strumento o
del suo risultato non rimane soddisfatto e vuole invece
adire al giudice statuale per la tutela dei suoi
diritti.
Al di
là del fatto di non poco momento che non si riesce a
comprendere perché mai colui il quale ritenga di essere
nel giusto debba assoggettarsi al prefato procedimento
di mediazione e per forza, essere costretto ad accettare
o rifiutare una proposta di conciliazione in
lapalissiano contrasto con le direttive dell’UE[3] e
come in seguito si vedrà anche con l’art. 24 della
Costituzione.
Il
sistema di obbligatorietà così concepito dal legislatore
interno – e che si ribadisce è del tutto estraneo agli
altri Paesi europei - reca con se aspetti di non
secondaria rilevanza quali un costo di ingresso
indiscutibilmente elevato, procedure e ricadute
illegittime sul processo che contrastano, ictu oculi,
con la libertà di accesso dei cittadini alla giustizia.
Infatti l’introduzione di una tassa, prevista come
obbligatoria, per ottenere giustizia, che si risolve in
una ingiustificata limitazione del diritto di accesso
alla giustizia medesima e, quindi all’esercizio di
diritti costituzionali garantiti, appare imposizione del
tutto arbitraria, viepiù che si devia l’analisi delle
materie in capo a mediatori che non offrono sufficienti
garanzie di competenza e professionalità.
Sarebbe stato forse più semplice e più producente
incidere sull’incentivazione e sul controllo
dell’operatività dei giudici, ovvero procedere alla
modifica dell’art. 185 c.p.c. facendo gravare su essi
giudici, piuttosto che su figure di non altrettanto pari
livello di cultura giuridica, l’obbligo del tentativo di
conciliazione fra le parti nell’ambito di una
controversia già incardinata con la conseguenza che in
caso di fallimento della mediazione il processo andrebbe
avanti senza spreco di tempo e di soldi, ovvero
incentivando il ricorso all’istituto arbitrale in
materia di diritti disponibili che indiscutibilmente
offre maggiori garanzie procedimentali oltre che di
competenza e di professionalità .
2.
Gli elementi di crisi del nuovo istituto della
mediaconciliazione obbligatoria
La
disciplina dell’istituto delineata dal legislatore non
appare suscettibile di assicurare, in maniera certa ed
esaustiva, la finalità della deflazione dei processi e
della celere e qualitativamente apprezzabile definizione
dei giudizi, soprattutto con riferimento alla non
lineare attribuzione della mediaconciliazione ad
organismi pubblici e privati previsti dal legislatore,
invece che assegnare tale funzione agli avvocati
nell’esercizio del loro servizio professionale.
Inoltre, come peraltro già evidenziato, la scelta
legislativa in esame mal si concilia con la normativa
dell’UE in materia di mediazione[4], laddove, inibisce,
senza una plausibile ragione imperativa, la libertà di
rivolgersi per la mediaconciliazione agli avvocati per
favorire, senza razionale motivazione, un regime di
esclusività a vantaggio degli organismi di mediazione i
quali, a differenza degli avvocati non forniscono alcuna
oggettiva garanzia di indipendenza rispetto agli
interessi in gioco nell’ambito della controversia. E ciò
anche in considerazione del fatto che i c.d. mediatori
agiscono in regime di evidente e soffocante stato di
parasubordinazione, per essere gli stessi
gerarchicamente e funzionalmente subordinati nei
confronti della struttura dell’organismo mediativo cui
appartengono che, per l’effetto, rende gli stessi non
idonei ad affrontare eventuali conflitti di interesse
con la medesima efficacia ed indipendenza con cui
l’avvocato – esso si organo vero della amministrazione
della giustizia non legato da alcun rapporto di impiego
verso il cliente che lo paga - è aduso fronteggiare
detti eventuali contrasti.
Non
appare altresì peregrino ravvisare nella normativa della
mediaconciliazione introdotta in Italia una assoluta
mancanza di razionalità e coerenza della stessa in
relazione ai diritti fondamentali riconosciuti dalla
CEDU la cui giurisprudenza, con riferimento all’art. 6
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo,
potrebbe – con alte percentuali di probabilità -
sanzionare tanto la ravvisata mancata previsione di
un’efficace assistenza tecnica nella previa fase di
mediaconciliazione imposta come obbligatoria che
l’altrettanto obiettiva evidenza di un non motivato
allungamento dei tempi del processo.
In
buona sostanza l’istituto esaminato, se non
opportunamente rivisitato, soprattutto con riferimento
all’improvvido aspetto della sua obbligatorietà, che va
senza indugio eliminato, determinerà:
- un
senza dubbio più periglioso accesso alla giurisdizione;
- un
aumento degli oneri e dei costi a carico del cittadino;
- una
maggiore dilatazione dei tempi per la presentazione
della domanda giudiziale;
- un
regime di favore, in termini di dilazione del redde
rationem, per la parte inadempiente che non intenda
conciliare la controversia;
- una
subornazione del ruolo dell’avvocato, la cui figura
professionale non è prevista come necessaria
nell’assistenza al cliente e, comunque, il precetto di
una obbligatoria dichiarazione scritta del cliente
medesimo sull’avvenuta informativa da parte del legale;
-
l’individuazione di una figura di mediatore – al quale
viene affidata la gestione di più dell’ottanta per cento
delle materie e dei processi che resteranno congelati
per almeno un anno - non obbligatoriamente dotato di
preparazione giuridica, al quale viene attribuito il
potere di formulare un progetto di accordo che se non
accettato potrà produrre effetti penalizzanti per la
difesa giustiziale del cittadino;
- un
sistema di obbligatorietà estranea alla delega conferita
al Governo dal Parlamento e che, comunque, non assicura
in termini di garanzia la qualità del diritto di difesa
del cittadino.
- non
ultima la non peregrina e purtroppo non remota evenienza
che gli organismi di mediaconciliazione così come
concepiti (in sostanza pressoché privi di controlli e di
garanzie di riservatezza), soprattutto nelle zone del
Paese in cui più incombente si manifesta e si avverte la
presenza delle organizzazioni criminali, possano restare
pesantemente condizionati dall’azione delle cosche
medesime, sia in termini di partecipazione occulta a
detti organismi, sia attraverso forme di persuasione
discratica particolarmente virulente, tanto più facili
da porre in essere nei confronti di soggettività
(mediatori) non particolarmente dotati e forti sotto il
profilo della competenza e della professionalità che si
trovano ad amministrare il fenomeno di questa
mediaconcliazione - illogicamente e senza una ragione
plausibile, processualizzata - peraltro concepito come
obbligatorio per legge.
Il
non lineare sistema dianzi descritto appare suscettivo
di essere aggredito tanto davanti alla giurisdizione
amministrativa dello Stato italiano quanto, e forse con
maggior pregnanza di ragioni, davanti alla Corte di
Giustizia europea.
3. Il
ricorso al T.A.R. del Lazio contro la mediaconciliazione
obbligatoria
Nel
quadro normativo e di considerazioni testé delineato si
inserisce l’azione contenziosa proposta dall’OUA, da
plurimi Consigli dell’Ordine, da molte delle
associazioni forensi e da altrettanto numerosi avvocati
in proprio rivolta nei confronti del D.M. 18 ottobre
2010 n°180 avente ad oggetto la richiesta di
annullamento del "regolamento recante la determinazione
dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del
registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei
formatori per la mediazione, l’approvazione delle
indennità spettanti agli organismi ai sensi dell’art. 16
del D.Lgs. n°28/2010, nonché la dichiarazione di non
manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale degli artt 5 e 16 del medesimo D.Lgs
n°28/2010 in riferimento agli artt. 24 e 77 della Carta
e per l’effetto la sospensione del processo ed il rinvio
alla Corte Costituzionale".
I
ricorsi proposti[5] sono stati riuniti dal Collegio
giudicante[6] che ha ravvisato, fra gli stessi, evidente
connessione oggettiva e parziale connessione soggettiva
in ragione dell’identità del provvedimento impugnato e
delle resistenti amministrazioni della Giustizia e dello
Sviluppo economico.
Le
censure ricorsuali mosse aggrediscono in primo luogo la
genericità operata nella individuazione della figura del
mediaconciliatore e delle strutture di conciliazione;
situazione questa che determina un evidente, aperto
conflitto con il disposto dell’art. 60 della L.
n°69/2009 che ha espressamente previsto che, in ragione
della vasta gamma delle materie oggetto di
conciliazione, la figura del mediaconciliatore avrebbe
dovuto essere espressione forte e significativa del
valore rappresentato dalla peculiare ed indiscutibile
preparazione tecnico-professionale.
Al
contrario, invece, l’art. 16 del regolamento, in palese
disattenzione della norma primaria citata (art. 60 della
L. n°69/2009) riqualifica in peius i connotati peculiari
del mediatore e degli organismi di conciliazione e con
un atteggiamento poco commendevole fa regredire il
connotato giuridico della qualificazione
tecnico-professionale in favore dell’incidenza
patrimoniale (serietà ed efficienza) che diventa così il
criterio privilegiato, però altro e diverso rispetto a
quello previsto dalla legge delega, per la selezione
degli organismi medesimi a cui si aggiungono i forti
oneri economici posti a carico dei cittadini, quando,
invece, tale fase stragiudiziale avrebbe dovuto essere
connotata dalla assoluta gratuità.
Va da
se, come facile intuizione, che detti caratteri di
incidenza patrimoniale inibiscono l’accesso degli
esercenti la professione legale al registro degli
organismi di mediazione.
Il
tutto in palese eccesso di delega considerato che nel
testo del regolamento non risulta traccia del ben che
minimo criterio atto ad individuare e selezionare gli
organismi di che trattasi in conformità a quanto, invece
postulato dall’art. 60 della L. n°69/2009 e dall’art. 4
della Direttiva 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del
Consiglio d’Europa del 21.5.2008. E si che la Sezione
consultiva per gli atti normativi del Consiglio di
Stato, nei pareri resi sullo schema di regolamento,
aveva avvertito ed evidenziato un’assolutamente scarsa
chiarezza nella individuazione delle strutture di
mediazione.
Nell’intera disciplina regolamentare impugnata i
ricorrenti ravvisano, altresì, i caratteri della
irrazionalità e della illogicità non avendo
obiettivamente detta normativa individuato alcun
concreto parametro di valutazione della competenza degli
organismi di mediazione; competenza che in coerenza al
quadro delineato dalla legislazione comunitaria e
nazionale avrebbe dovuto portare ad individuare, quali
mediatori, gli esercenti la professione legale muniti di
significativa anzianità di iscrizione nei rispettivi
albi e di una particolare e comprovata specializzazione
nelle materie oggetto dell’attività di mediazione.
L’attuale normativa regolamentare, invece, abbassa a
livelli veramente miserrimi la qualità del
mediaconciliatore allorquando prevede in capo allo
stesso soltanto il possesso di un qualunque titolo di
studio, di una laurea triennale anche in discipline non
giuridiche o una iscrizione a qualsivoglia albo o
collegio professionale e, ciliegina sulla torta, il
conseguimento del titolo di mediatore attraverso corsi
di formazione di certo non esaltante qualità.
Il
secondo gruppo di censure è teso ad ottenere la
dichiarazione di illegittimità costituzionale degli
artt. 5 e 16 del D.Lgs. n°28/2010 in riferimento agli
att. 24 e 77 della Carta.
A tal
proposito i ricorrenti sostengono che l’art. 5 del
regolamento – peraltro in aperto conflitto con la
prescrizione della legge delega –, allorquando prevede
che il procedimento di mediaconciliazione, in
alternativa al processo o in funzione stragiudiziale,
configura una iniqua condizione di procedibilità della
domanda giustiziale, sicché non appare revocabile in
dubbio che ogni sua fase, proprio per la delicatezza che
la connota, presupponga la competenza, la perizia e,
quindi, la necessaria presenza dell’avvocato.
Tale
considerazione, impropriamente glissata dal regolamento,
viene altresì rafforzata dall’obiettiva evidenza degli
effetti previsti dal legislatore in caso di mancata
conclusione della conciliazione.
Siffatta ingiustificata obbligatoria condizione di
procedibilità, peraltro, proprio per escludere ogni
altro procedimento, alternativo e facoltativo, di
mediazione, porta al risultato di precludere, nel senso
di limitare in maniera categorica, l’immediato accesso
dei cittadini alla tutela processuale e rischia di
compromettere l’effettività della stessa tutela
giustiziale.
A
questo aggiungasi che l’art. 16 dello stesso D.Lgs.
determina lo snaturamento della previsione dell’art. 60
della L. n°69/2009 che prevede che la mediazione venga
svolta da organismi professionali ed indipendenti,
stabilmente destinati all’erogazione del servizio di
conciliazione allorquando esclude dai criteri di
selezione degli organismi di mediazione qualsivoglia
parametro di “professionalità ed indipendenza”.
L’effetto di entrambe le previsioni– con assoluta
incoerenza rispetto all’intero impianto legislativo – è
quello di determinare una violazione della delega e lo
snaturamento della funzione che il legislatore delegante
aveva assegnato al procedimento ed agli organismi della
mediazione i cui connotati peculiari avrebbero dovuto
essere proprio l’indipendenza e la professionalità.
Da
tale effetto deriva, in termini di assoluta
indiscutibilità, la violazione operata dagli artt. 5 e
16 del D.Lgs n°28/2010 dei principi costituzionali in
materia di legislazione delegata (art. 77 Cost.) e la
altrettanto palese violazione del diritto di difesa di
cui all’art. 24 della Carta.
L’ultimo complesso di censure afferisce alle previsioni
relative alla disciplina transitoria che nelle
intenzioni del legislatore del D.Lgs n°28/2010,
avrebbero dovuto avere efficacia sino alla entrata in
vigore del regolamento n°180/2010, ma che, invece, in
assolutamente palese contrasto con le previsioni
normative dell’art. 16 del D.Lgs n°28/2010, non soltanto
detto regolamento con l’art. 4, 4° comma, introduce un
nuovo regime transitorio ma addirittura arbitrariamente
utilizza tale nuova normazione transitoria per
assicurare la sopravvivenza di organismi per i quali il
legislatore aveva già previsto la decadenza, i quali,
pertanto a semplice domanda vengono iscritti all’esito
“della verifica della sussistenza del solo requisito di
cui al 2° comma lett. B), per l’organismo, e dei
requisiti di cui al 3° comma per i mediatori”.
Conseguenza di un simile operare è che, ai fini
dell’iscrizione nei registri, gli organismi costituiti
dai Consigli dell’ordine degli avvocati, con proprio
personale e nei locali messi a loro disposizione dal
Presidente di ciascun Tribunale, devono dimostrare di
essere in possesso – e ciò costituisce ostacolo di non
poco conto - di una polizza assicurativa non inferiore
ad € 500.000,00.
E non
si venga a dire che tale novità è stata introdotta per
permettere l’immediata operatività dei procedimenti di
mediazione atteso che sarebbe stato sufficiente, a tale
scopo, che i ministri della Giustizia e dello Sviluppo
economico, giusta il disposto dell’art.60, 3° comma
lettere e) ed f) della L. n°69/2009, avessero disposto
l’iscrizione di diritto degli organismi istituiti dai
Consigli dell’Ordine presso i Tribunali.
4.
L’intervento del Giudice Amministrativo
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione
I^, investito del problema e delle relative censure di
diritto, con ordinanza n°3202 depositata il 12.4.2011,
ha dichiarato rilevanti e non manifestamente infondate
alcune delle questioni di legittimità costituzionale
sollevate con entrambi i ricorsi proposti contro il
D.Lgs n°28/2010 ed il regolamento di attuazione (D.M.
n°180/2010) nella parte in cui intervengono a
disciplinare l’obbligatorietà della mediazione e, di
conseguenza, rimesso gli atti al Giudice della Leggi.
In
particolare l’organo giustiziale adito ha:
-
disposto la riunione dei ricorsi n°10937/10 R.G. e n°
1235/10 R.G. per connessione oggettiva e parziale
connessione soggettiva;
-
dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, in
relazione agli artt. 24 e 77 della Carta, la questione
di legittimità costituzionale dell’ art. 5, comma 1°,
del D.Lgs n°28/2010 che nel primo periodo introduce a
carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione
relativa alle controversie nelle materie espressamente
elencate l’obbligo del previo esperimento del
procedimento di mediazione, nonché nel secondo periodo
l’affermazione che l’esperimento della mediazione è
condizione di procedibilità della domanda, ed infine nel
terzo periodo che l’improcedibilità deve essere eccepita
dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice;
-
dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, in
relazione agli artt. 24 e 77 della Carta, la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 16, 1° comma,
del D.Lgs n°28/2010 laddove lo stesso dispone che
abilitati a costituire, su istanza della parte
interessata, organismi deputati a gestire il
procedimento di mediazione sono gli enti pubblici e
privati, che diano (soltanto) garanzie di serietà e di
efficienza;
-
disposto la sospensione del giudizio ed ordinato
l’immediata trasmissione degli atti alla Corte
Costituzionale.
5. Le
considerazioni sulle ragioni di remissione
Il
ragionamento del Giudice Amministrativo appare assistito
da indiscutibili e non contestabili sopportazioni
logiche e giuridiche e, pertanto, del tutto
condivisibile.
Invero, sostiene il Tribunale come non appaia revocabile
in dubbio che la proposta istanza di annullamento delle
norme del D.M. n°180/2010 vada necessariamente correlata
con l’accertamento della correttezza della scelta
operata dal legislatore paradigmando i criteri espressi
dal legislatore delegato, con quelli propri della legge
delega, con i precetti costituzionali e con le
disposizioni comunitarie, sicché dall’analisi effettuata
ha rilevato le seguenti emergenze nell’operato del
legislatore che:
-
all’art. 16 ha conformato gli organismi di conciliazione
a parametri e qualità che attengono "esclusivamente ed
essenzialmente all’aspetto della funzionalità generica
che, per contro sono scevri da qualsiasi riferimento a
canoni tipologici tecnici o professionali di carattere
qualificatorio ovvero strutturale";
- le
materie contemplate dall’art. 5, hanno delineato
l’attività di mediazione come ineludibile fase
prodromica al processo con l’ulteriore e significativo
effetto di assegnare ad essa fase il potere di
conformare in maniera definitiva i diritti soggettivi in
essa trattati ovvero persino di incidere sugli stessi
anche "laddove ne residui la giustiziabilità in sede di
Tribunale".
Il
risultato di tale azione legislativa, sostiene il G.A.,
giunge sino al punto di "deistituzionalizzare e
detecnicizzare la giustizia civile e commerciale e di
enfatizzare un procedimento paravolontario" di
controversie peraltro, per improvvida scelta, neppure
omogenee.
Addirittura l’atto che conclude la mediazione attraverso
la sua omologazione acquista efficacia di titolo
esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione
in forma specifica e per l’iscrizione dell’ipoteca
giudiziale[7].
In
pratica viene parificato agli atti propri e tipici delle
statuizioni giustiziali con la conseguenza che il
diritto positivo è ravvisabile "solo sullo sfondo come
cornice esterna ovvero come limite generale alla
convenibilità delle posizioni giuridiche coinvolte nella
mediazione".
Manca
peraltro nel disegno delineato dal legislatore delegato
- e ciò non è momento di poco conto al fine di
individuare e qualificare la violazione del diritto di
difesa costituzionalemente garantito (art. 24 della
Carte) – l’insopprimibile necessità di correlare
l’ermeneusi dell’art.16 del D.Lgs n°28/2010 (peraltro
prodeutica all’esame dell’impugnato art. 4 del
regolamento) alla previsione del punto 9 dell’art. 5 del
prefato D.Lgs n°28/2010.
Orbene poiché, in termini di tutta evidenza, la prefata
condizione non è presente nella legge delega e neppure
emerge dal quadro rappresentato dalla direttiva
comunitaria n°2008/52/CE del 21.5.2008, appare ictu
oculi immanente la perpetrata violazione dell’art. 77
della Costituzione.
Infatti ad avviso del giudice remittente "non si
rinviene alcun elemento che consenta di ritenere che la
regolazione della materia andasse effettuata nei termini
prescelti dall’art. 5 del D.Lgs n°28/2010", viepiù che
la scelta del legislatore (art. 60 L. n°69/2009) "di
ampliare le controversie interne in ambito civile e
commerciale, in alcuno dei criteri e principi direttivi
previsti da esso art. 60, assume l’intento deflattivo
del contenzioso giurisdizionale o configura l’istituto
della mediazione quale fase preprocessuale
obbligatoria".
Non
può quindi razionalmente essere considerato come
rientrante nell’area propria della legislazione delegata
il potere di attribuire alla mediazione il connotato
obbligatorio ad essa conferito né con riferimento alla
disciplina comunitaria né con riferimento al processo
civile.
Ma
v’è di più! Quand’anche fosse ipotizzabile considerare
come realizzato un integrale recepimento della direttiva
2008/52/CE da parte dell’art. 60 della L. n°69/2009, non
appare revocabile in dubbio come non possa neppure
lontanamente supporsi che il silenzio del legislatore
delegante vada ad assumere - viepiù alla luce della
doverosa ermeneusi paradigmaticamente correlata agli
artt. 24 e 77 della Carta – il significato di una
"meccanica introduzione nell’ordinamento statale delle
opzioni comunitarie che rispetto al diritto di difesa
garantito dai succitati articoli della Costituzione",
ovvero in alcun modo giustificare l’obbligatorietà del
ricorso alla mediazione e l’improcedibilità rilevabile
anche d’ufficio dello inadempimento di tale preventivo
obbligo come, invece, ha, inopinatamente fatto l’art. 5
del decreto delegato.
Non
è, poi, inutile riferire che la delineata non
rispondenza alle norme della Carta la si rileva da
ulteriori due altri principi e criteri direttivi.
Il
primo postulato dall’art. 60, lett. C) che prevede che
"la mediazione sia disciplinata anche attraverso
l’estensione delle disposizioni di cui al D.Lgs n°5 del
17.1.2003".
Il
secondo dall’obiettiva evidenza che il D.Lgs n°5/2003 fa
riferimento, per ciò che attiene alla conciliazione
stragiudiziale (artt. da 38 a 40 del titolo IV peraltro
ormai abrogati dall’art. 23 del D.Lgs n°28/2010),
esclusivamente ai procedimenti di diritto societario, di
intermediazione finanzaziaria e della materia bancaria e
creditizia "in attuazione dell’art. 12 della L.
3.10.2001 n°366)".
Procedimenti questi ultimi espressione di indubbia fonte
volontaria privata (contratto o statuto sociale) in cui
l’aspetto conciliativo è rimesso alla facoltà della
parte che ha interesse ad attivarlo e non già alla
"forza cogente della legge" con l’ulteriore
considerazione che il mancato esperimento della
conciliazione non determina l’estinzione del
procedimento giustiziale eventualmente prodotto, ma
soltanto l’effetto di sospendere il processo in atto per
il periodo necessario ad esperire la conciliazione. Di
guisa che l’esistenza nel D.Lgs n°5/2003, del modello di
conciliazione delle controversie, alternativo alla
giurisdizione non pospone de iure – come avviene nella
mediaconciliazione in esame - il diritto della difesa in
giudizio, né lo rende inutiliter esercitato come invece
impropriamente ed in maniera contraddittoria fa l’art.
5, 1° comma del D.Lgs n°28/2010 che subordina il diritto
di difesa in giudizio all’esperimento imposto appunto
della mediazione.
E che
tutto ciò non trova riscontro alcuno nella legge delega
resta viepiù dimostrato dall’art. 60, lettera n) della
L. n°69/2009 che prevede "il dovere dell’avvocato di
informare il cliente, prima dell’instaurazione del
giudizio, della possibilità e non dell’obbligo di
avvalersi dell’istituto della conciliazione".
Ne
discende che sotto qualunque angolazione si voglia
riguardare il problema non appare revocabile in dubbio
che non sussiste correlazione alcuna tra l’art. 5, 1°
comma del D.Lgs n°28/2010 con il più volte richiamato
art. 60 della legge delega.
Alla
luce delle ragioni espresse ritengo del tutto
condivisibili le valutazioni di rilevanza e non
manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale, espresse dal G.A., con riferimento
all’art. 5, 1° comma del D.Lgs n°28/2010 che ha
introdotto a carico di chi intende esercitare in
giudizio "un’azione relativa alle controversie nelle
materie espressamente elencate, l’obbligo del previo
esperimento del procedimento di mediazione", nonché la
considerazione "che l’esperimento della mediazione
stessa è condizione di procedibilità della domanda
giudiziale ed infine che l’improcedibilità deve essere
eccepita dal convenuto o rilevata d’ufficio dal
giudice".
Appare altresì lapalissiana la rilevazione del vizio di
legittimità costituzionale anche con riferimento
all’art. 16, 1° comma, del prefato D.Lgs n°28/2010,
"laddove il medesimo dispone che, abilitati a
costituire, su istanza della parte interessata,
organismi deputati a gestire il procedimento di
mediazione siano gli enti pubblici e privati, che diano
garanzie di serietà e di efficienza".
Infatti con riferimento all’art. 24 della Carta non
appare conforme al modello costituzionale istituire una
situazione di pregiudizialità "sull’azionabilità in
giudizio di diritti soggettivi e sulla successiva
funzione giurisdizionale statuale su cui lo svolgimento
della mediazione variamente influisce", atteso che le
disposizioni normative in esame non garantiscono, a
causa di un’evidente ed assolutamente inadeguata
definizione della figura del mediatore, "che i privati
non subiscano irreversibili pregiudizi discendenti dalla
non coincidenza degli elementi loro offerti in
valutazione al fine di assentire o rifiutare l’accordo
conciliativo rispetto a quelli suscettibili, di essere
evocati", nella fase successiva del giudizio.
Risulta altresì stridente, per contrasto con l’art. 77
della Costituzione, la pretesa normativa di
obbligatorietà, rispetto alla fase giudiziale, del
preventivo esperimento del procedimento di mediazione
non risultando ammissibile che la legislazione delegata
possa, nel silenzio della legge delegante, espandersi
sino al punto da travolgere i limiti dettati dalla
normativa di delega.
6. Il
ricorso per motivi aggiunti contro la Circolare del 4
aprile 2011 del Ministero della Giustizia su regolamento
di procedura e requisiti dei mediatori
L’azione ricorsuale avviata viene estesa, dai soggetti
dianzi ricordati, con coerenza logica anche nei
confronti della Circolare su ricordata che, con motivi
aggiunti, è stata anch’essa impugnata, sempre in sede
giustiziale amministrativa, sul presupposto, più che
evidente, che le previsioni in essa contenute hanno un
indiscutibile valore precettivo ed incidono con sicura
attendibilità tanto sulla procedura di mediazione che
sui requisiti dei mediatori, in ragione del fatto che
dalla disciplina illustrata, che reitera pervicacemente,
anzi, se possibile, esaspera all’ennesima potenza, tutti
i vizi denunciati con il primo gravame e le perplessità
di legittimità costituzionale rilevate come non
manifestamente infondate dal T.A.R. del Lazio.
Infatti essa – il cui connotato peculiare è l’atipicità
del suo precettivo ed estensivo contenuto ermeneutico
dell’art. 5 del regolamento - non consente, al pari
degli atti normativi che l’hanno preceduta, di rilevare
alcuna specifica ed idonea competenza in capo ai
mediatori né alcun criterio qualitativamente
apprezzabile in ordine alla formazione degli stessi con
riferimento al compito, certamente non secondario, che
il legislatore ha inteso demandare agli stessi, e perché
nel reiterare l’assurda condizione della mediazione come
condizione di procedibilità della domanda giudiziale
introduce una ermeneusi ancora più dilatata dell’art. 5
del D.Lgs n°28/2010 – peraltro già censurato
dall’organismo giustiziale remittente - allorquando
prevede, che per considerare esperita la condizione di
procedibilità il verbale di esito negativo della
mediazione debba essere redatto dal mediatore e non
dalla segreteria dell’organismo di mediazione.
L’esame della circolare in questione rafforza viepiù il
fondamento di quanto rilevato dal G.A. remittente e cioè
che manchi nella maniera e nella misura più assoluta la
previsione e la individuazione, da parte del legislatore
– come, peraltro, evidenziato anche in sede di secondo
gravame – di requisiti idonei a delineare una figura di
mediatore in possesso di adeguata e peculiare formazione
giuridica e della necessaria esperienza processuale,
indispensabili per l’esercizio della funzione mediativa
viepiù che se la mediazione va ravvisata, come sostiene
il legislatore, quale condizione di procedibilità della
domanda non par dubbio che la stessa vada intesa come
funzione stragiudiziale alternativa al sistema
giudiziale. Di guisa che la gestione del relativo
procedimento, sia che si giunga alla soluzione
dell’insorgenda controversia, sia che essa si ponga come
fase prodromica all’instaurazione in sede giustiziale
della controversia stessa, non è dubbio richieda la
competenza tecnico-giuridica e l’esperienza
professionale dell’avvocato in conformità con l’unico
parametro di limitazione disposto tassativamente
dall’art. 60 della L. n°69/2009, ossia la
professionalità e l’indipendenza: parametri
individuabili esclusivamente con criteri
tecnico-scientifici e non con quelli affetti da
insanabile pressappochismo espressi dal D.Lgs n°28/2010
e dalla Circolare del 4 aprile 2011 esaminati.
7.
Sulla possibilità di bypassare la mediazionconciliazione
obbligatoria delineata da questo non lineare
legislatore.
La
risposta alla domanda ritengo possa essere positiva ove
si raffronti comparativamente il complesso della
normativa interna introdotta dal D.Lgs n°28/2010 e dal
D.M. n°180/2010 con la normativa europea in rapporto
alla quale si evidenziano non pochi punti di conflitto
con l’art 47 della Carta dei diritti fondamentali
dell’UE, viepiù tenuto conto dell’obiettiva circostanza
che l’ambito di influenza, postulato dalla normativa
comunitaria, giusta l’art. 52, 3° comma, della medesima
Carta, coincide con il contenuto dell’art. 6 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La
normativa e la giurisprudenza europea, infatti,
esaltano[8] come dato paradigmatico fondante
l’effettività del diritto all’azione giustiziale come
condizione concreta ed essenziale, inserita nel
Preambolo di detta Convenzione europea, per la
connotazione del primato dello Stato di diritto; primato
che, al contrario, la normativa sulla mediaconciliazione
obbligatoria introdotta di recente dal legislatore
interno, tende a conculcare senza una obiettiva ragione,
ponendosi tale limitazione, impropriamente giustificata
dalla finalità - che non può, comunque, assurgere al
rango di interesse collettivo superprimario - di
deflazionare il carico di lavoro dei Tribunali, come un
vero e proprio fuor d’opera.
Non è
inutile ricordare come la stessa CEDU allorquando si è
trovata ad esaminare la obbligatorietà del tentativo di
conciliazione stragiudiziale davanti al Co.re.com.[9],
ha concluso per la sua ammissibilità in considerazione
del fatto che lo stesso non si pone come ostacolo
insormontabile per l’esercizio del diritto di agire in
giudizio, conferito ai singoli dalla direttiva del
Consiglio e del Parlamento europeo 2002/22/CE[10], in
ragione del fatto che il risultato del prefato tentativo
obbligatorio di conciliazione non è in alcun modo
vincolante per le parti che lo eseguono sicché il
medesimo non limita il diritto delle parti medesime alla
domanda giustiziale; che nella fattispecie considerata,
l’esercizio di tale tentativo di conciliazione non
determina ritardi considerevoli alla proposizione del
diritto alla giustizia in caso di mancata conclusione
della procedura di conciliazione allo spirare del
termine[11] indicato dal D.Lgs n°259/2003; che ogni
possibile prescrizione dei diritti è sospesa durante
l’esperimento del procedimento di conciliazione; che non
ci sono costi aggiuntivi per le parti.
Al
contrario, il D.Lgs n°28/2010 viola apertamente il c.d.
diritto al giudice sancito dalla Carta dei diritti
fondamentali dell’UE e dalla Convenzione europera dei
diritti dell’uomo dianzi richiamate allorquando pone la
mediaconcliazione, non già come procedimento
amministrativo prodromico alla proposizione della
vertenza davanti al giudice, bensì quale iter
obbligatorio afferente controversie in essere che
precede la fase giustiziale nei confronti della quale
una delle parti[12] si è determinata a far ricorso.
Addirittura l’esperimento con successo del procedimento
di mediaconciliazione consente di conseguire, attraverso
il relativo verbale che costituisce titolo
esecutivo[13], effetti del tutto omologhi alle sentenze
della giurisdizione.
Questo fatto si connota come emblematico di un dato
incontrovertibile e cioè della assoluta equivalenza tra
le due procedure (mediazione obbligatoria e giudiziaria)
con conseguente alternatività tra di esse: l’unica
differenza, e non è cosa di poco conto, e che la prima
occupa una fase antecedente alla seconda e per di più
senza la previsione dell’assistenza della figura
professionale dell’avvocato.
La
mancanza dell’assistenza dell’avvocato rappresenta un
paradosso ed un’anomalia pregnante ove si consideri che
la normativa europea[14] prevede come paradigma
obbligatorio la presenza ed immanenza delle essenziali
garanzie procedurali anche nell’ambito della mediazione
atteso che alle parti contendenti deve essere assicurato
l’esercizio della difesa tecnica che ha il non
secondario compito di consigliare, difendere e
rappresentare.
Va da
se che l’assenza del difensore nel procedimento della
mediaconciliazione in esame non può ritenersi surrogata
dalla previsione dell’omologa del Presidente del
Tribunale[15] atteso che, in termini di tutta evidenza
siffatto passaggio non è e non può porsi come momento
equivalente dell’accesso alla fase giustiziale e
comunque non è conforme al c.d. processo equo postulato
dal più volte citato art. 47 della Carta dei diritti
fondamentali dell’UE, dall’art. 6 della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo ed in ogni caso i confini
del controllo esercitato dal ricordato Presidente del
Tribunale negano recisamente che siffatta decisione
possa assumere i peculiari connotati propri della piena
giurisdizione.
Né si
può sostenere che la mediaconciliazione non libera e
pesantemente processualizzata nel senso in altra parte
di questa nota riferito, avventurosamente introdotta dal
legislatore interno, possa prescindere dalla presenza
del difensore tecnico e che tale presenza possa essere
sostituita dal c.d. mediatore ausiliario[16] ovvero da
esperti, attesa l’inequivoca evidenza che rientrano
nell’ampio ambito della mediaconciliazione materie di
grande complessità disciplinare.
A
questo aggiungasi che tanto nell’ordinamento interno che
in quello comunitario l’assenza di difesa tecnica
rappresenta l’eccezione e non la regola[17]. E siffatta
eccezione viene disposta soltanto per controversie di
modestissimo valore.
Le
materie previste dalla mediaconciliazione di recente
introdotta, invece, sono di non poca entità e
complessità tecnica e di notevole spessore e rilievo
economico, con l’aggravante che mentre il giudice
garantisce la necessaria terzietà, il mediatore è legato
ad un vincolo di indiscussa parasubordinazione con
l’organismo cui appartiene e non si può configurare in
alcun modo come soggetto imparziale rispetto all’esito
della mediaconciliazione quantomeno in relazione
all’entità dell’indennità di propria spettanza che viene
ad accrescersi nelle ipotesi di buon esito della
procedura[18].
Va
altresì ancora rilevato tanto il carattere defatigante
della procedura di mediazione obbligatoria[19] che la
sua dispendiosità, tra l’altro, patentemente esclusa
dalla Corte di Giustizia europea[20] che sancisce la
necessità di insussistenza dei costi della mediazione.
Va
ulteriormente rilevato che l’effetto interruttivo della
prescrizione e della decadenza, al contrario di quanto
previsto dall’art. 410 c.p.c., non è correlato al
deposito dell’istanza, bensì al momento della
comunicazione alle altre parti dell’avvenuto deposito
della domanda con conseguente dilatazione – e ciò è
indiscutibilmente grave considerato l’ambito
spropositato delle materie soggette alla
mediaconciliazione e della correlativa area applicativa
della irrazionalmente introdotta condizione di
procedibilità dell’azione – dei tempi di azione degli
organismi di mediazione.
Il
difetto di assonanza con l’UE in tema di accesso alla
giurisdizione, resta viepiù accentuato dalla
giurisprudenza della CEDU, che ha ritenuto sussistente
la violazione dell’art. 6 della Convenzione proprio nei
casi in cui l’irricevibilità dell’azione dichiarata dal
giudice derivi da vizi dipendenti dal personale
dell’Amministrazione pubblica[21] ovvero nell’ipotesi in
cui il procedimento imposto come obbligatorio non abbia
dato alcun esito per mancata risposta
dell’Amministrazione nei termini normativamente
prefissati[22].
In
buona sostanza, non appare revocabile in dubbio che il
carattere obbligatorio della mediazione introdotta dagli
artt. 5 e ss. del D.Lgs n°28/2010 si appalesa
irragionevole, dispendioso e del tutto in contrasto con
il dovere di assicurare l’esercizio del diritto di
accesso al giudice e per ciò stesso in contrasto con gli
artt. 24 della Costituzione, con l’art. 6 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 47
della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
In
ragione di siffatto contrasto e delle intervenute
sentenze della Grande Sezione della CEDU del
22.11.2005[23] e più di recente del 19.1.2010[24] - le
quali hanno sancito che la Carta dei diritti
fondamentali dell’UE, a seguito dell’entrata in vigore
del Trattato di Lisbona, ha assolutamente identico
valore dei trattati – è attribuito, a ciascun giudice
nazionale, il potere di sindacare ogni normazione
interna in contrasto con un diritto fondamentale europeo
e, quindi, di disapplicare ogni legge interna che dia
luogo alla violazione dei principi di natura
comunitaria, sia con riferimento ad ipotesi di c.d.
efficacia verticale diretta (rapporti tra cittadino e
Stato) sia in fattispecie di c.d. efficacia orizzontale
diretta (rapporti tra privati); il tutto senza l’obbligo
di sollevare eccezioni di carattere costituzionale o
questioni pregiudiziali davanti alla Corte di giustizia
dell’UE.
In
simili evenienze il giudice nazionale ha l’obbligo,
nell’ambito della sua competenza, di garantire la tutela
giuridica che il diritto comunitario affida ai soggetti
dell’ordinamento nonché il dovere di garantire la piena
efficacia di esso attraverso l’istituto della
disapplicazione della normativa interna in contrasto
senza dover transitare per il filtro dell’accertamento
della loro incostituzionalità sul piano interno[25] .
Alla
luce di quanto evidenziato non è dubbio che l’A.G.O. sia
facultata a disapplicare l’art. 5, 1° comma, del D.Lgs
n°5 del D.Lgs n°28/2010 in quanto palesemente in
contrasto con l’art. 47 della Carta dei diritti
fondamentali dell’UE magari – anche se ciò non appare
necessario – previo rinvio pregiudiziale alla Corte di
Giustizia ex art. 267 del TFUE.
8.
Considerazioni per il raggiungimento dell’obiettivo di
una giustizia civile efficiente.
A
conclusione di questa lunga disamina ritengo doveroso
esporre qualche profilo di analisi sul sistema della
giustizia civile atteso che l’aspetto della risoluzione
delle controversie è il tema giuridico che, forse più di
tutti, agita la società del nostro tempo, e come tale
merita un particolare approfondimento, soprattutto in un
momento in cui la sete di giustizia non risulta
soddisfatta dall’andamento della giurisdizione statuale
sempre più lontana, quanto meno sotto il profilo della
tempestività e dell’adeguatezza, dalla esigenza di una
concreta ed efficiente risposta che il cittadino, che ad
essa si rivolge, si attende[26].
Ed è
perciò che di fronte allo stremo del sistema della
giurisdizione istituzionale, ormai ridotto ad un
simulacro, sotto il profilo dell’efficienza e
dell’efficacia nei confronti delle situazioni fatte
valere, il ricorso a riti e strumenti alternativi
rappresenta un percorso del tutto necessitato se si
vuole tentare di colmare il non indifferente iato ormai
esistente tra i dichiarati intendimenti di assicurare
giustizia da parte dell’apparato istituzionale e le
effettive prospettive di risultato.
Di
fronte al macilento funzionamento dei Tribunali, dunque,
si rende necessario rivolgere altrove lo sguardo e
valorizzare istituti - a mio avviso più l’arbitrato, che
si ribadisce non necessita, per il suo espletamento,
dell’esperimento del preventivo filtro dell’attuale
mediaconciliazione obbligatoria - che la mediazione o
gli altri strumenti di giustizia contrattuale che
nell’ambito dello ordinamento consentono una maggiore
velocità e qualità di risultato.
Gli
strumenti della giustizia contrattuale, sono istituti di
orgini antichissime, addirittura venuti in essere in
tempo anteatto alla stessa istituzionalizzazione della
giurisdizione statuale, e che in effetti, consentono,
attraverso la valorizzazione dell’elemento
volontaristico, di accedere ad una forma di
giurisdizione caratterizzata dal principio di libertà
della scelta fisiologicamente orientata verso una
modalità di risoluzione delle controversie, sicuramente
più rapida ed aderente alle esigenze della odierna
società.
Va,
comunque, evidenziato come vertendosi di giustizia, cioè
di un valore che da sempre si intreccia con la vita
dell’uomo, il ricorso ad una forma di risoluzione di
controversie di tipo privatistico deve ragionevolmente
poter poggiare su rassicuranti fondamenta governate
dall’autorevolezza delle istituzioni che amministrano
tale modello di risoluzione di conflitti, ossia di
istituzioni ed associazioni di giustizia negoziale
munite di consolidate specificità ed affidabilità.
In
buona sostanza il passaggio alla giustizia privata
impone la spendita di una fase preparatoria
caratterizzata da un momento di intensa promozione
culturale che prepari l’evento, e, soprattutto sia in
grado di certificare, con anticipo, l’affidamento circa
la sua qualità.
Soltanto in presenza di tali necessarie essenzialità la
scelta di rivolgersi ad un soggetto (preferibilmente
arbitro) professionalizzato e motivato e che giudica con
celerità, risulterà vincente di fronte ad una
giurisdizione statuale ormai al collasso e messa alle
corde dai processi evolutivi di una società che si
allontana sempre più dalla logica stagnante di un
processo giustiziale che, per la sua congenita lentezza,
non è quasi mai in condizioni di fornire risposte
tempestive ed efficienti alle situazioni fatte valere ed
alle esigenze di giustizia del cittadino. E’ ormai
principio acquisito al comune sentire, la considerazione
secondo la quale rendere tardivamente giustizia equivale
a denegare giustizia.
La
scelta di adire all’arbitrato, alla mediazione o ad
altro metodo negoziale è dunque, oggi una opzione da
privilegiare per coloro che intendono giungere più
celermente al soddisfacimento degli interessi in campo,
senza, peraltro, perdere alcuna garanzia formale, attesa
la tutela che il legislatore ha, in linea generale,
inteso assicurare alla giustizia alternativa a quella
statuale.
L’
istituto arbitrale o anche una mediazione, come ad
esempio quella assistita di tipo transalpino, priva
dell’obbrobrioso connotato dell’obbligatorietà, altra e
diversa da quella improvvidamente delineata dall’attuale
legislatore o ancora altro metodo negoziale, comunque
affidato ai difensori, sono, infatti, previsioni
ordinamentali certamente legittime e correlate alla
libertà contrattuale dei privati, attesa l’evidenza che
nelle legislazioni in cui i privati sono in condizione
di agire liberamente e di determinare, attraverso la
loro volontà il contenuto dei contratti che pongono in
essere, altrettanto liberamente possono devolvere a chi
meglio credono le controversie che possono insorgere tra
di loro.
Il
problema dello smaltimento dell’arretrato civile
correlato peraltro all’esigenza di rendere efficiente il
servizio della giustizia deve passare, in termini di
contestualità, anche attraverso il potenziamento del
numero dei giudici, l’incentivazione ed il controllo
dell’operatività dei magistrati stessi, l’approntamento
di discipline processuali più snelle e funzionali, e
deve altresì assumere forme e modalità concordate fra
tutti gli operatori giuridici, compresi gli avvocati e
non già essere il frutto di interventi surrettizi,
calati dall’alto senza la loro verifica con l’unico vero
elemento di riscontro, cioè la realtà effettuale.
[1] L. n°69/2009; D.Lgs n°28/2010; D.M. n°180/2010
[2]
L. 13.5.1978 n°180 (c.d. legge Basaglia), confluita
quasi integralmente nella legge 23.12.1978 n°833
[3]
Direttive 98/257/CE del 30.3.1998; 2001/310/CE del
4.4.2001; 2008/52/CE del 21.5.2008
[4]
Direttiva 2008/52/CE del 21.5.2008
[5]
N°10937/2010 R.G. e n°11235/2010 R.G.
[6]
T.A.R. Lazio, Sez.
I
[7] Art. 12 D.Lgas n°28/2010
[8]
Decisione Golder / Regno Unito del 21.2.1975
[9] Art. 84 del D.Lgs 1.8.2003 n°259
[10]
7 marzo 2002
[11]
30 giorni a decorrere dalla data di inoltro della
domanda
[12] Cfr. art.4, 3°comma, D.Lgs n°28/2010
[13] Art. 12, 2° comma, D.Lgs n°28/2010
[14]
Art. 47, 2° comma della Carta dei diritti fondamentali
dell’U.E.
[15] Art. 12, 1° comma, D.Lgs n°28/2010
[16]
Art. 8 D.Lgs n°28/2010
[17]
Art. 82 c.p.c. (sino a € 516,46) e Regolamento CE
11.7.2007 n°861 (sino a € 2.000,00)
[18] Art. 17, 4° comma D.Lgs n°28/2010
[19]
Quattro mesi per la sua conclusione contro il termine
ritenuto accettabile (30 gg.) dalla sentenza della Corte
di Giustizia
[20] Sent. R.A. del 18.3.2010, C-317, 318, 319, 320/08
[21] Sent.
Platakou / Grecia dell’11.1.2001; sent. Boulougouras /
Grecia del 27.5.2004
[22]
Sent. Faimblat / Romania del 13.1.2009; Maria Atansiu c/
Romania 123.10.2010
[23]
Procedimento C-144/2004, Mangold
[24]
Procedimento C-555/07, Kucukdeveci /Sweedex GmbH &Co. KG
[25]
TAR Lazio, Sez. II, sent. n°11984 del 18.5.2010
[26]
L.M. Delfino, Nel rapporto tra arbitrato e giurisdizione
ancora nessuna novità all’orizzonte! in
www.filodiritto.com
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