Cronache dai tribunali
Mediazione, nuove soluzioni ai
conflitti
Recentemente nel nostro
ordinamento è stata introdotta l'obbligatorietà, in caso
di alcune contese, di esperire un tentativo per arrivare
a un accordo prima di arrivare, se mai, in giudizio.
Tale tentativo di accordo viene concretizzato attraverso
l'istituto della Conciliazione.
Questo viene considerato come un
metodo di risoluzione delle controversie ,alternativo al
processo giudiziario, appartenendo ad una categoria di
strategie che vengono definite Adr (Alternative Dispute
Resolution).
Anche se in altri Paesi europei il
modello della mediazione è già in uso per affrontare
diverse occasioni, per il nostro Paese rappresenta, in
un certo senso, una novità.
Dunque può essere importante
definire cos'è la Conciliazione e su quali basi teoriche
poggia. La Conciliazione viene definita come strumento
alternativo in quanto, diversamente dall'approccio
classico, che si propone di stabilire chi ha ragione e
chi ha torto, propone un procedimento che non ha il
compito di decidere, ma si propone come un aiuto a fare
sì che le due parti superino il conflitto, riuscendo a
trovare un accordo su di una soluzione mediata. Ovvero,
sufficientemente gradita ad entrambi.
Per promuovere questo accordo, le
parti vengono inviate ad incontrarsi e a discutere delle
loro posizioni alla presenza di un Conciliatore che si
pone come un terzo, neutro, in grado di facilitare il
processo di riduzione della conflittualità.
Lo scopo, dichiarato, è quello di
aiutare i soggetti coinvolti a trovare e codificare un
accordo soddisfacente che possa dare risultati stabili
nel tempo, senza riproporre nuovi elementi di conflitto
o di contenzioso.
Questa opera di ricomposizione dei
conflitti è già conosciuta in altri ambiti come
mediazione e ha gia applicazione ad esempio nella
mediazione familiare come nella integrazione di persone
provenienti da diversi paesi di origine (mediazione
culturale) e nella riduzione della conflittualità nei
gruppi di lavoro e nelle trattative di affari o di
controversie sindacali. E non da ultimo, per molti
aspetti, nella psicoterapia delle nevrosi.
Ma potrebbe essere utile capire
come mai si è arrivati ad avere la necessità di
promuovere la conciliazione e non, semplicemente,
continuare ad usare il solito metodo del uno ha ragione
e l'altro ha torto.
La risposta più tecnica risiede nel
fatto che, sempre più spesso, le situazioni che vedono
coinvolte in modo contrapposto le persone,non sono così
nette da poter essere giudicate ma anzi, si presentano
con elementi così tanto intercorrelati, che diventa
difficile, se non impossibile, stabilire con esattezza,
dove sia il confine tra il torto dell'uno e la ragione
dell'altro.
Di fronte a questa complessità il
sistema giudiziario, oltre che essere oberato da
richieste, di fatto, non riesce ad esprimersi in maniera
davvero esaustiva, da un lato ritrovandosi bloccato da
procedimenti troppo lunghi e da un altro lato, lasciando
la sensazione, nelle persone, che non sia stata fatta
davvero giustizia, aprendo così, a porta al
proseguimento del contenzioso nel tempo, o su altri
fronti.
Inoltre, a volte, avere ragione non
porta, di per sé, a un aggiustamento della situazione. E
non è da poco notare come uno degli effetti della
procedura della Conciliazione, proprio perché mira ad
una migliore comprensione dei propri ed altrui bisogni,
sia quello di produrre accordi che vengono percepiti
come soddisfacenti e che si mantengono buoni nel tempo.
Per arrivare a comprendere come mai
la Conciliazione produca questi effetti bisogna citare
alcuni presupposti teorici.
Innanzitutto è necessario ricordare
che, normalmente, gli esseri umani, pur in buona fede,
percepiscono, pensano e agiscono prevalentemente in
modalità egocentrica. Ovvero vedono le cose unicamente
dal loro punto di vista e le misurano in base alle
proprie capacità e convinzioni.
In questo modo, spesso, diventa
molto difficile pensare che vi sia un altro punto di
vista che possa essere altrettanto plausibile o delle
altre ragioni oltre alla propria.
Aumentando la complessità delle
variabili della vita contemporanea, aumentano di
conseguenza anche le differenze dei punti di vista che,
in alcuni casi critici sfociano, poi, in quelle
situazioni di reciproca incomprensione che si tramutano
in conflitti.
Di questo problema riguardante la
predominanza della soggettività si era già occupato, ben
più di duemila anni fa, Protagora, un filosofo Sofista
Greco del V secolo a.C. che viene considerato il padre
di quello che, oggi, viene definito relativismo.
Protagora aveva sintetizzato il suo pensiero nella
frase: ogni uomo è misura delle cose.
Intendendo con ciò che,
normalmente, ciascuno valuta la realtà dal proprio punto
di vista e secondo i propri punti di riferimento.
Pensiero che ha avuto, nel tempo,
sostenitori e detrattori e che viene infine riportato in
auge da Comte, filosofo francese della prima metà del
1800, famoso per aver coniato la frase, paradossale,
l'unico assoluto è che è tutto relativo, aprendo la
porta al movimento del relativismo culturale che molto
ha influenzato il pensiero cosiddetto debole, della
seconda metà del 1900 e che si sintetizza nel motto
ognuno ha ragione dal suo punto di vista.
Ma il relativismo culturale,
accolto come una risposta più emancipata degli aspetti
autoritaristici o dogmatici dei secoli passati, ha però
portato ad un increscioso aspetto critico che si
riassume nel se ognuno ha ragione allora nessuno ha
torto, rendendo a volte molto ambigue e imbarazzanti le
relazioni sociali.
L'imbarazzo si concretizza di
fronte alla domanda: «come ci si regola quando due
ragioni entrano in conflitto?»
E come si possono risolvere i
conflitti in queste condizioni in cui tutti pensano di
avere ragione?
Trovando inammissibile, in una
società civile, la legge del più forte che prevarica il
più debole e messa in difficoltà la possibilità di una
legge cosi sofisticata che riesca a stabilire con
precisione chi ha davvero ragione (soprattutto perché
mancherebbe spesso la risposta ragione rispetto a cosa?)
resta l'opera di mediazione della Conciliazione.
Ovvero la possibilità di
riconoscere ragioni parziali e trovare ragionevoli
accordi in cui tutti lasciano qualcosa che forse neanche
serviva davvero, ma tutti restano soddisfatti di quella
parte che riescono ad ottenere.
In effetti lo spostamento cognitivo
operato dalla Conciliazione trasforma il ognuno ha
ragione in ognuno crede di avere ragione, aprendo la
possibilità di riflettere in maniera più articolata
sulle proprie posizioni ed anche sulle altrui ragioni
senza per questo metterle, necessariamente, in
contrapposizione.
Ma non si può dimenticare che le
basi teoriche-filosofiche della necessità di trovare una
conciliazione tra punti di vista opposti, superando il
giudizio manicheo di giusto/sbagliato, hanno radici
lontane.
Ad esempio anche nella nostra
cultura contemporanea è stato accolto e riconosciuto
l'ormai ben noto simbolo cinese del Tao che raffigura,
appunto, l'integrazione degli opposti.
Ma ritornando nella nostra
tradizione culturale e riferendoci alla psicologia degli
esseri umani va ricordato come uno dei fondamenti di
base della teoria Freudiana (inizio del 1900) si basa
proprio sulle dinamiche più o meno conflittuali
intercorrenti tra diverse pulsioni interne.
Così, per S. Freud, una parte del
malessere negli esseri umani è determinato, non solo dal
conflitto tra due pulsioni/bisogni opposti (Super Io vs
Es), ma anche dalla impossibilità di vivere in maniera
serena, laddove l'eccessiva sconfitta di uno dei due
bisogni genera, inevitabilmente, un impoverimento
insostenibile che ha, come triste risultato, la
sofferenza della persona stessa.
Questa visione di origine
psicodinamica ha trovato una ulteriore spiegazione nella
teoria dei giochi di cui è esponente il premio Nobel
John Nash (reso forse più noto attraverso il film A
Beautiful mind che ne narra la vita). La Teoria dei
Giochi dunque, è un approccio logico-matematico per
studiare, affrontare ed ottimizzare le risorse di un
sistema attraverso una serie di passaggi valutando
quelli più o meno funzionali al risultato atteso. La TdG
analizza una serie di giochi e li divide in cooperativi
e non cooperativi.
In particolare, la necessità di una
mediazione appare evidente nella teoria dei giochi a
somma zero. In questi specifici contesti le vittorie di
una parte si sommano alle perdite della controparte con
il risultato totale finale pari a zero. Arrivando così a
definire la vittoria, in queste situazioni, come
un'ingannevole illusione.
Una possibile rappresentazione di
questo concetto è calcistica: mentre se la squadra A
batte la squadra B gli A vincono ed i B perdono, cosa
succede se un gruppo di giocatori della squadra A
giocano contro un altro gruppo di giocatori della
propria squadra? Qualunque sia il risultato di chi vince
tra questi due gruppi, il risultato totale è che tutta
la squadra A ne risulta impoverita. Spesso a favore
della squadra B che è quella che, davvero, vince.
Questo è stato il pensiero portante
dell'approccio sistemico che poi ha portato alla nascita
di una scuola di psicologia, (detta, appunto sistemica)
dando sostegno al concetto di ecologia, ovvero dello
studio sull'equilibrio complessivo di un sistema chiuso.
Un altro esempio di sistema chiuso è il corpo umano. Ed
una metafora di questo approccio è la seguente: Se ho
male agli occhi dovrei assumere un farmaco per gli
occhi, ma se il farmaco che mi fa bene agli occhi, allo
stesso tempo, sovraccarica eccessivamente e mi fa male
al fegato: che vantaggio, complessivo, vi è per me?
La soluzione risiede
nell'opportunità di dover fare attenzione al dosaggio e
nel trovare una mediazione per avere gli occhi
sufficientemente buoni ed il fegato sufficientemente
funzionante.
Ma allargandosi ai rapporti tra le
persone, è tristemente noto a tutti come se in una
famiglia una madre ed un padre litigano strenuamente per
sostenere la propria idea di educazione dei figli,
proprio i figli ricevono, di fatto, un brutto modello di
educazione; a prescindere da chi dei due abbia, davvero,
il modello migliore!
E , fatto ancor più imbarazzante,
nessuno dei due si accorge che quello che realmente
agisce non è il modello che propone a parole. L'assunto
che riunisce tutti questi approcci è che le diverse
parti sono, in senso più ampio, componenti dello stesso
sistema e che dunque, l'unico vero vantaggio e che
entrambe siano sufficientemente soddisfatte e smettano
di combattersi a vicenda.
Ma se tutto questo non solo è
logico ma anche provato e se la conciliazione fosse,
davvero un operazione semplice e naturale, come sembra,
come mai le persone, spontaneamente, non conciliano tra
di loro?
La risposta è che le persone,
spesso, proprio per il loro egocentrismo non si
considerano assolutamente nella stessa squadra ma,
appunto, si ritengono appartenenti a squadre diverse (ed
in una certa misura ciò potrebbe essere vero) e dunque
ognuna lotta per se credendo che l'unico vantaggio stia
nel battere l'avversario, senza rendersi pienamente
conto se questa lotta sia davvero un vantaggio per se
stessi.
n questo senso una delle
caratteristiche proprie dell'intervento del
conciliatore, è quella di evidenziare come, mettendo
insieme i molteplici fattori, l'accordo sia davvero
migliore per ciascuno, persino rispetto ad una
eventuale, ipotetica, vittoria.
E questo risultato appare evidente,
se non altro perché, al di là del momento e del
contenuto causa del conflitto, è possibile che le
relazioni e le occasioni di contatti tra le parti,
magari per altri motivi, continuino, aumentando le
possibilità che il rischio di rivalse diventi logorante.
Se però allarghiamo il nostro orizzonte alla realtà che
ci circonda, ci appare evidente come, In effetti, molte
volte , le persone , di fronte a delle situazioni
conflittuali, in famiglia, sul lavoro o in svariate
situazioni sociali, si trovano spesso a conciliare, a
negoziare . E non di rado spesso riescono a percorrere,
spontaneamente, queste vie di accomodamento, senza
bisogno di aiuti particolari. Mentre altre volte ciò non
accade.
Ed è degno di riflessione, ed anche
importante, da un punto di vista metodologico, tenere
conto che nella Conciliazione ci si trova, appunto, di
fronte a quelle persone che, da sole, o per la
distorsione della loro relazione, o per una serie di
altri motivi, evidentemente significativi, non sono
riuscite a trovare una mediazione spontanea e dunque già
dimostrano di essere in difficoltà rispetto a questa
modalità di incontro anziché quella, per loro, più
abituale, di scontro.
In queste condizioni diventa ancora
più difficile, ed allo stesso tempo più importante,
riuscire a capire come mai queste persone sono arrivate
a questo punto di inconciliabilità del loro conflitto.
Dal punto di vista etimologico la
parola conflitto deriva da confliggere ovvero sbattere a
sua volta raffigurato dallo scontro che si ha quando due
forze confluiscono, da provenienze diverse, in un unico
punto, con il risultato di un inevitabile scontro.
In questo senso il conflitto evoca
situazioni cariche di energia in cui sembra che diventi
assolutamente necessario avere ragione per scongiurare
un alternativa, quella di perdere ,che viene vissuta
come minacciosa, aumentando l'ansia o la paura ed
arrivando, per difesa, ad irrigidire le posizioni.
Dunque uno dei primi aspetti della
Conciliazione riguarda l'abbassamento della tensione
emotiva e della sensazione che si debba vincere ( o
parimenti la paura di perdere) anche perché questi stati
emotivi interferiscono e limitano le capacita di
elaborare pensieri alternativi, a volte, più efficienti.
Ma a proposito della filosofia del
pensiero debole vi è da segnalare una distorsione del
concetto, molto meno filosofica e più umana nel senso
deteriore del termine. È vero che, normalmente, siamo a
portati a dare per scontato che le persone agiscano in
buonafede, ma questo non vuol dire che non vi possa
essere anche chi, invece, trova più utile agire con
altri scopi più o meno occulti.
Questo atteggiamento negativo trova
nella teoria del tutti hanno ragione terreno fertile per
aumentare i proprio comportamenti speculativi, con la
premeditazione che poi, al limite, si arriverà a
mediare. Per le persone che adottano questo tipo di
atteggiamento diventa più conveniente esagerare nelle
proprie richieste o nelle loro posizioni, perché, così
facendo, sanno di poter spostare molto a proprio
vantaggio, il percorso della Conciliazione.
Ovviamente è una vecchia strategia
della negoziazione ma nondimeno, è bene che chi si
occupa seriamente della Conciliazione sia preparato ad
affrontare atteggiamenti aggressivi o manipolatori di
questo tipo che, se portati troppo avanti, potrebbero
essere una delle cause per dichiarare impossibile un
effettivo percorso conciliatorio.
Questo introduce il fatto che
sebbene la Conciliazione sia un ottimo sistema per la
risoluzione dei conflitti, non tutti i conflitti sono
conciliabili, o, forse, non tutte le persone sono
disposte a tollerare di non avere tutte le ragioni.
Ma questo non può essere un alibi
del Conciliatore e per evitare che vi sia questo
fraintendimento è necessario che la Conciliazione si
svolga secondo una prassi consolidata a garanzia della
qualità dell'intervento ed il Conciliatore sia formato,
personalmente, nella maniera più adeguata a condurla.
Fonte: mentelocale.it |