Sommario:
1) Distinzione tra fattispecie di
omissione contributiva ed evasione alla luce del dettato
normativo di cui alla legge n° 388/00: a) Vecchi
problemi interpretativi che tornano; b) Recenti
orientamenti della Giurisprudenza di Legittimità.
2) Termine di prescrizione delle
sanzioni civili e sua coincidenza-omogeneità con il
termine previsto per la prescrizione dei contributi
obbligatori tenendo conto in particolare della natura
accessoria dell´obbligazione sanzionatoria ( disamina
della giurisprudenza e prassi di riferimento).
3) Sussistenza, in caso di cessione
di azienda, dell´obbligo sanzionatorio in capo al
cessionario distinguendo l’ipotesi in cui il debito
contributivo principale sia registrato o meno nei libri
obbligatori ( art. 2560 c.c.).
La legge n° 388/2000 ha modificato,
tra l’altro, la disciplina delle sanzioni civili
connesse al mancato o al ritardato versamento dei
contributi previdenziali.
La norma conserva la distinzione
tra la fattispecie dell’omissione e dell’evasione
contributiva ponendo l’accento, per quest’ultima
fattispecie, sull’elemento intenzionale.
Va subito detto che questa
circostanza suona come una novità perché finora, in
virtù del carattere automatico dell’obbligazione
accessoria delle sanzioni civili dovuta per legge,
qualsiasi verifica sull’elemento soggettivo del soggetto
che non versava i contributi previdenziali era stata
sempre esclusa.
Va, altresì, precisato che la
disciplina precedente già aveva posto taluni problemi
interpretativi che avevano causato, come meglio vedremo
in seguito, il formarsi di diversi orientamenti
giurisprudenziali, il cui contrasto è stato risolto
dalla Cassazione Civile a Sezioni Unite solo
recentemente, fornendo, a parere dello scrivente, degli
spunti che possono tornare utili anche per la disamina
della disciplina prevista dalla legge attualmente in
vigore ( L. n° 388/2000).
Partendo dall’esame del dettato
normativo si rileva che il comma 8 dell’art 116 della
legge n° 388/2000 prevede che:
“8. I soggetti che non provvedono
entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o
premi dovuti alle gestioni previdenziali ed
assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore
a quella dovuta, sono tenuti:
a) nel caso di mancato o ritardato
pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è
rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie,
al pagamento di una sanzione civile, in ragione d´anno,
pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5
punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40
per cento dell´importo dei contributi o premi non
corrisposti entro la scadenza di legge;
b) in caso di evasione connessa a
registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non
conformi al vero, cioè nel caso in cui il datore di
lavoro, con l´intenzione specifica di non versare i
contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere
ovvero le retribuzioni erogate, al pagamento di una
sanzione civile, in ragione d´anno, pari al 30 per
cento; la sanzione civile non può essere superiore al 60
per cento dell´importo dei contributi o premi non
corrisposti entro la scadenza di legge. Qualora la
denuncia della situazione debitoria sia effettuata
spontaneamente prima di contestazioni o richieste da
parte degli enti impositori e comunque entro dodici mesi
dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o
premi e semprechè il versamento dei contributi o premi
sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia
stessa, i soggetti sono tenuti al pagamento di una
sanzione civile, in ragione d´anno, pari al tasso
ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la
sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento
dell´importo dei contributi o premi non corrisposti
entro la scadenza di legge.
9. Dopo il raggiungimento del tetto
massimo delle sanzioni civili nelle misure previste alle
lettere a) e b) del comma 8 senza che si sia provveduto
all´integrale pagamento del dovuto, sul debito
contributivo maturano interessi nella misura degli
interessi di mora di cui all´articolo 30 del decreto del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602,
come sostituito dall´articolo 14 del decreto legislativo
26 febbraio 1999, n. 46.”
La disposizione di legge n° 388/00
art 116 c° 8- dopo aver riprodotto la dizione contenuta
nella previgente norma (“… in caso di evasione connessa
a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non
conformi al vero …”) - specifica che l’evasione si
riferisce al “…caso in cui il datore di lavoro, con
l’intenzione specifica di non versare contributi o
premi, occulta il rapporto di lavoro in essere ovvero le
retribuzioni erogate …”.
Deve dunque prendersi atto che il
legislatore ha da un lato introdotto il riferimento
esplicito all’elemento psicologico (l’intenzionalità)
del datore di lavoro; dall’altro, ha tipizzato la
fattispecie dell’evasione contributiva prevedendo
l’ipotesi di occultamento del rapporto di lavoro o delle
retribuzioni erogate.
Con riguardo all’omissione
contributiva deve invece rilevarsi che il legislatore
ripropone la dizione normativa presente nella legge
precedente (L. n° 662/1996 -“nel caso di mancato o
ritardato pagamento di contributi o premi, il cui
ammontare e´ rilevabile dalle denunce e/o registrazioni
obbligatorie…”) con la conseguenza che, anche sotto la
nuova legge, si possono ripresentare gli stessi problemi
interpretativi che tale disposto ha provocato nel
vecchio regime giuridico, risolti poi con l’intervento
delle Sezioni Unite del 2005 con sentenza n° 4808.
Elemento in comune alle due
fattispecie è il fatto del mancato pagamento dei
contributi o premi dovuti per legge. Ciò che rileva è il
fatto negativo, ovvero il mancato pagamento; la
presenza, infatti, del versamento entro il termine di
legge dei contributi e premi dovuti, segna la soglia di
non sanzionabilità del comportamento del datore di
lavoro. Il fatto del ritardato pagamento, invece, rileva
nella fattispecie dell’omissione contributiva, come è
chiaramente previsto dal dettato normativo e dovrebbe
escludere a priori la configurabilità della fattispecie
più grave dell’evasione contributiva.
Si è usato il condizionale perché
si può ipotizzare il caso limite in cui vi sia il
ritardato pagamento dei contributi ma manchino, come
richiesto per l’omissione, le denunce e/o registrazioni
obbligatorie da cui sia rilevabile l’ammontare.
In questo caso potrebbe essere
utile la fattispecie della regolarizzazione spontanea
regolata dal c° 8 lett b) dell’art 116 della predetta
legge subito dopo la disciplina dell’evasione con la
conseguenza che se la denuncia della situazione
debitoria sia fatta spontaneamente, intervenga cioè
prima che l’Ente previdenziale impositore faccia delle
richieste, e comunque entro un anno dalla scadenza del
termine di pagamento dei contributi, il contribuente è
tenuto a pagare le sanzioni civili in misura pari a
quella dell’omissione contributiva.
Che il ritardato pagamento possa
integrare, nel caso di assenza di registrazioni e/o
denunce obbligatorie, un’ipotesi di evasione
contributiva, lo si ricava anche dal c° 8 dell’art 116
della legge n° 388/00 laddove si dice che “I soggetti
che non provvedono entro il termine stabilito al
pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni
previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in
misura inferiore a quella dovuta, sono tenuti…….” .
La norma non attribuisce alcuna
priorità logico-strutturale o di residualità ad una
delle fattispecie disciplinate, ma descrive, ponendole
sullo stesso piano, sia l’ipotesi dell’omissione che
quella dell’evasione richiamando esplicitamente, per il
caso di omissione, il caso del mancato pagamento e del
ritardato pagamento dei contributi, mentre per il caso
dell’evasione, parla genericamente di “evasione connessa
a denunce o registrazioni omesse o non conformi al vero”
senza però chiarirne il concetto.
Tale concetto ( evasione) potrebbe
essere riempito sul piano oggettivo proprio dal comma 8
dell’articolo 116 fino ad includere le ipotesi di
mancato pagamento dei contributi entro i termini
previsti per legge con la conseguenza, come peraltro già
detto, che il ritardato pagamento associato a denunce o
registrazioni omesse o anche, come vedremo meglio, non
conformi al vero, possono integrare un’ipotesi di
evasione.
Elemento che dunque discrimina le
due fattispecie è la presenza di denuncie e
registrazioni obbligatorie conformi al vero. La
conformità al vero, in verità, è prevista solo per la
fattispecie dell’evasione contributiva ma, a parere
dello scrivente, tale requisito integra anche la
fattispecie dell’omissione perché la perifrasi “ il cui
ammontare sia rilevabile dalle registrazioni e/o denunce
obbligatorie”, contenuta proprio nella fattispecie
dell’omissione contributiva, presuppone che via sia
corrispondenza tra quanto denunciato dal datore di
lavoro e quanto dovuto dallo stesso per legge, con la
conseguenza che le denunce e/o registrazioni per
assolvere alla funzione descritta dalla legge, ovvero
consentire la rilevazione dell’ammontare dei contributi
dovuti per legge ( fattispecie dell’omissione) , devono
essere per forza conformi al vero.
Una conferma a contrario di quanto
finora detto la troviamo peraltro nella disciplina
sull’evasione contributiva dove chiaramente si fa
riferimento a denunce o registrazioni omesse o non
conformi al vero.
Pertanto sul piano oggettivo ciò
che distingue l’ipotesi dell’evasione contributiva da
quella dell’omissione è un elemento negativo (mancato
pagamento dei contributi previdenziali o mancato
pagamento dei contributi entro il termine previsto per
legge) cui si aggiunge, normalmente, un ulteriore
elemento negativo ( mancanza di denunce o registrazioni
cui è assimilata l’ipotesi di presenza di denunce o
registrazioni non conformi al vero).
Simmetricamente l’ipotesi di
omissione contributiva è integrata dall’elemento
negativo del mancato o ritardato versamento dei
contributi, cui si aggiunge il fatto positivo della
presenza di denunce o registrazioni conformi al vero.
Passiamo ora ad esaminare l’altra
novità introdotta dal legislatore con riguardo
all’ipotesi dell’evasione, ovvero il richiamo
all’elemento soggettivo dell’intenzionalità di non
versare i contributi e premi dovuti per legge.
Va detto che la volontà del datore
di lavoro nelle precedenti normative in tema di sanzioni
civili era pressocché irrilevante, tanto che la
giurisprudenza di legittimità ebbe a precisare che la
sanzione in argomento è una conseguenza automatica
dovuta per legge per il mancato o tardivo versamento dei
contributi in funzione di rafforzamento
dell’obbligazione contributiva e di predeterminazione
legale ( con valore di presunzione assoluta) del danno
cagionato all’Ente Previdenziale e, pertanto, non è
consentita alcuna indagine sull’elemento soggettivo del
debitore al fine dell’esclusione o della riduzione della
sanzione civile ( Cass. n° 17650/2003, 16060/2003).
Il legislatore, nel tentativo di
essere chiaro, ha specificato cosa si debba intendere
per specifica volontà di non versare i contributi,
tipizzando talune condotte, quali quella di occultare
rapporti di lavoro in essere o le retribuzioni erogate.
Lo sforzo posto in essere quindi è
quello di fornire a chi è tenuto ad applicare la norma
dei parametri oggettivi su cui operare l’indagine
soggettiva fissando, nel contempo, anche il momento nel
quale tale verifica vada effettuata.
Tale ultima operazione è realizzata
agganciando la verifica da fare sull’elemento soggettivo
alla presenza o meno delle denunce o registrazioni ed
alla loro conformità al vero che non potrà certo
ritenersi sussistere nel caso in cui taluni rapporti di
lavoro siano stati occultati o siano state taciute le
retribuzioni erogate, e quindi, astraendo, nel momento
in cui non si comunichino all’Ente Previdenziale in
tutto o in parte i dati essenziali per determinare
l’obbligazione contributiva.
Pertanto l’indagine sull’elemento
soggettivo, ovvero sull’intenzione specifica di non
versare i contributi, va fatta verificando se il datore
di lavoro abbia assolto diligentemente all’obbligo di
comunicazione dei dati significativi dell’obbligazione
contributiva ( occultamento del rapporto di lavoro o
delle retribuzioni erogate).
Ad una analisi più profonda del
richiamo fatto dal legislatore alle “ retribuzioni
erogate” emergono alcuni problemi applicativi di cui
bisogna tenerne conto.
Partendo infatti dal presupposto
che la obbligazione contributiva è eterodeterminata
dalla legge va ricordato che l’art 1 del D.l. n° 338/89
convertito in legge n° 389/1989 prevede che “La
retribuzione da assumere come base per il calcolo dei
contributi di previdenza e di assistenza sociale non può
essere inferiore all´importo delle retribuzioni
stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi,
stipulati dalle organizzazioni sindacali più
rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi
collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi
una retribuzione di importo superiore a quello previsto
dal contratto collettivo.”
La contribuzione previdenziale,
pertanto, è agganciata, nel suo valore minimo, alla
retribuzione minimale prevista dalla contrattazione
collettiva per quel tipo di rapporto di lavoro e
mansioni espletate dal dipendente del datore di lavoro,
con la conseguenza che la retribuzione effettivamente
erogata rileva, ai fini della determinazione
dell’obbligo contributivo, solo qualora la stessa sia
superiore ai minimali previsti dalla contrattazione
collettiva, nulla vietando, infatti, che il datore di
lavoro offra al proprio dipendente, attraverso una
pattuizione negoziale integrativa condotta a livello di
contrattazione collettiva decentrata o, al più, a
livello personale, una retribuzione superiore a quella
prevista ( cosiddetta derogabilità in melius della
contrattazione collettiva) .
Pertanto anche ai fini della
determinazione della sanzione civile per evasione
contributiva la “retribuzione erogata” rileverà solo in
positivo qualora, cioè, questa sia superiore all’importo
minimo delle retribuzioni previste dalla contrattazione
collettiva, tale per cui se in questo caso la predetta
retribuzione non viene denunciata per il suo effettivo
ammontare, si realizza un’ipotesi di evasione
contributiva; nel caso in cui, invece, “le retribuzioni
erogate” risultino essere inferiore ai predetti
minimali, la denuncia dovrà tener conto del dato
previsto dalla legge, i minimali appunto, a nulla
rilevando, ai fini della determinazione dell’obbligo
contributivo, nonché della qualificazione della sanzione
civile come evasione contributiva, il fatto che si
denuncino delle retribuzioni pari a quelle
effettivamente erogate.
A) Vecchi problemi interpretativi
che tornano.
Uno dei problemi interpretativi
posti all’attenzione della Giurisprudenza è “se il
mancato pagamento dei contributi previdenziali - nel
caso in cui l´obbligato abbia omesso di trasmettere i
modelli mensili DM 10, pur in presenza di regolare
iscrizione dei lavoratori nei libri aziendali -
configuri la fattispecie dell´"omissione contributiva"
di cui alla lett. a) della norma predetta, ovvero
integri i diversi, più gravosi estremi dell´"evasione."
Su tale quesito, all´interno della
Sezione lavoro della Corte sono, emersi, di recente, due
diversi orientamenti: il primo di questi (cfr. Cass.
533/2003 e Cass. 14727/2003) ritiene che il connotato
essenziale dell´ipotesi più grave, della "evasione
contributiva", sia l´impossibilità di diretta
rilevazione, da parte dell´ente previdenziale,
dell´esistenza e dell´ammontare del credito contributivo
vantato: tale ipotesi non ricorrerebbe, viceversa, tutte
le volte in cui i relativi dati siano ricavabili dalle
registrazioni obbligatorie (libri paga e matricola), e,
quindi, anche in assenza di regolare trasmissione delle
denunzie attraverso i modelli mensili DM 10.
Diversamente opinando - e cioè
includendo nell´ipotesi più grave la mancata
ottemperanza anche ad uno solo dei numerosi obblighi di
segnalazione del debito contributivo (quale, ad esempio,
il mancato invio dei DM 10 alla scadenza pur in presenza
di regolare tenuta dei libri paga) o comunque di
elementi asseveranti chiaramente il debito contributivo
- il sistema peccherebbe di coerenza e di logicità,
perché finirebbe per sanzionare allo stesso modo detta
fattispecie e quella, molto più grave, di assenza
completa di documentazione che occulti il debito
medesimo.
Conviene subito sgombrare il campo
da quest´ultima osservazione, solo apparentemente
decisiva: a ben vedere una tale incoerenza non è
ravvisabile poiché non è irragionevole equiparare
l´assenza della necessaria documentazione al mancato
invio della medesima all´istituto previdenziale nei
termini prescritti. In entrambi i casi, infatti, le
funzioni di accertamento istituzionalmente spettanti
all´istituto risultano ostacolate, se non compromesse
nel tempo. Né potrebbe ritenersi che l´ipotesi di
carenza assoluta di documentazione debba essere
sanzionata più severamente solo perché può occultare
rapporti di lavoro "in nero": una situazione del genere
potrebbe infatti essere nascosta anche dietro una
documentazione incompleta o comunque trattenuta nella
disponibilità dal datore di lavoro, pronto ad esibirla
non appena "visitato" dagli ispettori.
Va tenuto presente che gli obblighi
di segnalazione del debito contributivo sono molteplici
attenendo essi: a) agli obblighi di comunicazione nei
confronti dell´Inps (e cioè l´obbligo di presentare le
denunce contributive relative ai periodi di paga scaduti
redatte su moduli predisposti dall´istituto: si tratta
della compilazione e dell´invio dei due modelli DM 10
con cadenza mensile ex art. 30 l. 843/1978); b)
l´obbligo delle denunce periodiche (giacché l´art. 4
della l. 467/1978 impone di presentare all´Inps, entro
il 31 marzo di ogni anno, la denuncia nominativa dei
lavoratori occupati mediante modello 01/M, con
l´indicazione anche di tutti i dati necessari per
l´applicazione delle norme in materia di previdenza ed
assistenza obbligatoria); c) gli obblighi di
registrazione sui libri paga (in cui devono figurare le
retribuzioni corrisposte e le relative trattenute,
nonché il numero di ore lavorate per ciascun giorno,
l´indicazione distinta delle ore di lavoro
straordinario, la retribuzione effettivamente
corrisposta in denaro e in natura, ex lege 4/1953 e art.
20 d.P.R. 1124/1965).
In particolare, le modalità di
denuncia e di versamento dei contributi previdenziali
sono dal citato art. 30 della l. 943/1978 testualmente
desunte dal d.m. 5 febbraio 1969 (pubblicato su G.U.
67/1969) espressamente ispirato allo scopo di attuare un
sistema di versamento "... tale da consentire la diretta
rilevazione della retribuzione imponibile". Detta
finalità veniva perseguita proprio attraverso
l´istituzione di un sistema di denunzia dei contributi
basato sulla trasmissione degli elenchi nominativi dei
lavoratori occupati, con l´indicazione delle
retribuzioni corrisposte, di modo che i dati rilevabili
da quegli elenchi potessero consentire anche la
tempestiva ricostruzione delle posizioni assicurative,
per una sollecita liquidazione delle pensioni degli
aventi diritto, nonché la periodica informazione ai
lavoratori dell´accreditamento dei contributi versati a
loro favore.
Non può negarsi, infatti, che
l´ipotesi meno grave, di cui alla lett. a) dell´art. 1,
comma 217, si articola in due sub ipotesi, ravvisabili:
a1) nel mancato o ritardato pagamento di contributi o
premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e
registrazioni obbligatorie; a2) nel mancato o ritardato
pagamento di contributi o premi il cui ammontare è
rilevabile dalle denunce o dalle registrazioni
obbligatorie. Nell´ipotesi sub a1) la meno grave
fattispecie dell´omissione contributiva si realizza
quando tutti gli adempimenti obbligatori risultano
regolarmente effettuati, mancando solo il pagamento,
mentre l´ipotesi sub a2), pur nella sua apparente
contraddittorietà si spiega perché vi sono casi in cui
non vi è obbligo di registrazioni, pur sussistendo
l´obbligo della denuncia (come nel caso di collaboratori
familiari) sicché è sufficiente, perché si abbia
omissione contributiva, che sia regolare la denuncia,
senza il relativo pagamento.
Supporta tale conclusione la
considerazione - fatta propria dalla citate sentenze
1552/2003 e 5386/2003 - che, diversamente opinando, non
troverebbe mai applicazione l´ipotesi particolare -
ricadente appunto nella lett. b) e non nella lett. a)
secondo l´espressa previsione dell´ultimo periodo
dell´art. 1, comma 217, cit. - della spontanea denuncia
tardiva (c.d. ravvedimento operoso) entro sei mesi dalla
scadenza del termine stabilito per il pagamento dei
contributi se il ritardo nella denuncia dovesse
equipararsi per ciò solo (e quindi sempre) alla
fattispecie del mero mancato o ritardato pagamento dei
contributi. E, se è vero che, nel caso di denuncia
presentata spontaneamente entro i sei mesi dalla
scadenza del termine di adempimento, la sanzione una
tantum non è dovuta, realizzandosi una fattispecie di
"ravvedimento operoso", previsto dal legislatore,
occorre pur sempre considerare che, per beneficiare
della misura premiale dell´eliminazione della sanzione
predetta, il versamento dei contributi o premi deve
essere effettuato entro trenta giorni dalla denuncia
stessa.
Senza trascurare di considerare che
un´interpretazione meno rigorosa del concetto di
omissione, esteso a tutte le ipotesi che in qualunque
modo abbiano reso possibile all´ente previdenziale
l´accertamento degli inadempimenti contributivi, anche a
distanza di tempo, o in ritardo rispetto alle cadenze
informative periodiche prescritte dalla l. 843/1978,
aggraverebbe la posizione dell´ente previdenziale,
imponendo allo stesso un´incessante attività ispettiva,
laddove il sistema postula, anche nel suo aspetto
contributivo, per la sua funzionalità, una
collaborazione spontanea tra i soggetti interessati”.
La Cassazione conclude che “ne
deriva, quindi, che, nel vigore della l. 662/1996
(applicabile alla specie), in ogni ipotesi in cui le
denuncie obbligatorie non siano state presentate è
integrata la fattispecie legale sanzionabile, anche
qualora i dipendenti risultino registrati nei libri
matricola”.
Le Sezioni Unite hanno affrontato i
nodi interpretativi che la norma pone ma, a parere dello
scrivente, hanno perso un’occasione utile per
esplicitare ciò che emerge dalla lettura del contesto
normativo ovvero che le denunce e le registrazioni
obbligatorie non sono la stessa cosa, assolvono ad una
funzione diversa e, quindi, la loro presenza o meno non
è equipollente.
Ma andiamo per ordine.
Partiamo dalle considerazioni della
Cassazione secondo cui la disgiunzione inclusiva e/o, ma
che come vedremo tale non è, si divide in due ipotesi:
a1) nel mancato o ritardato pagamento di contributi o
premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e
registrazioni obbligatorie; a2) nel mancato o ritardato
pagamento di contributi o premi il cui ammontare è
rilevabile dalle denunce o dalle registrazioni
obbligatorie.
Dalla prima ipotesi si ricava che
sussiste l’ipotesi di omissione in caso di mera mancanza
del pagamento dei contributi o premi dovuti per legge
entro i termini previsti per legge ed in presenza di
registrazioni obbligatorie e denunce. La congiunzione
presuppone che ricorrano ambo gli elementi e quindi se
fermiamo l’analisi della proposizione a questi elementi
sembrerebbe che condizione necessaria perché si integri
la fattispecie dell’omissione contributiva è che vi
siano le registrazioni obbligatorie più le denunce.
Dall’ipotesi sub a2) si ricava il
caso in cui il mancato o ritardato pagamento di
contributi o premi il cui ammontare è rilevabile dalle
denunce o dalle registrazioni obbligatorie.
Che la disgiunzione “o” sia
inclusiva od esclusiva è irrilevante perché dal punto di
vista logico in entrambe le ipotesi la ricorrenza delle
denunce o delle registrazioni è equipollente, portano
cioè allo stesso risultato logico.
La Cassazione si è messa in una
situazione di comodo ed ha portato come esempio per
risolvere quella che definisce apparente
contraddittorietà della norma, il caso dei collaboratori
domestici in cui vi è un obbligo di denuncia e non di
registrazione ed ha concluso che è sufficiente perché
sussista l’omissione contributiva la presenza, in tale
caso, della denuncia e non della registrazione.
Quanto detto serve a risolvere il
caso dei collaboratori domestici ma non affronta
l’ipotesi generale in cui le registrazioni obbligatorie
siano tali e quindi debbano esistere ed, ancora, non
chiarisce che relazione vi sia tra le denunce e le
registrazioni obbligatorie.
Le denunce assolvono, come vedremo
meglio in prosieguo in base a taluni principi vigenti in
materia di obbligazioni pubbliche, ad una funzione
ulteriore rispetto alle registrazioni obbligatorie,
perciò perché si abbia omissione è sufficiente che vi
siano le sole denunce e non è necessario che vi siano le
registrazioni obbligatorie.
Quanto detto non vale per l’ipotesi
inversa, ovvero sostituendo le denunce alle
registrazioni.
A questa conclusione si giunge
proprio dall’esame dell’ipotesi sub a2) ovvero quella
del mancato o ritardato pagamento di contributi o premi
il cui ammontare è rilevabile dalle denunce o dalle
registrazioni obbligatorie.
Dall’esame dell’ipotesi sub a1),
infatti, avevamo dedotto che c’era bisogno di ambo gli
elementi.
Quanto detto è d’altronde
confermato estrinsecamente dalla lettera b) del comma in
punto di evasione contributiva dove chiaramente sul
piano oggettivo si dice “in caso di evasione connessa a
registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non
conformi al vero” con la conseguenza che in tale
fattispecie si contempla anche l’ipotesi in cui ad
essere omesso possa essere indistintamente la
registrazione o la denuncia.
L’ipotesi sub a2) serve, nei limiti
di quanto appena detto, ad estendere la fattispecie
dell’omissione e a limitare la fattispecie dell’evasione
contributiva.
D’altro canto sul pian sistematico
non può non rilevarsi che i dati contenuti nei libri
obbligatori fanno fede per fatti contrari
all’imprenditore ( 2709 c.c.) in virtù del fatto che i
documenti sono precostituiti dall’imprenditore.
Relativamente alla sussistenza di
un rapporto di lavoro, quale presupposto degli obblighi
contributivi, le risultanze dei libri paga e matricola
hanno valore probatorio non solo ai sensi dell´art. 2709
c.c., ma anche ai sensi dell´art. 2735 c.c.., come vere
e proprie confessioni stragiudiziali, in quanto le
relative dichiarazioni sono rese dall´imprenditore non
soltanto in favore del lavoratore o eventualmente di
altri imprenditori, per rapporti inerenti all´esercizio
dell´impresa ma anche a favore dell´INPS, che, a norma
dell´art. 3 del D.L. n. 463/83 (convertito nella legge
638/83), ha il potere di accertare gli obblighi
contributivi e, quindi, la sussistenza dei rapporti di
lavoro, attraverso l´esame dei libri matricola e paga,
dei documenti equipollenti e di ogni altra scrittura
contabile. (Cass.n.376/2001).
B) Recenti orientamenti della
Giurisprudenza di Legittimità
La Cassazione con recente sentenza
n° 1230/2011, pronunciandosi per la prima volta sul
regime giuridico di cui alla legge n° 388/2000 ha
espresso tale principio di diritto:” In tema di
obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni
previdenziali, nel vigore della legge 23 dicembre 2000
n° 388 la mancata presentazione del modello DM/10 (
recante la dettagliata indicazioni dei contributi da
versare) configura la fattispecie della omissione – e
non già dell’evasione – contributiva, ricadente nella
previsione della lettera a) dell’art. 116, comma 8 della
medesima legge”.
Un principio di diritto, questo,
che a dire il vero nel caso di specie va oltre alla
realtà dei fatti.
Va precisato, infatti, sul piano
fattuale che nel caso in esame il contribuente aveva
presentato le denuncie riepilogative annuali ed aveva
effettuato tutte le registrazioni obbligatorie nel libro
unico del lavoro, così come richiesto dall’art 39 del
d.l. n° 112/2008.
La Cassazione, però, dimostrando di
conoscere la differenza che sussiste tra le vecchie
denunce annuali 01/m, le quali erano indirizzate
all’Inps, e le denunce 770 che hanno, in un ottica di
semplificazione degli adempimenti fiscali, unificato le
denunce previdenziali e fiscali prevedendo che la
sezione previdenziale delle denunce annuali nominative
dei lavoratori siano indirizzate al Ministero
dell’economia ( Agenzia delle Entrate) seppure abbiano
come destinatario l’Inps, sottolinea che tale novità non
costituisce un impedimento per l’Istituto ad accertare
il debito contributivo, e si spinge ancora più avanti,
cadendo, a parere dello scrivente, in errore. Infatti
premesso che la sentenza distingue tra denunce
obbligatorie, intese come comunicazioni inviate dal
contribuente all’ente pubblico e registrazioni
obbligatorie quelle annotazioni effettuate dal datore di
lavoro nei libri obbligatori oggi, Libro Unico del
Lavoro ( LUL), si arriva alla conclusione di considerare
equipollenti le due annotazioni.
Questa conclusione non può essere
accettata sia per quanto finora detto in tema di denunce
obbligatorie e registrazioni sia per considerazioni di
carattere generale sulle obbligazioni pubbliche.
Va rilevato, infatti, che le
obbligazioni previdenziali, come anche quelle
tributarie, sono assoggettate al principio di
autoliquidazione ed autodenucia; il contribuente deve,
quindi, autodeterminare il contributo previdenziale o il
tributo dovuto e portarlo a conoscenza dell’Ente
impositore con apposite denunce provvedendo, altresì, al
pagamento di quanto dovuto. La pubblica Amministrazione
dal canto suo effettua dei controlli formali e
sostanziali su quanto denunciato, e, qualora riscontri
delle incongruenze, provvede a modificare l’importo di
quanto dovuto. Da quanto detto emerge che il
contribuente è tenuto a presentare le denunce
obbligatorie in ottemperanza ad un obbligo di
collaborazione nei confronti della pubblica
amministrazione consentendo per questa via il
trasferimento delle informazioni necessarie a
determinare l’entità del tributo o contributo dovuto per
legge dal contribuente alla pubblica amministrazione.
Nel nostro sistema tributario e
previdenziale questa funzione è essenziale e quindi le
registrazioni obbligatorie ( oggi L.U.L.) non possono
essere messe sullo stesso piano delle denunce
obbligatorie. La Cassazione con la sentenza 1230/2011
non coglie questa rilevante differenza tra denunce e
registrazioni, e omette di sottolineare che il
legislatore nel prevedere tutta una serie di obblighi di
denuncia ha dato rilevanza a tale momento al fine di
verificare la spontaneità del comportamento del
contribuente, con la conseguenza che è lo stesso a dover
dimostrare perché ha fatto le registrazioni, non ha
inviato le denunce obbligatorie, nonché non ha portato a
conoscenza della Amministrazione Pubblica gli elementi
essenziali per determinare l’obbligazione contributiva.
Sul piano sistematico infatti non
può che sottolinearsi che, diversamente argomentando, si
scardina il principio dell’autodenuncia e ancora più la
sua propedeudicità rispetto all’autoliquidazione,
obbligando l’Amministrazione ad un controllo continuo,
incessante e sostanziale all’interno delle aziende
attraverso l’attività ispettiva. Ciò non toglie che gli
obblighi di denuncia si siano nel tempo stratificati e
quindi vi sia bisogno di un coordinamento al fine di
verificare se l’assolvimento di taluni di essi soddisfi
l’onere di collaborazioni che il legislatore richiede,
tanto da escludere ai fini sanzionatori l’ipotesi di
evasione.
E’ questo quello che l’Inps ha
fatto con la circolare n° 66/2008 laddove ha illustrato
le novità proposte dalla legge n° 388/2000 in tema di
sanzioni civili ed ha precisato che rientrano
nell’ipotesi di omissione contributiva:
• retribuzioni imponibili ai fini
contributivi esposte sul modello SA/770, regolarmente
presentato (sempre che la presentazione del modello
SA/770 sia anteriore all’accesso ispettivo);
• differenze tra l’importo annuo
delle retribuzioni imponibili ai fini contributivi
esposte sul modello SA/770, regolarmente presentato, ed
il totale annuo delle retribuzioni esposte sulle denunce
mensili presentate dall’azienda;
Si dissente invece dalle
conclusioni cui l’Istituto giunge laddove si prevede che
“Sempre in considerazione degli elementi costitutivi
della fattispecie dell’evasione contributiva e tenuto
conto del nuovo regime delle comunicazioni di assunzione
risultante dall’art.1, comma 1180 e seguenti, della
legge 27 dicembre 2006, n.296, e dal decreto
interministeriale 30 ottobre 2007 (GU 27 dicembre 2007),
si ritiene che debba essere ricondotta nell’alveo
dell’omissione anche la mancata o tardiva presentazione
della denuncia contributiva mensile DM 10, a condizione
che il datore di lavoro abbia adempiuto nei termini di
legge alla comunicazione di assunzione e che il
lavoratore sia registrato nei libri paga e matricola
dell’azienda”.
Infatti è fuor di dubbio che le
comunicazioni preventive di assunzioni inviate al
Ministero del Lavoro abbiano efficacia anche nei
confronti dell’Istituto, atteso che la norma lo prevede
espressamente, ma non si tiene conto che le denunce
obbligatorie mensili, o al più quelle annuali,
forniscono le informazioni retributive specifiche per
determinare l’obbligazione contributiva che non sono
contenute nella comunicazione preventiva e non possono
essere ricavate, prescindendo da attività ispettive,
dalle registrazioni obbligatorie, oggi L.U.L., perché si
scardina il principio dell’autodenuncia e, quindi, si fa
venir meno l’obbligo di collaborazione che il
legislatore pone a carico del contribuente ( stesse
considerazioni della sentenza 1230/2011).
Per un motivo parzialmente diverso
si ritiene altresì che l’ipotesi indebito conguaglio di
sgravi o agevolazioni contributive non possa essere
ricondotta, come invece fa l’Istituto, tout court nel
caso di omissione contributiva, perché l’esposizione di
dati non conformi al vero rendono le denunce infedeli e
ben possono integrare l’ipotesi di chi con artifici e
raggiri voglia evadere parzialmente il pagamento dei
contributi previdenziali, anche se si riconosce che in
questo caso bisogna valutare il comportamento
complessivo tenuto dal contribuente.
Quanto finora detto, ai fini della
sussistenza della fattispecie dell’omissione
contributiva, specie con riguardo al rapporto che
sussiste tra denunce mensili e denunce annuali 770 vale,
mutatis mutandis, anche per il nuovo sistema di denuncia
mensile che l’Istituto ha fatto partire, prima con gli
emens, ex D.L. 269/2003 convertito con modificazioni in
legge n° 326/2003, ed ora con Uniemens.
2) Termine di prescrizione delle
sanzioni civili ex lege n° 388/2000.
Un argomento alquanto interessante
e che di primo acchito sembra di facile risoluzione è
quello del termine di prescrizione delle sanzioni
civili.
Va subito detto che il legislatore
fin dalla legge istitutiva dell’assicurazione generale
obbligatoria, la n° 1827/1935, non ha disciplinato tale
termine di prescrizione.
E’ altresì opportuno ricordare che
il codice civile prevede all’art. 2946 c.c. che la
prescrizione, salvo diverso termine previsto dalla
legge, è di dieci anni.
L’altro elemento di cui bisogna
tener conto è che le sanzioni civili sono delle
obbligazioni accessorie e quindi, come tali, dovrebbero
seguire la stessa sorte dell’obbligazione principale, di
talché dal 01/01/1996 si prescrivono, come i contributi
dovuti all’assicurazione obbligatoria generale per
invalidità vecchiaia e superstiti, in cinque anni.
Emblematicio è il passaggio della
sentenza di Cassazione n° 183/1986 secondo cui “ E’
sempre stato ritenuto che la prescrizione del credito
per le sanzioni civili sia la medesima dei contributi
cui esse ineriscono, e che dalla omissione dei
contributi, contestualmente ed automaticamente nasca
l’obbligo di versarle. Vale, dunque, il principio
dell’accessorietà, per il quale non è prevista alcuna
deroga.”
La giurisprudenza ci fornisce,
ciononostante, qualche utile spunto su cui ragionare.
Va premesso che per i periodi
precedenti al 01/01/1996 il problema sotto il profilo
giuridico non si poneva, atteso che il termine di
prescrizione ordinario previsto dal codice civile
coincideva con il termine di prescrizione previsto per i
contributi previdenziali; almeno questo lo è stato,
andando a ritroso, fino al 1969, perché per il periodo
precedente la prescrizione dei contributi tornava di
nuovo ad essere di cinque anni ( L. n° 1827/1935).
Quanto alla prassi dell’Istituto
Previdenziale va detto che con circolare n° 262/1995 si
è incidentalmente detto che “Qualora i contributi siano
stati pagati in ritardo rispetto al termine di scadenza
legale, le relative sanzioni civili che risulteranno
dovute e che restano cristallizzate alla data del
pagamento, si prescriveranno nello stesso termine
prescrizionale stabilito per il debito contributivo.
Sara´ quindi necessario in questo caso porre in essere
atti interruttivi anche per i crediti relativi alle sole
sanzioni civili”.
Con sentenza n° 18148/2006 la
Cassazione ha precisato che “Le sanzioni civili,
pertanto, costituiscono obbligazioni di natura diversa
dall’obbligazione contributiva. Scopo dell’obbligazione
contributiva è la costituzione presso l’ente gestore
della provvista necessaria all’erogazione delle
prestazioni previdenziali ed assistenziali. Scopo della
sanzione civile è il rafforzamento dell’obbligazione
contributiva mediante l’irrogazione di una pena
pecuniaria al trasgressore. L’innegabile funzione
accessoria della sanzione pecuniaria rispetto
all’obbligazione contributiva non vale ad annullare le
sostanziali differenze esistenti tra le due figure.
Una prima conseguenza sul piano
pratico è che alle sanzioni civili (o somme aggiuntive)
non è applicabile il regime di prescrizione previsto per
le obbligazioni contributive. In particolare non è
applicabile il disposto dell’art. 3 commi 9 e 10 della
legge n. 335 del 1995 che si riferisce espressamente
soltanto alle contribuzioni di previdenza e di
assistenza e non alle sanzioni pecuniarie……”.
La Cassazione dopo aver richiamato
le leggi sulle sanzioni civili n° 48/1988 e 662/1996
precisa che “ Con riferimento alle sanzioni previste
dall’art 4 della legge n° 48/1988 questa Corte ha
ripetutamente affermato che la prescrizione quinquennale
prevista dall’art. 2948 n°4 c.c. per tutto ciò che deve
pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi si
riferisce alle obbligazioni periodiche e di durata,
caratterizzate dal fatto che la prestazione è
suscettibile di adempimento solo con il decorso del
tempo, sicché anche gli interessi previsti dalla stessa
disposizione debbono rivestire il connotato della
periodicità; ne consegue che detto regime non si applica
all’obbligazione di interessi che non abbia scadenza
annuale o infrannuale. Tale presupposto non può essere
ravvisato nel caso delle somme aggiuntive, perché la
norma sopra considerata fa indubbiamente riferimento ad
una somma da versare in unica soluzione, per il
pagamento della quale non è prevista alcuna scadenza
periodica, sicché il corrispondente credito dell’ente
previdenziale resta assoggettato al termine
prescrizionale decennale previsto in via generale
dall’art. 2946 c.c. ( vedi Cass. n° 14152 del 2004,
Cass. n° 411 del 1999, Cass. n° 2498 del 1998, Cass. n°
1110 del 1994).”
La questione dunque è accertare sul
piano logico-giuridico se il principio di accessorietà
sia in grado di derogare alla disciplina sulla
prescrizione generale prevista dall’art 2946 c.c.
Che la categoria delle obbligazioni
accessorie possa comportare sul piano positivo una
sfasatura tra il termine di prescrizione previsto per
l’obbligazione principale e quello del vincolo
accessorio, lo ricaviamo dal codice civile laddove si
tenga presente che l’obbligazione accessoria degli
interessi si prescrive in un termine minore
dell’obbligazione principale.
Il problema è capire se si possa
verificare il contrario, ovvero che l’obbligazione
accessoria si possa prescrivere in un termine superiore
a quello della obbligazione principale, tale per cui
possa venire meno quel nesso logico-giuridico che lega
l’obbligazione principale a quella accessoria in base al
quale l’obbligazione accessoria segue le sorti
dell’obbligazione principale.
Va detto subito che questo nesso
deve necessariamente sussistere nella fase genetica, non
è pensabile, cioè, che l’obbligazione accessoria sorga a
prescindere dall’obbligazione principale ma non è detto
che si verifichi l’inverso, ovvero l’estinzione
dell’obbligazione principale porti all’automatica
estinzione di quella accessoria. Ciò che si vuol dire è
che una volta venuta ad esistenza l’obbligazione
accessoria acquista una sua autonomia funzionale e
quindi le vicende estintive dell’obbligazione
principale, eccezion fatta per quelle che riguardano il
momento genetico dell’obbligazione, sono irrilevanti ai
fini dell’estinzione dell’obbligazione accessoria. Basti
pensare che l’adempimento della sola obbligazione
principale non causa certamente l’estinzione
dell’obbligazione accessoria; così si può anche giungere
alla conclusione che la prescrizione dell’obbligazione
principale non per questo causi l’estinzione di quella
accessoria. D’altro canto va ricordato che la funzione
delle sanzioni civili è quella di rafforzare
l’adempimento mediante l’irrogazione di una pena
pecuniaria al trasgressore. L’innegabile funzione
accessoria della sanzione pecuniaria rispetto
all’obbligazione contributiva non vale, quindi, come già
detto dalla giurisprudenza di Legittimità citata (Cass.
N° 18148/2006) ad annullare le sostanziali differenze
esistenti tra le due figure.
Non va peraltro trascurato che la
disciplina sulla prescrizione è inderogabile e quindi
per quanto detto, a parere dello scrivente,
l’obbligazione accessoria non è in grado di derogare
alla disciplina generale sulla prescrizione prevista
dall’art 2946 del c.c. con al conseguenza che, in
mancanza di una espressa previsione normativa, la
prescrizione delle sanzioni civili deve ritenersi che
sia di dieci anni e non di cinque anche dopo la novella
normativa in materia di contribuzione obbligatoria IVS
ad opera della legge n° 335/1995.
3) Sussistenza, in caso di cessione
di azienda, dell´obbligo sanzionatorio in capo al
cessionario distinguendo rispettivamente il caso in cui
il debito contributivo principale sia registrato o meno
nei libri obbligatori ( art. 2560 c.c.).
La giurisprudenza di Legittimità (
Cass. N° 4726/2002) è chiara nel sostenere che in caso
di trasferimento di azienda non opera, per i debiti
previdenziali, il regime di responsabilità solidale di
cui all’art 2112 del c.c., atteso che tale
responsabilità riguarda solo i crediti da lavoro e non
anche quelle dei terzi, cui i debiti previdenziali sono
assimilati. Ciò comporta che il cessionario, in base
alla disciplina prevista dall’art 2560 c.c., subentra
nei debiti previdenziali solo qualora gli stessi siano
registrati nei libri obbligatori. Si deve infatti
osservare che l’iscrizione dei debiti nelle scritture
contabili obbligatorie costituisce elemento costitutivo
della responsabilità dell’acquirente dell’azienda e non
può essere surrogata dalla prova che la conoscenza
dell’esistenza dei debiti sussisteva comunque in capo
all’acquirente medesimo ( v. Cass. 20 febbraio 1999 n°
1429, Cass. 20 giugno 1998 n° 6173, Cass. 3 marzo 1994
n° 2108).
Da quanto detto emerge che nel caso
in cui non sia registrato nei libri obbligatori il
debito principale, il cessionario non risponde neanche
per il debito accessorio, così come qualora si registri
il debito principale e quello accessorio, il cessionario
non potrà che essere tenuto all’adempimento.
Il problema si verifica qualora ad
essere registrato nei libri obbligatori sia solo il
debito principale e non anche l’obbligazione accessoria,
si pensi proprio al caso dei contributi previdenziali
obbligatori e delle sanzioni civili.
In questa ipotesi è scontato che,
in applicazione della disciplina prevista dall’art. 2560
c.c., l’acquirente risponda dell’obbligazione
principale, ma cosa succede all’obbligazione accessoria?
Astraendo la questione può essere posta anche in questi
termini, ovvero che rilevanza assuma sull’obbligazione
accessoria la vicenda modificativa, specie soggettiva,
dell’obbligazione principale.
Per principio si ricava che
l’obbligazione accessoria segue quella principale,
pertanto se muta il soggetto tenuto all’adempimento
dell’obbligazione principale cambia anche quello
dell’obbligazione accessoria. D’altro canto la funzione
delle sanzioni civili è quella di rafforzare
l’adempimento mediante l’irrogazione di una pena
pecuniaria al trasgressore e quindi se si giungesse nel
caso di specie ad una conclusione diversa,
l’obbligazione accessoria perderebbe la sua forza
deterrente perché nell’ipotesi di cessione di azienda si
verificherebbe una suddivisione di responsabilità in
ragione della quale il cedente sarebbe tenuto
all’adempimento della sola obbligazione accessoria ed il
cessionario a quella dell’obbligazione principale. A ben
vedere nell’ipotesi in esame il problema sta
nell’individuare il titolo in base al quale
l’obbligazione accessoria possa transitare in capo al
cessionario, posto che siamo fuori dal regime dell’art
2560 c.c., perché il debito dell’obbligazione accessoria
non è stato registrato dei libri obbligatori. Sul punto
è utile ricordare il consolidato orientamento della
Giurisprudenza di Legittimità in base al quale il
credito per sanzioni civili trae origine da
un’obbligazione accessoria ex lege, come tale
applicabile alla categoria delle obbligazioni
generatrici di responsabilità contrattuale. Va anche
detto che la giurisprudenza richiamata muovendo da
queste premesse arriva alla conclusione, non condivisa
dallo scrivente, che stante la medesima natura giuridica
tra obbligazione principale ed accessoria il termine di
prescrizione è il medesimo. Spostando però il discorso
dalle vicende estintive delle obbligazioni a quelle
modificative delle stesse, come quella prevista dall’art
2560 del c.c., si può giungere alla conclusione che il
titolo in base al quale l’obbligazione accessoria
transita in capo all’acquirente è la stessa legge, tale
per cui se l’ordinamento ha previsto un istituto
giuridico che consente la successione nel debito
previdenziale attraverso il meccanismo dell’art 2560 c.c.,
tale fenomeno successorio non potrà che riverberarsi
anche sull’obbligazione accessoria, anche nell’ipotesi
in cui il debito accessorio non sia stato registrato nei
libri contabili obbligatori. La registrazione del debito
principale assume quindi la rilevanza di presupposto da
cui scaturisce automaticamente e per legge anche la
modificazione, sotto il profilo soggettivo,
dell’obbligazione accessoria.
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