(Corte di Giustizia
dell'Unione europea, sentenza 29 marzo 2011, C-565/2008
- Dario Immordino)
Le norme italiane che
impongono tariffe massime per gli onorari degli avvocati
sono compatibili con le regole comunitarie funzionali a
garantire alle attività non salariate (commerciali,
industriali, artigianali o libere professioni) la
libertà di esercizio su tutto il territorio comunitario,
sotto il duplice profilo della libertà di stabilimento e
della libera prestazione dei servizi, per giungere alla
migliore localizzazione economica.
Della spinosa questione
della tariffa forense italiana, disciplinata dal Regio
decreto-legge 27 novembre 1933 n. 1578, la Corte di
Giustizia aveva già avuto modo di occuparsi in diverse
circostanze, con riferimento in particolare alla
compatibilità della procedura di adozione (ai sensi del
citato dl la tariffa è deliberata dal Consiglio
nazionale forense e successivamente approvata dal
Ministro della Giustizia) con il divieto di intese
restrittive della concorrenza tra associazioni di
imprese (sentenza Arduino del 19 febbraio 2002) e alla
legittimità comunitaria del divieto assoluto di derogare
ai minimi tariffari (sentenza Cipolla e Macrino del 5
dicembre 2006).
La nuova pronuncia origina dal ricorso proposto dalla
Commissione europea avverso la nuova disciplina italiana
introdotta dal Decreto legge n. 223/2006 (Decreto
Bersani), la quale, abrogate le tariffe fisse o minime
applicabili agli onorari forensi, avrebbe mantenuto
l'obbligo per gli avvocati di rispettare tariffe
massime, giustificato con l’esigenza di garantire la
protezione dei consumatori.
La Commissione, in particolare contesta la violazione
degli attuali articoli 49 e 56 del TFUE (ieri articoli
43 e 49 TCE) sotto tre profili: intanto l’imposizione di
un tariffario massimo obbligatorio, da applicarsi
indipendentemente dalla qualità della prestazione, dal
lavoro necessario per effettuarla e dai costi sostenuti
per attuarla, costituirebbe un forte disincentivo allo
stabilimento in Italia di avvocati di altri Paesi membri
dell’UE “costretti” ad abbandonare il sistema di calcolo
dei loro onorari vigente nel proprio ordinamento per
adeguarsi al meccanismo italiano.
In secondo luogo
l’imposizione di un “tetto massimo” a prescindere dalla
qualità e quantità del lavoro prestato ostacolerebbe la
corretta remunerazione dei servizi prestati “dissuadendo
taluni avvocati, i quali chiedono onorari più elevati di
quelli stabiliti dalle disposizioni controverse, dal
prestare temporaneamente i propri servizi in Italia,
ovvero dallo stabilirsi in tale Stato membro”.
In terzo luogo il sistema di tariffazione italiano
pregiudicherebbe “la libertà contrattuale dell'avvocato”
impedendogli di adeguare la remunerazione richiesta alla
specificità delle circostanze, compromettendo la
capacità competitiva dei professionisti stabiliti in
altri Stati membri, privati “di efficaci tecniche di
penetrazione nel mercato legale italiano”
Alla luce di tutte queste considerazioni la Commissione
ritiene che le norme nazionali italiane ostacolino il
mercato delle professioni legali e non siano pertanto
compatibili con le norme del Trattato.
La Corte respinge il
ricorso sulla base della constatazione che le norme in
questione non ostacolano effettivamente l'accesso al
mercato delle professioni legali.
In particolare,
dividuata la nozione di "restrizione" con riferimento
agli attuali articoli 49 e 56 del TFUE (ieri articoli 43
e 49 TCE) in tutte quelle misure che vietano, ostacolano
o scoraggiano l'esercizio delle libertà fondamentali del
mercato comune, la Corte precisa che le misure
nazionali, per essere considerate come restrizioni,
devono pregiudicare l'accesso al mercato degli operatori
economici di altri Stati membri.
Questo è il fulcrum
della sentenza. La fissazione di tariffe massime per gli
avvocati può rendere difficoltoso l'accesso degli gli
avvocati di altri stati membri al mercato italiano dei
servizi legali?
a questo interrogativo la Corte risponde che le misure
italiane, essendo indistintamente applicabili a tutti
gli operatori del mercato, non costituiscono
"restrizione" secondo quanto appena affermato. Ciò in
quanto, la circostanza che uno Stato membro applichi
regole più severe e/o economicamente più vantaggiose
rispetto agli altri Stati non basta di per sè ad
affermare l'esistenza di una restrizione al mercato. Gli
avvocati provenienti da Stati membri, pur dovendosi
adeguare alle disposizioni italiane per il calcolo degli
onorari, non sono tuttavia privati della possibilità di
penetrare nel mercato italiano in condizioni di
concorrenza normali ed efficaci.
Rileva nella decisione
della Corte, la indiscutibile flessibilità che
caratterizza la normativa italiana relativa agli onorari
degli avvocati, la quale consente - attraverso
molteplici criteri - di individuare un corretto compenso
per qualsiasi tipo di prestazione fornita dagli
avvocati.
Nell'ordinamento italiano è difatti possibile aumentare
gli onorari fino al doppio delle tariffe massime
altrimenti applicabili, per cause di particolare
importanza, complessità o difficoltà, o fino al
quadruplo di dette tariffe per quelle che rivestono una
straordinaria importanza, o anche oltre in caso di
sproporzione manifesta, alla luce delle circostanze nel
caso di specie, tra le prestazioni dell’avvocato e le
tariffe massime previste. In diverse situazioni,
inoltre, è consentito agli avvocati concludere un
accordo speciale con il loro cliente al fine di fissare
l’importo degli onorari.
In presenza di simili caratteristiche di generalità e
flessibilità del sistema il semplice dovere degli
avvocati stabiliti in Stati membri diversi dalla
Repubblica italiana di adattarsi, per il calcolo dei
loro onorari per prestazioni fornite in Italia, alle
norme nazionali non determina una apprezzabile
restrizione delle libertà di stabilimento e prestazione
dei servizi, giacchè non vale di per sé a privare detti
professionisti della possibilità di penetrare nel
mercato italiano in condizioni di concorrenza normali ed
efficaci.
Di conseguenza atteso
che la Commissione non è riuscita a provare che le
disposizioni controverse ostacolano l'accesso degli
avvocati provenienti dagli altri Stati membri al mercato
italiano di cui trattasi, le argomentazioni di censura
non possono essere accolte.
Dario Immordino
SENTENZA DELLA CORTE
(Grande Sezione)
29 marzo 2011
«Inadempimento di uno
Stato – Artt. 43 CE e 49 CE – Avvocati – Obbligo di
rispettare tariffe massime in materia di onorari –
Ostacolo all’accesso al mercato – Insussistenza»
Nella causa C 565/08,
avente ad oggetto il
ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE,
proposto il 19 dicembre 2008,
Commissione europea,
rappresentata dai sigg. E. Traversa e L. Prete, in
qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana,
rappresentata inizialmente dalla sig.ra I. Bruni,
successivamente dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di
agenti, assistite dalla sig.ra W. Ferrante, avvocato
dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Grande
Sezione),
composta dal sig. A.
Tizzano, presidente della Prima Sezione, facente
funzione di presidente, dai sigg. J.N. Cunha Rodrigues,
K. Lenaerts e J. C. Bonichot, presidenti di sezione, dai
sigg. A. Rosas, M. Ilešič, J. Malenovský, U. Lõhmus
(relatore), E. Levits, A. Ó Caoimh, L. Bay Larsen, dalle
sig.re P. Lindh e M. Berger, giudici,
avvocato generale:
sig. J. Mazák
cancelliere: sig.ra
M. Ferreira, amministratore principale
vista la fase scritta
del procedimento e in seguito all’udienza del 24 marzo
2010,
sentite le
conclusioni dell’avvocato generale, presentate
all’udienza del 6 luglio 2010,
ha pronunciato la
seguente
Sentenza
1 Con il suo ricorso,
la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte
di constatare che, prevedendo disposizioni che impongono
agli avvocati l’obbligo di rispettare tariffe massime,
la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad
essa incombenti ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE.
Contesto normativo
nazionale
2 La professione di
avvocato è disciplinata in Italia dal regio decreto
legge 27 novembre 1933, n. 1578, ordinamento delle
professioni di avvocato e procuratore legale (GURI n.
281, del 5 dicembre 1933, pag. 5521), convertito, con
modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36 (GURI
n. 24, del 30 gennaio 1934), come successivamente
modificato (in prosieguo: il «regio decreto legge»). In
base agli artt. 52 55 del regio decreto legge, il
Consiglio nazionale forense (in prosieguo: il «CNF») è
istituito presso il Ministero della Giustizia ed è
costituito da avvocati eletti dai loro colleghi, in
numero di uno per ciascun distretto di Corte d’appello.
3 L’art. 57 del regio
decreto legge prevede che i criteri per la
determinazione degli onorari e delle indennità dovuti
agli avvocati ed ai procuratori in materia tanto civile,
penale quanto stragiudiziale sono stabiliti ogni biennio
con deliberazione del CNF. Tali criteri devono essere
successivamente approvati dal Ministro della Giustizia,
sentito il parere del Comitato interministeriale dei
prezzi e previa consultazione del Consiglio di Stato.
4 Ai sensi dell’art.
58 del regio decreto legge, i criteri di cui all’art. 57
del medesimo decreto sono stabiliti con riferimento al
valore delle controversie e al grado dell’autorità
giudiziaria adita, nonché, per i giudizi penali, alla
durata degli stessi. Per ogni atto o serie di atti
devono essere fissati un limite massimo ed un limite
minimo dell’importo degli onorari. In materia
stragiudiziale occorre tenere conto dell’importanza
dell’affare.
5 L’art. 60 del regio
decreto legge stabilisce che la liquidazione degli
onorari è fatta dall’autorità giudiziaria sulla base dei
citati criteri, tenendo conto della gravità e del numero
delle questioni trattate. Tale liquidazione deve
mantenersi entro i limiti massimi e minimi previamente
fissati. Tuttavia, nei casi di straordinaria importanza,
tenuto conto della specialità delle controversie e
qualora il valore intrinseco della prestazione lo
giustifichi, il giudice può oltrepassare il limite
massimo. Viceversa egli può, quando la causa risulta di
facile trattazione, fissare onorari in misura inferiore
al limite minimo. In entrambi i casi la decisione del
giudice dev’essere motivata.
6 Ai sensi dell’art.
61, n. 1, del regio decreto legge, gli onorari praticati
dagli avvocati nei confronti dei propri clienti, in
materia sia giudiziale che stragiudiziale, sono
determinati, salvo patto speciale, in base ai criteri di
cui all’art. 57, tenuto conto della gravità e del numero
delle questioni trattate. Conformemente al n. 2 del
medesimo articolo, tali onorari possono essere maggiori
di quelli liquidati a carico della parte condannata alle
spese se la specialità della controversia o il valore
della prestazione lo giustificano.
7 L’art. 24 della
legge 13 giugno 1942, n. 794, sugli onorari di avvocato
per prestazioni giudiziali in materia civile (GURI n.
172, del 23 luglio 1942), prevede che sono inderogabili
gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli
avvocati, a pena di nullità di qualsiasi accordo
derogatorio.
8 L’art. 13 della
legge 9 febbraio 1982, n. 31, sulla libera prestazione
di servizi da parte degli avvocati cittadini di altri
Stati membri della Comunità europea (GURI n. 42, del 12
febbraio 1982, pag. 1030), che recepisce la direttiva
del Consiglio 22 marzo 1977, 77/249/CEE, intesa a
facilitare l’esercizio effettivo della libera
prestazione di servizi da parte degli avvocati (GU L 78,
pag. 17), estende l’obbligo di rispettare le tariffe
professionali in vigore agli avvocati di altri Stati
membri che svolgono in Italia attività giudiziali e
stragiudiziali.
9 I diritti e gli
onorari degli avvocati sono stati successivamente
disciplinati da più decreti ministeriali di cui gli
ultimi tre sono il D.M. 24 novembre 1990, n. 392, il
D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, e il D.M. 8 aprile 2004, n.
127.
10 Conformemente alla
deliberazione del CNF allegata al decreto ministeriale 8
aprile 2004, n. 127 (GURI n. 115, del 18 maggio 2004; in
prosieguo: la «deliberazione del CNF»), le tariffe
applicabili agli onorari degli avvocati si suddividono
in tre capitoli, vale a dire il capitolo I, relativo
alle prestazioni giudiziali in materia tanto civile,
amministrativa quanto fiscale, il capitolo II,
concernente le prestazioni giudiziali in materia penale,
e il capitolo III, riguardante le prestazioni
stragiudiziali.
11 Per il capitolo I,
l’art. 4, n. 1, della deliberazione del CNF vieta
qualsiasi deroga agli onorari e diritti stabiliti per le
prestazioni degli avvocati.
12 Per quanto
riguarda il capitolo II, l’art. 1, nn. 1 e 2 di suddetta
deliberazione dispone che, per la determinazione
dell’onorario di cui alla tabella, deve tenersi conto
della natura, complessità e gravità della causa, delle
contestazioni e delle imputazioni, del numero e
dell’importanza delle questioni trattate e della loro
rilevanza patrimoniale, della durata del procedimento e
del processo, del valore della prestazione effettuata,
del numero di avvocati che hanno collaborato e condiviso
la responsabilità della difesa, dell’esito ottenuto,
anche avuto riguardo alle conseguenze civili, nonché
delle condizioni finanziarie del cliente. Per le cause
che richiedono un particolare impegno, per la
complessità dei fatti o per le questioni giuridiche
trattate, gli onorari possono giungere fino al quadruplo
dei massimi stabiliti.
13 Per quanto
concerne il capitolo III, l’art. 1, n. 3, della
deliberazione del CNF sancisce che, nelle pratiche di
particolare importanza, complessità e difficoltà, il
limite massimo degli onorari può essere aumentato fino
al doppio e quello degli onorari per le pratiche di
straordinaria importanza fino al quadruplo, previo
parere del consiglio dell’ordine degli avvocati
competente. L’art. 9 di tale deliberazione precisa che,
nell’ipotesi di manifesta sproporzione, per particolari
circostanze del caso, tra la prestazione e gli onorari
previsti dalla tabella, su parere del consiglio
dell’ordine degli avvocati competente, i massimi possono
essere maggiorati anche oltre quanto previsto dall’art.
l, n. 3, della deliberazione in parola e i minimi
possono essere diminuiti.
14 Il decreto legge 4
luglio 2006, n. 223 (GURI n. 153, del 4 luglio 2006),
convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248 (GURI n.
186, dell’11 agosto 2006; in prosieguo: il «decreto
Bersani») è intervenuto sulle disposizioni in materia di
onorari d’avvocato. L’art. 2 del predetto decreto,
intitolato «Disposizioni urgenti per la tutela della
concorrenza nel settore dei servizi professionali», ai
suoi nn. 1 e 2, dispone quanto segue:
«1. In conformità al
principio comunitario di libera concorrenza ed a quello
di libertà di circolazione delle persone e dei servizi,
nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva
facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di
comparazione delle prestazioni offerte sul mercato,
dalla data di entrata in vigore del presente decreto
sono abrogate le disposizioni legislative e
regolamentari che prevedono con riferimento alle
attività libero professionali e intellettuali:
a) l’obbligatorietà
di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire
compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi
perseguiti;
(...)
2. Sono fatte salve
le disposizioni riguardanti (...) le eventuali tariffe
massime prefissate in via generale a tutela degli
utenti. Il giudice provvede alla liquidazione delle
spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso
di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio,
sulla base della tariffa professionale (...)».
15 A norma dell’art.
2233 del codice civile italiano, in generale, il
compenso per un contratto di prestazione di servizi, se
non è convenuto dalle parti e non può essere determinato
secondo le tariffe o gli usi in vigore, è determinato
dal giudice, sentito il parere dell’associazione
professionale a cui il professionista appartiene. In
ogni caso, la misura del compenso deve essere adeguata
all’importanza dell’opera e al decoro della professione.
Ogni patto concluso dagli avvocati o i praticanti
abilitati con i loro clienti che stabilisca i compensi
professionali è nullo se non è redatto in forma scritta.
La fase
precontenziosa
16 Con lettera di
diffida del 13 luglio 2005, la Commissione ha richiamato
l’attenzione delle autorità italiane su una possibile
incompatibilità di talune disposizioni nazionali,
relative alle attività stragiudiziali degli avvocati,
con l’art. 49 CE. Le autorità italiane hanno risposto
con lettera del 19 settembre 2005.
17 In seguito, la
Commissione ha completato due volte l’analisi effettuata
nella lettera di diffida. In una prima lettera di
diffida supplementare, datata 23 dicembre 2005, la
Commissione ha considerato incompatibili con gli artt.
43 CE e 49 CE le disposizioni italiane che stabiliscono
l’obbligo di rispettare tariffe imposte per le attività
giudiziali e stragiudiziali degli avvocati.
18 La Repubblica
italiana ha risposto con lettere del 9 marzo, del 10
luglio nonché del 17 ottobre 2006, informando la
Commissione della nuova normativa italiana applicabile
in materia di onorari degli avvocati, ossia il decreto
Bersani.
19 Con una seconda
lettera di diffida supplementare, datata 23 marzo 2007,
la Commissione, tenendo conto di questa nuova normativa,
ha integrato ulteriormente la sua posizione. La
Repubblica italiana ha risposto con lettera datata 21
maggio 2007.
20 Con lettera del 3
agosto 2007, la Commissione ha poi chiesto alle autorità
italiane informazioni in merito alle modalità di
rimborso delle spese sostenute dagli avvocati. La
Repubblica italiana ha risposto con lettera del 28
settembre 2007.
21 Non essendo
rimasta soddisfatta da tale risposta, il 4 aprile 2008
la Commissione ha trasmesso un parere motivato alla
Repubblica italiana, adducendo che le disposizioni
nazionali che impongono l’obbligo per gli avvocati di
rispettare tariffe massime sono incompatibili con gli
artt. 43 CE e 49 CE. Tale obbligo risulterebbe, in
particolare, dalle disposizioni di cui agli artt. 57 e
58 del regio decreto legge, dall’art. 24 della legge 13
giugno 1942, n. 794, dall’art. 13 della legge 9 febbraio
1982, n. 31, dalle pertinenti disposizioni dei decreti
ministeriali 24 novembre 1990, n. 392, 5 ottobre 1994,
n. 585, e 8 aprile 2004, n. 127, nonché dalle
disposizioni del decreto Bersani (in prosieguo,
complessivamente: le «disposizioni controverse»). Essa
ha invitato tale Stato membro ad adottare, entro un
termine di due mesi dal ricevimento di tale parere, le
misure necessarie per adeguarvisi. La Repubblica
italiana ha risposto con lettera del 9 ottobre 2008.
22 Ritenendo che la
Repubblica italiana non avesse rimediato all’infrazione
addebitatale, la Commissione ha deciso di proporre il
presente ricorso.
Sul ricorso
Argomenti delle parti
23 Con il suo ricorso
la Commissione addebita alla Repubblica italiana di aver
previsto, in violazione degli artt. 43 CE e 49 CE,
disposizioni che impongono agli avvocati l’obbligo di
rispettare tariffe massime per la determinazione dei
propri onorari.
24 Ad avviso della
Commissione, detto obbligo deriva dal decreto Bersani
che, pur abrogando le tariffe fisse o minime applicabili
agli onorari degli avvocati, ha esplicitamente mantenuto
l’obbligo di rispettare tariffe massime in nome della
protezione dei consumatori. Tale interpretazione sarebbe
peraltro confermata dal CNF, dal consiglio dell’ordine
degli avvocati di Torino nonché dall’Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato nei rispettivi documenti
ufficiali.
25 Il fatto che
questo stesso decreto abbia abolito il divieto di
stabilire contrattualmente compensi dipendenti dal
conseguimento degli obiettivi perseguiti, ossia il
cosiddetto «patto del quota lite», non può inficiare la
conclusione che il rispetto di tali tariffe massime è
ancora obbligatorio in tutti i casi in cui un siffatto
patto non sia stato concluso. D’altronde, durante la
fase precontenziosa, le autorità italiane non avrebbero
mai negato l’obbligatorietà delle tariffe massime di cui
trattasi.
26 Del pari, la
Commissione sottolinea che le eccezioni previste per le
tariffe massime applicabili agli onorari degli avvocati
non escludono, ma anzi confermano, che le tariffe
massime degli onorari si applicano in via generale.
27 La Commissione
sostiene che le disposizioni controverse producono
l’effetto di disincentivare gli avvocati stabiliti in
altri Stati membri a stabilirsi in Italia o a prestarvi
temporaneamente i propri servizi e, di conseguenza,
configurano restrizioni alla libertà di stabilimento ai
sensi dell’art. 43 CE nonché alla libera prestazione dei
servizi ai sensi dell’art. 49 CE.
28 Infatti, essa
considera che un tariffario massimo obbligatorio, che si
applichi indipendentemente dalla qualità della
prestazione, dal lavoro necessario per effettuarla e dai
costi sostenuti per attuarla, possa rendere il mercato
italiano delle prestazioni legali non attraente per i
professionisti stabiliti in altri Stati membri.
29 A giudizio della
Commissione, tali restrizioni derivano, in primo luogo,
dall’obbligo imposto agli avvocati di calcolare i propri
onorari in base ad un tariffario estremamente complesso
che genera un costo aggiuntivo, in particolare per gli
avvocati stabiliti fuori dell’Italia. Nel caso in cui
questi avvocati avessero utilizzato fino ad allora un
diverso sistema di calcolo dei loro onorari, essi
sarebbero obbligati ad abbandonarlo per adeguarsi al
sistema italiano.
30 In secondo luogo,
l’esistenza di tariffe massime applicabili agli onorari
degli avvocati impedirebbe che i servizi degli avvocati
stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica
italiana siano correttamente remunerati dissuadendo
taluni avvocati, i quali chiedono onorari più elevati di
quelli stabiliti dalle disposizioni controverse, dal
prestare temporaneamente i propri servizi in Italia,
ovvero dallo stabilirsi in tale Stato membro. Infatti,
secondo la Commissione, il margine di guadagno massimo è
fissato indipendentemente dalla qualità del servizio
prestato, dall’esperienza dell’avvocato, dalla sua
specializzazione, dal tempo da lui dedicato alla causa,
dalla situazione economica del cliente, e, ancor più,
dall’eventualità che l’avvocato sia tenuto a spostarsi
per lunghi tragitti.
31 La Commissione
considera, in terzo luogo, che il sistema di
tariffazione italiano pregiudichi la libertà
contrattuale dell’avvocato impedendogli di fare offerte
ad hoc in determinate situazioni e/o a clienti
particolari. Le disposizioni controverse potrebbero
dunque comportare una perdita di competitività per gli
avvocati stabiliti in altri Stati membri perché esse
privano gli stessi di efficaci tecniche di penetrazione
nel mercato legale italiano. Di conseguenza, la
Commissione ritiene che le disposizioni controverse
costituiscano un ostacolo all’accesso al mercato
italiano dei servizi legali per gli avvocati stabiliti
in altri Stati membri.
32 In via principale,
la Repubblica italiana contesta non l’esistenza,
nell’ordinamento giuridico italiano, di dette tariffe
massime, bensì il carattere vincolante delle medesime,
sostenendo che esistono numerose deroghe per superare
tali limiti, o per volontà degli avvocati e dei loro
clienti, o tramite l’intervento del giudice.
33 Secondo tale Stato
membro, il criterio principale che consente di fissare
gli onorari degli avvocati risiede, a norma dell’art.
2233 del codice civile italiano, nel contratto concluso
tra l’avvocato e il suo cliente, mentre il ricorso alle
tariffe applicabili agli onorari degli avvocati
costituisce soltanto un criterio sussidiario,
utilizzabile in mancanza di compenso liberamente fissato
dalle parti contrattuali nell’esercizio della loro
autonomia contrattuale.
34 Inoltre, gli
onorari calcolati su base oraria sarebbero espressamente
previsti al punto 10 del capitolo III della
deliberazione del CNF come metodo alternativo di calcolo
degli onorari in materia stragiudiziale.
35 Del pari, in
seguito all’adozione del decreto Bersani, il divieto di
concludere un accordo tra cliente ed avvocato, che
preveda un compenso dipendente dall’esito della
controversia, sarebbe stato definitivamente abolito
dall’ordinamento giuridico italiano.
36 Per quanto
riguarda le deroghe alle tariffe massime applicabili
agli onorari degli avvocati, la Repubblica italiana
sottolinea che, in tutte le cause di particolare
importanza, complessità o difficoltà per le questioni
giuridiche trattate, gli avvocati e i loro clienti
possono convenire, senza che sia necessario alcun parere
del consiglio dell’ordine degli avvocati competente, che
gli onorari vengano aumentati fino al doppio dei massimi
di tali tariffe o anche, in materia penale, fino al
quadruplo di tali massimi.
37 Il previo parere
del consiglio dell’ordine degli avvocati competente
sarebbe invece richiesto, in materia sia civile che
stragiudiziale, nei casi di straordinaria importanza
delle controversie, per aumentare il compenso fino al
quadruplo dei massimi previsti nonché, in caso di
manifesta sproporzione tra la prestazione professionale
e l’onorario previsto dalle tariffe applicabili a tali
onorari, per aumentare del pari gli onorari di cui
trattasi anche oltre tali massimi.
38 In subordine, la
Repubblica italiana sostiene che le disposizioni
controverse non contengono alcuna misura restrittiva
della libertà di stabilimento o della libera prestazione
dei servizi e che gli addebiti della Commissione non
sono fondati.
39 Infatti, per
quanto riguarda i costi aggiuntivi, l’esistenza di una
duplice normativa, ossia quella dello Stato membro
d’origine e quella dello Stato membro ospitante, non
potrebbe, di per sè, costituire un motivo che consenta
di sostenere che le disposizioni controverse sono
restrittive poiché le norme professionali in vigore
nello Stato membro ospitante sarebbero applicabili agli
avvocati provenienti da altri Stati membri in forza
delle direttive del Parlamento europeo e del Consiglio
16 febbraio 1998, 77/249 e 98/5/CE, volte a facilitare
l’esercizio permanente della professione di avvocato in
uno Stato membro diverso da quello in cui è stata
acquistata la qualifica (GU L 77, pag. 36),
indipendentemente dalle norme applicabili nello Stato
membro d’origine.
40 Per quanto attiene
all’asserita riduzione dei margini di guadagno, le
disposizioni controverse prevederebbero in modo
dettagliato il rimborso integrale di tutte le spese di
missione in base a documenti giustificativi e
concederebbero inoltre un’indennità di trasferta per le
ore di lavoro perse durante quest’ultima. Tali spese si
aggiungerebbero ai diritti, agli onorari e alle spese
generali degli avvocati e sarebbero rimborsate, in
applicazione del principio di non discriminazione, tanto
agli avvocati stabiliti in Italia, che devono spostarsi
sul territorio nazionale, quanto agli avvocati stabiliti
in altri Stati membri che devono spostarsi in Italia.
Giudizio della Corte
41 In via
preliminare, va constatato come dall’insieme delle
disposizioni controverse emerga che le tariffe massime
applicabili agli onorari degli avvocati costituiscono
norme giuridicamente vincolanti in quanto sono previste
da un testo di legge.
42 Pur supponendo che
gli avvocati e i loro clienti siano, in concreto, liberi
di pattuire contrattualmente il compenso degli avvocati
su base oraria o a seconda dell’esito della causa, come
fatto valere dalla Repubblica italiana, resta nondimeno
il fatto che le tariffe massime continuano ad essere
obbligatorie nell’ipotesi in cui non esista un patto tra
gli avvocati e i clienti.
43 Peraltro, la
Commissione ha giustamente considerato che l’esistenza
di deroghe che consentano di superare, in presenza di
determinate condizioni, i limiti massimi dell’importo
degli onorari portandoli al doppio o al quadruplo o
addirittura oltre, conferma che le tariffe massime degli
onorari si applicano in via generale.
44 Di conseguenza,
non può essere accolto l’argomento della Repubblica
italiana secondo cui, nel suo ordinamento giuridico, non
esiste alcun obbligo per gli avvocati di osservare
tariffe massime per la determinazione dei loro onorari.
45 Per quanto
riguarda, poi, l’esistenza di restrizioni alla libertà
di stabilimento nonché alla libera prestazione di
servizi, di cui rispettivamente agli artt. 43 CE e 49
CE, da una giurisprudenza costante emerge che siffatte
restrizioni sono costituite da misure che vietano,
ostacolano o scoraggiano l’esercizio di tali libertà
(v., in tal senso, sentenze 15 gennaio 2002, causa C
439/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I 305, punto 22;
5 ottobre 2004, causa C 442/02, CaixaBank France, Racc.
pag. I 8961, punto 11; 30 marzo 2006, causa C 451/03,
Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti, Racc. pag. I
2941, punto 31, e 4 dicembre 2008, causa C 330/07,
Jobra, Racc. pag. I 9099, punto 19).
46 In particolare, la
nozione di restrizione comprende le misure adottate da
uno Stato membro che, per quanto indistintamente
applicabili, pregiudichino l’accesso al mercato per gli
operatori economici di altri Stati membri (v., in
particolare, sentenze CaixaBank France, cit., punto 12,
e 28 aprile 2009, causa C 518/06, Commissione/Italia,
Racc. pag. I 3491, punto 64).
47 Nella specie, è
pacifico che le disposizioni controverse si applichino
indistintamente a tutti gli avvocati che forniscono
servizi sul territorio italiano.
48 La Commissione
ritiene, tuttavia, che tali disposizioni costituiscano
una restrizione ai sensi degli articoli summenzionati,
in quanto possono infliggere agli avvocati, stabiliti in
Stati membri diversi dalla Repubblica italiana e che
forniscono servizi in quest’ultimo Stato, costi
aggiuntivi generati dall’applicazione del sistema
italiano degli onorari nonché una riduzione dei margini
di guadagno e dunque una perdita di competitività.
49 A tal riguardo,
giova ricordare anzitutto che una normativa di uno Stato
membro non costituisce una restrizione ai sensi del
Trattato CE per il solo fatto che altri Stati membri
applichino regole meno severe o economicamente più
vantaggiose ai prestatori di servizi simili stabiliti
sul loro territorio (v. sentenza 28 aprile 2009,
Commissione/Italia, cit., punto 63 e giurisprudenza ivi
citata).
50 L’esistenza di una
restrizione ai sensi del Trattato non può dunque essere
desunta dalla mera circostanza che gli avvocati
stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica
italiana devono, per il calcolo dei loro onorari per
prestazioni fornite in Italia, abituarsi alle norme
applicabili in tale Stato membro.
51 Per contro, una
restrizione del genere esiste, segnatamente, se detti
avvocati sono privati della possibilità di penetrare nel
mercato dello Stato membro ospitante in condizioni di
concorrenza normali ed efficaci (v., in tal senso,
sentenza CaixaBank France, cit., punti 13 e 14; 5
dicembre 2006, cause riunite C 94/04 e C 202/04, Cipolla
e a., Racc. pag. I 11421, punto 59, nonché 11 marzo
2010, causa C 384/08, Attanasio Group, non ancora
pubblicata nella Raccolta, punto 45).
52 Orbene, è
giocoforza constatare che la Commissione non ha
dimostrato che le disposizioni controverse abbiano un
tale scopo o effetto.
53 Infatti, essa non
è riuscita a dimostrare che la normativa in discussione
è concepita in modo da pregiudicare l’accesso, in
condizioni di concorrenza normali ed efficaci, al
mercato italiano dei servizi di cui trattasi. Va
rilevato, al riguardo, che la normativa italiana sugli
onorari è caratterizzata da una flessibilità che sembra
permettere un corretto compenso per qualsiasi tipo di
prestazione fornita dagli avvocati. Così, è possibile
aumentare gli onorari fino al doppio delle tariffe
massime altrimenti applicabili, per cause di particolare
importanza, complessità o difficoltà, o fino al
quadruplo di dette tariffe per quelle che rivestono una
straordinaria importanza, o anche oltre in caso di
sproporzione manifesta, alla luce delle circostanze nel
caso di specie, tra le prestazioni dell’avvocato e le
tariffe massime previste. In diverse situazioni,
inoltre, è consentito agli avvocati concludere un
accordo speciale con il loro cliente al fine di fissare
l’importo degli onorari.
54 Pertanto, non
avendo dimostrato che le disposizioni controverse
ostacolano l’accesso degli avvocati provenienti dagli
altri Stati membri al mercato italiano di cui trattasi,
l’argomentazione della Commissione, diretta alla
constatazione dell’esistenza di una restrizione ai sensi
degli artt. 43 CE e 49 CE, non può essere accolta.
55 Ne consegue che il
ricorso dev’essere respinto.
Sulle spese
56 A norma dell’art.
69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte
soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta
domanda. Poiché la Repubblica italiana non ha chiesto la
condanna della Commissione alle spese, si deve decidere
che ciascuna parte sopporti le proprie spese.
Per questi motivi, la
Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:
1) Il ricorso è
respinto.
2) La Commissione
europea e la Repubblica italiana sopportano le proprie
spese.
Firme
|