L´ articolo 545 del codice di
procedura civile prevede espressamente che “Non possono
essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per
causa di alimenti e sempre con l’autorizzazione del
pretore e per la parte da lui determinata mediante
decreto. Non possono essere pignorati crediti aventi per
oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone
comprese nell’elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti
per maternita’, malattie e funerali da casse di
assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di
beneficenza. Le somme dovute dai privati a titolo di
stipendio, di salario di altra indennita’ relative al
rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a
causa di licenziamento, possono essere pignorate per
crediti alimentari nella misura autorizzata dal pretore.
Tali somme possono essere pignorate nella misura di un
quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e
ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito.
Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause
indicate precedentemente non puo’ estendersi oltre la
meta’ dell’ammontare delle somme predette. Restano in
ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in
speciali disposizioni di legge.”
Invero, questa statuizione
processualcivilistica, nella parte in cui prevede che
sia possibile pignorare somme dovute dai privati nella
misura del quinto del totale, era stata sovvertita da
alcune recenti pronunce della Suprema Corte (fra tutte,
Sez. V. n. 35331 del 25 giugno 2010, Dogliani). Ciò
nonostante, con sentenza n. 16168/2011 di recente
pubblicazione e che ivi si allega, viene ribadito che il
sequestro conservativo presso il datore di lavoro di
somme di danaro relative a crediti retributivi può
essere disposto in misura non superiore al quinto delle
stesse. Nel caso di specie, Tizio e Caio venivano
rinviati a giudizio per essersi impossessati
indebitamente di somme di riscossione ICI dell´ anno
2004. Dopo essere stati condannati in primo grado, in
sede di riesame, il Tribunale riconosceva l´
applicabilità dell´ art. 545 c.p.c., nella parte
suesposta, e riduceva la somma da corrispondere a titolo
di sequestro conservativo, nella misura di 1/5 della
cifra complessivamente erogata a titolo di incentivo,
agli imputati. Proponevano ricorso sia la parte civile
che gli imputati ma la S.C., in ottemperanza dell´
articolo già ampiamente esplicato, confermava la
decisione del “Riesame”.
Dott. Gianluca de Cesare
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Sentenza 4.2.2011 N. 16168
Composta dai Sigg.ri Magistrati
Dott. CONTI Giovanni - Presidente -
Dott. ROTUNDO Vincenzo -
Consigliere -
Dott. PAOLONI Giacomo - Consigliere
-
Dott. FIDELBO Giorgio - Consigliere
-
Dott. CALVANESE Ersilia -
Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) D.B.N.M., nata ad (OMISSIS);
2) L.A., nata a (OMISSIS);
3) Equitalia Polis s.p.a., in
persona del legale rappresentante p.t., contro
l’ordinanza del 24 settembre 2010 emessa dal Tribunale
di Avellino;
visti gli atti, l’ordinanza
impugnata e il ricorso;
sentita la relazione del
consigliere Dott. Giorgio Fidelbo; sentito il Sostituto
Procuratore generale, Dott. Eugenio Selvaggi, che ha
concluso per il rigetto dei ricorsi;
sentito, per la parte civile,
l’avvocato Arturo Frojo, che ha insistito per
l’accoglimento del suo ricorso;
sentito, per le imputate,
l’avvocato Luigi Petrillo, che ha insistito per
l’accoglimento del suo ricorso.
Fatto
1. - D.B.N.M. E L.A. Sono state
rinviate a giudizio immediato davanti al Tribunale di
Avellino in ordine ai reati di cui agli artt. 110, 314 e
640 c.p., perché, in concorso tra loro e con G.R. E
G.P., avendo, in qualità di dipendenti della G.E.I. -
Gestione Esattoriali Irpine s.p.a., società
concessionaria del servizio di riscossione dei tributi
per la provincia di Avellino, la disponibilità per
ragioni di ufficio delle somme ICI versate tramite
bollettini postali, si appropriavano di oltre diciotto
milioni di Euro (Euro 18.724.324,29), ritardando il
versamento nelle casse comunali delle somme provenienti
dalla riscossione ICI nell’anno 2004.
Nel corso del processo, la
costituita parte civile Equitalia Polis s.p.a., società
che aveva acquisito la G.E.I. Gestione Esattoriali
Irpine s.p.a., premesso che:
a) le imputate avevano, nel
frattempo, risolto il rapporto di lavoro con la società;
b) avevano aderito al Fondo di Solidarietà con diritto
ad un incentivo economico per le dimissioni anticipate
pari ad Euro 93.419,53 per la D.B. Ed Euro 111.275,33
per la L.;
c) le somme indicate dovevano esser
erogate alle ex dipendenti dalla Equitalia;
d) la stessa Equitalia aveva
ricevuto un danno patrimoniale di oltre sette milioni di
Euro per i fatti reato contestati alle imputate;
e) sussisteva il fondato motivo di
ritenere che le garanzie patrimoniali potessero mancare
o disperdersi;
ha chiesto il sequestro
conservativo delle somme vantate da D. B. e L..
Il Tribunale, con provvedimento del
1 giugno 2010, ritenuta l’insufficienza patrimoniale
delle imputate in relazione alla pretesa risarcitoria
vantata, ha disposto il sequestro delle intere somme
vantate dalla D.B. E dalla L. a seguito della loro
adesione al Fondo di Solidarietà.
Su istanza delle imputate, il
Tribunale del riesame di Avellino ha confermato la
sussistenza dei presupposti per la misura cautelare
reale di cui all’art. 316 c.p.p., ma ha ridotto l’entità
del sequestro, ritenendo che le somme corrisposte come
incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente
costituiscono reddito di lavoro, con la conseguenza che
tale emolumento, in quanto sostitutivo della
retribuzione non percepita, è pignorabile nella misura
di un quinto ai sensi dell’art. 545 c.p.c.. Pertanto, il
sequestro conservativo è stato disposto fino alla
concorrenza della somma di Euro 18.683,90 per la D.B. E
di Euro 22.255,06 per la L., corrispondente, appunto, ad
un quinto della somma complessivamente erogata a titolo
di incentivo alle due imputate.
2. - Contro l’ordinanza del
Tribunale del riesame hanno proposto ricorso per
cassazione sia la parte civile, che le imputate.
2.1. - L’avvocato Arturo Frojo,
nell’interesse di Equitalia Polis s.p.a., ha denunciato,
con un primo motivo, l’assoluta mancanza di motivazione
in relazione alle deduzioni proposte dalla parte civile
nell’udienza camerale del 24.9.2010 e relative alla
applicabilità della c.d. Compensazione atecnica o
impropria.
Con un secondo motivo ha dedotto
l’erronea applicazione dell’art. 545 c.p.c., e art. 1246
c.c., sostenendo, sulla base di una recente pronuncia
della Corte di cassazione e di una decisione del
Tribunale di Roma, che la regola generale, secondo cui
se uno dei due crediti contrapposti trae origine da un
rapporto di lavoro, la compensazione è possibile solo
entro il limite di un quinto, viene derogata quando
lavoratore e datore di lavoro siano titolari di
reciproche ragioni creditorie derivanti dallo stesso
rapporto di lavoro, nel qual caso possono non applicarsi
i limiti legali della compensazione, tra cui quello del
limite del quinto previsto dall’art. 545 c.p.c..
Pertanto, nel caso di specie,
trattandosi di rapporto facente capo ad un unico
soggetto – la Equitalia Polis s.p.a. - il limite di un
quinto poteva non operare, essendo derogabile secondo la
citata disciplina della compensazione atecnica.
2.2. - Nell’interesse delle due
imputate l’avvocato Luigi Petrillo, con il primo motivo
del suo ricorso, ha censurato l’ordinanza per omessa
motivazione in ordine alla dedotta carenza di
legittimazione attiva di Equitalia Polis s.p.a.,
riproponendo la stessa eccezione di difetto di
legittimazione della parte civile. In particolare,
assume che gli unici possibili danneggiati dalle
condotte contestate alle imputate sarebbero solo i
contribuenti, per le somme versate in eccedenza, e i
Comuni, per i quali la G.E.I. Curava la riscossione
dell’ICI, non certo Equitalia Polis che, peraltro, ha
fatto riferimento ad un pregiudizio patrimoniale
eventuale e mediato, rapportato alla responsabilità per
il mancato versamento delle somme oggetto di peculato.
Con un secondo motivo viene dedotta
la violazione e la omessa motivazione sulla sussistenza
del fumus commissi delicti, in relazione al reato di
peculato, presupposto per l’emissione della misura
cautelare reale. In particolare, si rileva l’erronea
applicazione dell’art. 316 c.p.p., là dove la verifica
del fumus viene riferita alla domanda di risarcimento
del danno, omettendo ogni accertamento circa la
configurabilità del peculato.
Inoltre, viene criticata
l’affermazione del Tribunale secondo cui la verifica
della sussistenza del fumus del reato sarebbe superata
dall’avvenuta emissione del decreto di giudizio
immediato e si rileva come tale giudizio sia stato
richiesto dalla difesa, sicché tale circostanza
diventerebbe del tutto irrilevante in ordine
all’astratta configurabilità del reato, che, invece,
avrebbe richiesto una autonoma e distinta
considerazione.
Con il terzo motivo viene censurata
l’ordinanza impugnata per la violazione di legge e
l’omessa motivazione sulla sussistenza del periculum in
mora. Si assume che il Tribunale oltre a non accertare
l’esistenza del pericolo di dispersione delle garanzie
patrimoniali, avrebbe “preso per buona” la
quantificazione della pretesa risarcitoria della parte
civile, senza che questa abbia offerto elementi o
criteri circa la sua quantificazione. Si sottolinea come
in relazione a questo punto il Tribunale non abbia dato
alcuna risposta.
Con una memoria depositata il 28
gennaio 2011 il difensore delle imputate ha chiesto il
rigetto del ricorso della parte civile, contestando i
motivi da questa proposta.
Diritto
3. - Il ricorso della parte civile
è infondato.
3.1. - Preliminarmente deve
escludersi la sussistenza del vizio di omessa
motivazione per il mancato esame, da parte del tribunale
del riesame, della questione circa la c.d. Compensazione
atecnica.
Invero, non può ritenersi che la
mancata considerazione di una mera argomentazione
difensiva, peraltro avanzata in sede di discussione
dalla parte civile, resistente all’istanza di riesame
avanzata dalle altre parti, possa costituire un vizio di
motivazione del provvedimento, non essendo il giudice
tenuto a prendere in considerazione tutti i temi e le
questioni poste dalle parti. Nella specie, la specifica
questione deve considerarsi implicitamente disattesa
avendo presente la complessiva motivazione
dell’ordinanza.
3.2. - Nel merito, la questione
della compensazione, riproposta in questa sede, è
infondata.
La parte civile richiama quella
giurisprudenza della Cassazione civile secondo cui
l’istituto della compensazione, cui fa riferimento tra
l’altro anche l’art. 1246 c.c., sui limiti della
compensabilità dei crediti, presuppone l’autonomia dei
rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle
parti, sicché non opera quando essi nascano dal medesimo
rapporto, il quale può comportare soltanto una
compensazione in senso improprio, ossia un semplice
accertamento contabile di dare e avere, come avviene
quando debbano accertarsi le spettanze del lavoratore
autonomo o subordinato (Sez. lav., 2 marzo 2009, n.
5024; Sez. lav., 17 aprile 2004, n. 7337).
Tuttavia, deve escludersi che i
crediti in questione derivino dal medesimo rapporto,
così come sostiene parte ricorrente. Invero, nel caso in
esame non vi è unicità dei rapporti: il credito delle
imputate deriva dal rapporto di lavoro estinto; il
credito vantato da Equitalia Polis è costituito dalla
pretesa risarcitoria che deriva da un fatto reato, che
trova solo occasione nel rapporto di lavoro delle due
imputate.
Ne consegue che correttamente il
Tribunale ha ritenuto che alla cautela reale potesse
estendersi il limite di 1/5 delle somme vantate dalle
imputate perché considerate credito di natura
retributiva.
Peraltro, questo Collegio non
condivide quanto sostenuto da una recente decisione,
secondo cui il sequestro conservativo può avere ad
oggetto una somma di denaro proveniente da un credito di
lavoro, senza che valgano i limiti all’esecuzione del
pignoramento previsti dall’art. 545 c.p.c., commi 3 e 4,
perché le questioni relative alla pignorabilità dei
crediti sarebbero proponibili solo in sede di esecuzione
civile (Sez. 5^, 25 giugno 2010, n. 35531, Donigaglia).
Invero, sostenere che il limite
posto all’efficacia del sequestro delle somme rientranti
nel concetto di retribuzione debba essere valutato
esclusivamente in fase esecutiva, sembra porsi
apertamente in contrasto con il disposto di cui all’art.
316 c.p.c., comma 1, che richiama espressamente i limiti
del pignoramento previsti dalla legge, limiti che sono
imposti sia al pubblico ministero, che al giudice,
compreso il Tribunale del riesame, cui deve riconoscersi
il potere-dovere di verificare se tale limite è stato
rispettato (Sez. 6^, 22 maggio 1997, n. 2033, Lentini).
4. - Infondato è pure il ricorso
presentato nell’interesse delle imputate.
4.1.- Quanto al primo motivo, si
osserva che nella fase cautelare il giudice non è
chiamato a verificare la legittimazione attiva della
parte civile già ammessa in giudizio, in quanto la
qualità di parte civile nel processo si acquista sin dal
momento della sua costituzione, senza necessità di un
provvedimento ammissivo, sia pure implicito, del giudice
(Sez. 3^, 6 febbraio 2008, n. 12423, Di Bernardino).
Peraltro, nella specie, la
questione dell’ammissibilità della parte civile è stata
già risolta dal giudice del dibattimento che,
nell’udienza del 4.2.2011, ha respinto l’eccezione delle
imputate e ha ammesso Equitalia Polis a costituirsi come
parte civile nel processo, sicché non può essere messa
di nuovo in discussione in una fase incidentale.
4.2. - Infondato è anche il secondo
motivo, in quanto in presenza del rinvio a giudizio del
soggetto interessato l’accertamento del fumus del reato
deve essere limitato alla verifica della pendenza di un
giudizio e dell’esistenza della contestazione, non
essendo necessario quella verifica approfondita cui
fanno riferimento le ricorrenti.
Peraltro, in sede di riesame del
provvedimento che dispone il sequestro la questione
relativa alla sussistenza del fumus commissi delicti non
è neppure proponibile, quando, come nel caso in esame,
sia intervenuto il decreto che dispone il rinvio a
giudizio del soggetto interessato che spiega efficacia
preclusiva alla delibazione del fumus del reato (Sez.
5^, 17 aprile 2009, n. 30596, Cecchi Gori;
Sez. 2^, 12 novembre 2003, n. 805,
Tuzzolo; Sez. 5^, 21 luglio 1998, n. 4906, Frattasio;
Sez. 1^, 5 aprile 1996, n. 2264, Baldassar).
4.3. - Infondato è, infine, il
terzo motivo.
L’ordinanza impugnata, richiamando
una giurisprudenza pressoché consolidata, ha ritenuto
che il periculum in mora, presupposto del sequestro
conservativo, sussiste quando il rischio di perdita
delle garanzie del credito sia apprezzabile in relazione
a concreti e specifici elementi riguardanti, da un lato,
l’entità del credito e la natura del bene oggetto del
sequestro e, dall’altro, la situazione di possibile
depauperamento del patrimonio del debitore da porsi in
relazione con la composizione del patrimonio, con la
capacità reddituale e con l’atteggiamento in concreto
assunto dal debitore medesimo (in questo senso, Sez. 6^,
6 maggio 2010, n. 26486, Barbieri; Sez. 5^, 16 febbraio
2010, n. 11291, Leone; Sez. 4^, 26 ottobre 2005, n. 111,
Pampo).
Sulla base di tali principi, è
stato riconosciuto esistente il presupposto del
periculum, in considerazione della rilevante entità
delle pretese risarcitorie e della facilità di
consumazione del denaro, nonché considerando che le
garanzie fideiussorie stipulate in occasione della
cessione delle azioni G.E.I. Non riguardano le
ricorrenti, colpite dal sequestro conservativo. In
questo modo il Tribunale ha fatto una corretta
applicazione dell’art. 316 c.p.c. E ss., non rispondendo
al vero quanto sostenuto dalle ricorrenti in ordine alla
omessa motivazione su tale presupposto del sequestro
conservativo.
5. - In conclusione, tutti i
ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti
condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio
2011.
Depositato in Cancelleria il 22
aprile 2011 |