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La conciliazione civile e familiare: presupposti e filosofie di riferimento- mentelocale.it

 

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 Mediazione, nuove soluzioni ai conflitti

 

 

 Recentemente nel nostro ordinamento è stata introdotta l'obbligatorietà, in caso di alcune contese, di esperire un tentativo per arrivare a un accordo prima di arrivare, se mai, in giudizio. Tale tentativo di accordo viene concretizzato attraverso l'istituto della Conciliazione.

 

Questo viene considerato come un metodo di risoluzione delle controversie ,alternativo al processo giudiziario, appartenendo ad una categoria di strategie che vengono definite Adr (Alternative Dispute Resolution).

 

Anche se in altri Paesi europei il modello della mediazione è già in uso per affrontare diverse occasioni, per il nostro Paese rappresenta, in un certo senso, una novità.

 

Dunque può essere importante definire cos'è la Conciliazione e su quali basi teoriche poggia. La Conciliazione viene definita come strumento alternativo in quanto, diversamente dall'approccio classico, che si propone di stabilire chi ha ragione e chi ha torto, propone un procedimento che non ha il compito di decidere, ma si propone come un aiuto a fare sì che le due parti superino il conflitto, riuscendo a trovare un accordo su di una soluzione mediata. Ovvero, sufficientemente gradita ad entrambi.

 

Per promuovere questo accordo, le parti vengono inviate ad incontrarsi e a discutere delle loro posizioni alla presenza di un Conciliatore che si pone come un terzo, neutro, in grado di facilitare il processo di riduzione della conflittualità.

 

Lo scopo, dichiarato, è quello di aiutare i soggetti coinvolti a trovare e codificare un accordo soddisfacente che possa dare risultati stabili nel tempo, senza riproporre nuovi elementi di conflitto o di contenzioso.

 

Questa opera di ricomposizione dei conflitti è già conosciuta in altri ambiti come mediazione e ha gia applicazione ad esempio nella mediazione familiare come nella integrazione di persone provenienti da diversi paesi di origine (mediazione culturale) e nella riduzione della conflittualità nei gruppi di lavoro e nelle trattative di affari o di controversie sindacali. E non da ultimo, per molti aspetti, nella psicoterapia delle nevrosi.

 

Ma potrebbe essere utile capire come mai si è arrivati ad avere la necessità di promuovere la conciliazione e non, semplicemente, continuare ad usare il solito metodo del uno ha ragione e l'altro ha torto.

 

La risposta più tecnica risiede nel fatto che, sempre più spesso, le situazioni che vedono coinvolte in modo contrapposto le persone,non sono così nette da poter essere giudicate ma anzi, si presentano con elementi così tanto intercorrelati, che diventa difficile, se non impossibile, stabilire con esattezza, dove sia il confine tra il torto dell'uno e la ragione dell'altro.

 

Di fronte a questa complessità il sistema giudiziario, oltre che essere oberato da richieste, di fatto, non riesce ad esprimersi in maniera davvero esaustiva, da un lato ritrovandosi bloccato da procedimenti troppo lunghi e da un altro lato, lasciando la sensazione, nelle persone, che non sia stata fatta davvero giustizia, aprendo così, a porta al proseguimento del contenzioso nel tempo, o su altri fronti.

 

Inoltre, a volte, avere ragione non porta, di per sé, a un aggiustamento della situazione. E non è da poco notare come uno degli effetti della procedura della Conciliazione, proprio perché mira ad una migliore comprensione dei propri ed altrui bisogni, sia quello di produrre accordi che vengono percepiti come soddisfacenti e che si mantengono buoni nel tempo.

 

Per arrivare a comprendere come mai la Conciliazione produca questi effetti bisogna citare alcuni presupposti teorici.

 

Innanzitutto è necessario ricordare che, normalmente, gli esseri umani, pur in buona fede, percepiscono, pensano e agiscono prevalentemente in modalità egocentrica. Ovvero vedono le cose unicamente dal loro punto di vista e le misurano in base alle proprie capacità e convinzioni.

 

In questo modo, spesso, diventa molto difficile pensare che vi sia un altro punto di vista che possa essere altrettanto plausibile o delle altre ragioni oltre alla propria.

 

Aumentando la complessità delle variabili della vita contemporanea, aumentano di conseguenza anche le differenze dei punti di vista che, in alcuni casi critici sfociano, poi, in quelle situazioni di reciproca incomprensione che si tramutano in conflitti.

 

Di questo problema riguardante la predominanza della soggettività si era già occupato, ben più di duemila anni fa, Protagora, un filosofo Sofista Greco del V secolo a.C. che viene considerato il padre  di quello che, oggi, viene definito relativismo. Protagora aveva sintetizzato il suo pensiero nella frase: ogni uomo è misura delle cose.

 

Intendendo con ciò che, normalmente, ciascuno valuta la realtà dal proprio punto di vista e secondo i propri punti di riferimento.

 

Pensiero che ha avuto, nel tempo, sostenitori e detrattori e che viene infine riportato in auge da Comte, filosofo francese della prima metà del 1800, famoso per aver coniato la frase, paradossale, l'unico assoluto è che è tutto relativo, aprendo la porta al movimento del relativismo culturale che molto ha influenzato il pensiero cosiddetto debole, della seconda metà del 1900 e che si sintetizza nel motto ognuno ha ragione dal suo punto di vista.

 

Ma il relativismo culturale, accolto come una risposta più emancipata degli aspetti autoritaristici o dogmatici dei secoli passati, ha però portato ad un increscioso aspetto critico che si riassume nel se ognuno ha ragione allora nessuno ha torto, rendendo a volte molto ambigue e imbarazzanti le relazioni sociali.

 

L'imbarazzo si concretizza di fronte alla domanda: «come ci si regola quando due ragioni entrano in conflitto?»

 

E come si possono risolvere i conflitti in queste condizioni in cui tutti pensano di avere ragione?

 

Trovando inammissibile, in una società civile, la legge del più forte che prevarica il più debole e messa in difficoltà la possibilità di una legge cosi sofisticata che riesca a stabilire con precisione chi ha davvero ragione (soprattutto perché mancherebbe spesso la risposta ragione rispetto a cosa?) resta l'opera di mediazione della Conciliazione.

 

Ovvero la possibilità di riconoscere ragioni parziali e trovare ragionevoli accordi in cui tutti lasciano qualcosa che forse neanche serviva davvero, ma tutti restano soddisfatti di quella parte che riescono ad ottenere.

 

In effetti lo spostamento cognitivo operato dalla Conciliazione trasforma il ognuno ha ragione in ognuno crede di avere ragione, aprendo la possibilità di riflettere in maniera più articolata sulle proprie posizioni ed anche sulle altrui ragioni senza per questo metterle, necessariamente, in contrapposizione.

 Ma non si può dimenticare che le basi teoriche-filosofiche della necessità di trovare una conciliazione tra punti di vista opposti, superando il giudizio manicheo di giusto/sbagliato, hanno radici lontane.

 

Ad esempio anche nella nostra cultura contemporanea è stato accolto e riconosciuto l'ormai ben noto simbolo cinese del Tao che raffigura, appunto, l'integrazione degli opposti.

 

Ma ritornando nella nostra tradizione culturale e riferendoci alla psicologia degli esseri umani va ricordato come uno dei fondamenti di base della teoria Freudiana (inizio del 1900) si basa proprio sulle dinamiche più o meno conflittuali intercorrenti tra diverse pulsioni interne.

 Così, per S. Freud, una parte del malessere negli esseri umani è determinato, non solo dal conflitto tra due pulsioni/bisogni opposti (Super Io vs Es), ma anche dalla impossibilità di vivere in maniera serena, laddove l'eccessiva sconfitta di uno dei due bisogni genera, inevitabilmente, un impoverimento insostenibile che ha, come triste risultato, la sofferenza della persona stessa.

 

Questa visione di origine psicodinamica ha trovato una ulteriore spiegazione nella teoria dei giochi di cui è esponente il premio Nobel John Nash (reso forse più noto attraverso il film A Beautiful mind che ne narra la vita). La Teoria dei Giochi dunque, è un approccio logico-matematico per studiare, affrontare ed ottimizzare le risorse di un sistema attraverso una serie di passaggi valutando quelli più o meno funzionali al risultato atteso. La TdG analizza una serie di giochi e li divide in cooperativi e non cooperativi.

 

In particolare, la necessità di una mediazione appare evidente nella teoria dei giochi a somma zero. In questi specifici contesti le vittorie di una parte si sommano alle perdite della controparte con il risultato totale finale pari a zero. Arrivando così a definire la vittoria, in queste situazioni, come un'ingannevole illusione.

 

Una possibile rappresentazione di questo concetto è calcistica: mentre se la squadra A batte la squadra B gli A vincono ed i B perdono, cosa succede se un gruppo di giocatori della squadra A giocano contro un altro gruppo di giocatori della propria squadra? Qualunque sia il risultato di chi vince tra questi due gruppi, il risultato totale è che tutta la squadra A ne risulta impoverita. Spesso a favore della squadra B che è quella che, davvero, vince.

 

Questo è stato il pensiero portante dell'approccio sistemico che poi ha portato alla nascita di una scuola di psicologia, (detta, appunto  sistemica) dando sostegno al concetto di ecologia, ovvero dello studio sull'equilibrio complessivo di un sistema chiuso. Un altro esempio di sistema chiuso è il corpo umano. Ed una metafora di questo approccio è la seguente: Se ho male agli occhi dovrei assumere un farmaco per gli occhi, ma se il farmaco che mi fa bene agli occhi, allo stesso tempo, sovraccarica eccessivamente e mi fa male al fegato: che vantaggio, complessivo, vi è per me?

 

La soluzione risiede nell'opportunità di dover fare attenzione al dosaggio e nel trovare una mediazione per avere gli occhi sufficientemente buoni ed il fegato sufficientemente funzionante.

 

Ma allargandosi ai rapporti tra le persone, è tristemente noto a tutti come se in una famiglia una madre ed un padre litigano strenuamente per sostenere la propria idea di educazione dei figli, proprio i figli ricevono, di fatto, un brutto modello di educazione; a prescindere da chi dei due abbia, davvero, il modello migliore!

 

E , fatto ancor più imbarazzante, nessuno dei due si accorge che quello che realmente agisce non è il modello che propone a parole. L'assunto che riunisce tutti questi approcci è che le diverse parti sono, in senso più ampio, componenti dello stesso sistema e che dunque, l'unico vero vantaggio e che entrambe siano sufficientemente soddisfatte e smettano di combattersi a vicenda.

 

Ma se tutto questo non solo è logico ma anche provato e se la conciliazione  fosse, davvero un operazione semplice e naturale, come sembra, come mai le persone, spontaneamente, non conciliano tra di loro?

 

La risposta è che le persone, spesso, proprio per il loro egocentrismo non si considerano assolutamente nella stessa squadra ma, appunto, si ritengono appartenenti a squadre diverse (ed in una certa misura ciò potrebbe essere vero) e dunque ognuna lotta per se credendo che l'unico vantaggio stia nel battere l'avversario, senza rendersi pienamente conto se questa lotta sia davvero un vantaggio per se stessi.

 

n questo senso una delle caratteristiche proprie dell'intervento del conciliatore, è quella di evidenziare come, mettendo insieme i molteplici fattori, l'accordo sia davvero migliore per ciascuno, persino rispetto ad una eventuale, ipotetica, vittoria.

 

E questo risultato appare evidente, se non altro perché, al di là del momento e del contenuto causa del conflitto, è possibile che le relazioni e le occasioni di contatti tra le parti, magari per altri motivi, continuino, aumentando le possibilità che il rischio di rivalse diventi logorante. Se però allarghiamo il nostro orizzonte alla realtà che ci circonda, ci appare evidente come, In effetti, molte volte , le persone , di fronte a delle situazioni conflittuali, in famiglia, sul lavoro o in svariate situazioni sociali, si trovano spesso a conciliare, a negoziare . E non di rado spesso riescono a percorrere, spontaneamente, queste vie di accomodamento, senza bisogno di aiuti particolari. Mentre altre volte ciò non accade.

 

Ed è degno di riflessione, ed anche importante, da un punto di vista metodologico, tenere conto che nella Conciliazione ci si trova, appunto, di fronte a quelle persone che, da sole, o per la distorsione della loro relazione, o per una serie di altri motivi, evidentemente significativi, non sono riuscite a trovare una mediazione spontanea e dunque già dimostrano di essere in difficoltà rispetto a questa modalità di incontro anziché quella, per loro, più abituale, di scontro.

 

In queste condizioni diventa ancora più difficile, ed allo stesso tempo più importante, riuscire a capire come mai queste persone sono arrivate a questo punto di inconciliabilità del loro conflitto.

 

Dal punto di vista etimologico la parola conflitto deriva da confliggere ovvero sbattere a sua volta raffigurato dallo scontro che si ha quando due forze confluiscono, da provenienze diverse, in un unico punto, con il risultato di un inevitabile scontro.

 

In questo senso il conflitto evoca situazioni cariche di energia in cui sembra che diventi assolutamente necessario avere ragione per scongiurare un alternativa, quella di perdere ,che viene vissuta come minacciosa, aumentando l'ansia o la paura ed arrivando, per difesa, ad irrigidire le posizioni.

 

Dunque uno dei primi aspetti della Conciliazione riguarda l'abbassamento della tensione emotiva e della sensazione che si debba vincere ( o parimenti la paura di perdere) anche perché questi stati emotivi interferiscono e limitano le capacita di elaborare pensieri alternativi, a volte, più efficienti.

 

Ma a proposito della filosofia del pensiero debole vi è da segnalare una distorsione del concetto, molto meno filosofica e più umana nel senso deteriore del termine. È vero che, normalmente, siamo a portati a dare per scontato che le persone agiscano in buonafede, ma questo non vuol dire che non vi possa essere anche chi, invece, trova più utile agire con altri scopi più o meno occulti.

 

Questo atteggiamento negativo trova nella teoria del tutti hanno ragione terreno fertile per aumentare i proprio comportamenti speculativi, con la premeditazione che poi, al limite, si arriverà a mediare. Per le persone che adottano questo tipo di atteggiamento diventa più conveniente esagerare nelle proprie richieste o nelle loro posizioni, perché, così facendo, sanno di poter spostare molto a proprio vantaggio, il percorso della Conciliazione.

 

Ovviamente è una vecchia strategia della negoziazione ma nondimeno, è bene che chi si occupa seriamente della Conciliazione sia preparato ad affrontare atteggiamenti aggressivi o manipolatori di questo tipo che, se portati troppo avanti, potrebbero essere una delle cause per dichiarare impossibile un effettivo percorso conciliatorio.

 

Questo introduce il fatto che sebbene la Conciliazione sia un ottimo sistema per la risoluzione dei conflitti, non tutti i conflitti sono conciliabili, o, forse, non tutte le persone sono disposte a tollerare di non avere tutte le ragioni.

 

Ma questo non può essere un alibi del Conciliatore e per evitare che vi sia questo fraintendimento è necessario che la Conciliazione si svolga secondo una prassi consolidata a garanzia della qualità dell'intervento ed il Conciliatore sia formato, personalmente, nella maniera più adeguata a condurla.

 

Fonte: mentelocale.it

 

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