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Efficienza e violenza-Sergio Sabetta-La previdenza.it

 

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“Per prima cosa dobbiamo metterci nei panni dello scettico e poi chiederci : Chi trae beneficio.....?” ( M. Hanlon, Eternità, Le Scienze, 54, febbraio 2011)

 

         Jeffrey Pfeffer della Stanford University in un recente articolo, tradotto e riportato nella rivista della SDA Bocconi, recupera il concetto di sostenibilità umana da affiancare a quello ambientale. Osserva che l’attenzione della recente ricerca focalizzata sui collegamenti tra sostenibilità e profittabilità dimentica totalmente l’elemento umano, concentrata sulla sola sostenibilità ambientale sorretta dall’ideologia dominante del primato dei mercati e dalla loro equità e giustizia, si che risulta più facile e popolare preoccuparsi dell’ambiente che di fatto è nell’immediato passivo e comunque facilmente esternabile piuttosto che nel sociale attivo e come tutte le cose umane difficilmente gestibile.

 

         D’altronde, come ricorda Perrone nel suo editoriale di commento, l’idea che il destino lavorativo sia il solo frutto di scelte individuali espresse liberamente in un ambiente di mercato libero è anch’esso “il frutto di una visione ideologica del mondo e può essere molto distante dalla realtà”, tanto più che “la produttività e il profitto non sono gli unici parametri sui quali è possibile misurare lo sviluppo di una civiltà”.

 

         Marmot ha rilevato gli effetti sulla salute a seguito dello stress lavorativo, tanto che il sistema sanitario americano appare meno efficace in termini curativi rispetto ai sistemi europei nei grandi numeri, ne deriva l’importanza delle teorie sia nell’influenzare il quadro istituzionale che nell’indirizzare la ricerca e giudicarne i risultati (Ferraro, Pfeffer, Sutton).

 

         Se partiamo dalla necessità che l’aspetto ideologico sia parte della ricerca, è necessario confrontarsi  anche sulla convinzione che i mercati di per sé stessi siano in grado di ottenere l’uso ottimale delle risorse in qualsiasi campo dell’agire umano, o in realtà il mito nasconde e giustifica altri interessi?

 

         In realtà l’aspetto ideologico  interviene anche, se meno studiato, sugli aspetti del management e sull’enfasi messa sulle performance, sull’ efficienza e la razionalità ( Tetlock), ne deriva che anche in presenza di un primato del mercato le scelte individuali sono sempre socialmente influenzate e quindi in parte obbligate, ma la valutazione della sostenibilità umana è comunque elemento che ricade positivamente in una ottica gestionale a lungo termine.

 

         Lo stesso concetto di efficienza può nascondere una contraddizione tra breve e lungo termine, se si valuta ad esempio l’interesse sulle politiche del personale tra il reclutamento di personale giovane ed il mantenimento di personale over 55, in una contraddizione ulteriore tra pubblico e privato ( Raffaglio), ma la stessa efficienza viene a variare a seconda se la si consideri in termini statici o dinamici in quanto quello che è efficiente in senso statico può diventare inefficiente in senso dinamico, se a questo aggiungiamo che la definizione di “efficienza dinamica” non è univoca, vediamo bene la complessità del concetto di efficienza e la sua difficoltà nel rapportarlo in ambiti specifici quali ad esempio le burocrazie, i beni pubblici, la possibilità di esternalità nel sociale, l’ambiente e l’intertemporalità tra presente e futuro ( Cellini).

 

         Dobbiamo, infatti, considerare che l’efficienza individuale nel breve può essere inefficiente collettivamente nel lungo periodo, come nel rapporto per i limiti posti relativamente ai principali processi ambientali ( Foley) nei quali risultano attualmente superati tre su nove parametri (ozono, biodiversità e clima).

 

         Il mito dell’efficienza può quindi sublimare e fare accettare ideologicamente dosi rilevanti di violenze, come tutte le costruzioni umane quali sintesi economiche e sociali deve essere sottoposta alla valutazione delle sue ricadute; l’efficienza esprime potere e come tale ha un aspetto affermativo nella sua capacità di produrre verità, sapere, scienza, la “teoria” diventa quindi espressione di una ideologia e pertanto un’arma politica nella quale, come dichiara Foucault, vi è un’inversione del modello di Clausewitz per cui la politica con quello che contiene non è altro che un modo per proseguire la guerra.

 

         E’ stato giustamente osservato che si giudica sempre da un proprio punto di vista più o meno limitato, ancor prima di avere capito a fondo la questione, non potendo cancellare i nostri precondizionamenti dobbiamo procedere ad una loro incessante rielaborazione (Gadamer), già Wittgenstein osserva che dubitare presuppone una certezza, frutto di una credenza, pertanto nessuna interpretazione può essere esaustiva in quanto nessuna esperienza è totale (Derrida).

 

         Se la principale caratteristica dell’uomo di massa, che in realtà crede in una sua esclusiva assoluta unicità, è l’isolamento di fatto nell’incapacità di relazionare e quindi progettare socialmente ( Arendt), vi è una sorte di crescente deregulation etica ( Habermas) con una conflittualità normativa la quale si esprime anche nella valutazione delle varie efficienze nel loro rapporto con il concetto di giustizia.

 

         Nella lotta per il riconoscimento che ogni efficienza ideologicamente impegna quale espressione di differenti culture, vi è una mistura variamente dosata di violenza e di consenso o meglio di violenza che si razionalizza nel consenso il quale non fa che riflettere compromessi derivanti da variabili rapporti di forza ( Habermas), le certezze precedenti vengono sostituite dall’efficienza la quale, arbitra di se stessa, diventa nuova forma dell’antica violenza stessa.

 

         L’efficienza non è che il massimo risultato produttivo con il minimo dispendio di risorse, questo indifferentemente dall’obiettivo che si è posti, il problema diventa pertanto l’obiettivo e l’etica conseguente della coerenza e responsabilità sociale che lo presiede nel suo rapportarsi con l’interesse individuale. Nozick osserva la tendenza dell’uomo moderno a non vincolarsi mai a decisioni definitive, sì da mantenere riserve per possibili nuove scelte; questo continuo adeguarsi morale alla complessità attuale fa sì che anche l’utile vari e con esso il modello di efficienza necessario, tanto che nel venire meno della coerenza cessa la responsabilità, i limiti superati nel culto dell’efficienza personale si trasforma nell’accettazione della violenza nell’efficienza.

 

         Se la prima manifestazione della giustizia è nella distribuzione delle libertà, fondamento di ogni altro bene come sottolineato da Rawls, la libertà nell’efficienza quale mito può portare alla responsabilità di decisioni apparentemente libere in realtà predisposte, quindi surrettiziamente violente in un contrapporsi di modelli efficienti, come dimostrato da Pfeffer.

 

         D’altronde l’efficienza nel breve termine è parte della velocità moderna e favorisce nella sua brevità il superamento della valutazione dell’utile morale, come del concetto qualitativo della produzione, nella difficile scelta del rapporto, di per sé stesso contenente elementi ideologici, tra quantità e qualità.

 

         “In una società sempre più complessa e intellettualizzata,…, la stratificazione intellettuale è destinata ad aumentare, ed è previsto che la società innalzerà una barriera che escluderà almeno il 5 per cento di ogni popolazione. Il sociologo Dennis Gilbert ha stimato che negli Stati Uniti il 12 per cento delle persone appartiene al sottoproletariato” ( M. Hanlon, Eternità, Le Scienze, 127, febbraio 2011).

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

 

 

·        J. Foley, Limiti per un pianeta sano, Le Scienze, 46, 500, aprile 2010;

 

·        R. Cellini, politica economica, Mc Graw Hill, 2004,

 

·        J. Pfeffer, Costruire organizzazioni sostenibili: fattore umano, E & M, SDA Bocconi, 9, Etas, gennaio 2011;

 

·        V. Perrone, Perché l’orso polare ci commuove più di un cassintegrato? Sostenibilità ambientale e umano, E & E , SDA Bocconi, 3, Etas, gennaio 2011;

 

·        M. Raffaglio, Mature people: una risorsa da valorizzare, E & M, SDA Bocconi, 49 Etas, gennaio 2011;

 

·        M. Foucault, La volontà del sapere, Feltrinelli 1985;

 

·        M. Foucault, Microfisica del potere, Einaudi 1977;

 

·        H. G. Gadamer, Verità e metodo, Bompiani 1983;

 

·        L. Wittgenstein, Della certezza, Einaudi 1978;

 

·        J. Derrida, La scrittura e la differenza,Einaudi 1971;

 

·        H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Comunità 1967;

 

·        J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, Il Mulino 1986;

 

·        R. Nozick, Spiegazioni filosofiche, Il Saggiatore 1987;

 

·        J. Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli 1982.

 

 

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