Che sanzione è
comminata dal nostro ordinamento al soggetto che si
rende responsabile della pubblicazione su Internet del
numero di cellulare di un soggetto che non ha prestato
consenso? Il caso di specie è così sintetizzabile: nel
corso di un colloquio in una chat line Tizio,
utilizzando il nickname che lo identifica, si inserisce
in un canale chat privato gestito da Caio, intrattenendo
con lo stesso una conversazione virtuale poi degenerata
(seguita, in particolare, da una telefonata di insulti
rivolti da Tizio a Caio) e diffondendo sulla chat
pubblica il numero dell'utenza cellulare di Caio, del
quale era venuto in possesso durante quel colloquio.
La Cassazione ha rigettato il ricorso dell'imputato,
confermando sostanzialmente le pronunce di primo e
secondo grado che avevano ritenuto colpevole del reato
di cui all'art. 167 della L. 196/03 (diffusione di dati
sensibili) e condannato l'imputato alla pena -
condizionalmente sospesa - di mesi quattro di
reclusione, concesse le circostanze attenuanti generiche
e con la diminuzione per il rito applicato.
Secondo la Cassazione, in merito al "raggio di azione
dell'art. 167 della Legge 196/03", "Ad una semplice
lettura della norma punitiva, l’incipit "chiunque" già
esclude in radice una interpretazione in senso
restrittivo riferita ai destinatari: ma, anche a voler
ricollegare l'art. 167 all'art. 4, è evidente che,
laddove si parla di persona fisica, ci si intende
riferire al soggetto privato in sé considerato, e non
solo a quello che svolga un compito, per così dire,
istituzionale, di depositario della tenuta dei dati
sensibili e delle loro modalità di utilizzazione
all'esterno: una interpretazione siffatta finirebbe con
l'esonerare in modo irragionevole dall'area penale tutti
i soggetti privati, così permettendo quella massiccia
diffusione di dati personali che il legislatore, invece,
tende ad evitare. Può quindi affermarsi senza tema di
smentita che l'assoggettamento alla norma in tema di
divieto di diffusione di dati sensibili riguardi tutti
indistintamente i soggetti entrati in possesso di dati,
i quali saranno tenuti a rispettare sacralmente la
privacy di altri soggetti con i primi entrati in
contatto, al fine di assicurare un corretto trattamento
di quei dati senza arbitri o pericolose intrusioni. Né
la punibilità - in caso di indebita diffusione dei dati
- può dirsi esclusa se il soggetto detentore del dato
abbia ciò acquisito in via casuale, in quanto la norma
non punisce di certo il recepimento del dato, quanto la
sua indebita diffusione.
Nel caso di specie è proprio questo che è accaduto:
Tizio, venuto in possesso, peraltro non casualmente come
sostenuto dal suo difensore per come è dato leggere
dalla sentenza impugnata, di un dato sensibile (numero
di utenza cellulare) per essergli stato fornito dal suo
interlocutore del momento (Caio), si è determinato a
diffonderlo su altri canali con ciò compromettendo la
riservatezza del dato che la norma intende
salvaguardare. Correttamente la Corte ha individuato il
Tizio quale destinatario della norma e soprattutto,
ancor più correttamente, la Corte ha ritenuto che quella
indebita diffusione del dato costituisca uno dei modi di
intendere la nozione di trattamento codificata dalla
norma incriminatrice: invero il concetto di trattamento
va inteso in senso ampio per come di già lo afferma il
legislatore laddove elenca tutta una serie di condotte
sintomatiche, non circoscritto quindi ad una raccolta di
dati, ma anche - e soprattutto - alla diffusione
indebita senza il consenso dell'interessato, del dato
acquisito, non importa se casualmente o meno
(circostanza che, nel caso di specie, la Corte ha
comunque escluso)".
Infine, "Quanto all'elemento danno, è del tutto
evidente che non si versa in quella ipotesi di "minimo
vulnus all'identità personale del soggetto passivo ed
alla sua privacy" in presenza del quale la condotta
materiale di tipo diffusivo sarebbe scriminata (in
termini Cass. Sez. 3A 28.5.2004 n. 30134, Barone, Rv.
229472), in quanto una diffusione ad ampio raggio,
indipendentemente dal tempo più o meno breve di
stazionamento del messaggio sulla chat line (tempo, nel
caso in esame, non quantificabile per come ricordato
dalla Corte territoriale), consente a chiunque di
prendere cognizione di numeri telefonici riservati.
Ed anzi, l'esigenza che tale evenienza non accadesse
traspare ancor più chiaramente riverberandosi quindi
sulla esistenza del danno, nella misura in cui si legge
che Caio si era recisamente lamentato di intrusioni
pubblicitarie sulla sua chat line: segno evidente che
detta persona tenesse ad una particolare riservatezza
nelle comunicazioni con terzi e che, quindi, una
diffusione allargata avrebbe potuto generare altri
contatti indesiderati lesivi della privacy".
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