1. Fotocopite e vademecumenite
Due malattie endemiche serpeggiano
nelle stanze degli uffici pubblici, mietendo vittime fra
impiegati, funzionari e dirigenti: la fotocopite e la
vademecumenite.
La prima si manifesta attraverso un
incontrollabile bisogno di accumulare nei propri
fascicoli quanti più documenti possibile, soprattutto di
carta. Ma anche la fotocopia digitale, basata sul
ricorso omnicomprensivo al formato pdf, ormai sta per
superare quella analogica ed è molto più rischiosa,
tant’è impercettibile la differenza tra le varie copie e
l’originale: un bit copiato è sempre uguale a se stesso.
Uno degli effetti più gravi della
fotocopite è l’invidia. Molto spesso è l’invidia delle
carte altrui, che muta geneticamente nella paura di non
avere quell’informazione che potrebbe dare chissà quale
vantaggio competitivo al collega (che presto diviene il
rivale), che induce a replicare inutilmente documenti.
Altre volte è quel bisogno di rassicurazione, di
mettersi al riparo da possibili reprimende dei
superiori, a consigliare di avere tante copie del
medesimo documento, disseminate in più raccoglitori e
finanche nel fidato cassetto alla destra della
scrivania. E che dire dell’immancabile e inevitabilmente
inutile fascicolo “varie” o “miscellanea”? Si tratta di
un vero e proprio buco nero per l’archiviazione dei
documenti destinati a non essere più ritrovati e quindi
irrimediabilmente perduti. Fra l’altro, più il documento
è ampio e complesso, meno è stato letto e, di
conseguenza, più aumenta il bisogno di averlo pronto
“nel caso servisse”. Insomma “non si sa mai”.
L’altra malattia è subdola e
strisciante, ma non meno dannosa. Si chiama
vademecumenite, basata su un virus persistente dal
Medioevo ad oggi, altrettanto contagioso. Infatti, non
basta avere una norma per applicarla: la stessa deve
essere spiegata e ne devono essere chiariti tutti i
contorni in una “circolare applico-esplicativa”,
altrimenti la norma risulta tamquam non esset.
Di conseguenza, una volta emanata,
la circolare diventa oggetto di culto. La norma che ha
generato la circolare, infatti, col tempo sbiadisce e
scompare. L’unico riferimento per gli impiegati rimane
la sua vulgata, la fatidica circolare. Qualcuno dice di
aver visto negli uffici pubblici circolari incorniciate
ed appese al muro con fiori e lumini, ma permetteteci di
dubitare di queste voci incontrollate...
2. I procedimenti non semplificati
sono come torrenti di montagna
Così i procedimenti si
stratificano, si incrostano, si complicano. Come un
torrente di montagna, il continuo fluire e il
sovrapporsi di disposizioni interne agli uffici
stratifica prassi applicative in un insieme unico e
magmatico, fino a che un bel giorno l’operatore ignora
se un certo passaggio del procedimento sia necessario
perché richiesto da una norma o sia solo un ghirigoro
burocratico risalente a tre dirigenti orsono.
La somma delle due malattie
comporta che spesso negli uffici pubblici i funzionari
sanno esattamente cosa fare, conoscono ogni piccolo
dettaglio del lavoro che svolgono, ma ignorano il
contesto complessivo del processo che li coinvolge.
Inoltre, cosa ancor più grave, non sanno se il loro
lavoro integra di per sé un procedimento o è solo una
frazione di un procedimento più ampio e complesso,
oppure un endo-, oppure ancora un subprocedimento. Tutti
a concentrarsi sul particulare, mentre il generale si
perde nei meandri della prima progettazione.
Di quel procedimento la memoria
collettiva ha quindi dimenticato la finalità ultima, il
provvedimento che ne rappresenta l’esito e gli aspetti
di risultato connessi allo stesso. Non si ha quindi
spesso una capacità critica riguardo agli atti che si
compiono, e non si è in grado di suggerire cambiamenti,
al di là di limitati miglioramenti incrementali.
In compenso, gli armadi sono pieni
di carte, spesso non attinenti al core business del
procedimento, tanto che spesso dalla lettura sequenziale
dei fascicoli non è possibile rinvenire una traccia
comune del dipanarsi del procedimento cui si riferiscono
e delle sue tappe fondamentali ed irrinunciabili.
3. L’informatica applicata senza
reingegnerizzazione genera caos
Il fenomeno, di per sé già grave, è
aggravato dalla diffusione incontrollata
dell’informatica. Se è vero che si tratta di una vera
risorsa in presenza di procedimenti semplici e di ruoli
e responsabilità ben definiti, diventa un fattore
problematico in presenza di disorganizzazione, secondo
la nota formula per cui DxI = C2, laddove D sta per
disorganizzazione, I per informatica e C per Caos
Amministrativo, che in questo caso è esposto al
quadrato.
In questo senso, la delicatezza
dell’applicazione dell’informatica ai procedimenti
amministrativi era ben chiara al legislatore del
1998/2000. Il DPR 28 dicembre 2000, n. 445, meglio
conosciuto come TUDA - Testo unico sulla documentazione
amministrativa, prevedeva espressamente all’art. 54
l’integrazione tra procedimento e fascicolo per il
sistema di gestione dei flussi documentali, addirittura
per le singole fasi procedimentali:
DPR 445/2000 – art. 54
Oltre a possedere i requisiti
indicati all’articolo 52, il sistema per la gestione dei
flussi documentali deve:
a) fornire informazioni sul legame
esistente tra ciascun documento registrato, il fascicolo
ed il singolo procedimento cui esso è associato;
b) consentire il rapido reperimento
delle informazioni riguardanti i fascicoli, il
procedimento ed il relativo responsabile, nonché la
gestione delle fasi del procedimento;
Ciò significa che, nel rapporto tra
informatica e documentazione amministrativa è necessario
semplificare e riprogettare, evitando di riproporre
pedissequamente nel mondo digitale quanto accade nel
mondo analogico. Del resto Michael Hammer, teorico della
reingegnerizzazione dei processi, ci ha insegnato che
«... è tempo di smettere di pavimentare sentieri per le
mucche. Invece di rivestire di silicio e software i
nostri processi obsoleti, dobbiamo dimenticarli e
ripartire da capo».
Se un simile stato di cose un tempo
era comunque tollerato, oggi non può più esserlo. La
fiducia nelle istituzioni non è più concessa a priori:
gli enti pubblici non sono più visti come mere
istituzioni, ma come erogatori di servizi. Assumono
quindi rilievo nei loro confronti le dimensioni del
risultato, della qualità e dei costi, ovvero
dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità, al
punto da dover giustificare nei confronti dei cittadini
il proprio diritto a esistere e quindi a gravare sulla
fiscalità.
4. Il “Piano industriale della PA”
e la mappatura dei procedimenti
Nel “Piano industriale” nell’ambito
delle Linee programmatiche per la riforma della Pubblica
Amministrazione il Ministro della Funzione pubblica ha
annunciato di voler concentrare i suoi interventi su
alcune linee-guida di carattere culturale. Tra queste
spiccano «il passaggio dalla cultura del procedimento a
quella del provvedimento, da quella dell’adempimento a
quella del risultato, da quella della funzione a quella
del processo, da quella dell’autotutela a quella della
responsabilità». A tal fine ha indicato come strumento
fondamentale una «generale riconfigurazione di tutti i
processi organizzativi alla luce della loro diretta
riconducibilità alle missioni istituzionali, eliminando
ogni fase non connotata da adeguato valore aggiunto
attraverso la re-ingegnerizzazione focalizzata del
flusso procedimentale e amministrativo».
Assume quindi diretto rilievo la
dimensione procedimentale, tipica dell’agire
amministrativo, all’interno dei processi delle singole
amministrazioni. Se si vuole recuperare efficienza e
credibilità, bisogna intervenire innanzitutto sui propri
procedimenti per poter poi affrontare la semplificazione
dei processi e quindi incidere sulla dimensione
economica del problema.
Al riguardo va considerato però che
il cambiamento richiesto oggi alle amministrazioni
pubbliche non può risolversi in un semplice
ammodernamento dei processi e dei procedimenti, ma deve
comportare una loro profonda ristrutturazione. Il
termine ricorrente è quello della reingegnerizzazione.
Reingegnerizzare significa
riprogettare completamente i procedimenti, eliminando i
passaggi privi di valore aggiunto e i “colli di
bottiglia”, tenendo costantemente come obiettivo il
ridisegnarli grazie alle possibilità offerte dai moderni
strumenti di ICT, principalmente sotto forma di motori
di workflow.
La reingegnerizzazione presuppone
pertanto come attività preliminare ed ineliminabile la
mappatura e la descrizione dei procedimenti che si
compiono all’interno dell’organizzazione e, in
particolar modo, di quelli primari, che in una
amministrazione pubblica sono essenzialmente quelli
legati alla missione istituzionale.
5. Il mandarinismo dei funzionari
pubblici
Una caratteristica che accomuna
gran parte delle amministrazioni è, però, quella di non
conoscere e, soprattutto, non avere una mappatura
completa dei procedimenti che si svolgono al loro
interno a causa anche dei virus di cui parlavamo
poc’anzi.
Gli uffici, come abbiamo visto,
sono consapevoli in pieno unicamente dell’attività che
svolgono, delle cui regole e procedure sono gelosi
sacerdoti, come in una sorta di mandarinismo del
dipendente pubblico: il mandarino comunica in un
linguaggio crittografato solo con un altro mandarino,
perché conoscenza è potere, un ruolo conquistato, che
difficilmente si ha voglia di mettere a fattor comune.
Così capita la ventura di ignorare,
come abbiamo visto, se tali attività integrino un
procedimento e se questo sia un procedimento autonomo o
un subprocedimento, di rado si è in grado di comprendere
se quello che si segue è il miglior procedimento
possibile.
Bisogna considerare inoltre che la
riprogettazione è difficile e irta di ostacoli, perché i
procedimenti amministrativi sono spesso regolati fin nel
dettaglio da norme, che sono in continuo mutamento, per
cui la fotografia che si scatta risulta spesso sfuocata,
dato il continuo movimento della cornice normativa e
organizzativa. Né va sottaciuto che proprio la tipicità
dell’azione amministrativa rappresenta il vero e proprio
ostacolo alla semplificazione dei procedimenti
amministrativi, semplificazione che dunque si deve
concentrare perlopiù su procedure e processi.
Non va infine dimenticato che
simili interventi, se compiuti a fondo, determinano una
modificazione profonda delle attività e ciò in una
amministrazione comporta spesso anche l’eliminazione di
ruoli e posizioni di privilegio consolidate.
6. Il progetto Procedamus
È così nata l’idea del progetto
Procedamus - PROCEDimenti AMministrativi delle
Università degli Studi, promosso dal COINFO (Consorzio
Interuniversitario sulla Formazione -
http://unidoc.coinfo.net/PROCEDAMUS).
Il progetto si pone come obiettivo
l’analisi dei procedimenti amministrativi universitari
secondo una metodologia messa a punto nelle esperienze
già maturate presso gli atenei di Padova e de L’Aquila
al fine di avere disponibili un numero sufficiente di
percorsi documentali, utili a delineare poi per tutti i
procedimenti tipici delle amministrazioni universitarie
degli iter ideali (ma non idealizzati).
L’idea è quella di analizzare
mediante le procedure del progetto Cartesio
(www.unipd.it/archivio/progetti/cartesio) un determinato
numero di procedimenti che appariranno cruciali in base
alla quantità di cartaceo che producono ed alla
omogeneità nelle esperienze autonomistiche dei singoli
atenei, che è garanzia del possibile riuso.
I procedimenti così individuati
saranno poi analizzati per studiare una loro
reingegnerizzazione nell’ottica della semplificazione,
velocizzazione e dematerializzazione, nel pieno rispetto
della recentissima riforma dell’amministrazione
digitale, con l’applicazione delle nuove firme
elettroniche, delle nuove copie informatiche, della
posta certificata e della pubblicità legale on-line.
Nel corso del 2011 si esamineranno
una quindicina di procedimenti negli atenei promotori
del progetto: Bari, Cagliari, Firenze, Genova, Lecce,
Messina, Roma. Verranno elaborati i rispettivi diagrammi
di flusso con il procedimento “ridisegnato”, assieme
alla mappatura dei documenti e delle responsabilità
connesse al procedimento in armonia con quanto previsto
dalla legge 241/1990 e dal D.Lgs. 150/2009. |