Il
presidente francese vuole imporre alle imprese che
pagheranno dividendi sull'esercizio 2010 di versare un
premio anche ai propri dipendenti. È una pessima idea
sotto il profilo economico, politico e di bilancio.
Perché non cambierà nulla nella retribuzione dei
francesi, ma sposterà l'onere delle parti variabili del
salario dalle aziende alla collettività. E tutto ciò
proprio mentre la Francia presenta a Bruxelles il Piano
di stabilità per il periodo 2011-2014, nel quale si
impegna a un maggior rigore di bilancio.
Il
famoso bonus Sarkozy, deciso dal presidente francese,
non cambierà nulla né per i dipendenti né per le
aziende, prova ne è che la Borsa non ha minimamente
reagito alla notizia. Serve solo a scaricare sui
contribuenti le parti variabili delle retribuzioni e
vari premi salariali già esistenti, per mezzo di due
nuove “privilegi” fiscali. Ed è veramente un peccato,
perché ne va di mezzo la credibilità della politica di
bilancio del governo francese, proprio nel momento in
cui il ministero dell’Economia ha inviato lunedì a
Bruxelles il programma di stabilità della Francia per il
periodo 2011-2014.
SALARI E
PROFITTI IN FRANCIA
È dal
2008 che il presidente francese vuole modificare a tutti
i costi la distribuzione del valore aggiunto tra
capitale e lavoro. In Francia, nel settore privato
(escluso il settore finanziario), non esistono problemi
per quanto riguarda la ripartizione salari-profitti. Il
rapporto Cotis, pubblicato nel 2009, l’aveva già
sottolineato: i salari sono al loro massimo storico, con
circa due terzi del valore aggiunto. Già nel 2009, avevo
aspramente criticato in un rapporto del Conseil
d’Analise Economique la proposta del presidente di
ripartire i profitti secondo la regola dei tre terzi.
(1) La spartizione auspicata da Sarkozy avrebbe
provocato il crollo degli investimenti e, di
conseguenza, della crescita. E cos’è infatti accaduto?
Dopo le elezioni presidenziali del 2007, la quota dei
profitti sul valore aggiunto è diminuita del 38,4 per
cento nel secondo trimestre 2007, in media del 36,3 per
cento nel 2010 e del 36 per cento nel terzo quadrimestre
del 2010, l’ultimo per il quale i dati sono disponibili
(Insee, 25 marzo 2011).
Il
provvedimento annunciato il 21 aprile è meno strampalato
della famosa “regola dei tre terzi”. Il governo ha
annunciato che “imporrà a quelle aziende che aumentano i
dividendi e hanno più di 50 dipendenti di versare ogni
anno un bonus obbligatorio ai salariati”. A parte il
fatto che ciò è difficile da applicare e da controllare,
cosa accadrà in concreto? Le aziende faranno passare per
“bonus Sarkozy” le varie componenti variabili della
retribuzione(partecipazione, interessamento, gratifiche
e bonus vari), già concesse ai loro dipendenti.
Recentemente, in occasione dello sciopero Carrefour, si
è scoperto che persino le cassiere, pagate secondo la
retribuzione minima oraria, riscuotono emolumenti
variabili.
PAGANO I
CONTRIBUENTI
Col
“bonus Sarkozy” verranno a crearsi due privilegi fiscali
supplementari. Prima il ministro Lagarde ha annunciato
che “il regime dei bonus sarà lo stesso di quello delle
partecipazioni”, vale a dire esonero degli oneri fiscali
(entro un certo limite ancora da definire), ma pagamento
del Csg e del Crds. (2) In seguito, tuttavia, ha parlato
di diminuzione delle imposte sul reddito di quelle
società “obbligate” a pagare il “bonus Sarkozy”.
E siamo
da capo: il folle meccanismo francese che crea privilegi
fiscali si è nuovamente imbizzarrito. In questo caso si
tratta di due privilegi il cui scopo è quello di far
finanziare il “bonus Sarkozy” dai contribuenti, oppure
dal debito. In fin dei conti, il governo crea un bonus
che non cambia nulla, salvo avvantaggiare ulteriormente,
in termini di fiscalità e oneri sociali, le aziende e i
loro dipendenti. Si tratta quindi di una
redistribuzione, pagata da tutti i cittadini, che però
favorisce solo coloro che hanno già un lavoro.
Ma la
cosa più grave è che del bonus si è data notizia nello
il giorno stesso in cui il ministero dell’Economia
trasmetteva alla Commissione Europea il nuovo Programma
di stabilità 2011-2014, dove si afferma tra l’altro: “La
strategia di aggiustamento strutturale descritta nel
presente programma si basa sia sullo sforzo di contenere
la spesa pubblica, sia sul perseguimento della riduzione
dei costi delle spese fiscali e delle nicchie sociali”,
conformemente agli impegni della Lpfp. (3) Insomma
proprio il giorno in cui il ministero dell’Economia si
impegnava, a nome della Francia, a ridurre i privilegi
fiscali e sociali, il presidente francese annunciava la
creazione di due importanti privilegi fiscali. E tutto
per zero guadagni economici. Inutile sottolineare come
la nostra credibilità ne esca piuttosto scornata.
Le
conclusioni sono lampanti: in Francia destra e sinistra
sono, entrambe, incapaci di assoggettarsi a restrizioni
di bilancio. Eppure è urgente introdurre regole di
bilancio rigide, altrimenti, nel giro di qualche anno,
finiremo alla stregua di Grecia e Portogallo.
Poiché
questo provvedimento non cambierà un bel nulla da qui al
2012, è probabile che gli elettori serberanno rancore al
candidato Sarkozy. Si tratta quindi di una cattiva idea,
sotto il profilo economico, ma anche politico e di
bilancio.
La
Francia esce sminuita da questo episodio.
Tasso di
profitto delle società non finanziarie dal 1949. Dati
INSEE, conti trimestrali
Evidentemente gli ideatori di quest’idea non conoscono i
dati Insee: la crisi attuale ha inciso sui profitti, il
che è normale perché è sul profitto che incombono i
rischi. Ma quel che le cifre suggeriscono inoltre è che,
col ritorno della crescita, il livello dei profitti
aumenterà e tornerà ai livelli pre-crisi, soprattutto
perché bisogna ricostruire il capitale distrutto dalla
crisi. Il che è positivo per l’economia – a meno di non
desiderare la fine degli investimenti in Francia – ma è
negativo per la politica e i suoi proclami
semplicistici.
E se per
caso esiste un’azienda in cui nessuno gode di emolumenti
variabili, il prossimo aumento salariale verrà
presentato colla dicitura “bonus Sarkozy sui dividendi”.
In pratica, queste sbandate mediatiche non saranno
servite a niente. Unico risultato: un nuovo privilegio
fiscale.
*
Jacques Delpla è Senior Advisor Fixed Income di
Bnp-Paribas e membro del Conseil d'analyse économique.
(1)
Conseil d’Analise Economique, Rapporto n. 85, "Le
partage des fruits de la croissance en France".
(2)
Rispettivamente, Contribution Sociale Généralisée, tassa
francese istituita il 16 novembre 1990, per contribuire
al finanziamento della Securité Sociale (equivalente
della nostra Inps) e Contribution pour le Remboursement
de la Dette Sociale, tassa francese creata nel 1996 allo
scopo di riassorbire il debito della Sécurité Sociale.
(3) Loi
de Programmation des Finances Publique, Legge di
programmazione delle finanze pubbliche.
(traduzione di Daniela Crocco)
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