(Corte europea dei
diritti dell'Uomo - Sentenza 2 novembre 2010 - Ricorso
n. 36168/09
- Dr.ssa
Mariagabriella Corbi)
L’inosservanza delle
ordinanze, emanate dai Tribunali, inerenti il diritto
di visita ai figli in favore del genitore non
affidatario, creano ancora problemi all’Italia.
Infatti, con sentenza n. 36168/09 del 2 nov. 2010, la
Corte europea dei diritti dell'Uomo ha riconosciuto equo
il risarcimento di euro 15.000,00– da parte del
Governo italiano – del danno morale subito da un
genitore per le infinite difficoltà incontrate
nell’esercizio di un suo diritto: visite quindicinali al
figlio. L’uomo, sin dal divorzio, aveva riscontrato
notevoli difficoltà ad incontrare ogni 2 settimane il
proprio figlio collocato presso la madre affidataria.
Egli ripetutamente è ricorso al Tribunale dei Minori di
Venezia (dal 19 giugno 2002 al 1° aprile 2009- ultima
sentenza del Tribunale dei minori di Venezia) che aveva
individuato nei Servizi Sociali di Noventa Padovana la
soluzione del problema sia per la fragilità emotiva del
bambino e , in presenza di difficili rapporti tra gli
ex, sia per consentire l’incontro padre-figlio. Fallito
il tentativo dei Servizi Sociali l’uomo, dopo aver
richiesto ancora l’intervento del Tribunale dei minori,
si è rivolto alla Corte di Strasburgo ottenendo ragione
su quanto omologato dal Tribunale di Napoli nel 1993 per
l’esercizio del diritto di visita al figlio. I Giudici
della Suprema Corte Europea- richiamandosi all’art. 8
della Convenzione - hanno individuato: carenze da parte
delle Autorità italiane all’adozione di misure atte a
consentire l’esercizio del diritto di visita del padre
al figlio; riconfermato tale diritto con cadenza
quindicinale; intimato allo Stato Italiano il
risarcimento per danni morali euro 15.000,00 e spese
legali procedurali euro 5.000,00, da versarsi entro 3
mesi dal deposito della sentenza.
Mariagabriella Corbi
Corte europea per
i diritti dell'uomo - Strasburgo
Seconda sezione
CAUSA P. C. ITALIA
(Ricorso n. 36168/09)
2 novembre 2010
La presente
sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite
all’art. 44 2 della Convenzione. Può subire modifiche
redazionali
Nella causa P. c.
Italia,
La Corte Europea
dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita nella
sezione composta da:
Françoise Tulkens,
presidente
Ireneu Cabral
Barreto,
Danut Joien,
Dragoljub Popovi,
András Sajó,
Iil Karaka,
Guido Raimondi,
giudici,
e di Stanley
Naismith, cancelliere di sezione
Dopo aver
deliberato in camera di consiglio il 12 ottobre 2010,
Emette la sentenza, adottata in quest’ultima data
PROCEDIMENTO
1. All’origine della
causa si trova un ricorso (n. 36168/09) contro la
Repubblica Italiana con cui un cittadino di tale Stato,
M. Alessandro P. («il ricorrente»), ha adito la Corte in
data 1. luglio 2009 in virtù dell’articolo 34 della
Convenzione della salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. Egli è
rappresentato dinanzi la Corte dall’avvocato A. Forza
del foro di Venezia. Il Governo italiano («il Governo»)
è stato rappresentato dal funzionario, E. Spatafora, e
dal co-funzionario, M.N. Lettieri.
3. Il ricorrente
sosteneva in particolare la violazione del diritto al
rispetto della sua vita familiare, garantito dall’art. 8
della Convenzione.
4. Il 22 ottobre
2009, la presidente della seconda sezione ha deciso di
comunicare il ricorso al Governo. Secondo quanto
consentito dall’art. 29 3 della Convenzione, è stato
deciso inoltre che la camera si pronunci sulla
ricevibilità e sul merito.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL
CASO DI SPECIE
5. Il ricorrente è
nato nel 1960 e risiede a Rimini.
6. Nel 1989, il
ricorrente sposò C. La coppia ebbe un figlio, L., nato
il 13 novembre 1991.
7. Il matrimonio fu
rapidamente segnato da tensioni ed incomprensioni,
sicché i coniugi presentarono dinnanzi al presidente del
tribunale di Napoli una domanda di separazione
consensuale. La custodia del bambino fu attribuita a
C. con il diritto di
visita per il ricorrente.
8. Nel 1999, dopo il
divorzio, C. sposò un professore universitario e si
trasferì a 250 chilometri di distanza dal ricorrente.
9. Nell’aprile 2001,
L. affermò alla nonna materna e allo psicologo che lo
seguiva che egli aveva subito dei palpeggiamenti
sessuali da parte di suo padre. C. non presentò denuncia
contro il ricorrente ma si rivolse ad un avvocato che
(ingiunse) ordinò al ricorrente di non incontrare più
suo figlio.
10. Il 12 aprile
2002, a causa delle difficoltà incontrate nell’esercizio
del suo diritto di visita, il ricorrente adì il
tribunale per i minorenni di Venezia. Egli sosteneva che
la sua ex moglie aveva influenzato suo figlio.
11. Con un decreto
del 19 giugno 2002, il tribunale di Venezia affidò la
custodia del bambino ai servizi sociali di Noventa
Padovana (Azienda Sanitaria Locale
• ASL) mantenendo il
collocamento del bambino nel domicilio della madre e
ordinò una perizia volta a verificare se uno dei due
genitori avesse tenuto un comportamento pregiudizievole
per il bambino e se, del caso, fosse opportuno che il
bambino mantenesse un contatto con detto genitore.
12. Nel dicembre
2003, lo psicologo depositò la relazione che metteva in
evidenza l’incapacità dei due genitori di esercitare
«tutte le funzioni di un genitore».
Inoltre, i
tentativi della madre di aizzare il bambino contro il
padre potevano condurre, nel caso di specie, ad una
sindrome di alienazione parentale.
Secondo lo
psicologo, era improbabile che L. avesse subito dei
palpeggiamenti sessuali da parte di suo padre. Questi
eventi erano piuttosto il frutto dell’immaginazione del
bambino. Secondo lo psicologo, era opportuno che il
progetto di riavvicinamento tra L. ed il ricorrente
fosse preceduto da una procedura di mediazione per i
genitori.
13. Con un decreto
del 1 dicembre 2003, il tribunale per i minorenni di
Venezia, basandosi sulla perizia, limitò l’autorità
genitoriale di entrambi i genitori sul bambino e,
confermando la decisione del 19 giugno 2002, autorizzò
il ricorrente ad incontrare il suo bambino in presenza
degli assistenti sociali secondo le modalità stabilite
dagli stessi servizi sociali. In particolare, il
tribunale rilevò che la madre aveva avuto un
comportamento consapevolmente volto ad escludere sia il
padre che le autorità competenti. Ella aveva di fatto
interrotto ogni rapporto del bambino con il padre. Il
tribunale decise che era nell’interesse di L.
ripristinare il rapporto con suo padre attraverso una
preparazione ed un sostegno psicologico, con la
partecipazione di uno psicoterapeuta scelto dai due
genitori.
14. Gli incontri
controllati dovevano avere luogo ogni quindici giorni
per un’ora.
15. Il 2 dicembre
2003, il ricorrente contattò i servizi sociali al fine
di poter incontrare suo figlio. In assenza di risposta,
il ricorrente reiterò la domanda l’11 febbraio 2004.
16. L’8 marzo 2004,
l’assistente sociale lo informò che, in assenza di
precise indicazioni del tribunale, non poteva accogliere
la sua istanza.
17. Il 26 giugno
2004, il ricorrente fu invitato a recarsi a Noventa
Padovana per un colloquio con l’assistente sociale. Nel
corso del colloquio, egli fu informato che d’ora in poi
la sig.ra P. avrebbe seguito la pratica.
18. In una data non
precisata, il ricorrente contattò per telefono la sig.
P., che lo informò sui risultati scolastici di L.
19. Durante l’estate
2004, egli non ebbe alcun contatto con suo figlio.
20. Il 25 ottobre
2004, il ricorrente incontrò nuovamente la sig.ra P. ed
i suoi collaboratori. Egli sostiene che questi ultimi
l’avrebbero informato che l’impossibilità di incontrare
suo figlio era dovuta all’intervento del marito della
sua ex moglie, che era un rinomato professore
universitario.
21. Con diverse
lettere datate 5 ottobre, 20 ottobre e 22 dicembre 2005,
il ricorrente sollecitò i servizi sociali affinché
organizzassero un incontro con suo figlio in conformità
alla decisione del tribunale.
22. Il 30 gennaio
2006, egli fu invitato a recarsi dalla sig.ra P. Una
volta arrivato, fu informato che la sig.ra P. era malata
e che la psicologa che seguiva suo figlio non era
disponibile per un incontro.
23. Il 19 aprile
2006, il ricorrente si rivolse ancora una volta al
tribunale per i minorenni di Venezia per domandare
l’attuazione degli incontri con L. Egli
sostenne che non
aveva potuto incontrare suo figlio e domandò al
tribunale la custodia del bambino a causa dell’influenza
negativa della madre.
24. Il 20 settembre
2006, il ricorrente non si presentò al colloquio con i
servizi sociali.
25. Lo stesso giorno,
il servizio di neuropsichiatria dell’ospedale di Padova
depositò la prima relazione sulla situazione del
bambino. I due psicologi avevano redatto la relazione
dopo aver incontrato la madre, il patrigno ed il
ricorrente. Tuttavia, nessun colloquio con il bambino
aveva avuto luogo. La relazione parlava del fatto che il
bambino era seguito da una psicoterapeuta e che per il
momento a causa della fragilità emotiva del bambino, un
riavvicinamento con il padre non era possibile.
Peraltro, era opportuno continuare la psicoterapia.
26. Il 2 ottobre
2006, il ricorrente informò i servizi sociali che non
poteva partecipare al colloquio del 4 ottobre 2006
27. Il 22 novembre
2006, il bambino dichiarò al tribunale di non volere
incontrare il padre e minacciò di suicidarsi se il
tribunale lo avesse obbligato.
28. Con un decreto
del 13 giugno 2008, il tribunale constatò che il
ricorrente non aveva incontrato suo figlio dal 2001 e
che il decreto del 1. dicembre 2003 non era stato
eseguito. Tenuto conto del rifiuto di L. di vedere il
ricorrente, della necessità per il bambino di proseguire
nel suo sostegno psicologico al fine di comprendere e di
incanalare la sua rabbia verso il padre come pure delle
osservazioni dei servizi sociali che avevano
sottolineato che una ripresa dei rapporti con il
ricorrente poteva essere estremamente traumatizzante per
L., il tribunale confermò il decreto dell’1 dicembre
2003. Tuttavia, il tribunale rilevò anche che i servizi
sociali avevano delegato alla madre del bambino la
gestione del sostegno psicologico di L., e ordinò che i
servizi sociali attraverso le loro strutture pubbliche
seguissero il percorso psicologico di L. e
controllassero, al tempo stesso, il comportamento della
madre. Il tribunale ordinò ai servizi
sociali di
continuare il sostegno psicologico per L. come pure la
procedura di mediazione per entrambi i genitori.
29. Il 6 novembre
2008 ed il 21 gennaio 2009, il ricorrente fu convocato
dai servizi sociali. In questa occasione, il ricorrente
domandò a questi ultimi se avevano incontrato il
bambino. La risposta fu negativa. Si basavano sulle
relazioni depositate dalla psicoterapeuta di L.
30. L’11 marzo 2009,
il ricorrente domandò ai servizi sociali di recapitare
una lettera al figlio.
31. In una data non
precisata, il ricorrente propose appello al decreto del
13 giugno 2008. Sosteneva che non incontrava il figlio
da oltre sette anni e domandò che il sostegno di L.
fosse affidato ai servizi sociali di un altro comune.
32. Con decreto del 5
gennaio 2009, la Corte di appello di Venezia constatò
che il decreto del 1. dicembre 2003 non era stato
eseguito e che ciò era dovuto al rifiuto di L. di
incontrare il padre biologico. La Corte di appello
sottolineò che nessun incontro tra il ricorrente e suo
figlio aveva avuto luogo dal 2001 ma che tuttavia,
tenuto conto dell’età (17 anni) di L. e del suo rifiuto
di vedere il padre, non era possibile accogliere la
domanda del ricorrente. Di conseguenza, rigettò il
ricorso e confermò il decreto del 13 giugno 2008.
33. Il 12 marzo 2009,
il ricorrente si rivolse di nuovo al tribunale per i
minorenni di Venezia domandando di dare esecuzione al
decreto del 1. dicembre 2003.
Con una decisione
del 1. aprile 2009, il tribunale rigettò il ricorso del
ricorrente per il motivo che il procedimento era
archiviato e che sarebbe stato necessario presentare un
nuovo ricorso.
IN DIRITTO
I. SULLA PRESUNTA
VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA
CONVENZIONE
34. Il ricorrente
adduce la violazione del suo diritto al rispetto della
sua vita familiare derivante dal fatto che, malgrado
l’esistenza di una decisione del tribunale per i
minorenni che stabiliva le condizioni di esercizio del
suo diritto di visita, non ha potuto esercitare questo
diritto dal 2001. Egli ritiene che i servizi sociali
hanno svolto un ruolo eccessivamente autonomo
nell’attuazione delle decisioni del tribunale per i
minorenni e che questi non ha esercitato il dovere di
vigilanza costante sul lavoro dei servizi sociali
affinché i comportamenti di questi non vanificassero le
decisioni del tribunale.
OMISSIS
B. Valutazioni
della Corte
52. Come la Corte ha
sottolineato a più riprese, se l’articolo 8 ha
essenzialmente per obiettivo di tutelare l’individuo
contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, esso
non si limita ad ordinare allo Stato di astenersi da
tali ingerenze: a questo impegno piuttosto negativo
possono aggiungersi degli obblighi positivi inerenti il
rispetto effettivo della vita privata e familiare. Tali
obblighi possono implicare l’adozione di misure volte al
rispetto della vita familiare anche nei rapporti tra gli
individui, compresa l’istituzione di un arsenale
giuridico adeguato e sufficiente per assicurare i
diritti legittimi degli interessati come pure il
rispetto delle decisioni giudiziarie, o di appropriati
specifici provvedimenti (vedi, mutatis mutandis, Zawadka
c. Polonia, n. 4842/99, 53, 23 giugno 2005).
53. Concentrandosi
sul caso di specie, la Corte constata anzitutto che al
momento della separazione dei coniugi nel 1993, il
ricorrente e la sua ex moglie avevano raggiunto un
accordo sulle modalità del diritto di visita
dell’interessato. Tuttavia, dopo il trasferimento ed il
nuovo matrimonio della ex moglie (C.), quest’ultima ha
molto presto cominciato ad opporsi, ed il ricorrente
depositò nel 2002 un ricorso davanti al tribunale dei
minorenni («tribunale») per domandare il rispetto del
diritto di visita. Sua moglie sostenne che L. aveva
rivelato di aver subito dei palpeggiamenti
sessuali da parte
del padre e della sua famiglia. In queste condizioni, il
tribunale, in data 19 giugno 2002, ordinò una perizia
sul bambino (paragrafo 11 di cui sopra). La relazione
depositata dal perito ha messo in evidenza l’incapacità
di entrambi i genitori di esercitare «tutte le funzioni
di un genitore». Inoltre, i tentativi della madre di
aizzare il bambino contro il padre potevano condurre,
nel caso di specie, ad una sindrome di alienazione
parentale. Secondo lo psicologo, era improbabile che L.
avesse subito dei
palpeggiamenti sessuali da parte del padre.
In queste
circostanze, il tribunale limitò l’autorità parentale di
entrambi i genitori sul bambino ed autorizzò il
ricorrente ad incontrare suo figlio in presenza degli
assistenti sociali secondo le modalità stabilite dagli
stessi servizi sociali. Gli incontri dovevano aver luogo
ogni quindici giorni per un’ora. Le autorità avevano
dunque l’obbligo di adottare delle misure volte a
ricongiungerlo a suo figlio. Non è oggetto di
controversia che le azioni intraprese da queste nel caso
di specie non hanno raggiunto il risultato desiderato e
che il ricorrente non vede suo figlio dal 2001.
54. Eppure, il fatto
che gli sforzi delle autorità sono stati vani non porta
automaticamente alla conclusione che lo Stato è venuto
meno agli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8
della Convenzione (vedi, mutatis mutandis, Mihailova c.
Bulgaria, n.
35978/02, 82, 12 gennaio 2006). In effetti, l’obbligo
per le autorità nazionali di adottare delle misure al
fine di riconciliare il padre ed il figlio che non
vivono insieme non è assoluto, e sia la comprensione che
la cooperazione di tutte le persone interessate
costituiscono sempre un fattore importante. Se le
autorità nazionali devono sforzarsi di facilitare tale
collaborazione, un obbligo per loro di ricorrere alla
coercizione in questa materia non può essere che
limitato: bisogna tener conto degli interessi, dei
diritti e delle libertà delle stesse persone, compresi
gli interessi superiori del bambino e dei diritti che
gli riconosce l’articolo 8 della Convenzione (Voleský c.
Repubblica Ceca, n. 63267/00, 118, 29 giugno 2004).
Come la
giurisprudenza della Corte riconosce in maniera
costante, la più grande prudenza s’impone quando si
tratta di ricorrere alla coercizione in questo delicato
settore (Reigado Ramos c. Portogallo, n. 73229/01, 53,
22 novembre 2005), e l’articolo 8 della Convenzione non
può autorizzare il genitore a far adottare delle misure
pregiudizievoli alla salute ed allo sviluppo del bambino
(Elsholz c. Germania [GC], n. 25735/94, 49-50, CEDH
2000-VIII). Il punto decisivo consiste, dunque,
nel sapere se le
autorità nazionali hanno preso, per facilitare il
riavvicinamento, tutte le misure necessarie che si
potevano ragionevolmente esigere dalle stesse in questo
caso (Nuutinen c. Finlandia, n. 32842/96, 128, CEDH
2000-VIII).
55. Nel caso di
specie, di fronte all’impossibilità di attuare il suo
diritto di visita stabilito dal decreto del 1 dicembre
2003, il ricorrente ha in primo luogo cercato
l’assistenza dei servizi sociali al fine di fare
rispettare detta decisione. Duro è constatare che nessun
seguito è stato dato alle domande. Questa mancanza
sembra ancora più grave se, tenuto conto dell’età del
bambino (undici anni nel 2003) e del contesto familiare
perturbato, il trascorrere del tempo aveva effetti
negativi sulla possibilità per il ricorrente di
riprendere un rapporto con suo figlio.
56. Nel 2006, il
ricorrente domandò al tribunale l’attuazione della
decisione del 1. dicembre 2003. Nel frattempo, e
precisamente tre anni dopo il primo decreto del
tribunale, i servizi sociali depositarono la loro prima
relazione sulla situazione del bambino e della famiglia.
La Corte constata che i due psichiatri che avevano
redatto la relazione non avevano mai incontrato il
bambino, che in compenso era seguito da un
psicoterapeuta scelto dalla madre del bambino. La
soluzione prevista nella relazione era di attendere una
maggiore maturità del bambino, che per il momento
rifiutava di vedere il padre.
57. Con decreto del
13 maggio 2008, il tribunale constatò la non esecuzione
della sua decisione del 1. dicembre 2003 ed il fatto che
i servizi sociali avevano delegato alla madre la
gestione del sostegno psicologico del figlio. Tuttavia,
tenuto conto del rifiuto del bambino di vedere il
ricorrente, il tribunale ordinò che il bambino
proseguisse il sostegno psicologico al fine di
comprendere e di incanalare la sua rabbia verso il
padre. Il Tribunale ordinò ai servizi sociali di
controllare anche il comportamento della madre e di
utilizzare nel percorso di sostegno del bambino le
strutture pubbliche.
58. Va ricordato che
in un caso di questo tipo, l’adeguatezza di una misura
va giudicata in base alla rapidità della sua attuazione
(Maire c. Portogallo, n. 48206/99, 74, CEDH 2003-VII).
In questo caso, il governo convenuto spiega il
comportamento dei
servizi sociali e del tribunale con l’impegno di non
voler traumatizzare ulteriormente il bambino. La Corte
osserva tuttavia che il 19 aprile 2006, il ricorrente
aveva domandato al tribunale l’attuazione della
decisione del 2003.
Ora, il tribunale
constatò la mancata esecuzione del provvedimento
solamente nel 2008. La Corte rileva anche che dal 2003
nessuna relazione era stata depositata dai servizi
sociali sulla situazione psicologica del bambino. Ad
avviso della Corte, tali ritardi non possono essere
giustificati poiché spetta a ciascun Stato organizzare
il proprio sistema giudiziario in modo da assicurare il
rispetto degli obblighi positivi che gli incombono in
virtù dell’articolo 8 della Convezione.
59. Così, invece di
adottare delle misure idonee a permettere l’attuazione
del diritto di visita, il tribunale ha solo preso nota
della situazione del bambino, ed ha ordinato ai servizi
sociali di proseguire il percorso terapeutico del
bambino constatando che questi si sentiva minacciato in
presenza di suo padre e non voleva incontrarlo. La Corte
ricorda, a questo proposito, che non si tratta di
sostituire la propria valutazione a quella delle
autorità nazionali competenti sulle misure che sono
state prese poiché queste autorità sono in linea di
principio in una posizione migliore per procedere a tale
valutazione, in particolare perché tali autorità sono in
contatto diretto con il contesto della causa e le parti
implicate (Reigado Ramos c. Portogallo, già citato,
53). Nel caso di
specie, la Corte non può tuttavia trascurare il parere
dello psicologo menzionato nel decreto del 1. dicembre
2003, secondo il quale i tentativi della madre di
aizzare il bambino contro il padre potevano condurre
alla sindrome di alienazione parentale. Non si può
ignorare inoltre il fatto che, in data 16 maggio 2008,
il tribunale ha rilevato che benché la mancata
attuazione del diritto di visita del ricorrente non fu a
lui imputabile, i servizi sociali avevano delegato alla
madre di seguire il percorso terapeutico del bambino.
Nonostante il fatto che nessuna valutazione psicologica
fu condotta sulla famiglia, la Corte constata che costei
si limitò a verificare lo stato delle cose ed a fare
delle raccomandazioni di carattere generale.
60. La Corte
riconosce che le autorità erano nel caso di specie in
una situazione molto difficile a causa delle tensioni
tra i genitori. Tuttavia, la mancanza di cooperazione
tra i genitori separati non può esonerare le autorità
competenti dal mettere in pratica tutte le risorse
disponibili al fine di consentire il mantenimento del
rapporto familiare
(vedi, mutatis
mutandis, Reigado Ramos, citato, 55). Ora, in questo
caso le autorità nazionali sono rimaste al di sotto
rispetto a quanto si poteva ragionevolmente prevedere da
loro: il tribunale ha delegato la gestione degli
incontri ai servizi sociali, che dal loro canto hanno
delegato alla madre la gestione del percorso terapeutico
del bambino. E poi, sebbene il bambino abbia dichiarato
di non voler vedere il padre, la Corte rileva che
secondo la relazione del perito citata nel decreto del
1. dicembre 2003, era nell’interesse del bambino
rincontrarlo. Le autorità hanno anche fallito nel loro
dovere di adottare le misure pratiche in vista di
sollecitare gli interessati ad una migliore
cooperazione, pur tenendo presente l’interesse superiore
del bambino (vedi Zawadka citata, 67).
61. La Corte osserva
che lo svolgimento della procedura dinanzi al tribunale
fa piuttosto emergere una serie di misure automatiche e
stereotipate, quali le successive domande di
informazioni e la delega del sostegno ai servizi sociali
a cui ordinava di far rispettare il diritto di visita
del ricorrente. Le autorità hanno così lasciato che si
consolidasse una situazione di fatto in violazione delle
decisioni giudiziarie, sebbene il semplice trascorrere
del tempo determinasse delle conseguenze sempre più
gravi per il ricorrente, privato dei contatti con suo
figlio. A questo proposito, non si può trascurare che al
momento della sua audizione in tribunale, il minore si
trovava già da qualche tempo sotto l’influenza esclusiva
della madre, in un ambiente ostile all’interessato e che
oltre 4 anni erano trascorsi senza un solo contatto tra
il ricorrente ed il figlio. Per di più, la Corte osserva
che i due psicologi che avevano redatto la relazione
sulla situazione del bambino lavoravano nella stessa ASL
del patrigno del bambino, professore universitario e
capo del servizio. Non sembra che le autorità abbiano
previsto, tenuto conto delle difficoltà per i genitori
di accordarsi sulla scelta dello psicologo, che questi
dovevano sottoporsi all’obbligo di seguire una terapia
familiare (vedi Pedovi c. Repubblica ceca, n. 27145/03,
34, 18 luglio 2006) o che gli incontri si svolgessero
all’interno di strutture specializzate (vedi, per
esempio, Mezl c. Repubblica ceca, n. 27726/03, 17, 9
gennaio 2007; Zavel c. Repubblica Ceca, n. 14044/05, 24,
18 gennaio 2007).
In queste
circostanze, la Corte stima che di fronte a tale
situazione le autorità avrebbero dovuto prendere delle
misure più dirette e più specifiche, volte al ripristino
del rapporto tra
il ricorrente e suo figlio. In particolare, la
mediazione dei servizi sociali avrebbe dovuto essere
utilizzata per rendere le parti più collaborative e gli
stessi avrebbero dovuto, conformemente al decreto del 1.
dicembre 2003, organizzare gli incontri tra il
ricorrente e suo figlio. Ora, i tribunali nazionali non
hanno preso alcun provvedimento appropriato per creare
pro futuro le condizioni necessarie alla realizzazione
di detto diritto di visita del ricorrente (Macready c.
Repubblica ceca, n. 4824/06 e 15512/08, 66, 22 aprile
2010).
Inoltre, la Corte
osserva che, alla data odierna, L. è diventato
maggiorenne.
62. Tenuto conto di
quanto precede e nonostante il margine di apprezzamento
dello Stato convenuto in materia, la Corte considera che
le autorità nazionali hanno omesso di esercitare gli
sforzi adeguati e sufficienti per far rispettare il
diritto di visita del ricorrente permettendogli, almeno,
di ristabilire il contatto con il suo bambino, e così
hanno ignorato il suo diritto al rispetto della sua vita
familiare garantito dall’articolo 8 della Convenzione.
63. Pertanto, vi è
stata violazione di detta disposizione.
II. SULL’APPLICAZIONE
DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
64. Secondo i termini
dell’articolo 41 della Convenzione, «Se la Corte
dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o
dei suoi protocolli, e se il diritto interno dell’Alta
Parte contraente non permette che in modo incompleto di
riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte
accorda, quando è il caso, un’equa soddisfazione alla
parte lesa.»
A. DANNO
65. Il ricorrente
rivendica il risarcimento di un danno morale per la
lunga separazione dal figlio, e per l’angoscia patita.
Egli domanda 240.000,00 Euro.
66. Il Governo stima
che questa somma sia eccessiva e richiama la
giurisprudenza della Corte nella causa Bove c. Italia,
(n. 30595/02, 61, 30 giugno 2005) e Andlová c.
Repubblica ceca (n. 995/06, 113, 28 febbraio 2008).
67. Tenendo conto
delle circostanze del caso di specie e dell’accertamento
della rottura delle relazioni tra il ricorrente ed il
suo bambino, la Corte considera che l’interessato ha
subito un pregiudizio morale che non può essere
risarcito dalla sola constatazione della violazione
dell’articolo 8 della Convenzione. La somma richiesta a
tale titolo è, tuttavia, esagerata. Avuto riguardo
all’insieme degli elementi in suo possesso e statuendo
secondo equità, come richiede l’art. 41 della
Convenzione, la Corte assegna all’interessato 15.000,00
Euro per questa ragione.
B. Costi e spese
68. Il ricorrente
domanda le somme di Euro 33.724,79 a titolo di rimborso
dei costi sostenuti dinnanzi i tribunali nazionali e di
Euro 27.131,44 a titolo di rimborso dei costi sostenuti
davanti la Corte.
69. Il Governo
osserva che il ricorrente ha sommato due fatture,
riguardanti i costi sostenuti dinanzi i tribunali
nazionali, che non contengono alcuna lista dettagliata
degli atti che le stesse sono destinate a coprire.
Stima, inoltre, che le somme richieste sono eccessive e
si rimette alla saggezza della Corte.
70. Per i costi
sostenuti dinanzi i tribunali interni, la Corte rileva
che, sebbene almeno parte di questi costi è stata
esposta per correggere la violazione dell’artico 8 della
Convenzione, le fatture prodotte non indicano nel
dettaglio la natura delle prestazioni dell’avvocato del
ricorrente.
71. Per ciò che
concerne i costi sostenuti davanti la Corte, la stessa
giudica eccessiva la somma domandata dal ricorrente.
72. In queste
condizioni la Corte, statuendo secondo equità e tenendo
conto delle prassi degli organismi della Convenzione,
stima ragionevole assegnare ai ricorrente la somma di
5.000,00 Euro.
C. Interessi moratori
73. La Corte giudica
appropriato calcolare il tasso degli interessi moratori
sul tasso di interesse della facilità del prestito
marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre
punti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI,
LA CORTE, ALL’UNANIMITA’,
1. Dichiara il
ricorso ricevibile;
2. Accerta la
violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
3. Dispone
a) che lo Stato
convenuto debba versare al ricorrente, nei tre mesi dal
giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva in
conformità all’articolo 44 2 della Convenzione, le
seguenti somme:
ii. 15.000,00 Euro
(quindicimila euro), oltre ogni importo che può essere
dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
iii. 5.000,00 Euro
(cinquemila euro), oltre ogni importo che può essere
dovuto a titolo di imposta dal ricorrente, per costi e
spese;
b) che a partire
dalla scadenza del periodo e sino al detto versamento,
questi importi sono maggiorati dell’interesse semplice
al tasso legale della facilità del prestito marginale
della Banca centrale europea applicato durante questo
periodo, aumentato di tre punti percentuali;
4. Rigetta la domanda
di equa soddisfazione per l’eccedenza.
Fatto in francese,
e poi comunicato per iscritto il 2 novembre 2010, in
applicazione dell’articolo 77 2 e 3 del regolamento.
François Tulkens, Presidente
Stanley Naismith, Cancelliere
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