Quando si pensa alle cause
condominiali il pensiero, per i non addetti ai lavori,
vola subito a vicende caratterizzate da rapporti
interpersonali logorati o a continui battibecchi con i
vicini. Eppure alle volte è necessario anche
approfondire gli aspetti tecnici della vicenda. Si
scoprirebbe che qualora, ad esempio, l’assemblea dovesse
decidere di non proseguire una controversia ogni
condomino, in ragione del suo status di comproprietario
delle parti comuni, potrebbe farlo autonomamente per
tutelare il proprio diritto. E’ questo, in estrema
sintesi, quanto afferma la Corte di Cassazione con la
sentenza n. 10717 resa lo scorso 16 maggio. In
quest’occasione gli ermellini hanno evidenziato chi ed a
che condizioni ha diritto d’impugnare una sentenza di
primo grado sfavorevole al condominio.
Prima d’ogni cosa è bene ricordare
che le cause condominiali sono controversie che hanno ad
oggetto le parti comuni e, salvo il dissenso espresso ai
sensi dell’art. 1132 c.c. (laddove sia possibile
avvalersene), di conseguenza riguardano tutti i
condomini. L’amministratore, quale loro mandatario, li
rappresenta unitamente in giudizio in ragione dei poteri
conferitigli dalla legge (es. nella cause relative
all’impugnazione delle deliberazioni condominiali) o
dall’assemblea (es. nelle cause contro l’assicurazione
per il mancato riconoscimento dell’indennizzo dovuto a
seguito di danni coperti dalla polizza). Ciò, tuttavia,
non priva il singolo del suo potere d’intervenire
personalmente nel giudizio. Cosa, solitamente, rara
visto che rappresenterebbe una duplicazione di costi (il
condomino si troverebbe a pagare l’avvocato della
compagine ed il suo). Più probabile che, invece, il
comproprietario intenda proseguire una causa che la
compagine abbia deciso di non portare avanti. Si pensi
all’appello della sentenza di primo grado sfavorevole al
condominio. Tale scelta, è bene evidenziarlo, è da
considerarsi legittima. In tal senso s’è espressa anche
la Suprema Corte nella sentenza citata in principio. Si
legge nel provvedimento che “ a riguardo, mette conto di
rilevare che, se è vero che la legittimazione ad
appellare deve essere riconosciuta soltanto ai soggetti
che siano stati parti nel giudizio di primo grado e che
siano rimasti soccombenti, deve tenersi però presente,
in senso contrario, che, configurandosi il condominio
come un ente di gestione sfornito di personalità
giuridica distinta da quella dei singoli condomini,
l'esistenza dell'amministratore non priva i singoli
condomini della facoltà di agire a difesa dei diritti
esclusivi e comuni inerenti all'edificio condominiale
(cfr. tra le tante Cass. 9206/05, 5084/93).
Ed invero, i condomini, che devono
essere considerati non terzi ma parti originarie,
possono intervenire nel giudizio in cui la difesa dei
diritti sulle parti comuni sia stata già assunta
dall'amministratore; inoltre, possono ricorrere
all'autorità giudiziaria autonomamente, sia nel caso di
inerzia dell'amministratore, a norma dell’art. 1105 c.c.
applicabile anche al condominio per il rinvio posto
dall'art. 1139 c.c., sia allorquando gli altri condomini
non intendano agire o resistere in giudizio; possono
infine esperire i mezzi di impugnazione necessari ad
evitare gli effetti sfavorevoli della pronuncia resa nei
confronti dell'amministratore (ex multis Cass. n.
7872/03, n. 8132/04, n. 7130/2001, n. 22942/04, n.
8479/99)” (Cass. 16 maggio 2011 n. 10717).
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